Piceno Annonario, ossia Gallia Senonia illustrata/Capitolo I.

Capitolo I.

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Imprimatur Capitolo II.
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CAPITOLO I.


Confine, e nomi, che ebbe il Piceno Annonario.


Essendo stato lo scopo mio d’illustrare il Capitolo decimo terzo del libro terzo di Plinio Seniore, non parlai di molte Città distrutte, che anticamente erano situate nella Marca Anconitana nel libro, che diedi alla luce otto anni sono. Imperocchè non formavano esse parte del Piceno, ma appartenevano alla Gallia togata, che Plinio pone nella sesta Regione dell’Italia. Siccome questa fu chiamata in appresso Piceno Annonario, e forma la metà della mia Provincia, cioè della Marca, così di essa presentemente trattar voglio, e ritogliere da un genere di morte le città, che perirono, le quali per servirmi dell’espressioni di Lucano1

Pulvere vixFonte/commento: Pagina:Piceno Annonario ossia Gallia Senonia illustrata Antonio Brandimarte 1825.djvu/219 tectœ poterunt monstrare ruinæ.

Ma per procedere con tutta la chiarezza possibile è necessario, che prima delinei il confine della Gallia, e riporti i nomi, co’ quali fu chiamata ne’ diversi tempi. Plinio ci accerta, che dopo il territorio di Ancona cominciava la Gallia togata, e che questa giungeva sino al fiume Rubicone, chiamato oggi Luso. Aveva dunque per confine a levante il Piceno, a Ponente, ed a mezzo giorno l’Umbria, a Tramontana il Mare adriatico. Hinc2 sexta regio Umbriam complexa, agrumque gallicum circa Ariminum. Ab Ancona gallica ora incipit togatæ galliæ cognomine. I di lui detti sono confermati da Pomponio Mela, che dice3 exin illa in angusto duorum promontoriorum ex diverso cœuntiumFonte/commento: Pagina:Piceno Annonario ossia Gallia Senonia illustrata Antonio Brandimarte 1825.djvu/219, inflexi cubiti imagine sedens, ac ideo a Grajis dicta Ancon inter gallicas, italasque gentes quasi terminus interest. Assicurandoci Strabone4, che il Piceno cominciava dal fiume Esi: Picenus ager sequitur. Longitudo ab [p. 2 modifica]Æsi fluvio usque ad Castrum, navigatur etc. ne viene, che Fiumesino era il confine del Piceno, e della Gallia. Dicendo Tito Livio5 coloniæ deductæ Ariminum in Piceno: si raccoglie, che Rimini formava porzion della Gallia, e non dell’Emilia, perchè essendo stata la Gallia chiamata Piceno dopo la totale espulsione de’ Galli, e dicendo T. Livio, o il di lui epitomatore, che Rimini era nel Piceno, ci viene ad accertare, che Rimini restava nella Gallia, e toglie qualunque sofisticheria si potesse fare circa l’intelligenza delle parole di Plinio, che sono agrumque Gallicum circa Ariminum. Avendo osservati i confini, passerò a rintracciare i nomi, co’ quali fu chiamata.

Se altri popoli prima de’ siculi occuparono il Piceno, che cominciava dai fiume Aterno, oggi detto Pescara, e terminava nell’Esi, e che era formato dagli agri Adriano, Pretuziano, e Palmense, noi l’ignoriamo. Non possiamo però dubitare, che i Siculi, ed i Liburni occuparono non solo il Piceno, ma molto tratto dell’agro gallico, perchè ce ne accerta Plinio Seniore6 Siculi, et Liburni plurima ejus tractus tenuere: in primis Palmensem, Praetutianum, Hadrianumque agrum. Quando dunque i Siculi occuparono il Piceno, e la Gallia, il senso comune ci dice, che tal tratto fu chiamato Sicilia. Perciò saviamente disse il Bardetti7 „Non è da trascurarsi un passo poco osservato di Servio8, in cui dopo essersi detto, che Italo Re di Sicilia, cioè di quelle terre del Piceno, che furono antichissimamente tenute da’ Siculi, venne a quella parte, ove regnò Turno, di esse soggiunse subito„ quam a suo nomine appellavit Italiam. = I Siculi furono secondo Plinio cacciati dagli Umbri: umbri illos expulere. Quando gli Umbri dunque occuparono tal tratto, allora la Sicilia mutò nome, ed il senso comune ci accerta, che fu chiamata Umbria. Difatti [p. 3 modifica]Scilace9 pone Ancona fondata da’ Siculi nell’Umbria; post Daunitas est Umbrorum gens, et in ea Ancon Urbs. Si raccoglie poi, che questi Umbri furono cacciati da’ Pelasgi, che secondo Dionisio di Alicarnasso si unirono cogli Aborigeni per espellere i Siculi dalle parti Romane. Imperocchè Silio ci accerta, che questi Pelasgi dimorarono nel Piceno, che Aso fu loro Re, che lasciò il suo nome al fiume Aso, che rimane nella Marca Fermana.10

