Sessanta novelle popolari montalesi/LVI

LVI. Caterina furba

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LV LVII

[p. 463 modifica]Novella LVI.

Caterina furba.

(Raccontanta dalla ragazza Giuditta Diddi contadina.)


C'era una volta un padre e una madre con tre figliole grandi da marito; una famiglia ricca sfondolata che si tieneva da signori, perché il padre mercante con il su' traffico ogni giorno, si pole dire, che i quattrini gli ammontassi. Ma pur troppo della mercatura nun bisogna fidarsi! Al mercante gli viense a un tratto la nova che un su' bastimento carico di robbe la burrasca gliel'aveva colato 'n fondo al mare, e lui per una simile disgrazia si ritrovò a dover pagare di molte somme di munete, e se nun perdiede tutto il su' patrimonio, gli si sminuì tavìa tanto, che dové nuscire fora del paese 'n cerca d'altri modi di guadagno. Ma prima di partirsene per il su' viaggio il mercante volse le su' tre figliole alla su' presenzia, e gli disse: - Bambine, state ubbidienti e portatevi bene tutt'a tre. I' vi lasso per ricordo una grillanda di fiori per ognuna. Abbadateci! Perché, se vi mantienete di garbo, anco le grillande si mantierranno fresche com'ènno, o insennonò succede che appassiranno per l'affatto. Doppo, detto addio alle donne, il mercante se n'andette al su' destino. Bisogna sapere, 'nnanzi di seguitare la novella, che per l'appunto in sul dirieto della casa e orto del mercante ci steva a confino il palazzo e il giardino reale, sicché 'gli era facile alle persone vedersi e parlarsi attraverso della siepe. Ora accadette che una mattina la maggiore delle ragazze passeggiava nell'orto da sé sola e nel listesso tempo c'era nel giardino il figliolo del Re, un bel giovanotto ardito e un po' donnaiolo, e [464] [p. 464 modifica]a male brighe che lui ebbe aocchiato la ragazza, subbito principiò a discorrire con seco: - Quanto sare' contento, se lei mi volessi bene. Dice la ragazza: - Sì, che gliene voglio. Domanda il figliolo del Re: - Perché dunque nun si potrebbe fare all'amore? E la ragazza: - I' nun m'appongo. Se gli garba di mettersi co' una par mio, mi tiengo per onorata. - Ma la mi' brama - dice il figliolo del Re - sarebbe quella di dormire una notte assieme. Fa la ragazza: - Volenchieri! Vienga pure a trovarmi stanotte 'n cambera mia, che lasserò l'uscio soccallato. Il figliolo del Re dormì con la maggiore: ma doppo nun la guardò più come se nun l'avessi ma' cognosciuta. Di lì a qualche giorno il figliolo del Re si scontra in nel giardino con la mezzana. Dice: - Vole fare all'amore con meco? Arrisponde la mezzana: - Sì che ci vo' fare. - Ma i' gradirei dormire assieme una notte, - disse il figliolo del Re, - se lei è contenta. Dice la mezzana: - Volenchieri! Sì che son contenta. I' l'aspetto 'n cambera a buio, vienga pure. Ma anche la mezzana il figliolo del Re doppo che se l'ebbe goduta nun la volse più vedere. La prendette a noia come la maggiore. Passan degli altri giorni e la più piccina delle sorelle, che per nome si chiamava Caterina, pure lei trovò nell'orto il figliolo del Re, che al solito gli domandò, se gli garbava di fare all'amore con lui. Dice la Caterina: - E come! 'Gli è propio il mi' piacere. Ma lei che 'ntenzioni ha? Arrisponde il figliolo del Re: - Le mi' intenzioni sono bono: ma io ho anco un gran desio che lei mi meni a letto con seco. Dice la Caterina: - Volenchieri! 