Leggenda prima – 9. La cena

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Leggenda prima - 8 Intermezzo storico


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LA CENA






Sta notte l’upùpa

Trovò sul sentiero
Che mena al maniero
La jena e la lupa;
5E disse: « mie care,
Tornate da cena? »
Rispose la jena:

«Ci andiamo, comare ».
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La notte nereggia

10Foltissima e cupa,
La iena e la lupa

Son sotto la reggia.


La reggia è un gaio incendio - par che vi nasca il sole,

Lumiere e faci irradiano - l’aere che fulge ed ole,
15I frutti, i fior s’insertono - nei vividi corimbi,
Gli ardenti ceri esalano - come un vapor di nimbi;
Il fulgor delle fiaccole - fa sfolgorar le antiche
Muraglie e le panoplie - alle pareti amiche,
E spesso la fantastica - nube dell’incensiere
20Filtra pe’ cavi cranii - dell’ampie cervelliere.
Cetre, vïole, fläuti - spiran soavi suoni,
La sala è zeppa, corrono - chironomonti e schiavi,
E Trol fra quelle turbe - nell’orgia vagabonde
S’estolle ed erge il petto - Come un Triton sull’onde.
Siedono a mensa i dodici - ministri, Oliba, il Re;
Due curve ancelle tergono - col nardo i regi piè.
Tutto è tripudio; in alto - fra le eccelse volùte
Danzan falène e nottole. - Papiol con celie astute
Move a riso quell’orride - faccie da jettatura.

Il Re: Conti, se jeri - fu notte di paura
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Pei vivi, io giuro a voi - miei ministri e consorti,

Che questa notte i vivi - faran paura ai morti.
Guai a voi se vien meno - la baldoria fastosa!
I Conti: Viva Orso! - Viva Oliba la sposa!
Il Re: S’apra il banchetto.


(- Squilla repente un coro
Di trombe, entrano i paggi - portan le mappe d’oro,
E le uova, ed i favi — del miel d’Imeto, i ciati
Murrini, i nappi, l’anfore, — i pani inargentati.)
Il Re: Papiol! Su moviti! - narra un piacevol motto,
Fa saltar lo scojattolo, - fa ballare il scimiotto,
Piangi, cuculia, imagina - qualche nuovo capriccio.
Papiol: Dirò le gobbole - quando verrà il pasticcio
Che m’hai promesso.


Il Re: - Papiol, non esser fiero
Così, sai che il pasticcio - dêi mangiartelo intero.
Papiol: E mangierollo - intiero per mia fè.
Il Re: Bada, Papiolo, è più grande di te.
Papiol: L’atomo è al desco — del mondo un Tricliniarca;
Il tarlo rode il trono, — l’ostrica rode l’arca,
L’insetto succhia il pampino — gigante e picciol gnomo

Rosica il monte altissimo, — l’invidia strugge l’uomo —
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E divorar io posso, — Messeri, in simil guisa

Il mio pasticcio.

(I Conti - squittiron dalle risa.
Ma già tutti ammutirono. - Suona repente un coro
Di trombe; quattro scalchi - portano un pavon d’oro.
Trol s’avvicina ed arma — la destra sanguinaria,
Poi volanti cultello, — trincia il paon nellaria.
Tuona di plausi il desco; - ballonzola Papiol.)
Il Re: Bel colpo!
I Conti: - Bel colpo! Bravo Trol!

(E intanto i paggi biondi - colman d’eletto vino
60Le asciutte coppe e l’anfore. - Si rallegra il festino.
Il Re canta ad Oliba: - e sulle curve forme

Dell’aurea tazza ei specchiasi - più orribile e deforme.)


È vin di verdèa,

Mia bella Giudea!
È vin che c’infonde
Le colpe nel core.
Ha gocciole, ha onde
Di rabbia e d’amore!
È vin di verdèa

Mia bella Giudea!
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(Ma la Giudea non beve. - Plaudon le turbe pazze;
Re Orso empie e tracanna - tre tazze e poi tre tazze.
Squillano ancor le trombe - per più eletto ristoro;
Ecco, apparisce un cervo - colle ramora d’oro.)

Papiol: Il Minotauro - dal regal capo storni
Que’ superbi ornamenti! - son d’oro, ma son corni.
(Nessun rise, alle genti — di quell’evo remoto
Parve il bisticcio troppo — scipito e troppo noto)
Ma Trol già il cervo inforca, - l’erge e lo trincia a vol.
Il Re: Bel colpo!
I Conti: - Bel colpo! Bravo Trol!

(E intanto i paggi biondi - colman di nuovo vino
Le vuote coppe e l’anfore - si riscalda il festino.
Il Re canta ad Oliba: - e sulle curve forme

Dell’aurea tazza specchiasi - più orribile e deforme.)


Questo vino è vin di Cale!

Tien lontano il funerale!
Bella Oliba, - chi lo liba
Questa notte non morrà.
Su lo liba, - bella Oliba!
Questo vino è vin di Cale,

Tien lontano il funerale!
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(Ma la Giudea non beve. - Plaudon le turbe pazze,

Re Orso empie e tracanna - tre tazze e poi tre tazze.
Stridono le mascelle. — la cervogia Sicambra
Torbidamente spuma — nelle lagène d’ambra.
È un traboccar di calici, — un rotëar di lame.
Ciarlano i Conti e rodono; — sì rozza è in lor la fame
Ch’essi alternano il morso — del dente a quel dell’ugna.
Trema il desco repente — sotto le salde pugna
E all’urlo trïonfale — delle celie impudiche
Le immonde labbra stillano — il miel sulle loriche.
Squillano ancor le trombe - per più eletto ristoro;
Son murene che in bocca - chiudon anelli d’oro.
Ma il Re fa cenno al boja, - gli favella un istante
A bassa voce; ognuno - è livido e tremante.
E’ scomparso Papiolo.)

