Sotto il velame/L'altro viaggio/XII

L'altro viaggio - XII

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L'altro viaggio - XI L'altro viaggio - XIII
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XII.


E forse i sette spiriti sono anche nell’inferno. Essi, ripeto, perfezionano l’uomo in quanto è mosso da Dio.1 Certo le porte della città roggia le apre un del ciel messo. Io l’ho detto insigne di quella eroica e divina fortezza che fa simili agli dei, secondo la sentenza del filosofo. Ebbene quella fortezza, secondo il Dottore cristiano, è appunto dono dello Spirito Santo; chè “i doni si chiamano virtù, in quanto vi sono alcune virtù divine che perfezionano l’uomo in quanto è mosso da Dio; onde anche il filosofo (in Eth. 7, 1,) sopra la virtù comune pone una certa virtù eroica o divina, secondo la quale [p. 410 modifica]alcuni sono detti uomini divini„. Ora colui che condusse l’aquila secondo il corso del cielo e che fu eletto nell’empireo cielo per padre di Roma e dell’impero, era certo mosso da Dio.2 E dallo Spirito Santo aveva dunque quella virtù eroica o divina; chè Dio è Spirito in quanto muove e spinge la volontà.3

E anche Virgilio è mosso da Dio, quando viene a soccorrere Dante, e vince la peritanza di lui con manifestargli appunto4

                       che tai tre donne benedette
               curan di lui nella corte del cielo.

Ora mi piace di riferir qui un tratto d’una guerra spirituale, che, per certo, solo nell’essere guerra, come quella di Dante, la qual fu del cammino e della pietà, assomiglia alla mirabile visione.5 L’uomo, il figliuol prodigo, Absalon, il giovane ardente e inesperto, è fatto prigione dai guerrieri di Babilonia. David manda a liberarlo un de’ suoi, “il timore„, e col timore manda “la obbedienza„. Ed ecco “il timore viene e rialza il misero e lo toglie dalla prigionia e dalle catene... L’obbedienza guidando il soldato di Cristo per altra via lo ricondusse alla sua terra; e prima lo fece sostare presso la pietà, affinchè la pietà del padre che lo richiamava ristorasse il suo animo, cui il timore aveva esacerbato; poi presso la scienza, perchè sapesse donde veniva e dove tornava, e sapesse usare sì la pietà e sì il timore, che la pietà non lo sollevasse e il [p. 411 modifica]timore non lo frangesse; poi presso la fortezza, che lo confortasse a compiere il viaggio del suo ritorno; poi presso il consiglio, affinchè facesse tutto col consiglio di un altro e in nulla dechinasse dal ducato dell’obbedienza; poi presso l’intelletto, affinchè non solo col consiglio degli uomini, ma già da sè cominciasse a intendere (intelligere) quale sia la volontà del Signore, buona, piacente e perfetta; e finalmente il soldato di Cristo giunse alla sapienza, che i suoi ospiti lo seguivano e non lasciavano di accompagnarlo per via; affinchè già gli sappiano i beni del Signore, e con Mosè già dal monte Abarim cominci a contemplare le promesse di Dio. E di lì già si arriva a Gerusalemme, nel regno e nella città di David, nella visione di pace, dove beati e pacifici figli di Dio, mentre tutto di dentro e di fuori è pacificato, entrati nella gioia del Signor loro, celebrano il sabato dei sabati„.

A nessuno sfuggirà la somiglianza di questo povero abbozzo mistico col Poema sacro. In vero Dante, soldato perchè sostiene una guerra, sotto il “ducato„ di Virgilio, che è Messo d’un David che si chiama “loda di Dio vera„, “per altra via„ acquistando il dono della sapienza attraverso le fiamme, da un monte, che non è detto Abarim ma è un santo monte, comincia a contemplare le promesse e le primizie di Dio. E di lì sale a una città, che è la Gerusalemme celeste, e ivi, senza più esterni tumulti e senza più interna battaglia di passioni, gusta la visione di pace. Questo nel Poema è per certo; ma v’è anche altro della concezione di S. Bernardo? del “sene„ che gli è guida nell’ultimo tratto della sua visione? [p. 412 modifica]