'Gliel'accordo subbito. Vienga stanotte 'n cambera mia, i' son pronta a tutto. La Caterina però 'gli era più furba e maliziosa delle su' sorelle, e 'nnanzi che il figliolo del Re gli nentrassi 'a cambera, lei fece una buca larga nel solaio al disotto del letto, ei accomidò in bilico una sieda, e 'a sulla sieda ci mettiede appoggiate le materasse: nun si vedeva nulla per via del copertoio per insino a terra. All'ora indettata deccoti apparisce trionfente il figliolo del Re, e la Caterina gli disse: - Lei si spogli 'atanto ch'i' mi lavo. La su' parte dientro al letto la sa; pole diacersi a su' piacere. Il giovanotto nun intese a sordo, e in un mume [p. 465 modifica]nto [465] 'gnudato salì d'un salto a letto; ma a male brighe che lui l'ebbe tocco, giù di tonfo casca per la buca e si sprofonda in una cantina. Non rimané morto per miracolo, bensì pieno d'ammacchi e di sgraffiature, e con dolore s'arrizzò scramando: - Birbona! Me l'ha fatta 'n sull'auzzatura. Nun me lo sare' ma' aspettato un simile tradimento. Ma s'i' nun fo la mi' vendetta, mi contento di perdere tutto 'l mi' regno. Doppo, carpon carponi potiede per un finestrino sortire di là dientro il figliolo del Re e arritornarsene al palazzo per farsi medicare, e la Caterina dal su' lato riturò il solaio della cambera e si buttò a dormire tutt'allegra per la su' bella 'ntrapresa contro quell'ingannatore delle donne. Delle du' ragazze sbreccate a quel mo' dal figliolo del Re la mezzana 'gli era rimasa gravida e però, come succede 'n simili casi, lei aveva tutte le voglie del mondo. Un giorno la sentiede un grand'odore di stracotto che vieniva dalla cucina reale e cominciò a dire alla Caterina: - S'i' lo potessi mangiare un po' di quello stracotto! I' me ne struggo, Caterina. Vammelo a pigliare; ma di quello, veh! Un altro nun mi garberebbe. La Caterina dapprima disse di no, ma poi, per la paura che la su' sorella partorissi una creatura con qualche brutta voglia addosso, scende nell'orto, acciancò la siepe e a traverso 'l giardino viense a una delle finestre della cucina reale, e quando 'l coco si dilontanò dal focolare, lei lesta, saltata dientro la cucina, prendette la marmitta dello stracotto e lo portò diviato alla su' sorella. Di lì a un po' rideccoti 'l coco e s'accorge del rubbamento; sicché corre dal figliolo del Re per sapere se lui gli aveva fatta quella burla. - Ma ti pare! - dice il giovanotto: - s'i' nun mi son mosso di qui. Sarà stato 'l gatto, un cane. - Che! - fa 'l coco. - E' nun manca lo stracotto soltanto, ma la marmitta e tutto. Scrama 'l Principe: - Bada, e ci scommetto! 'Gli è stata quella malestrosa della Caterina. Mettici la tagliola al focolare, e se lei ci torna, accosì ci resta chiappata, e allora me la paga. Passorno diverse settimane e in nella cantina del Palazzo reale mutavano 'l vino sicché 'l frazio si spandeva fora e la mezzana nun steva più alle mosse dalla gran bramosia di beverne qualche bicchiere. Subbito cerca la sorella Caterina e lì a pregarla che andessi a [466] pigliarne [p. 466 modifica]un fiasco almanco per cavarsene la voglia, e prega e riprega, da ultimo la Caterina bisognò che la contentassi. Difatto si fece la Caterina calare dientro la cantina a buio dalle su' sorelle e del vino ne prendette per dimolti barili, massime di quel bono scelto, e poi per dar noia al figliolo del Re, prima di nuscire diede la stura alle botti e lassò che si verciassi lì per le terre tutto il resto del vino. A giorno il cantinieri scionnato sentiva un pisciolìo sotto al palazzo e nun si sapeva raccapezzare d'addove vieniva; porge l'orecchio, fa campana e s'insospettisce di qualche malestro, sicché