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di frate guittone d’arezzo 123


quale infermar non poe, no esso e soi
vegnano ’nfermi in loi?
60Com esser po non infermi omo, adesso
che infermar sent’esso,
ch’ama quanto se stesso,
uno u plusori che siano, u ver migliaia?
Esto corpo è, signori, il comun vostro,
65ove voi onne è vostro;
e non donque amerete amico tanto?
Uv’è bontá non in amore appaia?
Quant’ho amico om, tant’ho bon, poco u manto.
     Infermat’è, signor mii, la sorbella
70madre vostra e dei vostri, la migliore
donna de la provincia e regin anco,
specchio nel mondo ornamento e bellore.
O come in pianger mai suo figlio è stanco!
Vederla quasi adoventata ancella,
75di bellor tutto e d’onor denudata,
di valor dimembrata,
soi cari figli in morte e in pregione,
d’onne consolazione
quasi in desperazione
80e d’onni amico nuda e d’onni aiuto.
Tornata è povertá sua gran devizia,
la sua gioia tristizia,
onne bon mal; e giorno onne appigiora.
Und’è mal tanto strani han compatuto
85o’ non compaten figli? E d’ess’han cura?
     O signor mii, chi, che voi, ha potenza,
e chi aver dea piagenza
maggiormente che voi essa sanare?
Nullo ha poder voi pare,
90nullo po contastare
in voi, e sol sanando e ucidendo;
e sí come sanando è ’n voi podere,
esser vi dea plagere