Sulle frontiere del Far-West/CAPITOLO XXIII - I prigionieri

CAPITOLO XXIII - I prigionieri

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CAPITOLO XXIII.


I prigionieri.


La carica furiosa degl’Indiani che pareva non dovesse finire se non dopo la espugnazione completa dell’hacienda, in seguito a quel primo scacco era andata a rotoli.

La presenza del fossato, che essi probabilmente ignoravano, e che era troppo largo per farlo superare dai cavalli, e soprattutto quella terribile pioggia d’olio bollente che aveva arrostiti vivi quindici o venti dei più valorosi guerrieri, li avevano decisi a sospendere l’attacco.

Le due bande degli Sioux e degli Arrapahoes, dopo d’aver scaricato un’ultima volta le loro carabine, si erano ripiegate confusamente verso la pineta, per non esporsi ad inutili perdite.

Yalla, Mano Sinistra, Caldaia Nera e Nuvola Rossa erano stati gli ultimi a ritirarsi, esponendosi con un coraggio ammirabile ai tiri dei due scorridori della prateria e dell’indian-agent, tiri che per un caso veramente straordinario erano andati a vuoto.

— Ebbene, John, — disse il figlio del colonnello, quando gli ultimi Indiani scomparvero fra le tenebre. — Credete voi che ritorneranno alla carica, dopo la dura lezione che hanno avuta?

— Signor Devandel, — rispose l’indian-agent, scuotendo la testa. — Sono almeno in cinquecento, e cinquecento pelli-rosse, decisi come sono a far raccolta di capigliature, possono far paura anche ad un reggimento di volontari delle frontiere.

— Credete dunque che ritornino all’attacco?

— Sono guidati da Yalla, da Mano Sinistra e da Caldaia Nera, e so io quanto valgono.

— Eppure dopo la vostra meravigliosa trovata....

— Quanto olio avete ancora?

— Cinque o sei barili.

— E null’altro?

— No.

— Molte balle di cotone però....

— Ah sì, finchè vorrete.

— Mah!... Chissà!... Forse riempiendo il fossato di fuoco si potrebbe tenerli lontani per alcuni giorni.... e poi?

[p. 230 modifica]— Che nessuno accorra in nostro aiuto?

— Uhm!... Verranno.... quando però? —

Ad un tratto fece un gesto.

— Che cosa volevate dire, John? — chiese il giovanotto, il quale l’aveva notato.

— Prima che io lasciassi vostro padre ho udito dire che il Governo aveva incaricato il colonnello Chivington di battere le praterie di Sand Creek, coi volontari del terzo reggimento del Colorado.

Sarà entrato in campagna o si troverà ancora al di là dell’Arkansas?

— Troppo lontano da noi, — disse il giovanotto, con un sospiro.

— Lo so, signor Devandel, ed è appunto per questo che non spero da quel colonnello nessun aiuto, quantunque il ruscello delle Sabbie non sia così lontano come voi credete.

— Sicchè dovremo cedere all’impeto delle pelli-rosse?

— L’ultima parola non è stata ancora pronunciata. Confidiamo in Dio e nel nostro spirito di resistenza.

— Voi conoscete quella donna che guidava la carica, con quel mantellone bianco? Ditemelo, John.

— No, — rispose l’indian-agent.

— Ma perchè gli Sioux hanno una donna, invece di un sakem?

— Chi lo sa? Non conosco i guerrieri della montagna.

— Eppure ho un triste presentimento, John.

— Quale, signor Devandel?

— Che quella donna abbia conosciuto mio padre.

— Non lo so, — rispose l’indian-agent.

— Voi sapete che, prima di mia madre, era stato costretto a sposare una indiana sioux.

— Non so se fosse veramente una sioux, signor Devandel. Non nego però di aver udito narrare che vostro padre avesse prima avuto per sposa una pelle-rossa, in seguito a non so quale straordinaria avventura.

— Che fosse quella che guidava la carica?

— Non lo so, signor Devandel.

— Come vi ho detto, non temo per me, bensì per mia sorella.

— Le pelli-rosse dovranno prima passare sui nostri cadaveri, e non siamo ancora morti.

— Ritenteranno però l’assalto.

— Ah!... Non so.

— Se mio padre fosse qui coi suoi volontari!... —

L’indian-agent per nascondere la sua commozione e per evitare una risposta, si era curvato sulla palizzata.

