Sulle frontiere del Far-West/CAPITOLO XXIV - Chivington-massacre

CAPITOLO XXIV - Chivington-Massacre

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CAPITOLO XXIII - I prigionieri Conclusione
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CAPITOLO XXIV.


Chivington-massacre.


Un’ora dopo, un drappello formato da cento Arrapahoes e da cento Sioux, lasciava la savana, dirigendosi al piccolo trotto verso levante, con una leggiera deviazione verso il settentrione.

Era guidato da Yalla, Nuvola Rossa, Mano Sinistra e Caldaia Nera. Il sakem dei Corvi portava sul suo cavallo, dietro di sè, Minnehaha.

Fra gli Sioux che tenevano la testa, perchè più pratici della prateria, stendentesi verso il luogo ove il sole nasceva, e gli Arrapahoes del Lago, ben guardati da una doppia fila di guerrieri, marciavano quattro cavalli che portavano in groppa, colle mani ben legate dietro al dorso, i quattro disgraziati prigionieri: i due scorridori della prateria e i due figli dello sfortunato colonnello.

La crudele Yalla non aveva risparmiato nemmeno a Mary la corda intrecciata con sottilissime strisce di pelle.

Tutti gli altri guerrieri si erano fermati sulle rive della savana, forse per intraprendere qualche scorreria in altre direzioni, o per guardare le frontiere californiane, dalle quali potevano scendere delle colonne americane e minacciare i combattenti rossi alle spalle.

Una tristezza infinita aveva invaso i prigionieri, ed Harry e Giorgio apparivano in preda ad una profonda angoscia.

Dove li conduceva Yalla? Che cosa voleva fare di loro ed a quale scopo li aveva risparmiati? Oh, non credevano affatto al giuramento di Mano Sinistra, sapendo quanto gl’Indiani sono abituati a mentire!

Una speranza sola, quantunque assai vaga, dava loro ancora un po’ di coraggio: la salvezza di John.

Il bravo indian-agent era ormai scomparso, protetto da una fortuna straordinaria, poichè il suo cavallo non aveva mai abbandonata la costa pietrosa che per un caso miracoloso aveva scoperta attraverso la fanghiglia e le sabbie mobili senza fondo, pronte ad inghiottirlo.

Sapevano bene che non era uomo da abbandonarli se avesse trovato, sul suo cammino, qualche soccorso. L’avrebbe però trovato o la fortuna si sarebbe finalmente stancata di proteggerlo? Non dovevano dimenticare che verso il levante scorrazzavano le orde dei Chayennes, [p. 246 modifica]ormai padroni della prateria, le quali non avrebbero certamente lasciato il passo libero all’indian-agent nella sua corsa verso l’Arkansas.

A mezzodì la lunghissima colonna che non aveva cessato di procedere abbastanza rapidamente, allontanandosi sempre più dal grande Lago Salato, faceva la sua prima fermata in mezzo alle alte erbe della prateria, per concedere ai cavalli, che apparivano ormai completamente esausti, un lungo riposo.

Strappate o tagliate le erbe su uno spazio abbastanza vasto per non provocare qualche spaventevole incendio, Sioux ed Arrapahoes si accamparono, mettendo nel centro i quattro prigionieri, ai quali avevano sciolti i polsi per legare invece loro, e ben strette, le gambe, quantunque una fuga non fosse in alcun modo possibile.

I fuochi furono accesi con molte precauzioni, mettendo ad arrostire alcuni quarti interi di buoi e di bufali, ed i cavalli furono posti in libertà perchè pascolassero a loro agio, essendo ormai completamente addomesticati.

D’altronde delle sentinelle erano state disposte verso i margini dell’accampamento, anche per prevenire qualsiasi sorpresa da parte dei soldati americani, i quali potevano essersi messi già in campagna.

— Ebbene, signori, — disse il figlio del colonnello, mentre gl’Indiani sorvegliavano i giganteschi arrosti, fumando intanto i loro calumet, rivolgendosi verso Harry e Giorgio, i quali penavano assai a mostrarsi un po’ meno abbattuti. — Credete che tutto sia finito per noi e che lasceremo le nostre capigliature fra le mani di questi sanguinarî guerrieri?