salta da letto 'n furia e sceso giù 'n cantina s'arritrova 'n mezzo a un lago di vino. Poer'omo! Principiò a sbergolare con le mane ne' capelli: - Corrite, corrite, gli han dato la stura alle botti. Corsano e viense anco il figliolo del Re, che subbito si rafficurò chi era stato l'autore, e disse: - Decco! Qui 'gli è nentrata quella birbona della Caterina. Mettici la tagliola, cantinieri, d'attorno alle botti, e se ma' mai la ladra ci arritorna, nun anderà via 'nsenza il su' giusto premio. Di lì a un po' di tempo il figliolo del Re, per una gran festa, volse dare un desinare e 'nvitò un buggianchìo di dame e cavaglieri; il coco si mettiede a opera per farsi onore, e gli odori delle su' pietanze si spargevano dappertutto, massime l'odore d'un arrosto; sicché alla mezzana, a male brighe che lo sentette, gli s'arridestò repente la voglia di mangiarne un bel tòcco. Dice: - Caterina mia, se te mi vo' bene, fammelo avere quell'arrosto del Palazzo reale. S'i' nun posso assaggiarlo, i' guasto la creatura di sicuro. Abbeneché la Caterina fusse dimolto ardita, nunistante a ristiarla per la terza volta gli parse da sfacciata, e la cancugnò un pezzo 'nnanzi di contentarla la su' sorella; ma quella co' pianti e le parole, ostinata in nella su' idea di cavarsi 'l capriccio, supplicò tanto, che da ultimo la Caterina nun poté più resistere; e, scesa giù dientro l'orto, pian pianino in peduli dalla solita finestra nentra in cucina del Re e allunga le mane 'n sull'arrosto che girava al foco. Ma per tornare un passo addietro, bisogna sapere che il figliolo del Re se l'aspettava la vienuta della Caterina; e però lui aveva ordinato che caricasseno la tagliola, e che quando lui era 'a cucina con la ladra, nimo rientrassi 'n senza la su' chiamata, anco se sentivano degli urli e de' rammarichii. Dunque [p. 467 modifica]la [467] Caterina, nel tirar via l'arrosto, fece scattare la molla della tagliola e rimanette tra' du' ferri, e dal male e per la paura piagneva e sbergolava a più nun posso. Corse il Principe e scramò: - Vedi, s'i' t'ho chiappa, birbona! Ma ora te me la paghi per tutte, - e con l'idea di picchiarla prendé un frustino e gli s'accostò. La Caterina di lì era 'mpossibile che si bucicassi, stretta a quel mo' dalla tagliola; e tavìa nun si scoraggì, e nun tiense la lingua mutola, né gli occhi fermi. S'arrivolse 'n verso il Principe e tutt'umile gli principiò a dire tante cose tenere e a fargli tanti vezzi, che lui 'mpietosito dalle su' bellezze, 'n scambio di ritrovargli le costole, volse libberarla e perdonargli addirittura per l'affatto. Ma, poero Principe! s'accorgé tardi con che volpe gli aveva lui da contrastare! Perché 'n quel mentre che lui s'arrabattava a aprire la tagliola, alla Caterina gli rinuscì con isveltezza cavar fora le su' propie mane e ficcarci dientro quelle del Principe, che rimanette come un minchione rinserro tra que' ferri dentati e auzzi. Si provò a urlare a chiedere aiuto; ma per via de' su' medesimi comandi, nimo de' servitori fu ardito di dargli retta, e la Caterina 'nfrattanto, preso un bel randolo d'in su la catasta delle legna, con quello lo macolò 'l Principe accosì forte, che, quando lo lassò svienuto, lui pareva un Ecce Homo al naturale. I servitori e il coco, aspetta aspetta, finalmente s'affacciorno all'uscio di cucina e veddano quello spettacolo del Principe mezzo morto e penzolente per le mane dalla tagliola. Nun sapevano lì per lì che pensare; ma subbito acciaccinati lo cavorno dal serrame e a braccia, lui