Dal fossato salivano dei rauchi gemiti. I forti guerrieri della prateria, accumulati in fondo al fossato, arsi dalla terribile doccia d’olio bollente, si agitavano ancora fra le ultime convulsioni della morte.

[p. 231 modifica]Si spegnevano lentamente, fra il fango umido che alleviava un po’ i loro tormenti, e le erbe, mandando di tratto in tratto degli ululati che rassomigliavano a quelli dei lupi quando, resi feroci dalla fame, assalgono i furgoni degli emigranti.

John si appoggiò sul suo rifle e disse finalmente al figlio del colonnello:

— Aspettiamo. —

Il cielo si era coperto di nubi densissime che i lampi, di quando in quando, illuminavano sinistramente.

Il tuono rumoreggiava sempre più intensamente e larghe gocce cominciavano a cadere, crepitando sui tetti dell’hacienda e delle tettoie che la circondavano.

I negri e i mulatti avevano già coperte, sotto le casacche, le batterie dei loro rifles, temendo che da un momento all’altro le pellirosse facessero una nuova irruzione dentro i fossati.

Quei timori non si avverarono.

I guerrieri rossi si erano accampati nella pineta, accendendo dei falò giganteschi sui quali probabilmente arrosolavano i buoi ed i montoni del colonnello, quasi per vendicarsi della sconfitta subita.

Nondimeno tutta la notte la piccola guarnigione dell’hacienda stette in armi. Perfino Mary non lasciò un solo istante i ponti, sfidando intrepidamente la pioggia.

Una vaga speranza cominciava già ad aprirsi la via nell’animo dei difensori, e cioè che gl’Indiani si fossero decisi a rinunciare all’attacco, quando ai primi albori, mentre il cielo si rasserenava, i cinquecento cavalieri ricomparvero sul margine della pineta, divisi in due colonne.

Tutti si erano muniti di grossi rami di pino, per gettarli probabilmente attraverso al fossato ed improvvisare a loro volta dei ponti.

Il giovane Devandel, vedendoli avanzarsi, aveva guardato con estrema ansietà l’indian-agent che gli stava accanto, appoggiato al suo rifle.

— Che cosa ne dite, John? — gli chiese.

Il gigante si scosse e dopo essersi passata più volte una mano sulla fronte, domandò invece:

— Quanti cavalli avete nelle vostre scuderie?

— Una trentina, John.

— Tutti solidi?

— Veri mustani abituati alle lunghe corse.

— Avete delle corde?

— Finchè volete.

— E delle asce e delle seghe?

— Anche, ma per che cosa farne?

— Signor Devandel, — disse il gigante, con voce grave — se noi [p. 232 modifica]rimarremo qui, prima di questa sera le nostre capigliature orneranno gli scudi od i calzoneros di quei vermi rossi.

Nè l’olio nè i nostri rifles basteranno a tenere indietro quelle orde di briganti.

— Vorreste tentare la fuga?

— Di sorpresa.

— E come?

— Eh!... Lasciate fare a me. Dieci uomini rimarranno con voi, ed io mi prendo gli altri, coi due scorridori della prateria.

L’affare non sarà lungo e, prima che gl’Indiani ci siano sotto, saremo tutti pronti a prendere il largo.

— E voi credete che riusciremo a passare attraverso a quelle due colonne?

— Lo spero, se tutto andrà bene.

— E poi?

— Ci diano pure la caccia. I vostri cavalli non saranno peggiori di quelli degl’Indiani.

— Oh no!...

— E ben più riposati. Aprite pure il fuoco a lunga distanza, signor Devandel, e non contate, per un quarto d’ora, su di me. —

Ciò detto l’indian-agent lasciò il ponte, traendosi dietro i due scorridori della prateria ed una mezza dozzina di negri con qualche meticcio.

I rossi guerrieri intanto si avvicinavano, senza però troppo affrettarsi, mandando, di quando in quando, il loro grido di guerra, colla ferma convinzione d’impressionare i difensori dell’hacienda.

La superba Yalla guidava una delle due colonne insieme a Mano Sinistra, montata sul suo splendido cavallo bianco, il quale spiccava nettamente fra tutti gli altri che erano per lo più rossastri o nerissimi.

Portava il suo magnifico mantellone, disteso come un manto regale, e teneva la carabina appoggiata, col calcio, sul collo del suo destriero.