— Non saprei veramente che cosa dirvi, signor Devandel, — rispose Harry. — Solamente trovo assai strano che ci abbiano finora risparmiati, mentre avrebbero potuto scotennarci facilmente sulle rive della savana.

— Ci avranno forse risparmiati per farci subìre l’orribile supplizio del palo, señor.

— Potevano farlo prima. No, io credo che quella maledetta Yalla abbia qualche altro progetto.

— Di tenerci come ostaggi nel caso che la guerra finisse per loro disastrosa?

— Può darsi, signor Devandel.

— Ma non ne siete persuaso.

— Lo confesso.

— Ed allora? — chiese con angoscia il giovane.

— Bisognerebbe poter leggere nel cervello di Yalla.

— Che cosa medita quella miserabile?

— Oh, niente di buono di certo! Per crudeltà d’animo io credo che superi tutti i sakems delle tribù indiane.

— Che si affretti ad ucciderci, adunque!...

[p. 247 modifica]— Non invocate troppo presto la morte. Io vorrei anzi che giungesse il più tardi che fosse possibile.

— Avete qualche speranza, allora?

— Che cosa volete? Io penso sempre a quel bravo John, signor Devandel. —

Il giovanotto scosse il capo e fece un gesto disperato.

— Magra speranza, — disse poi, con un sospiro.

La loro conversazione, alla quale nè Mary nè Giorgio avevano preso parte, trovandosi più indietro, fu interrotta dall’arrivo di due indiani, i quali recavano loro una abbondante, se non molto svariata, colazione, composta di una specie di polenta condita con grasso d’orso e uova di pesci, e di larghi pezzi di bue sanguinanti, contornati da pochi lamponi selvatici.

Malgrado le loro angosce i prigionieri che erano digiuni fino dal giorno innanzi, fecero buona accoglienza al pasto, poi vedendo che gl’Indiani si coricavano intorno ai fuochi, cercarono d’imitarli.

Quella prima fermata si prolungò fino quasi al tramonto, poi i dugento guerrieri rimontarono in sella, rimettendo in mezzo a loro i prigionieri.

Già la colonna stava per muoversi, quando Yalla, seguìta da Nuvola Rossa, che portava sempre dietro di sè Minnehaha, passò accanto ai due scorridori ed ai due figli del colonnello, pavoneggiandosi nel suo splendido mantellone e gettando su di loro uno sguardo ironico.

— Che il Grande Spirito ti maledica, strega!... — urlò Harry, tentando, invano, di spezzare le corde che gli avevano messo nuovamente intorno ai polsi.

— Che cosa dici, uomo pallido? — chiese la donna, frenando il suo cavallo bianco.

— Dove vuoi condurci? — chiese invece lo scorridore, che scoppiava di rabbia.

— Lo saprai più tardi.

— E che cosa pensi di fare di noi?

— Lo saprai più tardi.

— Di scotennarci?

— Lo saprai più tardi, — ripete per la terza volta Yalla, colla sua voce secca e tagliente.

Poi allentò le briglie e s’allontanò a gran corsa, facendo ondeggiare i lembi del suo mantellone ed i suoi lunghissimi capelli neri.

— Me lo dirai allora tu, canaglia d’un gambusino!... — gridò Harry a Nuvola Rossa.

Il sakem dei Corvi lo guardò un istante, poi rispose:

— Se mia moglie non te lo ha detto, che cosa vuoi che ne sappia io? —

Poi lanciò anche lui il suo cavallo ventre a terra per raggiungere [p. 248 modifica]la testa della colonna, la quale si era già rimessa in marcia, sempre al piccolo trotto.

Harry aveva mandato un grido.

— Sua moglie!... Ah, miserabile, ora comprendo perchè proteggeva ed aveva tanta cura di Minnehaha!

Che mi uccida, poichè se riesco a sfuggirgli di mano, giuro sulla mia salvezza eterna, che gli strapperò il cuore!...

— Il marito di Yalla!... — esclamò Giorgio, impallidendo. — Non l’avrei mai sospettato!... E noi lo abbiamo accolto come un fratello, lo abbiamo protetto ed abbiamo diviso con quel miserabile il cibo e l’accampamento!...