Est qui Picenae stimulat telluris alumnos
. . . . . . .
Ante ut fama docet tellus possessa Pelasgis,
Queis Asis regnator erat, fluvioque reliquit
Nomen, et a sese populos tum dixit Asylos.

Il Colucci, ed altri autori moderni non vogliono questo dominio de’ Pelasgi nel Piceno; ma io credo più a Silio, che ad essi. Alcuni scrittori pretendono, che Silio parli di Ascoli, e questi sono l’Andreantonelli, il Lancellotti, e l’Appiani. Altri poi, cioè Pietro Grizio, Baldassini Seniore, e Juniore, ed Antonio Grizzi vogliono, che Silio parli di Jesi, e dicono, che il Re Aso la fondò, e diè il suo nome al fiume Esi. Io poi dimostrai nel mio Plinio illustrato11, che Silio non parla nè di Ascoli, nè di Jesi, ma del Piceno, e che non si può sostituire Aesinos ad Asylos , perchè il metro del verso non sarebbe giusto, e mancherebbe il dattilo pel quinto piede, mentre la prima sillaba di Aesinos è lunga, essendo dittongo. Mi fu detto, che era pronta una Dissertazione per impugnare quello, che dissi sopra tal punto. Non so il motivo però, per cui non fu stampata, ed io non mai l’ho veduta.

Che i Pelasgi abbiano abitato nel Piceno, e nella Gallia togata, si rileva dallo stesso Plinio. Nel medesimo libro12 dice: Etruria est ab amne Macra, et ipsa mutatis saepe nominibus. Umbros inde exegere antiquitus Pelasgi, hos Lydi, a quorum rege Tyrreni, mox a sacrijico ritu, lingua Graecorum [p. 4 modifica]Thusci sunt cognominati. Gli Umbri dunque erano i possessori della Toscana. Questi furono fugati da’ Pelasgi, e questi da’ Lidi conosciuti sotto il nome di Tirreni da Tirreno loro Re, e poscia sotto il nome di Toschi dalla maniera, che tenevano nel far i sacrificj. Questi Toschi, che diedero il loro nome alla Toscana, debellarono trecento Città: tercenta eorum oppida Thusci debellasse reperiuntur13. A quali popoli le tolsero? Se della Toscana, essendo prima stati cacciati gli Umbri, erano Padroni i Pelasgi, dunque i Lidi le tolsero ai Pelasgi, e non agli Umbri. Se le città tolte furono trecento, convenne dunque, che anche la Gallia, ed il Piceno formassero porzione del dominio de’ Pelasgi, e degli Umbri, perchè la sola Etruria, ed Umbria, non poteva formare tal numero di paesi. Dunque Plinio stesso ci viene a dire, che i Pelasgi occuparono il Piceno, e l’Agro Gallico. Quando dunque i Pelasgi cacciati gli Umbri s’imposessarono della nostra Provincia, allora essa perdette il nome di Umbria, ed assunse quello di Pelasga o di Asilia da Aso loro Rè secondo Silio.