Il fatto è che Virgilio trova Dante, non in una prigione e non tra catene, ma presso la selva oscura in luogo dove il sol tace, e impedito, “servo„. E lo trova che gli tremano “le vene e i polsi„. Codesta paura, a interpretare il linguaggio mistico, non è il “timore„ che salva? E appunto egli lo prova avanti la bestia malvagia, che in sè riassume tutti i peccati, che è il peccato. E Virgilio propone allo spaurito “altro viaggio„, poi che lo vide lacrimare e l’udì gridare. Quest’altro viaggio a che meta deve condurre il viatore? A vedere “color che son contenti nel fuoco„, ossia a quelli che mondano nelle fiamme il cuore e acuiscono l’occhio per la visione. Conduce, dunque, l’altro viaggio, all’acquisto del dono della sapienza. E così il soldato di Cristo, narrato dal contemplante di Chiaravalle, è liberato dal timore e giunge alla sapienza. Ma prima che il viaggio cominci Dante parla con Virgilio sul viaggio da farsi. Dante teme. La sua anima è offesa da viltà.6 Per solverlo da questa tema, Virgilio narra da chi sia mandato. Così Dante apprende “la pietà„, non del padre, ma di Beatrice “che lo richiama„. E invero il suo animo esacerbato dal timore si ristora.7 “O pietosa colei che mi soccorse„: esclama, e si dispone al venire. Egli sa donde viene Virgilio, e dove esso ha da andare: il timore più non lo frange: la sua virtù stanca si solleva: la fortezza lo ha confortato a compiere il suo ritorno. E ubbidirà: non dichinerà dal “ducato„ dell’obbedienza:8

               Or va, che un sol volere è d’ambedue:
               tu duca, tu signore, tu maestro.

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Come Virgilio ubbidì a Beatrice,9 Dante ubbidirà a Virgilio. E già da sè comincia a intendere “quale è la volontà del Signore buona, piacente e perfetta„, chè il consiglio gli ha disposto il cuore, ed esso è “tornato nel primo proposto„: proposito suo.10 Dunque fa mostra anche del dono dell’intelletto, secondo che è interpretato dal mistico. E così in questo ragionamento è come l’ombra e come l’eco dei doni dello Spirito; chè non manca certo la sapienza, la quale riassume tutti gli altri spiriti, come si trova con gli altri ospiti intorno al soldato di Cristo. Chè codesta sapienza è la metà del primo viaggio, è la sosta avanti di arrivare alla città di David, è quella che vi conduce, è quella che porge “vere parole„. Al che, per ora, persuade quel domandar di Virgilio e quel risponder di Beatrice, su ciò ch’ella non teme del fuoco. Risponde ella:11

               Temer si deve sol di quelle cose
               ch’hanno potenza di fare altrui male,
               dell’altre no, che non son paurose:

sapienza codesta che saprebbe pur di poco, se non sapessimo interpretarla! Sotto quelle parole giace questo concetto: “Nel timore del Signore ognuno dechina dal male„:12 ma questo male è quel dell’anima, e che poi si punisce nell’incendio della Geenna; non quel del corpo, perchè il giusto nè in vita deve temere il fuoco mortale, nè in morte l’eterno. Ora quel timore del male che è male dell’anima, l’ebbe se mai altri, Beatrice; chè inizio della sapienza [p. 414 modifica]è il timor del Signore; sì che ora non teme più il fuoco che castiga quel male. E se Beatrice è, come io credo di sapere che sia,13 la sapienza; la sapienza che si acquista purificando il cuore tra le fiamme, tra cui coloro sono contenti; nella sua risposta a Virgilio devono fermare il nostro pensiero quelle parole:14

               nè fiamma d’esto incendio non m’assale.