tutto cascante di qua e di là, gli fecian salire le scale del palazzo e lo messano a letto. Il Principe s'ammalò a bono, più per la rabbia della scorbacchiatura che per gli strapazzi avuti dalla Caterina; e nun ci fu verso che lui volessi dire quel che gli era successo, sicché i dottori, doppo provato ugni sorta di medicine, siccome nun vienivano a capo di guarirlo il Principe, e' si diedano per persi e quasimente lo dibandonorno al su' destino. Infrattanto alla sorella mezzana della Caterina gli prendettano i dolori del parto e gli nasce un mastio. Dice la Caterina: - 'Gli è del Principe, e i' nun son io se nun mi rinusce portarglielo per insino 'n cambera. Che ti fa? Lei si travestisce da dottore e comincia a [468] [p. 468 modifica]spargere che 'gli è arrivo di fora via un gran medico bravo, che nun c'è malattia che lui nun possa cognoscerla e guarirla di sicuro. A questa nova la Regina, vecchia mamma del Principe (lui il babbo nun l'aveva più), volse che fusse chiamato questo medico forastiero a visitare il su' figliolo 'nfermo, si spendessan pure a manate i quattrini, e la Caterina, abbeneché la stessi 'n sulle sue dapprima per furbizia, da ultimo ficurò di lassarsi persuadere, e la sera a buio 'gli andette al Palazzo reale 'n carrozza, e con seco sotto 'l pastrano lei tieneva dientro una sporta il bambino della su' sorella. La fanno passare. Dice: - Come sta Su' Altezza? Arrisponde il Principe: - Eh! i' nun do né in tinche né in ceci. Ma mi sento male. - Lo credo, - dice la Caterina, - n'ha buscate tante! E di più, cascò anco 'n fondo a una cantina; sicché lei è tutto macolo e pesto, e la rabbia lo strugge per via d'una ragazza malestrosa. Scrama il Principe: - Perdinci! lei è bravo. Ci coglie davvero. Ma che rimedio ci poi essere? E la Caterina: - Sugo di bosco, nun c'èn'altro di bono per il su' male. Ora i' lo vo a pigliare a casa, perché con meco nun ce l'ho. Con questa scusa la Caterina fuggì, dibandonando su d'una sieda la sporta con quel bambino, che di lì a un po' di tempo principiò a frincare per la fame. Il Principe a male brighe sentette il pianto, scramò: - Me l'ha fatta! 'Gli è quella birbona della Caterina che m'ha porto la creatura della mezzana. Ma ora poi, pan di ricatto, e se nun mi vendico di tanti 'nsulti, che mi caschi la testa diviato. Al Principe per ricattarsi a su' mo' gli nascette l'idea di sposare la Caterina, perché quando l'aveva tra le su' mane lui poteva strapazzarla a su' piacimento; il difficile pere 'gli era, che la Caterina acconsentissi a diventare moglie del figliolo del Re. Ci mettiede di mezzo il Principe una donna dimolto amica della Caterina, ma nun gli rinuscì persuaderla. - Che! Lui mi vole morta, - disse la Caterina, - e i' nun so' tanto minchiona da darmi 'n bocca al lupo, perché mi scanni. Il Principe allora ricorse alla Regina su' ma', che visto il figliolo 'ntestato e che insennonò nun guariva dal su' male, mandò per la Caterina, che per ubbidienza viense al palazzo e la Regina gli disse: - 'Gnamo, bisogna far monte di tutt'e' successi 'nsino a qui, e te ha' da sposare il mi' figliolo. - Ma che gli pare! - arrispose [p. 469 modifica]la [469] Caterina: - Lui me n'ha fatte a me e io a lui e delle macicane. Lui ha dientro 'l core tropp'aschero contro di me, e 'l su' pensieri è d'ammazzarmi per vendetta. A un simile ristio nun mi garba d'andargli 'ncontro, abbeneché io al Principe nun gli voglia mica del male. Dice la Regina: - Ma nun ti dubitare, lui nun ti fa nulla. S'è smenticato d'ugni