— È stato lui a tradirci ed a farci prendere dagli Arrapahoes, fratello, — disse Harry.

— E noi, stupidi, a non accorgerci che era un indiano!...

— Siamo stati ingannati.

— Ah, poveri noi!... Yalla e suo marito!

— E Minnehaha per di più, crudele forse più di sua madre!...

— Taci!... I figli del colonnello si avvicinano. Non li spaventiamo. —

I due giovani non si erano accorti di nulla, essendo fino allora rimasti dietro un gruppo di Sioux, quindi quando giunsero i due scorridori non rivolsero loro alcuna domanda.

Il sole era tramontato e la luna era sorta specchiandosi nei poetici e graziosi occhi, ripieni d’acqua, che si mostravano abbastanza numerosi fra le alte erbe della prateria.

Gl’Indiani continuavano la loro corsa, cercando di non far troppo rumore. Si sarebbe detto che avevano paura di qualche improvvisa sorpresa, quantunque fossero ben lontani dall’Arkansas.

Invece di dirigersi verso levante, avevano deviato recisamente in direzione di settentrione, mettendo in serio imbarazzo i due scorridori della prateria, i quali si lambiccavano il cervello per cercare lo scopo di quella corsa verso luoghi ove non era, almeno per allora, probabile d’incontrare alcun reparto di cavalleria americana.

Eppure le pelli-rosse erano scese in campo per guerreggiare furiosamente.

Già mezzanotte non era lontana, quando dei punti luminosi comparvero. Pareva che qualche grosso accampamento indiano si fosse stabilito in quel lembo della prateria.

Harry, che conosceva benissimo il territorio che la colonna percorreva, nello scorgere quei fuochi non aveva potuto trattenere un grido di sorpresa.

— Giorgio!... — esclamò. — O m’inganno di molto, o ci conducono in un luogo a noi ben noto.

— Dove?

— Alla missione.

[p. 249 modifica]— In quella ove abbiamo cercato rifugio contro gli assalti dei lupi?

— Sì, fratello.

— E perchè ci conducono là?

— Ti risponderò come Yalla: lo saprai più tardi. —

La colonna si era messa in gran corsa, frettolosa di raggiungere quei fuochi che luccicavano sempre più vivi fra la profonda oscurità e che promettevano la cena.

Harry non si era ingannato.

Era proprio verso la diroccata missione che i guerrieri rossi della prateria si dirigevano.

Intorno alle rovine una tribù di Chayennes, composta di quasi dugento guerrieri e d’un centinaio di donne con molti fanciulli, aveva fondato un grosso accampamento, innalzando anche numerosissimi wigwams.

Gli alleati dell’est salutarono con strepitosi hug, hug quelli della montagna e dell’ovest, facendo specialmente una grande ovazione a Yalla, che era ormai considerata da tutti come la mente più forte dell’insurrezione.

Cessato l’entusiasmo e scesi tutti da cavallo, Mano Sinistra si diresse verso i quattro prigionieri che erano stati pure messi a terra, e disse loro:

— Seguiteci, se vi preme la vita.

— Dove? — chiese Harry.

— Nel sotterraneo di quella antica chiesa.

— Potete custodirci anche qui.

— No, là sarete più al sicuro, — rispose il sakem, con un cattivo sorriso.

— Bada che tu hai giurato sul Grande Spirito....

— Di risparmiare le vostre capigliature?... Ah, non me ne ricordavo quasi più! —

Dieci guerrieri che portavano delle torce d’ocote li avevano circondati, spingendoli ruvidamente verso la missione, la cui cappella si era ad un tratto illuminata.

Giunti nell’interno i disgraziati prigionieri scorsero Yalla, Nuvola Rossa, che tenevano per una mano Minnehaha, Caldaia Nera e parecchi sakems chayennes.

— Señor Harry, — disse il figlio del colonnello, con un forte tremito nella voce, — che cosa sta per succedere?

— Non lo so, signor Devandel; — rispose lo scorridore — ma non vi posso nascondere che anch’io ho paura!... —

Il drappello attraversò la cappella ed il coro e scese la scala che conduceva nel sotterraneo che già i due scorridori conoscevano, avendovi sostenuto la grande battaglia contro le orde fameliche dei lupi neri.