Virgilio, quando donna lo chiamò beata e bella, era “tra color che son sospesi„,15 in luogo dunque in cui il solo martirio è la tenebra e il desiderio senza speranza. Dove è l’incendio? dove la fiamma? Nell’inferno il fuoco è solo oltre Dite. So che sottilmente, in molti modi sottili, s’interpreta qui come altrove la parola di Dante, la quale si trova poi chiara e propria e profonda, quando si dovrebbe chiamarla oscura, inetta, stolida! Io darò invece l’interpretazione giusta, che parrà sottile ai dottor sottili i quali non si ricordano mai che il Poema sacro è un Poema mistico. Dico dunque che Beatrice chiamò Virgilio. Virgilio si trovò, a quella chiamata, senza cambiar di luogo, al margine del limbo. Il qual margine è quel muro di fuoco, oltre il quale Virgilio stesso dice a Dante che è Beatrice.16 Una voce li guidava, quella volta, l’uno e l’altro, “una voce che cantava di là„, ed era dentro da un lume che Dante non potè guardare. E dentro le fiamme il dolce padre di lui lo confortava, ragionando sol di Beatrice e dicendo: “gli [p. 415 modifica]occhi suoi già veder parmi„. Non erano gli occhi, non era la voce di Beatrice? Ella dopo, bensì, gli apparve solennemente, ma sotto un velo,17 senza il quale e’ non avrebbe sofferto quelli occhi. A quelli occhi è menato dalle quattro ninfe, dopo il lavacro in Letè. Oh! gli occhi di Beatrice erano di là, e a Virgilio pareva giustamente di vederli; e la voce di lei sonava, e diceva: Venite benedicti patris mei. Ora, quella prima volta, in quel medesimo luogo Virgilio parlò a Beatrice, e Beatrice parlava di quell’incendio. Chè Virgilio era nel limbo. E il limbo, ossia il peccato originale, contiene tutto l’inferno e tutto il peccato; e con tutto l’inferno, tutto il purgatorio; con tutto il reato, tutta la macchia. E come Virgilio può essere presso la selva ed essere nel tempo stesso nel suo limbo, al suo luogo; così, essendo nel limbo, è in tutto l’abisso e per tutto il monte; tra le disperate strida e i canti di contentezza, che egli annunziò a Dante così brevemente e così giustamente. Egli ha da una parte il passo di quella fiumana e dall’altra quel muro di fuoco. Quella fiumana? Quale? Quella che ha nome Acheronte, quando scende dal sogno, e si chiama Letè, quando diroccia dalla realtà: dal sogno, cioè da Creta; dalla realtà, cioè dall’Eden: ma qua e là, dalla medesima ferita che il peccato aprì nella natura umana e perciò in Dio che quella natura umana in sè assunse e punì. E Virgilio, chiamato da Beatrice, non si trova egli avanti una fiumana, a lui inguadabile?18 di qua da un fiume sacro? È Letè quello, ed egli non lo può passare, come più non [p. 416 modifica]può passare l’irremeabile Acheronte. L’uno e l’altro che egli passasse, sarebbe per lui la vita. Di là dell’uno, è il dolce mondo della prima vita mortale; di là dell’altro, il paradiso della seconda vita immortale. E Virgilio, il dolce padre, sparisce e ritorna nelle sue tenebre a desiare senza speranza.

Senza speranza? Eppur la voce di là delle fiamme cantava: Venite, benedicti... Non c’era anche lui con Dante e Stazio? Non benediceva anche lui quella voce? La prima volta, quando fu chiamato da Beatrice, nemmeno quella fiamma egli passò; perchè Beatrice venne a lui attraverso l’incendio che non lo assaliva. Or sì, passa la fiamma; ma avanti i belli occhi sparisce; e la fiumana della misericordia egli non passa, il dolce padre. E non mai? non mai?

A nessun interprete e critico e storico di Dante fu dato di trovare del cuore di lui tale traccia visibile quale a me, che ho seguito riverente la sua ombra per la plaga del mistero. E ineffabile gioia è per me aver trovata questa orma della bontà di Dante; di Dante cui il vulgo, letterato e senza lettere, la nega o non l’asserisce, contento ch’egli sia grande, e magari incestuoso e barattiere, ma grande. Ed ecco l’orma che dico. Il dolce padre, egli non vuole che resti eternamente a desiare senza frutto. Egli afferma che gli spiriti magni e i parvoli innocenti saranno liberi nel gran dì. Egli che si è configurato al Cristo, e che è morto com’esso, e com’esso ha patito, e che è entrato con un tremuoto negli abissi, e dopo trentasei ore ne è risorto, egli, come il Possente, ha tratto dalle tenebre quelli del cerchio superno senza lasciarvene alcuno. In verità egli non [p. 417 modifica]afferma ciò esplicitamente, perchè la pena dei sospesi è il desio senza speranza; e se questa pena ha da essere, nè Virgilio con sè nè altri con lui può mostrare d’accorgersi che la sospensione avrà fine. Ma Virgilio porta seco la certezza di ciò di cui non ha speranza e pure ha desio, con l’incoscienza d’allor quando portava, nella notte del paganesimo, il lume dietro sè. Ecco: quando egli dice, di quei del cimitero, che i loro sepolcri tutti saran serrati,19