Questi Umbri, e questi Pelasgi furono cacciati dalla provincia da’ Toscani: umbri illos expulere, hos Etruria. Il Catalani, il Colucci, il Vecchietti, e tutti moderni antiquarii non vogliono riconoscere nel Piceno il dominio etrusco, e si scagliano contro il Guarnacci. Non si può dubitare poi, che questi non abitarono nell’Agro Gallico, perchè Plinio lo dice chiaramente, perchè in Gubbio si sono ritrovate monete, vasi, ed altre antichità etrusche, perchè in Pesaro si rinvennero due patere, i disegni delle quali l’Olivieri mandò al Gori, che le pubblicò14. Sono fatte di terra di color di loto nericcio, di cui s’ignora in quel territorio la cava, e sono di tal durezza, che sembrano di ferro. In una di queste patere si osserva una mezza figura di Donna, e ventitre lettere etrusche incise, e per disteso vi si legge [p. 5 modifica]ANKARIA. Nell’altra si vede un’intiera figura, ed undici lettere incise, cioè ANKAR FESIAE, come dissi in una mia lettera inserita nelle effemeridi di Roma del mese di Settembre dell’anno 1822. Come non può dubitarsi, che gli Etrusci occuparono la Gallia togata, così non può dubitarsi, che non possedettero il Piceno. Imperocchè in questa provincia vi erano due Città, chiamate Cupra. Una rimaneva nè monti, e precisamente nel Massaccio di Iesi, ed appellavasi Montana; l’altra nel littorale, e vicina al fiume Manocchia, chiamato Elvino da Plinio, e nominavasi Marittima. Or siamo assicurati da Strabone, che quest’ultima fu edificata, e consacrata dagli Etrusci, i quali conoscevano sotto il nome di Cupra la Dea Giunone: deinde Cuprae Fanum conditum, dicatumque ab Etruscis, qui Junonem Cupram vocant.15 Sopra tali parole il Catalani, Colucci, Vecchietti, ed altri fanno molti cavilli, e pretendono, che gli Etrusci non dominarono nel Piceno, ma vi furono chiamati per fabbricare, e consacrare il tempio di Cupra. Ma mi debbon dire quali popoli, che erano allora Padroni del Piceno, li chiamarono? Non possono dire i Siculi, perchè questi eran partiti dall’Italia. Essi non ammettono nel Piceno i Pelasgi, essi non ammettono gli etrusci: dunque il Piceno rimase vuoto, e deserto dopo la fuga de’ Siculi. Non posso creder questo, e siccome Fanum Fortunae fu la Città di Fano, ed il Santuario di Loreto è la Città di Loreto: così Cuprae Fanum edificato, e consacrato dagli etrusci fu la Città di Cupra, e Strabone nomina la parte più nobile pel tutto. Quando dunque la nostra Provincia, essendo stati fugati gli Umbri, ed i Pelasgi, fu posseduta dagli Etrusci, il senso comune ci dice, che perdette il nome di Pelasga, e di Asilia, e prese il nome di Etruria.

Essendosi gli Etrusci tanto dilatati a poco a poco furono fugati da quel tratto di paese, che cominciando [p. 6 modifica]dal fiume Pescara giunge sino a Fiumesino, da’ figli de’ Sabini conosciuti sotto il nome di Piceno, e dal Rubicone sino a Fiumesino, da’ Galli Senoni, e così porzione di quel tratto di paese, che si diceva Etruria, fu chiamata Piceno, e porzione Gallia Togata, di manierachè la nostra Provincia mutò più volte nome, come appunto al dir di Virgilio16 più volte lo cangiò il Lazio

Sæpius et nomen posuit Saturnia tellus, e lo mutò la Toscana secondo Plinio17: Etruria est ab amne Macra, et ipsa mutatis sæpe nominibus. Quella regione occupata da’ figli de’ Sabini ritenne il nome di Piceno per molti secoli, ed il nome mutò per due altre volte, come dirò in appresso, e fu chiamata Abruzzo ultra quella porzione, che cominciando dal fiume Pescara giunge sino al Tronto, e quella, che dal Tronto va sino all’Esi, fu denominata Marca Anconitana. Quelle terre poi occupate da’ Galli seguirono a mutare il nome.

