Piceno Annonario, ossia Gallia Senonia illustrata/Capitolo XII.

Capitolo XII.

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Capitolo XI. Capitolo XIII.

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CAPITOLO XII.


Sopra Sestia, Piro Filumeno,

ed altri luoghi littorali distrutti.


Dopo aver parlato delle Città del Piceno Annonario, che perirono, passerò a trattare di que’ fiumi, e piccoli luoghi tanto littorali, che mediterranei, che sono segnati nella Tavola Peutingeriana, negl’Itinerarii di Antonino, nell’itinerario Gerosolomitano, ed in in altri autori. Gran disgrazia, che questi belli monumenti dell’antica Geografia siano arrivati a noi sì colmi di errori per ignoranza de’ Copisti, e che tali rimangano tuttavia; non ostante, che uomini valenti si siano accinti a restituire loro l’antica lezione! Lo farò con brevità molta, perchè non si ha altronde notizia più precisa di essi, e solo ci rimase il loro nome nudo, e corrotto. Comincerò da quei luoghi, che dalla Tavola Peutingeriana sono posti vicino al mare, che s’incontravano nella via militare, e che eran luoghi o di pausa, o di fermata de’ Soldati. Avverto, che produrrò in caratteri corsivi i nomi di que’ fiumi, che in essa sono segnati con caratteri rossi.


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RAVENNA XI
SABIS XI
AD NOVAS III
RVBICO FL. XII
ARIMINO XXIII
Fl. Rustunum
PISAVRO VIII
FL HELVRVM
FANO FORTVNAE II
Fl. Matava
MATAVRVM FL. VIII
AD PIRVM FILVMENI VII
Fl. Miso
SENA GALLI XII
SESTIAS XIIII
ANCONE XII
Fl. Aspia

Comincerò dal fiume Rubicone, perchè questo era il confine antico dell’Italia secondo Plinio, e Strabone; nam circa haec loca limes est antiquae Italiae, et Galliae ad hujus maris partes: quumquam is limes saepe est a magistratu mutatus. Primum Aesim fluvium limitem esse voluerunt, deinde Rubiconem. Aesis inter Anconam est, et Senogalliam, Rubico inter Ariminum, et Ravennam.