               quando di Iosafat qui torneranno
               coi corpi che lassù hanno lasciati,

non pensa a ciò che di lui avverrà quando tornerà col corpo anch’esso. Egli, con i parvoli innocenti e con gli spiriti magni, ripasserà l’Acheronte; ma lo ripasserà da vivo e non più da morto. Or l’Acheronte per chi è vivo, è Letè; è il fiume della misericordia e non della dannazione; della rinascita e non della morte. Egli morrà alla morte e non della morte. Esso e i suoi piccoli e grandi compagni passeranno, e si troveranno nel paradiso terrestre. “Solo quelli che nasceranno un’altra volta, vedranno il regno dei cieli„;20 ed essi, come tutti gli uomini, rinasceranno, e poichè non hanno di reo che un difetto, e questo sarà tolto dalla vista del supremo Giudice; così vedranno il regno dei cieli. Virgilio dice ch’egli è come gli altri nel limbo, sospeso; e non s’accorge del senso più ovvio della parola che pronunzia, e non ha coscienza di dire, che non eternalmente sarà così.

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Ripasseranno da vivi l’Acheronte. Con loro saranno a ripassarlo quelli che peccarono di concupiscenza e d’infermità, di malizia e di ignoranza malvagia; quelli che peccarono di incontinenza, di violenza e di frode, a dirla in altro modo. Questi rotoleranno per le rovine e passeranno i fiumi del peccato attuale; per la rovina ed il fiume che è la seconda morte dovuta al loro peccato proprio. Nè potranno risalir quelle rovine nè ripassar quei fiumi. Ma color che prima del gran dì potevano prender via per le rovine e traghettar i fiumi, anche dopo il gran dì potranno; Minos non li legherà allora, come non li legava prima; e perciò sarà lor lecito, dopo come prima, giungere sino al cerchio di Giuda. E come prima, potranno ascendere per il sacro monte, come quando accorrevano (mistero! senza muoversi) alla voce di Beatrice. Potranno, come potevano; potevano per aver essi le virtù le cui macchie, lasciate dal vizio contrario, si mondano colassù. Potranno giungere sino alla cima. E si arresteranno e dilegueranno avanti Letè? No: il Letè l’hanno già passato: il Letè che si chiama Acheronte soltanto per chi lo tragitta in peccato.

Si può obbiettare che anche i lussuriosi e golosi e avari si hanno a trovare nelle medesime condizioni di quelli del limbo. E no, rispondo. Lo Stige scorre, anche se invisibile a noi, per tutti i tre cerchi. Scorre, sebben si veda solo nel cerchio degli avari, donde scende in quello degli accidiosi.

O perchè non ci ha detto più chiaramente che lo Stige comincia nel secondo cerchio? Per questo. Dante vuol insegnarci che il peccato originale disordinò primamente e principalmente la concupiscenza: [p. 419 modifica]concetto comune. E così, in certo modo, col tacere di questo nuovo fiume che si forma subito d’Acheronte, e col farci supporre che i lussuriosi e golosi (la gola nel peccato dei primi parenti ha gran parte) siano disterminati dall’Acheronte, come quelli del limbo, dà a divedere che la lussuria e la gola pure e semplici sono una cotale specie immediata del peccato originale: sono il fomite acceso da esso. E così fa vedere lo Stige solamente nel cerchio dell’avarizia, perchè questo vizio è già un corrompimento maggiore, il primo distogliersi dal suo corpo della natura viziata, e il primo suo appetito, dirò così, innaturale, e la prima forma d’ingiustizia.

