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L'omino anticipato - V. La cascata da cavallo

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V.


La cascata da cavallo.


Venuto il tempo delle vacanze, Gigino andò a passare due mesi in campagna insieme con la sua mamma.

Il babbo rimase in città, perchè essendo il tempo delle elezioni, e volendo riuscire eletto deputato alla Camera, aveva bisogno di girare dalla mattina alla sera come un fattorino della posta.

A poca distanza dalla villa del nostro amico c’era una casa colonica abitata dalla famigliola del contadino: vale a dire padre, madre e due ragazzetti.

Il maggiore di questi due ragazzi aveva forse la stessa età di Gigino, e si chiamava Cecco: il minore, era un bambinetto di quattr’anni appena.

— Come si chiama questo bimbo? — domandò Gigino alla mamma. [p. 20 modifica]

― Il suo nome vero sarebbe Brandimarte: ma noi, qui in famiglia, gli si dice Formicola, perchè gli è piccino come un baco da seta. ―

Gigino, come potete immaginarvelo, passava tutte le sue giornate in casa del contadino, ed era diventato l’amico indivisibile di Cecco.

Una volta, fra le altre, gli domandò:

― Che cosa si potrebbe fare per divertirsi un poco?

― Senta, sor Gigino, vuol dar retta a me? Io ci ho un bel carrettino di legno a quattro ruote; lei c’entri dentro, e farà da padrone, e io farò da cavallo e tirerò il carretto.

― Codesti mi paiono balocchi da ragazzi! ― disse Gigino, pigliando l’aria d’un uomo serio e sbadigliando senza averne voglia.

― O che lei è vecchio?

― Non ti dirò di esser vecchio: ma oramai tutti mi scambiano per un giovinotto.

― Io, per esempio, ― soggiunse Cecco ― se dovessi scambiarlo con qualcuno, lo scambierei con un ragazzo....

― Un ragazzo io?... Ma non sai che fra dieci anni sarò di leva e mi toccherà a fare il soldato?

― Io non ci ho colpa! ― rispose Cecco stringendosi nelle spalle.

― E fuori del carretto a quattro ruote, non avresti nessun altro passatempo?

― L’anno passato ce l’avevo....

― Che cosa avevi?

― Un cavallino bianco così addomesticato e alla mano, che veniva dietro come un pulcino quando gli si butta il panìco....

― E ora è morto? [p. 21 modifica]

― È lo stesso che sia morto, perchè il padrone l’ha venduto.

― E quando lo ricomprate il cavallo?

― Il cavallo ce l’abbiamo, ma sarebbe quasi meglio di non averlo. Di quei cavallacci cattivi!... La si figuri, che a fargli una carezza, abbassa subito gli orecchi e mette fuori certi dentoni, che paiono manichi di coltello.

― E corre dimolto?

― Gli è uno scappatore peggio di un barbero. Se l’avessi a montar io!... Neanche se mi ci cucissero sopra con lo spago.

― Non ti vergogni a esser tanto pauroso?

― No.

― Hai torto: un ragazzo della tua età dovrebbe avere molto più coraggio....

― Lo so anch’io; ma per aver coraggio, bisognerebbe non aver paura.

― Quando avevo la tua età, non c’era cavallo che mi mettesse in soggezione: anzi, quanto più erano scappatori e focosi, e più ci avevo piacere.

― Mi levi una curiosità, ― rispose Cecco, guardando il padroncino con un’aria un po’ canzonatoria ― che ne ha montati dimolti lei dei cavalli?

― Te lo lascio immaginare!...

― Per esempio.... quanti?

― Ci vorrebb’altro a contarli tutti!...

― Dunque lei monterebbe anche il Matto?

― Chi è il matto?

― Gli è appunto quel cavallaccio, che abbiamo nella stalla.

— E perché lo chiamate il matto? [p. 22 modifica]

― Perchè è una bestia, con la quale non si può ragionare.

― Mi conduci a vederlo?