RVBICO FL XII. Tralasciando la molta memoria, che di esso fa Plutarco nella vita di Pompeo, e di Cesare, ed il racconto di Suetonio, che narra, che Cesare lo passò contro il divieto del Senato, onde si fece nemica Roma, passerò a rintracciare come chiamasi presentemente tal fiume da Lucano chiamato piccolo: 1 ut ventum est parvi Rubiconis ad undas. Gli antiquarj non sono tra loro uniformi, e chi di essi vuole, che sia il fiume Luso, e chi il Pisciatello. Sono di parere però, che cesserà questa questione, se [p. 132 modifica]si rintraccia come presentemente chiamasi il fiume Aprusa, dopo cui veniva il Rubicone. Il Cluverio, ed altri antiquarii credono, che il fiume chiamato oggi Ausa, che rimane tra Rimino, e Pesaro, sia l’Aprusa. Io al contrario sostengo, che non può essere. Imperocchè Plinio si protestò2 che quando egli delineava il littorale avrebbe tenuto l’ordine naturale, in cui erano posti i luoghi, ed avrebbe seguita la descrizione dell’Italia, che fece Augusto, che la divise in undici Regioni. Avendo egli cominciato a delineare l’Italia dalle Calabrie fedelmente eseguì quanto promise, e collocò successivamente i luoghi nell’ordine, in cui sono sino a Pesaro. Non è credibile, che voglia alterare tal metodo da Pesaro sino al Rubicone, e poscia riprenderlo. Si deve dunque stimare, che come fedelmente lo osservò sino ad ora, ed in appresso lo osserverà, scrivendo la sesta regione così dice: nunc in ora flumen Aesis, Senogallia, Metaurus Fluvius, colonia Fanum Fortunae, Pisaurum cum amne, et intus Hispellum etc. Secondo la divisione di Augusto la sesta regione dunque cominciava nel fiume Esi, e comprendeva Pesaro col fiume. Era dunque il termine divisorio delle due regioni quel fiume posto di là dal Pisauro. Di fatti così prosiegue: octava regio determinatur Arimino, Pado, Appennino. In ora fluvius Crustumium, Ariminum colonia cum amnibus Arimino, et Aprusa, Fluvius hinc Rubico quondam finis Italiae. Ab eo Sapis etc. Il fiume dunque Crustumio situato di là dal fiume Pisauro divideva le due Regioni, e presentemente gli antiquarii convengono nel credere, che il fiume Conca sia il Crustumio. Dopo il Conea viene l’Ausa, e questo fiume non può credersi l’Aprusa, perchè l’Aprusa di Plinio non succede al Conca, ma la fiume Arimino oggi Marecchia. Dunque l’Aprusa non è il fiume Ausa, ma è quello chiamato anche a’ giorni [p. 133 modifica]nostri Aprusia, che viene dalla Terra di S. Arcangelo, passa pel fondo Acerbolo, di cui parlai, e si scarica nel mare nel tratto, che passa tra i fiumi Marecchia, e Luso. All’Aprusia succede il fiume Luso, dunque questo è il Rubicone: cum amnibus Arimino, et Aprusa, Fluvius hinc Rubico quondam finis Italiae. Monsignor Marino Marini nel libro intitolato degli Annedoti di Gaetano Marini accenna le questioni3, che vi forono tra’ Letterati per istabilire, se il Rubicone fu il fiume Luso, o Pisciatello. Egli dice, che fu il Luso, ed io con ragione mi unii a questo mio dotto Amico, che mi fece noto il fiume Aprusia, che non trovasi nelle carte geografiche. Concluderò con Lucano

Puniceus Rubicon, quum fervida canduit aestas,
Perque imas serpit valles, et gallica certus
Limes ab Ausoniis disterminat arva colonis

ARIMINO XXIII. Non parlo di Rimini, perchè ancora esiste, e le notizie spettanti ad essa possono leggersi negli Storici. Come chiamavasi la Città, così nominavasi il fime, e tutti convengono, che la Marecchia sia quel fiume, che chiamossi Arimino. Passato questo gli succede il fiume Ausa, o credo di non errare, se penso, che il nome antico di esso fu Aufido. Imperocchè Lucano così cantò4

In laevum cecidere latus, veloxque Metaurus,
Crustumiumque rapax, et junctus Isapis Isauro,
Sennaque, et Adriacas qui verberant Aufidus undas.

È vero, che l’Offanto fiume in Puglia chiamossi Aufido celebre per la battaglia di Canne, in cui i Romani furono vinti d’Annibale, e di cui Virgilio disse5

Amnis et Hadriacas retro fugit Aufidus undas?


Ma è vero altresì, che molti diversi fiumi in Italia sono chiamati collo stesso nome. Dalle parole di Lucano si rileva, che l’Aufico era vicino ai fiumi Senna, Isauro, Crustumio, Metauro, e che per conseguenza era nel Piceno Annonario. Di fatti dopo l'Aufido [p. 134 modifica]passa a parlare del Po, poscia del Tevere, del Volturno, e quindi del Liri, del Sarno, e di altri fiumi posti nel regno di Napoli. Inoltre il nome odierno, che hanno i fiumi che sono situati tra Fiumesino, e Luso niuno ha maggior analogia coll’Aufido dell’Ausa, e si conosce, che il nome fu corrotto, come appunto fu guastato nella Puglia chiamandolo Offanto.