Avanzava impavida, la terribile donna, con un sorriso sprezzante sulle labbra, senza curarsi di abbassare nemmeno la testa quando qualche proiettile, partito dall’hacienda, le sibilava sopra.

L’altra colonna era guidata da Caldaia Nera e da Nuvola Rossa.

I due squadroni, giunti a cinquecento passi dall’hacienda, si scostarono l’uno dall’altro prendendo due diverse direzioni, poi si slanciarono ventre a terra coprendosi di fumo e di fuoco.

Clamori orribili coprivano il galoppo sfrenato dei cavalli.

La moschetteria diventava, di momento in momento, più intensa. Una vera tempesta di palle si abbatteva sull’hacienda, cacciandosi fra tronco e tronco della cinta e rumoreggiando sinistramente sui tetti della fattoria.

[p. 235 modifica]I negri ed i meticci, quantunque ben riparati dietro ai ponti, cadevano l’uno dopo l’altro. Era vero che anche molti Indiani vuotavano l’arcione, capitombolando fra le erbe dove rimanevano per lo più immobili, e che anche molti cavalli stramazzavano per non più risollevarsi.

Frattanto John, aiutato dai due scorridori e dai sei o sette uomini dell’hacienda, non perdeva il suo tempo.

Aveva fatto uscire dalle scuderie i trenta cavalli che vi si trovavano, tutti bellissimi animali, scelti con cura fra i migliori che prima pascolavano liberamente nelle praterie della fattoria, e li aveva disposti su due file dietro la palizzata che guardava verso il fiume, passando attraverso i morsi dei primi quindici una robusta funicella, per impedire loro di disperdersi prontamente appena messi in libertà.

Mentre i negri tenevano ferme le due caballade, John armatosi di scure si era portato, seguito dai due scorridori, sotto il ponte che in quel momento veniva valorosamente difeso dai due figli del colonnello, ed aveva cominciato a menare colpi formidabili contro le traverse che collegavano la palizzata e contro i tronchi principali.

La cinta, indebolita dei suoi sostegni, su un tratto di una decina di metri, dopo dieci minuti cominciò ad oscillare.

Guai se in qual momento gl’Indiani fossero montati all’assalto da quella parte!... In un baleno si sarebbero trovati dentro l’hacienda senza aver bisogno di scalate.

Fortunatamente pei difensori, non avevano ancora tentato l’attacco, quantunque ormai si trovassero a pochi passi dal fossato.

Temendo di dover affrontare ancora i terribili torrenti d’olio, volevano innanzi tutto mettere fuori di combattimento il maggior numero possibile di assediati, fucilandoli a breve distanza.

John aveva terminati i suoi preparativi. Malgrado la gragnuola di palle che non cessava di abbattersi sull’hacienda, salì sul ponte e raggiunse i figli del colonnello, intorno ai quali si erano radunati gli ultimi difensori.

— Andiamo, signori!... — gridò, cercando di dominare colla sua voce poderosa il fracasso della moschetteria. — Chi rimane è perduto!... Fra un quarto d’ora quei vermi saranno qui e si prenderanno le capigliature che troveranno.

— Volete proprio tentare un’uscita, John? — chiese il giovane Devandel, guardando con angoscia sua sorella, la quale non cessava di far fuoco colla sua piccola carabina, mostrando sempre una calma più che straordinaria.

— Non ci rimane altro da fare. Guardate: non siamo ridotti che in quattordici.

— E poi, che cosa succederà?

— Correremo e li faremo correre, signor Devandel.

— E Mary?

[p. 236 modifica]— La metteremo in mezzo a noi. M’immagino che saprà cavalcare.

— Oh!... forse meglio di me.

— Allora facciamo un’ultima scarica e poi abbattiamo la cinta.

Con pochi urti la faremo cadere attraverso il fossato, così tutti i cavalli potranno passare e rovinare, come arieti, addosso a quei vermi. —

Gl’Indiani avevano ripresa la loro corsa circolare, sempre urlando e sempre sparando, avvicinandosi gradatamente al fossato, attraverso il quale scagliavano, in determinati punti, i rami dei pini per formarsi dei ponti.

I difensori dell’hacienda scaricarono un’ultima volta i loro rifles, poi seguirono precipitosamente l’indian-agent, il quale non aveva abbandonata la scure.