― La si figuri! ―

I due ragazzi, senza far altre parole, si alzarono dalla panchina dove stavano seduti e si avviarono verso la stalla. Giunti alla porta, Gigino disse a Cecco:

― Mena fuori il matto! ―

Cecco ubbidì.

Quando Gigino ebbe visto l’animale, disse scrollando il capo in atto di compassione:

― Questo, caro mio, non è un cavallo: questa è una pecora.

― Eppure scommetto che lei....

― Io?... Io per tua regola ho cavalcato certi cavalli, che tu non te li sogni nemmeno. —

Si capisce bene che Gigino, parlando così, diceva un sacco di bugie; ma le diceva per la sua solita smania di farsi credere un giovinotto.

― Vuol provare a montarci sopra, a bisdosso?

― A bisdosso? cioè?

― Vale a dire, senza sella.

― Volentieri. Va’ a prendermi una sedia.

― Che cosa ne vuol fare?

― Ora lo vedrai.

― Ma che un cavallerizzo, come lei, ha bisogno della sedia? Io, quando voglio montare a cavallo, mi attacco ai peli della criniera, spicco un bel salto, e in men che si dice, mi trovo con una gamba di qui e una di là....

― Ognuno ha le sue opinioni: io, senza una sedia, non posso montare a cavallo. ― [p. 23 modifica]

Cecco portò una seggiolaccia tutta sgangherata: Gigino vi si arrampicò, e inforcando il cavallo con la gamba sinistra invece che con la destra, si trovò col viso e con tutta la persona voltato verso la coda dell’animale.

Allora Cecco, sbellicandosi dalle risa, cominciò a gridare:

― No, sor Gigino, no, l’ha sbagliato uscio: la si rigiri di là; perchè la testa del cavallo è da quell’altra parte.

― Lo so, lo so; ― rispose Gigino con molta disinvoltura ― ma per tua regola, quando io monto a cavallo, ho la precauzione di voltarmi prima dalla parte della coda....

― Perchè?

― Perchè, caro mio, le precauzioni non sono mai troppe.

― Ora ho capito, ― disse Cecco, che non aveva capito nulla.

Intanto, a furia di sforzi inauditi, Gigino si rivoltò con tutta la persona verso la testa del cavallo: e compiuta appena questa difficile manovra, sarebbe sceso volentieri, ma gli mancò il tempo.

L’irrequieto animale, senza aspettare l’invito del cavaliere, staccò subito un mezzo galoppo. Figuriamoci Gigino! lui, che non aveva cavalcato mai altri cavalli che un bellissimo puledro di legno, compratogli dalla sua mamma per regalo del Capo d’anno! Quanti salti e quanti balzelloni sulla groppa secca del matto! Il povero figliuolo ora dondolava da una parte, ora dondolava dall’altra.... e Cecco? Quella birba di Cecco, a gambe larghe in mezzo alla strada, godendosi la scena del suo padroncino, che da un momento all’altro era lì lì per fare un gran capitombolo, si mandava a male dalle grandi risate. [p. 24 modifica]

E il momento del capitombolo arrivò pur troppo! Gigino cadde, come un fagotto di cenci, fra la polvere della strada, e il cavallo, senza darsene per inteso, andò a mangiar l’erba nel campo vicino.

― S’è fatto molto male? ― gli domandò Cecco, che era corso a gran carriera per aiutarlo.

― E perchè mi dovrei esser fatto male?

― È stata un brutta cascata!

― Povero grullo! Che credi che sia cascato? Neanche per sogno. Volevo scendere, e nello scendere ho messo un piede in fallo e sono sdrucciolato. È una disgrazia che può accadere a tutti.

― Davvero! l’altro giorno, per esempio, sdrucciolai anch’io....

― Scendendo da cavallo?

― No: mettendo un piede sopra una buccia di fico.

― E questo corno, che gli è venuto qui sulla fronte?... ―

Gigino si toccò la fronte con la mano, e sentito che c’era davvero un piccolo gonfio, disse con la solita disinvoltura:

― Si vede che nello scendere, ho battuto un ginocchio. Basta che io batta un ginocchio, perchè mi venga subito un corno nella testa. Ho la pelle così delicata!... ―