FL. RVSTVNVM. Questo fiume fu chiamato da Plinio, e da Lucano Crustumium, come può osservarsi nelle autorità, che di sopra riportai. Non so dire qual sia il vero nome, e se errarono gli Amanuensi, che copiarono Plinio, o quello, che delineò la Tavola. Il verso di Lucano corre tanto se si chiama tal fiume Rustunum formando un piede molosso, quanto se si appella Crustumium facendo tal parola un piede coriambo. Vibio Sequestre nel catalogo de’ fiumi asserisce: Crustumium, a quo oppidum, in Hadriaticum mare fluit, e lo stesso dice Sulpicio commentatore di Lucano. Da questi loro detti forse derivò, che non pochi odierni geografi situarono presso ad esso Conca, e dissero esser città profondata. Il Cluverio dubita, se vi fu questo paese chiamato Crustumio, e poca fede dà a questi grammatici. Non porta alcuna ragione, ed io non osservo il motivo, per cui non si abbia a credere ad essi. Negl’Itinerarii di Antonino, e nella Tavola Peutingeriana si trovano molti Pagi, che ora sono periti, e che portavano il nome de’ fiumi, a cui eran vicini: v: g: Tinna Fl. e poscia Tinna. Perchè dunque non si ha da credere, che presso il Crustumio fu un Pago, che chiamossi come il fiume? Arimino, Pisauro non sono Città, che portarono il nome de’ fiumi vicini? Inoltre Anastasio Bibliotecario enumera Conca fra i paesi della Pentapoli, che Pippino Re de’ Francesi donò alla s. Sede dopo averli tolti à Longobardi: idest Ravennam, Pisaurum, Concam, Fanum, Cesinas, Senogallias etc. Il Cluverio, e gli altri Geografi convengono nel dire, che il fiume Crustumio sia quello, che oggi chiamasi Conca. A questo succedono i fiumi Vintinella, e Tavollo, e poscia in distanza di venti tre miglia secondo [p. 135 modifica]la tavole da Arimino viene Pisauro, di cui mi accingo a parlare.

PISAVRO VIII. Come si appellò la Città, così chiamossi il fiume, a cui fu mutato il nome, e presentemente chiamasi Foglia. Quando le Città portano i nomi stessi de’ fiumi, gli eruditi non sanno decidere, se lo presero da essi, o se lo diedero loro. La ragione mi dice, che a’ Fiumi fu dato il nome prima. Imperocchè rare sono quelle Città, che furono edificate nello stesso tempo. La maggior parte sorsero a poco a poco, come accadde a Roma, e perciò Virgilio6 disse

Cum muros, arcemque procul, et rara domorum
Tecta vident, quae nunc Romana potentia caelo
Aequavit: tum res inopes Evandrus habebat.

Le genti, che abitarono in que’ luoghi, furono necessitate ad imporre i nomi a’ fiumi vicini per comunicarsi scambievolmente le loro idee. Essendo state poscia edificate a poco a poco vicine ad essi le Città, ognun vede, che il nome de’ fiumi è anteriore, e che questi lo comunicarono a’ paesi, che in vicinanza furono fabbricati. Ma il nome antico della Foglia fu Pisauro, o pure Isauro, come lo chiama Lucano?

Crustumiumque rapax, et junctus Isapis Isauro

Fu Pisauro, e Lucano lo chiamò Isauro per accomodare il verso. Tralasciando di dire, che Vibio Sequestre nel suo catalogo de’ fiumi ammette tanto il Pisauro, che l’Isauro di Lucano: che Plinio, Siculo Flacco7, ed Aggeno Urbico8 lo chiamarono Pisauro dicendo: in Italia Pisauro flumini latitudo est adsignata quosque adluebat: sostengo, che fu Pisauro, perchè non solamente leggesi Pitinatium Pisaurentium nella lapide, cho riportai nel Capitolo VIII, che non fu soggetta agli errori degli Amanuensi, ma ancora nel seguente di Catullo, il quale sarebbe mancante di una sillaba, se si leggesse Isauri 9.

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Praeterquam iste tuus moribunda in sede Pisauri
Hospes, inaurata pallidior statua.