cosa. E poi, ti sto io mallevadore a ugni brutto caso. Dammi retta, e te nun averai da pentirtene. Batti e ribatti, finalmente la Caterina lo sposò il Principe; ma il giorno delle nozze lui a tavola steva serio 'mbroncito, co' un viso dimolto scuro, sicché alla Caterina gli tremava il bubbolino a bono, e per la paura che poi 'n cambera e' gli facessi qualche acciacco, lei s'impuntì di nun ci volere andare a letto. La Regina un po' sgomenta badava a persuaderla che si sbagliava; ma la Caterina più furba 'gli almanaccò un ripiego per salvare la su' pelle e 'ntanto nun dare a divedere alla scoperta la su' temenza. Accosì disse alle su' sorelle che subbito gli fabbricassino alla cheta una fantoccia di zucchero e di miele, che con la scuffia 'n capo, a male brighe che l'ebbe avuta, lei la mettiede a diacere dientro 'l letto, mentre che lei ci si nascondé sotto, e co' un filino accomido alla testa della fantoccia la Caterina gli faceva dire di sì a su' piacimento. Deccoti nentra di lì a un po' il Principe, e s'accosta alla spronda del letto; dice: - Oh!! 'Gli è arriva l'ora che te me le paghi tutt'assieme le birbonate che te m'ha' fatto, Caterina. Te n'arricordi, nun è vero? E la Caterina, tira 'l filino e la fantoccia, sì. - Quando te mi promettesti di menarmi a letto con teco e 'n scambio mi buttasti 'n fondo alla cantina, te n'arricordi? E la fantoccia, sì. - Quando mi rubbasti lo stracotto, te n'arricordi? E la fantoccia, sì. - Quando nun contenta di pigliarmi 'l vino te desti anco l'anda alle botti, te n'arricordi? E la fantoccia, sì. - E che poi mi mettesti dientro la tagliola e fusti ardita di bastonarmi, mentre io per esser pietoso t'avevo libberata, te n'arricordi? E la fantoccia, sì. - E da' ultimo, che m'ha' portato una creatura dientro una sporta 'n cambera, e che per guarirmi volevi darmi 'l sugo di bosco, questo pure te n'arricordi, birbona? E la fantoccia, sì sì. - Dunque, - screma il Principe incattivito, - per te è l'ora di morire! E tirato fora lo spadino randola [470] [p. 470 modifica]a traverso 'l collo della fantoccia un gran colpo e gli mozza la testa, sicché uno sprizzolo di zucchero e miele gli schizzò a lui per insino 'n bocca. In nel sentire quel dolce il Principe arriviense in sé e pentito della su' rabbia, disse co' un sospiro:

Oh! Caterina di zucchero e di miele, S'i' t'avessi viva ti vorre' un gran bene.

A' su' lamenti corse 'a cambera la Regina a domandare quel che 'gli era successo, e si mettiede a sgridare il figliolo per la su' cattivezza, che nun s'era vergognato a pigliarsela co' una donna, che po' da ultimo aveva uto mille ragioni da vendere. Dice: - Te, nun te n'arricordi, che tradisti le su' sorelle e se ti rinusciva volevi tradire anco lei. E ora te ha' mancato pure al tu' giuro, che nun gli averesti fatto nissun male alla Caterina. Il tu' pianto 'gli è il pianto del coccodrillo, ma 'gli è inutile per rimediare al male. Il Principe si diede a disperarsi e fu a un pelo di bucarsi 'l core con quello spadino che tieneva 'n tra le mane; ma per su' fortuna la Caterina sortì a tempo di sotto al letto e disse: - Si fermi, ch'i' nun son punto morta, e se lei mi perdona anco io gli perdono, e sarò la su' sposa fedele per insin che campo. Insomma s'appaciorno, e si messano a letto assieme, addove dicerto se la goderono tutti contenti, e tra di loro nun ci fa ma' più nulla da ridire, e quando gli morì la mamma, il Principe gli successe nel trono e accanto a lui steva sempre sieduta Caterina La f [p. 471 modifica]urba.