Ma torniamo al dolce Padre, il quale, passato il muro, si trova tra le fiamme e la fiumana; e sparisce. Sparisce, e si trova misticamente dove era: tra la fiumana, che è detta Acheronte, e le fiamme dell’ultimo cerchio del Purgatorio. È un tutt’uno l’abisso e il monte; formati dallo stesso cader dell’angelo; con lo stesso ordine degli stessi peccati, mortali nell’uno, veniali nell’altro. Sparisce, e si trova, come quando Beatrice lo chiamò, ed entrò a lui passando dall’un dei margini: da quello delle fiamme; da quello della mondizia di cuore, cioè della visione e della sapienza. E bene è dunque naturale che Beatrice parli allora del timore delle fiamme paurose in comparazione dell’altro timore che è inizio di sapienza: del timore che non si deve avere delle fiamme della mondizia e della visione.

Così in quel discorso di Virgilio, che riferisce, a confortare del suo timore il discepolo, le parole di tre donne benedette — che possono benissimo raffigurare le tre virtù teologali, ed essere carità, [p. 420 modifica]speranza e fede, ed essere misericordia, grazia e sapienza, e chiamarsi Maria, Lucia e Beatrice — in quel discorso sono adombrati i sette doni dello Spirito santo. Il che ci è confermato dal fatto che di questi divini colloqui è a capo quella Donna gentile che concepì dallo Spirito santo; quell’unica sua sposa.21

Ora i sette doni o spiriti sono anche nel viaggio per l’inferno? Io direi di sì. Con essi noi possiamo spiegarci quel che rimaneva ancora involuto, della guerra del viatore, che pativa della pietà e dell’ira. Abbiamo veduto alla fine del “le rovine e il gran veglio„ la parte che hanno nella guerra la fortezza, la pietà e il timore.

Or si può aggiungere, con la scorta di S. Bernardo, che quando Virgilio dice al discepolo: “Qui vive la pietà quando è ben morta„; gli inculca l’uso della “scienza„, perchè la pietà non lo sollevi; e così gli raccomanda il medesimo uso, quando gli dice: “Ora, convien che di fortezza t’armi„, che il timore non lo franga. E si può sospettare che nella Ghiaccia, avanti il peccato di tradimento o di apostasia o di superbia che tutti comprende i peccati, il Poeta voglia dar prova di sapienza, che tutti i doni riassume; chè si arma di fortezza, a consiglio di Virgilio; e da sè mostra d’intendere qual sia la volontà di Dio, quando percuote le guance, più al peccato che al peccatore; o sa usare la pietà, perchè usa quella pietà che vive quando è morta; ossia lascia il molle affetto e assume l’ira; ossia mostra la pietà verso Dio, rinnegando la pietà verso il [p. 421 modifica]male, e nell’orrore per l’antidio mostra il timore di Dio. I doni dello Spirito sono, mi pare, nell’inferno sotto l’ombra delle quattro virtù cardinali, a cui sono fatti equivalere:22 ma ci sono, perchè Dante compie quest’“altro viaggio„, come mosso da Dio. E mosso da Dio è anche Virgilio, che, in certo modo, non lo sa, poichè chiama donne del cielo quelle che lo hanno mandato e sa il nome di Beatrice e di Lucia, non dell’altra, non della madre di colui ch’egli chiama “un Possente„. Egli dietro sè porta il lume, il dolce padre!

Note

  1. Summa, 1a 2ae 68, 1.
  2. Par. VI 3, Inf. III 20 seg.
  3. Summa 1a 36, 1.
  4. Inf. II 124 seg.
  5. D. Bern. de pugna spirit. III.
  6. Inf. 45 segg.
  7. ib. 130 seg.
  8. ib. 139 seg.
  9. Inf. II 80 e 134.
  10. ib. 136 segg.
  11. ib. 88 segg.
  12. Proverb. 15 in Summa 1a 2ae 68, 4.
  13. Vedi più avanti.
  14. Inf. II 93.
  15. ib. 52 segg.
  16. Purg. XXVII 36, 54 segg.
  17. Purg. XXX 31, XXXI 82.
  18. Purg. XXX 49, XXXI 1.
  19. Inf. X 10 segg.
  20. Vedi Aur. Aug. passim, e Op. imperf. in Iul. II, 189: cum qua poena omnis homo nascitur, periturus in aterenum si non renascatur.
  21. Purg. XX 97.
  22. Summa 1a 2ae 68, 1.