Il fiume Isapi, che secondo Lucano si scarica nell’Isauro, presentemente chiamasi Apsa, e trae l’orgine dal Monte di Carpegna, come ce lo attesta l’Abstemio: a sinistra Apesis amnis a Carpineo monte defluens, a dextera vero torrens a Fagiola alto monte descendens eumdem amnem facit. Ma torno alla Tavola.

FL. HELVRVM. Vien posto questo tra Pesaro, e Fano. Non essendovi tra queste due Città presentemente altro fiume, che quello, che oggi si chiama il Fosso Sejore, ognuno vede, che questo è il fiume Eluro. Gli succede Fano Fortunae, e

FL. MATAVA segnato con caratteri rossi. L’Ammiani nella storia di Fano10 dopo aver detto, che il Metauro scorre vicino a detta Città, così prosiegue "L’altro fiume, il quale ... passa al Mare scorrendo vicino alla Città, è il piccolo torrente Arzilla, di cui parla il Biondo11 Arzilla nomen a limo, quam altum, et tenacem habet, Fani Fortunae moenia attingens, quae maritima Civitas, et ipsa Romanos conditores habuit, a Totila destructa est, et a Bellisario instaurata. Or ponendo la Tavola dopo l’Eluro vicino a Fano un fiume chiamato Matava ognuno vede, che l’Arzilla è tal fiume. Segue

MATAVRVM FL. VIII. Il vero nome fu Mataurum, come è nominato dalla Tavola, e come ci testificano le lapidi, e principalmente la seguente riportata dal Colucci, il quale pretende contro il Muratori, che il vero nome fu Metaurum12

CAESARES
CONSTANTIVS
ET MAXIMIA
NVS PONTEM
MATAVRO

[p. 137 modifica]È ricordato da Orazio, che disse13
Quid debeas, o Roma, Neronibus
Testis Metaurus flumen, et Hasdrubal
Devictus


da Silio Italico14 rapidasque sonanti

Vortice contorquens undas per saxa Metaurus.


e parlando della sconfitta di Asdrubale

Multa quoque Hasdrubalis fulgebit strage Metaurus


da Claudiano nel suo Panegirico del sesto consolato d Onorio.