— Ricaricate prima le armi, — gridò loro il gigante — e appena avremo abbattuta la palizzata, montate sui cavalli della seconda fila e stringetevi intorno ai vostri padroni.

Lasciate a me la cura di guidare quelli che sono legati....

Harry, Giorgio a me!... Spingiamo forte!... —

Stava per passare dinanzi ai mustani della prima fila, seguito da una mezza dozzina di negri, quando un grido echeggiò:

— Al fuoco!... Al fuoco!... L’hacienda brucia!... ―

Una nuvola di fumo, fino allora da nessuna avvertita, attraversata da parecchie lingue fiammeggianti e crepitanti, s’alzava turbinando sopra il tetto della fattoria, ed in mezzo a quella s’agitava, saltellando come una scimmia, una piccola creatura umana la quale impugnava una torcia d’ocote.

— Minnehaha!... — avevano urlato i due scorridori della prateria, i quali avevano subito riconosciuta la piccola e malvagia figlia di Yalla.

— Ah, canaglia!... — aveva subito soggiunto John. — Mi aspettavo qualche brutto tiro da parte di quel demonio!... —

Aveva alzato rapidamente il rifle che si era tolto dalle spalle.

Una detonazione rimbombò, ma la selvaggia sioux era ormai scomparsa in mezzo alla nuvola di fumo e fra le fiamme.

— Uccisa? — chiesero Harry e Giorgio, i quali avevano pure armati i rifles.

— Che il diavolo se la porti!... — rispose John, con voce furente. — È degna di sua madre!... Se l’ho colpita tanto meglio!...

Camerati, giù la palizzata!... —

Al di fuori, al di là del fossato, si udivano echeggiare ormai vicinissime, le grida di guerra degli Arrapahoes e degli Sioux.

L’assalto era imminente.

Gli scorridori, i negri ed i meticci si scagliarono contro la cinta coll’impeto di una catapulta.

Trenta o quaranta pali, già prima quasi recisi a gran colpi di [p. 237 modifica]scure, rovinarono con gran fracasso attraverso il fossato, formando un vero ponte.

— A cavallo!... — urlò subito John.

Gl’Indiani che si trovavano dall’altra parte, una cinquantina in tutti, poichè gli altri avevano continuata la loro corsa circolare, vedendo precipitare quell’enorme pezzo di cinta, erano rimasti come pietrificati dallo spavento.

Il peggio fu quando si videro rovinare addosso i trenta mustani, dei quali quindici erano montati dagli assediati che tenevano le carabine puntate.

I destrieri, spaventati dalle fiamme che già divoravano l’hacienda con rapidità spaventevole, e spronati a sangue, in un lampo avevano attraversato il fossato, urtando furiosamente i guerrieri rossi che in quel momento avevano messo i piedi a terra, forse per meglio accomodare i rami di pino.

— Fuoco!... — gridò l’indian-agent, il quale già aveva ricaricato il suo rifle.

Quella scarica mandò a catafascio la banda rossa che non si era ancora rimessa dallo stupore.

I quindici mustani che galoppavano in linea serrata, trattenuti dalla corda, mandarono a gambe levate quanti erano rimasti in piedi.

La caballada, sfondati, con impeto irresistibile, gli assedianti, passò oltre slanciandosi, ventre a terra, verso la pineta per guadagnare le rive del Lago e di là le grandi praterie dell’est, dove potevano sperare di trovare qualche soccorso da parte della cavalleria americana, dato il caso che avesse già attraversato l’Arkansas e fosse entrata in campagna.

Le altre bande indiane guidate da Yalla, da Mano Sinistra, da Caldaia Nera e da Nuvola Rossa, stavano compiendo in quel momento il giro intorno alla fiammeggiante fattoria.

Vedendo gli assediati fuggire, mandarono un urlo tremendo e si misero in caccia, sparando e scagliando non pochi tomahawahs.

John, che cavalcava dietro ai primi quindici cavalli, sempre trattenuti dalla corda, deviò bruscamente verso il fiume, perchè non imbarazzassero la corsa degli altri, urlando:

— Tutti dietro di me!... Alla carica!... Non perdete tempo a far fuoco!... —

Da buon conoscitore, si era scelto un cavallo che pareva avesse il fuoco nelle vene e le ali alle zampe, e conduceva il drappello in una corsa furibonda, disperata.