NOVELLA LVII


I fichi brogiotti (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


C'erano tre fratelli insenza babbo e insenza mamma, e poeri poeri; nun avean nemmanco una capannuccia per dormire. Dissan tra di loro: - Che si fa? È più meglio che si vadia a girare 'l mondo 'n busca di fortuna. O si tocca qualcosa o si more; e allora, spenti e' moccoli e finita la festa. Si messan d'accordo e co' cenci che a male brighe gli ricoprivano, principiorno a caso 'l su' viaggio e campellavano con le limosine, ma sempre affamati e struci. Una sera che nun avevan trovo un balco addove albergare, a buio si fermorno sotto a una quercia vicino alla via, e lì stracchi ci si buttano a diacere e subbito s'appioppano come ghiri, abbeneché lo stombaco gli facessi a loro arcuccio per il troppo appetito. A una cert'ora, che nun era però levo 'l sole, i tre fratelli furno svegli assieme come da una scossa: - Che 'gli è successo, che 'gli è successo? - scramano. Dice 'l maggiore: - I' sognavo che avevo una borsa, e ugni volta che ci mettevo la mano dientro i' tiravo fora le munete a manciata. Arcipreti! Veggo ch'i' ho almanaccato l'inganno. - E io pure, - dice 'l mezzano, - sognavo che avevo una bottiglia, e qualunque sorta di vino e di liquore i' chiedessi, la bottiglia me lo verciava a divizia. Peccato che la sia una bugia! Dice 'l più piccolo: - E i' sognavo d'essere al possesso d'un ferraiolo, che a metterselo addosso nimo mi vedeva, sicché in ugni bottega entravo a pigliare insenza ristio né spesa, pane, vino, robba a mi' piacimento da mantienere tutti noi tre. Ah! ma i sogni èn' sogni, e se fussan veri finirebban le miserie. È più meglio ridormire 'nsino a giorno e poi s'anderà per il nostro viaggio da affamati. I tre fratelli si riaddormentorno. A bruzzolo scionnati, in [472] [p. 472 modifica]nel mentre che stevano per arrizzarsi, che è che nun è, si trovano accanto quel che s'erano insognato la notte; il maggiore la borsa sempre piena di munete, il mezzano la bottiglia con ugni sorta di vini e liquori, e il più piccolo il ferraiolo che rendeva 'nvisibile. - Oh! vo' de' quattrini? - scrama 'l maggiore, e ne dà delle manciate a' su' fratelli. - S'ha bere? - disse 'l mezzano: - Chiedete pure, che c'è da contentarvi. Per istrada poi 'l più piccino rientrava per le botteghe alla rifruga, e lì, piglia pure della bona robba da mangiare! I bottegai si vedevano sparire 'l pane, il prosciutto, il cacio e nun sapevano chi ringraziarsi di simile malestro: gli arrebban dato 'l capo per le mura dalla disperazione. Quando i tre fratelli, sazii e rinvioliti, si trovorno a un logo indove c'erano tre strade, disse 'l maggiore: - Ci s'ha a partire ognuno da sé in cerca della fortuna; ma di qui a un anno si fisserà di far motto a un posto, e se la sorte ci ha assistiti, ci si deve fabbricare un bel palazzo e godersela con le nostre ricchezze. - Si, sì, tutti d'accordo, - scramano quegli altri dua, e fissato il ritrovo, ognuno se n'andiede per una di quelle tre strade. - Addio, addio e alla rivista! Il fratello maggiore doppo camminato un bel pezzo per dimolti giorni arrivò a una gran città, che ci comandava un Re amante de' divertimenti, e questo Re aveva una figliola da marito, bella sì, ma anco un po' troppo sderta e