Despiciturque vagus praerupta valle Metaurus


da Sidonio nel panegirico ad Antemio Augusto

Improbus et rubeat Barchina clade Metaurus, e nell’epistola quinta15 Hinc Ariminum, Fanumque perveni: illud Iuliana rebellione memorabile; hoc Hasdrubaliano funere infectum. Siquidem illic Metaurus: cui ita in longum felicitas, uno die parta, porrigitur, ac si etiam nunc Dalmatico salo cadavera sanguinolenta decoloratis gurgitibus deferret; e finalmente è rammentato da T. Livio, da Valerio Massimo, da Eutropio, e da molti altri antichi scrittori. È celebre per la sconfitta ivi data ad Asdrubale Fratello di Annibale, il di cui sepolcro mirasi anche a’ giorni nostri. Racconta T. Livio, che il Console C. Cladio Nerone nell’anno di Roma 544, ed avanti a Gesucristo 208 combattendo contro Annibale, che stava in Metaponto, essendo state intercettate le lettere di Asdrubale comprese, che aveva in animo di unire il suo esercito con quello del Fratello. Cercò d’ingannare Annibale col lasciare vicino a lui l’Esercito, affinchè credesse, che vi fosse presente il Console, ed avendo scelto sei mila fanti, e mille cavalli partì di notte e prese il cammino verso il Piceno, ed a capo di sei, o sette giorni di marcia forzata giunse in vicinanza del campo di Marco Livio suo collega nel Consolato. Per tener occulta la venuta del nuovo rinforzo [p. 138 modifica]entrò negli alloggiamenti di Livio col favor delle tenebre, e persuase, che non si differisse la battaglia. Avendo veduto Asdrubale escire l’esercito Romano dagli alloggiamenti in ordine di battaglia si mise anche egli immantinente in positura di combattere. Ma osservando poi esservi tra’ nemici de’ soldati armati di scudi, che non aveva per innanzi veduti, e de’ cavalli più stanchi degli altri fece suonare a raccolta, e si ritirò negli alloggiamenti. Quindi adoperò ogni mezzo per chiarirsi, se a’ nemici eran giunti rinforzi, ed avendo inteso, che nel campo di Porzio si era dato il segno una volta sola, e due volte in quello del Console essendo avvezzo a far guerra a’ Romani non istette più in dubbio, che ambedue i Consoli non si fossero riuniti. Entrò in una terribile inquitezza, e giudicò, che il fratello Annibale avesse avuta qualche rotta considerabile, e temè di esser venuto troppo tardi a soccorrerlo. Comandò, che negli alloggiamenti si estinguessero tutti i fuochi, e che fosse levato il Campo. Nella marcia fatta a tutta fretta, ed in tempo di notte, le guide, che aveva, se ne fuggirono, e l’esercito, che non aveva pratica del paese andò errando alla ventura a traverso de’ campi, e la maggior parte de’ soldati oppressi dal sonno, e dalla fatica abbandonò le bandiere, e si pose a’ giacere da una parte, e dall’altra lungo le strade. Spuntato il giorno Asdrubale comandò a’ soldati, che proseguissero il cammino lungo il Metauro, ma nel tener dietro alle sponde oblique, e tortuose di questo fiume fece poco viaggio non avendo trovato verun sito da poterlo guardare, e ciò diede tempo ai nemici di raggiungerlo. Veggendo egli ciò prese tutto ad un tratto un posto vantaggioso, ed ordinò l’esercito in un terreno angusto, dandogli maggior profondità, che larghezza. Collocò gli Elefanti nella vanguardia, e mise i Galli, che erano la milizia più debole, nell’ala sinistra prendendo egli medesimo il comando dell’ala dritta con gli Spagnuoli; finalmente collocò i Liguri nel mezzo immediatamente dopo gli Elefanti: [p. 139 modifica]

Fu dato principio alla guerra da Asdrubale, ed andò ad investire l’ala sinistra de’ Romani comandata da Livio. Quivi seguì lo sforzo maggiore della battaglia senzachè la vittoria si dichiarasse nè per l’uno, nè per l’altro partito. Gli elefanti avevano posto da principio in qualche disordine le prime file de’ Romani, ma dalle grida di ambi li eserciti furono così spaventati, che non fu più possibile frenarli. Nerone intanto investì a traverso l’ala dritta de’ Cartaginesi, quindi allargandosi, assalì anche per di dietro i nemici. La battaglia era sino all’ora stata dubbiosa, ma quando gli Spagnuoli, ed indi a non molto i Liguri si videro assaliti in uno stesso tempo a fronte, per fianco, ed alla coda, la sconfitta fu generale, e furono tagliati a pezzi. La strage s’inoltrò ben tosto anche sino a’ Galli, ne’ quali si trovò eziandio meno resistenza. Vinti costoro dal sonno, ed oppressi dalla fatica, alla quale quella nazione soccombeva, come hanno osservato tutti gli antichi, potevano appena sostenere il peso de’ loro corpi, non che delle armi, e siccome si combatteva nel più fitto meriggio, così trafelando essi di caldo, e di sete, si lasciavano ammazzare, o prendere senza badare a difendere la vita, e la libertà. Gli Elefanti furono uccisi più da’ loro stessi governatori, che dà nemici. Veggendo Asdrubale, che la vittoria si dichiarava pe’ Romani, nè volendo sopravvivere a tante migliaja di uomini, che per seguirlo avevano abbandonata la loro patria, si lanciò nel mezzo di una Coorte nemica, dove restando ucciso fece una fine degna di un figliuolo di Amilcare, e di un fratello di Annibale.