Il Re: Dunque messeri,
Cessar le risa? or tutti - vi siete fatti seri?
Ridi tu, bella sposa.

(Ed alla sposa bella
Dona un monil d’epistide. — Tranquillamente quella
Sorride e da un corimbo — una mela solleva
E la porge a Re Orso, — muta e col gesto d’Eva.)

Il Re: T’arrida il cielo!
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E colla destra inerme
Spacca quel frutto... orrore!... orrore! orrore! un verme!!
Un verme irsuto e gonfio - gli cadde sulla mano!
Ha sovra il capo un marchio - quasi di teschio umano.
Il Re fa cenno al boja - e allibito ed ansante
Gli favella all’orecchio; - ognun guata tremante.
E intanto i paggi biondi - colman di nuovo vino
Le vuote coppe e l’anfore. - s’inferisce il festino.
Il Re canta ad Oliba - e sulle curve forme
Dell’aurea tazza specchiasi - più fulvo e più deforme.)

Vin di Scio! vin di Scio! vin di Scio!
Questo è un vin che dà morte ed obblio!
Questo è un vin che fa simili a Dio!

(Così dicendo in voce - terribilmente gaja
Piglia un coltel, sta dietro - Trol colla sua mannaja
Sopra Oliba; ma tutti - guatan la tetra ruca;

Oliba ha fermo l’occhio - sovra il coltel del Duca.)


« O verme

Ti scherme
Dal morso

Dell’Orso!! »
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Il Re sghignazzando

Esclama e tremando.
Poi lordo di bava
Si volge alla schiava:
«Tu l’occhio tien fermo

Sul capo del vermo».



Nessun più favella, — nè ride, nè liba,

L’Ebrea taciturna - sta immota a guatar,
Il bruco tramanda - viscose sozzure,...
Già cade il coltello... - già piomba la scure...
Del verme la testa - d’Oliba la testa si vedon cascar,
E rotolar per terra - insanguinando il suol!!
Il Re: Bel colpo!
I Conti: - Bel colpo! Bravo Trol!

(Ma dal giardin risuona - una mesta cadenza.

Tutti ascoltano; è il canto - del trovier di Provenza:)


la luna, la luna era una mesta

anguida Dea!
nvan per essa ardèa
eliàl dimon dall’ebre voglie impure,

ntico mostro che l’Inferno appesta.
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O la luna, la luna era una mesta
Languida Dea!
Il dimon cui rodea
Bestial ferocia, prese un dì la scure

Abbominata, e le tagliò la testa.


Ei cantava con voce - per vivo amore intensa.

Il Re: Trol, quella testa - ch’è là sotto la mensa,
Gitta fuor dal verone; - a quel che si lamenta
Laggiù par prezïosa - giacchè par che si senta
Molto in sue note: Oliba.

- Trol si chinò; l’afferra,

Schiude il balcon, la scaglia... - S’alza un urlo da terra!!


(La luna biancheggia

Mestissima e cupa,
La jena e la lupa

Son sotto la reggia.)




"Josè, Ibraìm, Dom Sancio - Motaz, Fergùs, Gaudioco,
Kranào, Ràchi, Xalenguy - Han-Kuan, Massùd, Urroco!!!
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Conti e ministri al diavolo! - voglio canzoni e grida!

Voglio bestemmie ed orgie! - vo’ che si cionchi e rida!»
Così schiamazza il Duca - né alcun osa parlare.
Il Re: Su, olà famigli! - torni tosto il giullare.
(Ei disse appena, ed ecco - squillar le trombe in coro
E apparire un pasticcio - tutto rabeschi ed oro.
Dov’è Papiol, il matto - che dee mangiarlo intero?
Tutti cercan d’attorno - il gobbetto ciarliero.)
Il Re: Com’è suo modo - dee sbucar dalla crosta.
Un Conte: Strano odore! - La mi par troppo tosta.
(E intanto i paggi biondi - colman di nuovo vino
Le vuote coppe e l’anfore. - Si ravviva il festino.
Il Re canta alle turbe e sulle curve fortme

Dell’aurea tazza ei specciasi - più fulvo e più deforme)


« È vin di Falerno. - È vin dell’inferno.

Lo pigia Satana - nell’èreba tana,
Com’onda, com’angue
Mi guizza nel sangue.
Nell’èreba tana - lo pigia Satàna.

E’ vin di Falerno! »



Pur vien da quella crosta - odor di bruciaticcio.
Che fa Papiol, che tarda - ad escir dal pasticcio?
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Il Re piglia un coltello - e con un colpo solo

Fa saltare il coperchio!... - o Papiol!!! o Papiolo!!!
È là morto, arrostito! - La gobba s’incarbona!
Par faggiano o cutrettola - piuttosto che persona!
È il suo naso un comignolo - fumante! sono gli occhi
Inceneriti! ahi misero! - fe’ la fin de’ ranocchi!
Rise Re Orso, risero — i Conti, e rise Trol.

La reggia è un gajo incendio, - par che vi nasca il sol.






Sta mane l’upùpa

Trovò sul sentiero
Che vien dal maniero
La jena e la lupa.
E disse: « mie care,
Tornate da cena? »
Rispose la jena:
« Torniamo, comare ».