[p. 250 modifica]Un fuoco illuminava quella specie di cripta, ed attorno a quello vegliavano, fumando tranquillamente, quattro guerrieri sioux.

— Dov’è? — chiese loro Yalla.

— Là, — risposero i guerrieri, alzandosi prontamente, ed indicando un angolo del sotterraneo dove si scorgeva, confusamente, fra un ammasso di erbe, una figura umana.

Yalla prese una torcia di ocote, la percosse a terra per ravvivarne la fiamma e si diresse verso quell’angolo, illuminandolo bruscamente.

La forma umana, colpita probabilmente dal quel chiarore accecante, si era alzata, mandando un lugubre gemito.

Quel disgraziato era un uomo di forme robuste, dalla lunga barba bianca, dal viso rugoso.

Orribile a dirsi!... La sua testa non aveva più un capello. Era invece coperta di ributtanti croste ancora sanguinanti, che si accavallavano sulla scatola ossea denudata.

Quell’uomo era stato scotennato, e nondimeno la morte l’aveva risparmiato.

— Lo conoscete, figli del colonnello Devandel? — chiese allora Yalla, con voce terribile, accostando la fiaccola al viso del mutilato.

Due grida strazianti erano uscite dalle labbra dei due giovani.

— Padre!... Nostro padre!... —

Entrambi avevano cercato di slanciarsi verso il loro infelice genitore, ma delle mani brutali li avevano prontamente trattenuti, ed anche a tempo, poichè Mary, vinta dalla commozione, era quasi subito svenuta.

Allora la voce implacabile di Yalla, tagliente come una lama, tornò a echeggiare sinistramente sotto le volte della cripta:

— Domani, ai primi albori, avrò anche le capigliature dei tuoi figli, colonnello Devandel, e così mi sarò vendicata del tuo abbandono.

M’intendi tu, mio primo sposo? —

Solo un lugubre gemito le rispose.

Quindi Yalla proseguì, indicando i due scorridori della prateria, che sembravano pietrificati dallo spavento:

— Prendete ora questi due visi-pallidi e legateli insieme al palo della tortura.

I nostri guerrieri passeranno la notte divertendosi: ne hanno il diritto. —

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Mentre i due figli del colonnello, Harry e Giorgio venivano catturati dopo la strage completa dei difensori dell’hacienda, John aveva continuata la sua corsa, seguendo sempre la costa della savana, che per un caso veramente straordinario, aveva scoperta.

[p. 251 modifica]Essendosi preso il miglior cavallo che aveva trovato nelle scuderie, in meno di tre ore aveva raggiunta l’altra riva di quello stagno fangoso e pericolosissimo, dileguandosi nella prateria.

Dove andava? Non lo intuiva nemmeno lui, poichè non sapeva veramente dove avrebbe potuto incontrare le prime colonne americane provenienti da levante.

Galoppava a casaccio, solo sostenuto dalla speranza di imbattersi in qualcuna di quelle e di guidarla verso il Lago Salato, per accorrere in aiuto dei due figli del colonnello e dei suoi due amici.

La prima giornata trascorse senza aver incontrato nè colonne americane, nè colonne indiane.

Si accampò alcune ore nella prateria, per rimettersi in sella molto prima che l’alba spuntasse.

Dove andava? Se lo chiedeva ad ogni istante, pur conservando sempre la sua rotta verso il levante.

Non aveva mangiato; non aveva nemmeno bevuto. Sua unica preoccupazione era stata quella di spingere, più che aveva potuto, il suo cavallo.

Già ormai anche il secondo giorno stava per passare, quando scorse una lunga fila di cavalieri avanzarsi attraverso la prateria.

Non era possibile ingannarsi.

Erano volontarî americani, riconoscibili facilmente per le loro divise grigiastre, i loro ampi cappellacci dalla tesa un po’ rialzata in parte e le casacche infioccate.

Quanti erano? Otto o novecento almeno, un numero sufficiente per dare battaglia agli Arrapahoes ed agli Sioux che pei primi erano scesi dalle montagne con Yalla.