Questa fu la più sanguinosa battaglia di quella guerra, servì per dir così di rappresaglia alla giornata di Canne, e secondo Orosio Sena Picena fu Canne per’ Cartaginesi. Osserva Appiano, che Iddio per consolare, e risarcire i Romani concesse loro in quest’incontro una sì segnalata vittoria. Imperocchè rimasero uccisi in tale battaglia cinquanta sei mila nemici, e ne furono fatti cinque mila quattrocento prigioni, e furono liberati più di quattro mila Cittadini [p. 140 modifica]Romani, che nelle precedenti azioni erano rimasti in potere de' Cartaginesi. Erano tanto stanchi i vincitori di uccidere, e di spargere il sangue, che essendo venuti a dire a Livio nel giorno dopo, che poteva facilmente tagliarsi a pezzi una partita de' nemici, che fuggiva: Nò, nò, rispose, è bene, che rimanga qualcuno, acciocchè porti la nuova della loro sconfitta, e della nostra vittoria. I Romani vi perdettero otto mila dei loro, che restarono morti sul campo. Nerone partì, e ritornò al suo esercito. Face gittare nel campo de' Cartaginesi la testa di Asdrubale, affinchè vedesse Annibale la sventurata fine, che aveva fatta il Fratello, e fece passare ne' di lui accampamenti due di quei soldati, che aveva fatti prigioni, affinchè l'informassero dell'accaduto nella giornata del Metauro. Disanimato Annibale da tale novella esclamò, che riconosceva ad un colpo così mortale qual fortuna doveva aver Cartagine. Orazio16 gli mette in bocca le seguenti parole

Carthagini jam non ego nuncios
Mittam superbos. Occidit, occidit
Spes omnis, et fortuna nostri
Nominis, Asdrubale interempto.

Si rifletta in ultimo, che nel Piceno Annonario montano, cioè nell'Agro Sentinate si consolidò la potenza Romana colla sconfitta de' Galli l'anno 294 avanti a Gesùcristo, e che nel Piceno Annonario marittimo fu decisa dall'evento la seconda guerra Cartaginese, che ebbe conseguenze si grandi, e che fece tremar Roma nell'anno 208 avanti a Gesùcristo, cioè ottanta sei anni dopo, e si rifletta, che in questa stessa provincia fu ucciso Totila, e disfatto l'esercito de' Goti. Ma è tempo tornare alla Tavola. Fra il Metauro, e Sinigaglia rimane un'Osteria pubblica chiamata Marotta, e comunemente si dice, che tal contrada così si chiama, perchè ivi fu data la rotta ad Asdrubale.

[p. 141 modifica]Ma il Macci asserisce chiamarsi Maurotta a superatis Mauris, e rimetto il lettore al di lui libro de bello Asdrubalis, se brama più distinte notizie. Troverà in esso, che il sepolcro di Asdrubale fatto per ordine de' Consoli, e di Lucio Porcio, e visitato dagli antiquarii, e viaggiatori, rimane in un monte presentemente detto di Asdrubale. La mole del sepolcro è intiera, e l'architetto di essa fu P. Fuficio, come narra l'iscrizione. Dopo la Marotta esisteva un Pago chiamato AD PIRVM FILVMENI VII. Sarebbe stato distante secondo la tavola otto miglia dal Metauro, ma poco conto può farsi delle miglia, che essa segna, come dissi nel Plinio illustrato. Il nome è greco, e l'Itinerario di Antonino Pio lo chiama ad Pirum

Ab Heluillo Anconam M. P. L. sic
Ad Calem M. P. XIIII
Ad Pirum M. P. VIII
Senogallia M. P. VIII
Ad Aesim M. P. XII
Ancona M. P. VIII