capricciosa. Si pole dire che nel palazzo reale da un anno all'altro nun rembolavano dallo spassarsi, con desinari, conversazioni, feste, e ugni sera c'era sempre un gran concorso di signori e signore paesane e forestiere; ci pareva la cuccagna. Appunto 'l Re deva un ballo, e il fratello maggiore volse andarci anco lui e gli fu facile ottenere subbito l'invito, perché lui con quella su' borsa si trattava da Principe e già lo cognoscevano per un riccone. Dunque la sera si presenta al palazzo vestito con lusso e per prima cosa si mettiede a un tavolino da gioco; e lì gioca pure, e sempre perdeva a mucchi le munete; ma nun si sgomentava, perché a frucare dientro la borsa delle munete nun gliene mancava mai. 'Gli è naturale! tutti rimanevano in nel vedere tanta ricchezza, e più la figliola del Re, che, 'ncuriosita a bono, finì con siedersi accanto al giovanotto e principiò a discorrirgli. [473] Dice: [p. 473 modifica]Ma lei fa de' miracoli, sa? Addove gli trova questi quattrini? Vole giocare un po' con meco soli, accosì si parla libberi e lei mi racconta anco da che paese viene? Nun gli parse vero al giovanotto d'appettarsi a quel mo' con quella bella ragazza, e andorno in un canto assieme a un tavolinuccio, e 'l giovanotto perdeva al solito insenza scotersi. Dice la figliola del Re: - Ma che ci ha la cava de' quattrini per le tasche? 'Gnamo, me lo palesa d'andove gli nasce questa gran ricchezza? Arrisponde il giovanotto: - 'Gli è un segreto e nun lo posso manifestare. Ma nun sarebbe più meglio di smettere e piuttosto, se gli garba, divertirsi un po' al ballo? S'arrizzano e vanno diviato 'n sala e ballorno tutta la notte; ma per quante moine e daddoli, e anco qualcosa di più, che la figliola del Re facessi, nun gli rinunscì levarglielo di bocca al giovanotto quel che lei voleva sapere. Alla seconda festa successe 'l medesimo: il giovanotto però s'era 'nnamorato della figliola del Re e stiedano sempre assieme; sicché alla terza festa nun poté stare saldo e si lasciò scappar detto che l'arebbe anco contentata la figliola del Re. E difatti finì con isvesciargli che lui possedeva una borsa 'ncantata. Scrama la ragazza: - Che bella cosa! Se l'avessi 'l Re mi' padre, lui pagherebbe 'nsenza gravare 'l popolo. Che me la fa vedere? Dice il giovanotto: - Questo po' no. E la ragazza: - Dunque lei nun si fida d'una Principessa! Nun gliela porto mica via, sa? la su' borsa. Gradisco soltanto d'averla tra le mane e, se nun s'oppone, i' vorrei che la vedessi pure 'l babbo. Via! me lo faccia questo piacere, se è vero che mi vole bene. Dice il giovanotto: - Senta, i' son d'accordo anco di fargliene un presente della mi' borsa, ma a patto che lei divienga la mi' sposa, insennonò i' nun gli do nulla. - Oh! - fa la Principessa, - nun basta il mi' consenso per la su' domanda. Bisogna sapere quel che ne pensa 'l babbo; e pol essere, che se lui vede la borsa dica subbito di sì. Mi lassi provare. Mi dia la borsa per un momento; i' vo di là 'n salotto dal babbo e 'n du' salti arritorno a riportargliela. Stiedano 'nsomma un bel pezzo a tira a tira; ma da ultimo al giovanotto, lusingato con mille daddoli e occhiatine tenere, gli viense l'ora del minchione e diede la borsa alla Principessa, che disparse in un battibaleno. E 'gli [474]