Se era un magnifico cavaliere, lo erano però anche gli Arrapahoes e gli Sioux, e quei terribili guerrieri della prateria alta e bassa, pur non avendo sotto di loro cavalli assolutamente freschi, non rimanevano indietro.

[p. 238 modifica]Il peggio era che, pur galoppando furiosamente, mantenevano un fuoco intensissimo.

Era vero che la maggior parte dei proiettili andavano perduti in causa delle scosse disordinate dei cavalli e anche della poca abilità dei cavalieri, i quali, come abbiamo detto, più abili ad adoperare l’arco e la freccia anzichè le armi da fuoco, tuttavia, di quando in quando, qualche palla giungeva a destinazione.

Il primo a cadere fu un negro, il quale aveva ricevuto una ferita al dorso, senza dubbio gravissima.

Mano Sinistra, che era dinanzi a tutti i cavalieri, fu lesto a saltare a terra ed a scotennarlo ancora agonizzante.

Poi toccò la orribile sorte a due meticci. Sbalzati d’arcione dai loro cavalli che avevano ricevuto parecchi colpi di fuoco, furono fulminati prima che avessero potuto rialzarsi e scotennati da Nuvola Rossa e da Caldaia Nera.

Fu solo in quel momento che John, il quale si volgeva continuamente indietro per vedere se gl’inseguitori guadagnavano terreno, s’accorse della presenza di Minnehaha, fino allora rimasta nascosta dietro il padre.

Come era riuscita a sfuggire all’incendio quella piccola serpe e raggiungere i suoi genitori prima ancora che cominciasse la gran carica?

E come era sfuggita al colpo di fuoco che l’infallibile indian-agent le aveva sparato contro? Mistero!...

Il bravo John, nello scorgerla, aggrappata alla gualdrappa del cavallo del padre, non aveva potuto frenare una bestemmia.

— Harry!... — gridò. — L’hai veduta? Guardala, mentre quel cane d’un gambusino sta scotennando quel disgraziato.

— Chi? — chiese lo scorridore lanciando un rapido sguardo dietro di sè.

— Minnehaha!...

— Dannazione eterna della mia vita!... Ancora quella vipera!...

— Io credo, mio caro, che quella piccola scimmia non sia figlia nè di Yalla nè d’altra donna indiana, bensì della diavolessa!...

— Comincio a crederlo anch’io, John.

Anda!... Anda!... Lascia stare il rifle!... Il gambusino è già rimontato in sella e l’ha nuovamente coperta.

— Giuro a Dio che la ucciderò!

— A te il piccolo mostro ed a me Yalla; ma più tardi, quando si presenterà l’occasione, se si presenterà....

Via!... Spronate, spronate sempre, amici!... Signor Devandel, vegliate su vostra sorella e tenetevi ben curvo!... Io spero che finiremo per distanziare quei maledetti vermi rossi!... —

La corsa furibonda continuava fra un incessante gridìo ed un fuoco infernale. Le pelli-rosse non economizzavano le munizioni, anzi [p. 239 modifica]ne facevano un vero spreco, pur ottenendo ben meschini risultati col mezzo migliaio di carabine che avevano a loro disposizione.

Già la pineta era stata attraversata in tutta la sua lunghezza; già le ultime terrazze del Lago erano state superate, ed ora i cavalieri galoppavano attraverso la sconfinata prateria, dirigendosi all’oriente.

John guidava sempre il drappello, tirandosi dietro gli altri, trascinandoli in una corsa che pareva non dovesse finire più.

Sapendo che solamente verso l’est poteva incontrare aiuto da parte del colonnello Chivington o da qualche altro, manteneva quella direzione, pur avendo il timore di cozzare contro a qualche banda di Chayennes che dovevano scorrazzare le pianure bagnate dagli affluenti dell’Arkansas.

Disgraziatamente gli Sioux e gli Arrapahoes, forse più abili cavalieri, non perdevano affatto terreno, nè accennavano ad interrompere la caccia.

Sicuri di sterminare con facilità quel piccolo gruppo, e aizzati certamente da Yalla, la quale non voleva perdere i due figli del colonnello, ora che era riuscita a scovarli, tenevano duro spingendo senza posa i loro piccoli e svelti mustani, i quali sembravano veramente dotati d’una resistenza eccezionale.