Secondo questo sarebbe rimasto lontano otto miglia da Sinigaglia, e la ragione mi fa credere, che questo vico rimaneva nelle sponde del fiume Cesano. Imperocchè in esse era situata la strada, che dovevan fare i Sentinati, gli Albensi, i Suasani, e gli altri, che abitavano ne' monti, se volevano andare al Mare, e portarsi a Fano, a Sinigaglia, ad Ancona. Siccome da Suasa al mare, e che era la città più vicina, vi rimane la distanza di tredici miglia, così nella foce del Cesano vi dovevan essere Osterìe, ed Alberghi per dar ricovero ad essi. Questa è quella strada, come dissi, che prese Narsete per andare contro Totila, che sconfisse, e questa è quella, di cui così parla Procopio: ommisaque via Flaminia ad laevam tendit. Il Fabri presso il Colucci17 [p. 142 modifica]crede, che Piro Filumeno possa stabilirsi nella distanza di circa un miglio da Marotta verso il Metauro, ma in distanza di circa un’altro miglio dalla strada marittima consolare verso i mediterranei. Fonda le sue congetture in un masso di calcistruzzo non molto esteso, alto per un piede dalla terra, ed in alcuni fondamenti, e pezzi di tegole, che osservansi in un terreno del sig. Guazzugli. Convengo con lui nel credere, che Piro Filumeno era distante dall’odierna strada per un miglio, perchè il mare si ritirò. Non nego il masso, ed i muri, che ricorda. Ma questi possono essere i rimasugli di qualche casa di delizie fondatavi da qualche ricco Cittadino Fanese, o delle Città vicine. I motivi, che dissi antecedentemente, mi spingono a credere, che Piro Filumeno fu nelle sponde del Cesano, e questi sono convalidati dagl’Itinerarii di Antonino, i quali da Sigillo per andare ad Ancona pongono prima Cagli, quindi Piro, e poscia Sinigaglia. Or se Piro Filumeno non rimaneva nella foce del Cesano, allora da Cagli non si poteva andare immediatamente ad esso, ma incaminandosi uno per la via Flaminia da Cagli andava al Foro Sempronio, quindi a Fano, e poscia a Piro Filumeno.

Il nome del fiume Cesano è corrotto, come sono stati guastati i nomi degli altri fiumi. Il nome antico fu Suasano, come dissi nel Capitolo IX. È nominato dall’Anonimo Ravennate, che dice Metauron, Suasnon, ed errarono il Cluverio, Cellario, Martiniere, Boudrand, Porcheron, che lo chiamarono col nome di Sena. Bagnava, come dissi, la Città di Suasa, e questa o prese il nome da esso, o a lui lo diede, come accadde de’ fiumi Arimino, e Pisauro.

FL. MISO. Ancora presentemente ritiene tal nome, e scorre in mezzo a Sinigaglia, e forma il di lui porto, o canale. Dentro terra bagnava le Città di Pitulo, e di Ostra. Avendo detto Lucano

Senaque, et Hadriacas qui verberat Aufidus undas, il Cluverio, ed altri con lui credettero, che il fiume Sena, non fu il Misa, ma il Cesano. Ma errano, [p. 143 modifica]perchè il nome di esso fu Suasano, e chiaramente si vede, che Lucano chiamò Sena il Misa, perchè scorreva in mezzo alla Città di Sena

SENA GALLI XII. È nominata da molti scrittori, e da essi ora si chiama col solo nome di Sena, ora coll’aggiunto di Senogallia, perchè fu la capitale de’ Galli. Silio Italico18 cantò

Poenus inundavit campos, qua Sena relictum
Gallorum a populis servat per saecula nomen

Strabone, Polibio, Tito Livio la chiamarono Sena. La Tavola poi, e Pomponio Mela l’appellarono Senogallia per farla distinguere da Sena dell’Etruria, oggi chiamata Siena, la quale è meno antica di Sinigaglia, come può osservarsi nell’Orlandi sul trattato de Urbis Senae Hetruriae, ejusque Episcopatus antiquitate

