Rime (Guittone d'Arezzo)/Magni baroni certo e regi quasi

Magni baroni certo e regi quasi

../Comune perta fa comun dolore ../Onne vogliosa d'omo infermitate IncludiIntestazione 17 maggio 2024 100% poesie

Guittone d'Arezzo - Rime (XIII secolo)
Magni baroni certo e regi quasi
Comune perta fa comun dolore Onne vogliosa d'omo infermitate


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XLVII

Esorta i Signori di Gallura a portar soccorso a Pisa.


     Magni baroni certo e regi quasi,
Conte Ugolino, Giudici di Gallore,
grandezza d’ogni parte in voi è magna:
ciò che grazisce il mio di voi amore,
5e vol non tanto sol giá che permagna,
ma che acresca in tutti orrati casi;
e, se vol di grandezza esta di fore,
piú de l’enteriore,
ché nulla di poder è podestate,
10nulla de degnitate,
ver che di bonitate
è sovragrande e d’onor tutto orrata.
Chi po grande dir rege non bono?
Chi parvo om magno bono?
15Tutti rei parvi son, tutti i bon magni:
chi grandezza d’onor vol coronata,
di grandezza di bon essa acompagni.
     Grandezza di poder non po né dia,
se non di bonitá seco ha grandezza;
20grande di bonitá val per sé bene.
E veramente in operar fortezza

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grandezza di podere omo convene,
ché degno è onne reo debele sia;
boni tutti potenti esser vorrieno,
25mali stringendo in freno
e dando a’ bon’ valor, valore ovrare.
Unde sol quasi amare
dea bon potenza fare,
bonitá operar potendo in essa.
30Perché dat’è podere e perché vale?
Che, per valer, che vale?
Unde non che valente ami podere,
che ha nimico e lui ontalo adessa
poi ni vole ni sa d’esso valere.
     35E voi, signori miei, potenza avete
grande molto; è tempo essa, overando,
operi magno in mister magno tanto,
vostro valor d’onor ver coronando.
Valore in parve cose ha prova quanto?
40Unde quando, se no or, proverete?
Arbore quel, che non frutta in estate,
fruttar quando sperate?
Signor, vostr’auro a propio e paragone
non so quando stagione,
45ni cagion, ni ragione
valenza e bontá vostr’aggia in mostrare,
se no ora ben e promente e’ mostra,
la cittá madre vostra,
in periglio mortal posta, aiutando.
50Cui spero aiutar deggia od amare,
chi sua cittá non ama aitar pugnando?
     De Dio iudicio e de catuno sciente
e valor tutto e bonitá richere
amare amico, om, quanto sé, deggia.
55Quant’amore in corpo on dea donque avere,
nel quale onn’om seco congiunto veggia
vecino, amico, filio onne e parente,

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quale infermar non poe, no esso e soi
vegnano ’nfermi in loi?
60Com esser po non infermi omo, adesso
che infermar sent’esso,
ch’ama quanto se stesso,
uno u plusori che siano, u ver migliaia?
Esto corpo è, signori, il comun vostro,
65ove voi onne è vostro;
e non donque amerete amico tanto?
Uv’è bontá non in amore appaia?
Quant’ho amico om, tant’ho bon, poco u manto.
     Infermat’è, signor mii, la sorbella
70madre vostra e dei vostri, la migliore
donna de la provincia e regin anco,
specchio nel mondo ornamento e bellore.
O come in pianger mai suo figlio è stanco!
Vederla quasi adoventata ancella,
75di bellor tutto e d’onor denudata,
di valor dimembrata,
soi cari figli in morte e in pregione,
d’onne consolazione
quasi in desperazione
80e d’onni amico nuda e d’onni aiuto.
Tornata è povertá sua gran devizia,
la sua gioia tristizia,
onne bon mal; e giorno onne appigiora.
Und’è mal tanto strani han compatuto
85o’ non compaten figli? E d’ess’han cura?
     O signor mii, chi, che voi, ha potenza,
e chi aver dea piagenza
maggiormente che voi essa sanare?
Nullo ha poder voi pare,
90nullo po contastare
in voi, e sol sanando e ucidendo;
e sí come sanando è ’n voi podere,
esser vi dea plagere

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per casi due: un che quant’om maggio,
95maggio esser dea bono, ben seguendo;
altro: voi pro piú prode; è mal dannaggio.
     Tutto mondo, signori, vi guarda e sae
che ’l male e ’l ben restae
di vostra terra in voi, sí com’ho detto.
100Pensate adonque retto
quanto in tanto aspetto
men d’onor e onor esser voi poe.
De tiranni e di regi assai trovate;
merzé, non v’assemprate
105a tiranni di lor terra struttori,
ma a Roman boni, in cui ver valor foe;
ed essi veri di boni son miradori.
     Honor prode e piacer saccio ch’amate,
ma non onor stimate
110donar possa che bono, ni pro che onesto:
diritto e onor lesto,
dispregio a esso mesto,
dannaggio si po, mei che prode, dire;
piacer e gioi non mai onque conquista
115om bon d’opera trista.
Honor prode e piacer sol si procaccia
a piager d’essi, a cui sol bon plazire
in fare e dir, che con vertú si piaccia.
     Due furo sempre e son in salir scale,
120unde salsi om e sale;
son este due malizia e bonitate.
Saglir per malvestate
so ch’ontoso pensate,
penoso mantener, ruinar leve;
125e quale in fine son non ruinati,
nulla u par tornati?
Grandezza di bontá piena e d’onore
tenesi in gaudio e pace, e non in breve,
ma perpetual è: reggela amore.

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     130Ben e’ Pisani sano, signor, sentire
sol pon per voi guarire;
e, se di morte, u’ son, lor vita date,
tutto certo crediate
che d’etate in etate
135ed essi e figli loro e voi e vostri
terran refattor d’essi e salvatori.
Con modo esto, signori,
e voi e vostri fa perpetuale
amati orrati e magni! Adonque mostri
140vostra gran scienza in ben cerner da male.