Gli Americani erano dunque, a loro volta, entrati in campagna, per domare la terribile insurrezione degli uomini rossi.

Spronando a sangue il suo cavallo, ormai quasi completamente esausto, John, il bravo indian-agent, li aveva raggiunti.

Quei cavalieri, in numero di mille, appartenevano al terzo reggimento dei volontari del Colorado, al comando del colonnello Chivington, un feroce ambizioso che sperava di guadagnarsi, in quella campagna, i galloni di generale, mentre doveva invece perdere anche quelli che si era prima guadagnati.

Bastarono poche parole di John, il quale contava non poche amicizie fra i volontari, per decidere il colonnello a tentare una sorpresa disperata.

Sapeva che la missione si trovava presso le rive del Sand-Creek (ruscello delle sabbie), e non indugiò a lanciare i suoi cavalieri, certo di guadagnare i galloni.

Era il 29 settembre del 1864, una terribile data per le tribù indiane della grande prateria.

[p. 252 modifica]A mezzanotte i mille volontari guidati da John, il quale per istinto si era immaginato che gli Arrapahoes e gli Sioux di Yalla si fossero mossi verso il nord-est per riunirsi ai Chayennes, scoprivano i fuochi indiani accesi intorno alle rovine della missione.

— Sono essi!... — gridò John. — Colonnello, salviamo i figli del vostro compagno d’armi ed i miei amici.

Sono là!... Il cuore me lo dice. —

Delle urla furiose s’alzavano nel campo indiano. Le pelli-rosse danzavano e cantavano intorno al palo di tortura al quale erano già stati legati Harry e Giorgio, i due disgraziati scorridori della prateria, aspettando che Yalla facesse il segnale del martirio.

Vi erano Caldaia Nera, Nuvola Rossa con Minnehaha, Mano Sinistra ed Antilope Bianca capo dei Chayennes.

Il colonnello Chivington radunò intorno a sè quanti cavalieri potè, gridando loro:

— Ricordatevi delle nostre donne e dei nostri figli assassinati da quei selvaggi. —

Squillarono le trombe ed i mille cavalieri, giunti inosservati, si rovesciarono sull’accampamento, ebbri di furore.

Non fu un combattimento; fu un massacro. Gl’Indiani, sorpresi, caddero quasi senza combattere.

Le donne furono sventrate, i fanciulli uccisi senza misericordia, schiacciando loro il capo contro le pietre.

Tutti i Capi, eccettuato Nuvola Rossa che aveva avuto il tempo di scomparire, a galoppo sfrenato, portando con sè Minnehaha, erano caduti.

Rimaneva però ancora Yalla, circondata da pochi guerrieri.

John, che l’aveva subito riconosciuta pel suo mantellone bianco, aveva lanciato il suo cavallo contro la terribile donna, mentre i volontari sciabolavano con furore quelli che le stavano intorno.

— Ti tengo finalmente!... — gridò l’indian-agent, sparandole contro un colpo di fucile.

La sakem degli Sioux, colpita in mezzo al petto dalla infallibile palla dell’indian-agent, era caduta, mentre il suo cavallo bianco si dava alla fuga.

Guardò John cogli occhi ormai velati dalla morte che giungeva a grandi passi, e dopo essersi ben stretta sul petto sanguinante il suo mantellone, disse:

— Mi hai uccisa, ma Minnehaha un giorno mi vendicherà.... —

Era spirata.

La battaglia era finita. Harry, Giorgio, i figli del colonnello che durante la lotta erano rimasti nel sotterraneo, ed il loro padre, erano stati tutti salvati a tempo, ma fra le erbe della prateria giacevano cinquecento pelli-rosse atrocemente mutilati, fra i quali oltre duecento creature non combattenti: donne e bambini.

[p. 253 modifica]Sand-Creek è rimasto tristamente celebre, e si chiama anche oggidì Chivington-massacre, perchè laggiù, fra le sabbie del ruscello, il sanguinario ha perduto il suo onore ed anche il suo grado, mentre, se più umano, avrebbe potuto guadagnare facilmente gli ambiti galloni di generale, essendo risultato, da una inchiesta fatta, che gl’Indiani avevano proposta la resa per salvare almeno le loro mogli ed i loro figli.