SESTIAS XIIII. Questo Pago è nominato ancora dall’Anonimo Ravennate. Dice, Pesaro, Fano, Sestias, Ancona, Numana. Penso, che il vero nome fu ad Sestias, ed era ancora nell’Italia una Città chiamata Aquae Sextiae. Il Cluverio pretende, che Sestia fu tra Rocca di Fiumesino detta Rocca Priora, e l’Osteria chiamata Case bruciate. Così sembrò al Colucci. Si fondano ambedue nel numero XIIII, che segna la Tavola sino ad Ancona, il quale può esser viziato. Il Koclero con altri Geografi prendono Sestia per Pago del Piceno Suburbicario, e lo segnano vicino ad Ancona. Io poi penso, che fu nel tratto, che passa tra l’Osterìa detta la Marzocca, e Case bruciate sotto il Castello di Montignano, e lo penso per tre motivi. Primo, perchè in tal tratto si trovano cementi di tutte le sorti, idoletti, e pavimenti di Musaico. Secondo: perchè la tradizione ci dice, che ivi fu un Paese abbruciato da’ Barbari. Terzo, perchè i nomi, che circondano tal tratto, portano tutti il nome del fuoco. Poco lungi è Montignano, cioè mons ignis, è un Ponte, che si chiama Ponte bruciato, ed in fine [p. 144 modifica]rimane l’Osteria, che parimente si chiama Case bruciate. Passa la Tavola sotto silenzio il fiume Aesis, oggi Fiumesino, che divideva i due Piceni. È ricordato però dall’Itinerario di Antonino, che dice

AD AESIM M. P. XII. La Tavola pone tra Sinigaglia, ed Ancona la distanza di ventisei miglia, e gl’Itinerarii di Antonino di miglia venti. Prese il nome, o lo diede alle Città di Iesi, che bagna, ed al pago Esa, vicino a cui scaturisce, come dissi nel Capitolo VI. Tralasciando di riportare sopra questo fiume quello, che leggesi negli Scrittori antichi, dirò, che questo è celebre per una sanguinosa battaglia ivi seguita nell’anno di Roma 671, e vale a dire 81 anno prima della nascita del Redentore, sotto il consolato di Gneo Papirio Carbone III, e di Cajo Mario il GiovaneFonte/commento: Pagina:Piceno Annonario ossia Gallia Senonia illustrata Antonio Brandimarte 1825.djvu/219. Appiano Alessandrino19 racconta, che essendo seguita una sanguinosa battaglia nella Primavera sul fiume Esi tra Q. Metello seguace di Silla, e tra il Pretore Carinna Capitano delle genti di Carbone Console, ed essendo stato Metello superiore, fu in appresso seguitato da Carbone. Ma avendo intesa Carbone la rotta di C. Mario suo collega presso Preneste oggi Palestrina, portossi tosto coll’esercito a Rimino, ove essendo assalito da Pompeo Capitano di Silla, che gli venne alle spalle, perdè una parte del suo esercito, e l’altra fu superata da Metello. Pompeo tornando indietro vittorioso si battè con Marzio uno de’ Capitani di Carbone presso Sena, ed avendolo disfatto, pose ostilmente a sacco la città vicina. Come dissi nel principio di questo Capitolo citando Strabone, l’Italia antica giungeva sino all’Esi; poscia furono distesi i confini, e fù stabilito il Rubicone per termine di essa. Avendo parlato di tutti i fiumi, Città, e Pagi, che rimanevano nel littorale del Piceno Annonario, passerò a trattare di tutti que’ luoghi, che rimanevano dentro terra.

Note

  1. Lib. 13. c. 5.
  2. Lib. 13. c. 5.
  3. p. 247.
  4. Lib. 2. v. 405.
  5. Aeneid 1. xi. v. 405.
  6. Aenid. l. 8 v. 98.
  7. De condit. Agror.
  8. In comment. de controvers. agror.
  9. Ad Juvent.
  10. p. 1. p. 10.
  11. de Civit. illustrib.
  12. Tom. 15. p. 168.
  13. Carm. l. 4. od. 4.
  14. Lib. 8.
  15. Lib. 1.
  16. Lib. 4. od. 4.
  17. Anti. Pic. T. 15. p. 231.
  18. de secund. bel. Punic. lib. 2.
  19. de bel. civil. lib. 2,