Molti erano rimasti indietro, ma i più si mantenevano sempre in gruppo, continuando a sparare all’impazzata e ad urlare a squarciagola.

I negri, che formavano la retroguardia, cadevano ad uno ad uno, ed anche i meticci che si stringevano addosso al giovane Devandel ed a Mary, stramazzavano fra le erbe per non più risollevarsi, e le loro capigliature passavano nelle mani dei pelli-rosse.

Il drappello si assottigliava a poco a poco.

Invano John aveva fatto fare qualche scarica colla speranza di fermare lo slancio degli assalitori. Molti indiani e numerosi cavalli erano caduti, ma ci voleva ben altro per mettere fuori di combattimento quel piccolo esercito!...

Quella caccia disperata, spaventevole, durava già da due ore, con uno slancio frenetico da una parte e dall’altra e colla peggio dei fuggiaschi, i quali vedevano assottigliarsi sempre più il drappello.

Quasi tutti i negri erano ormai caduti ed erano stati scotennati. Non rimanevano in sella che John, i due scorridori della prateria, i due figli del colonnello ed altri sei o sette uomini, e le palle continuavano a grandinare, pur giungendo quasi morte, poichè i cavalli indiani, sfiniti da quella lunga corsa e dalle cariche precedenti intorno all’hacienda, cominciavano a cedere all’immane sforzo.

L’indian-agent cominciava a sperare, quando un altissimo grido gli sfuggì:

— Siamo perduti!...

[p. 240 modifica]— Che cos’hai, John? — chiese Harry, il quale, essendo pure bene montato, lo seguiva a qualche passo di distanza.

— Siamo dinanzi alla prateria fangosa!...

— Mille demoni!...

— Mi ero scordato di questa savana!...

— Che cosa faremo ora?

— Non ci rimane che di gettarci dentro. Può darsi che ritroviamo la costa che ci ha permesso di attraversarla l’altra volta.

— Non possiamo deviare, John?

— È impossibile, Harry: gli Arrapahoes e gli Sioux ci taglierebbero subito la strada.

Giù!... Tentiamo la sorte!... Amici, stringete le ginocchia e sorreggete i cavalli!... Siamo nelle mani di Dio!... —

Cacciò gli sproni nei fianchi del cavallo e pel primo saltò nella savana, la quale poteva nascondere, in quel luogo, delle sabbie mobili, pronte ad inghiottirlo.

Con sua viva gioia lo vide subito rialzarsi e riprendere la corsa, come se avesse trovato sotto le sue zampe uno strato solido, pur essendo coperto da una fanghiglia verdastra e puzzolente.

Tutti gli altri lo avevano seguìto, saltando qua e là, ma forse la costa non aveva una larghezza bastante per permettere il passaggio a tutti, poichè pei primi furono i due scorridori della prateria che rimasero quasi immobilizzati nel fango tenace, chiudendo così la via agli altri.

— Sprona, Giorgio!... — gridò Harry, la cui fronte si era coperta d’un freddo sudore.

— È inutile, — rispose il fratello. — Tutti i miei sproni sono dentro il ventre di questa povera bestia.

— Cerca di aprire il passo ai figli del colonnello.

— È impossibile, fratello!...

— Morte e dannazione!... John!... John!... —

L’indian-agent era già lontano. Comprendendo che ormai tutto era finito, approfittava della sua buona fortuna che aveva guidato il suo cavallo su una costa e fuggiva disperatamente.

Non fuggiva pero il brav’uomo per salvare solamente la sua capigliatura.

Cercava di mettersi in salvo, colla vaga speranza di incontrarsi con qualche colonna di volontari americani e di ritornare più tardi alla riscossa.

Intanto la situazione dei due scorridori della prateria, dei figli del colonnello e dei quattro o cinque servi dell’hacienda, tutti immobilizzati nel pantano, diventava sempre più terribile.

Cento e più pelli-rosse, i cui cavalli resistevano ancora, guidati da Yalla, da Nuvola Rossa e dai due sakems degli Arrapahoes, si avvicinavano rapidamente, mandando clamori assordanti.

[p. 243 modifica]Un grido, lanciato da Mano Sinistra, era echeggiato, dominando per un istante quel frastuono:

— Risparmiate solamente i visi-pallidi!... Yalla lo vuole!... —

Un momento dopo una scarica echeggiò, scarica eseguita certamente dai migliori tiratori delle due bande, poichè furono solamente i servi dell’hacienda che vuotarono l’arcione e che scomparvero subito dentro il fango verdastro e puzzolente, salvando così le loro capigliature.

Gli altri quattro erano rimasti in sella, imbracciando le carabine.

Harry fu però il primo ad abbassare la sua, dicendo:

— Non li rendiamo più furibondi di quello che sono. Un morto di più od uno di meno ormai non importa più....

Signori, salutiamo i disgraziati, i nostri disgraziati compagni ed auguriamo a quel bravo John di mettersi in salvo. —

Si era levato il sombrero, agitandolo a destra ed a sinistra, poi aveva scaraventato in mezzo al fango il rifle, aggiungendo:

— Almeno non servirà più ad uccidere!... —

Le pelli-rosse erano giunte sul margine della savana e cento rifles si erano puntati contro i quattro fuggiaschi, pronti a fulminarli al primo cenno di Yalla o di Mano Sinistra.

Harry si era voltato verso i due figli del colonnello, entrambi pallidissimi.

— Signor Devandel.... miss, — disse con voce commossa — siamo ormai presi, ma John è libero e galoppa verso i paesi donde potranno forse giungere in tempo dei soccorsi.

Non siamo ancora morti, quindi non disperiamo. —

Il giovane Devandel gettò su Mary uno sguardo disperato.

— Coraggio, sorella, — mormorò.

— Credo di averne ancora un po’, — rispose la ragazza, pur sospirando. — Siamo i figli d’un valoroso, e se la morte ci vorrà sapremo affrontarla senza tremare.

— E mostrando anche a quella triste donna che non la temiamo, — disse il giovane.

— Poveri ragazzi! — esclamò Harry, asciugandosi di nascosto una lagrima.

— Vi arrendete? — gridò in quell’istante Mano Sinistra.

Harry si volse e guardandolo fisso gli rispose:

— Sì, ma ad una condizione.

— Quale? Siete in nostra mano, cani di visi-pallidi, ed osate proporci delle condizioni?

— Che si risparmino almeno le capigliature di questi due giovani eroi.

— E se rifiutassi?

— Il fango è profondo qui e fa presto ad inghiottire un uomo [p. 244 modifica]che vi si getti dentro. Non hai veduto come sono scomparsi gli uomini del nostro seguito? —

Mano Sinistra interrogò con uno sguardo Yalla.

— Prometti loro tutto quello che vorranno, — rispose la terribile donna, con un perfido sorriso. — Vedremo chi ci imporrà di mantenere la nostra parola. —

Mano Sinistra la guardò con profonda ammirazione, poi gridò ad Harry, il quale aspettava sempre la risposta:

— Accettiamo quanto tu chiedi.

— Lo giureresti sul Grande Spirito?

— Anche sull’Arca del primo uomo, — rispose il sakem.

— Come farai a prenderci? Il fango ci circonda e sotto di noi vi sono le sabbie mobili pronte ad inghiottirci.

Come vedi, i nostri cavalli continuano ad affondare. —

Mano Sinistra si guardò intorno, ed avendo scorta una folta macchia di grossi alberi del cotone, che crescevano lungo il margine della savana, disse ai suoi guerrieri:

— Presto: improvvisate un ponte. —

Cinquanta o sessanta uomini si slanciarono verso le piante, impugnando le scuri ed in pochi minuti le atterrarono, trasportando poi tronchi e rami presso lo strato d’acqua fangoso.

Con una rapidità straordinaria, poichè i cavalli dei fuggiaschi continuavano ad affondare, una specie di pontile fu gettato sopra la savana.

Harry fu il primo ad attraversarlo insieme a Mary, che aveva levata dalla sella.

Si avvicinò a Yalla, la quale era rimasta sempre immobile sul suo bianco destriero, fredda come un pezzo di ghiaccio, e dopo d’averle lanciato addosso uno sguardo pieno d’ira, le chiese:

— Sei soddisfatta, dannata femmina? —

Yalla schiuse le sue labbra ad un sorriso sardonico, poi rispose:

— Sì, però avrei voluto prendere anche quello che è fuggito. Aveva una bella capigliatura.

Chissà che un giorno o l’altro il Grande Spirito non mi dia fra le mani anche quello!... —