Molte furono le irruzioni, che i popoli Galli fecero nell’Italia. La più antica fu di quelli guidati da Belloveso, e la più recente fu quella de’ Galli Senoni condotti da Brenno, i quali sono chiamati da T. Livio recentissimi advenarum, ed accadde circa a due cento anni dopo la prima. Furono chiamati Senoni per differirli da’ Galli Boj, e da’ Lingoni, o Lingonesi, e perchè partirono da quelle parti, che restano di là da Parigi sino al confluente della Yonne nella Senna; e la Città di Sens secondo il Duranti18 conserva per anche il nome di questa antichissima gente. Venuti in Italia dopo aver occupate le nostre parti presero Roma nell’anno della di lei fondazione 390, ed in questo anno stesso furono battuti in Gubbio da Cammillo. Si stabilirono nelle lor terre occupando quel tratto, che comincia da Fiumesino sino al Luso. Dall’esser venuti carichi di bottino per la conquista, che [p. 7 modifica]fecero di Roma, argomentarono alcuni antiquarj, che si trattenessero nel luogo, ove è Pesaro, a dividere, ed a pesare l’oro, e credettero, che dessero il nome di Pesaro alla Città, che quivi fabbricarono, quasi a pensando auro. Ma ciò è una favola, perchè Pesaro esisteva, come lo dimostra l’Olivieri, e perchè i Galli al dir19 di Polibio habitabant vicatim sine muris, neque supellectilis usum ullum norant: quippe simplex illi vivendi modus, ut quibus somnus in herbis, aut stramenti toro erat, alimoniam carries tantum, nec quidquam aliud curæ nisi res belliccæ, et agrorum cultus, nulla alia, neque scientia, neque arte apud ipsos cognita. Da queste parole di Polibio si rileva non solo, che essi non fondarono Pesaro, ma neppure Roccacontrada, ora detta Arcevia, che fu fatta Città da Pio VII li 16 Settembre 1817; e tanto più, perchè restando essa sopra un Monte di vivo Sasso, ed avendo di rimpetto lo sterile Monte Cameliano, i Galli non avevano ivi campi da coltivare, che era la loro principale occupazione secondo Polibio.

Or questi Galli furono assai inquieti, ed arrecarono molte molestie a’ Romani ne’ novanta sette anni, che dimorarono in questi territorj. Tentarono di bel nuovo la conquista di Roma, e venuti alle armi co’ Romani poco lungi dalla porta Collina, a stento furono respinti colla strage non indifferente di ambe le parti, e per quella insorta novità fu duopo crear dittator Cajo Servilio Ala, e fu nell’anno di Roma 399. Dodici anni dopo, cioè nel 411 furono di nuovo sconfitti dal Console L. Furio Cammillo. Fecero quindi pace, ed alleanza co’ Romani, nella quale durarono per circa trenta anni. Quindi si unirono cogli Etrusci, e co’ Galli Transalpini, e diedero un sacco alle campagne Romane. Dopo altri quaranta anni essendosi collegati co’ Sanniti, cogli Etrusci, e cogli Umbri mossero guerra a’ Romani, e furono da essi sconfitti nell’Agro Sentinate, ove il [p. 8 modifica]Console P. Decio Mure, uomo fanatico, stimò cosa doverosa il sacrificar sè medesimo agli Dei Mani per salvare la patria, come se la salute di lei dipendesse dalla propria sua vita, e la sola sua morte fosse bastata a dare una sconfitta a’ nemici. Per tale rotta non partirono i Galli dalle lor terre, ne’ vi ammisero dominio de’ Romani. Ristorati delle perdite della guerra dopo dieci anni unitisi co’ Lucani, co’ Bruzj, co’ Sanniti, e cogli Etrusci mossero guerra a’ Romani. Polibio toccando l’assedio di Arezzo così si espresse. = “Assediando i Galli Arezzo, i Romani dando ajuto agli Aretini combatterono non molto lontano dalle di lei mura. Essendo superati in tale battaglia, ed essendo stato ucciso Lucio Console, surrogarono nel di lui luogo Manio Curio. Questi inviò subito legati nella Gallia per redimere i prigionieri. Essendo ivi giunti furono uccisi da’ Galli contro il dritto delle genti. Esacerbati i Romani da tale sceleratezza, scelte nuove truppe si apparecchiano di penetrare nella Gallia. Ma essendosi per poco avanzati si fanno loro incontro i Senoni. Attaccata la zuffa i Romani li superano, e ne uccidono gran parte. Fugarono il rimanente dalle lor terre, e s’impadroniscono della loro regione. Conducono nella Città una nuova colonia, e col nome antico la chiamano Sena, perchè fu abitata da’ Galli prima di ogni altro. È situata tale Città nel lido del mare Adriatico, ove finiscono i campi d’Italia” = Così al dire di Plinio furono intieramente distrutti coloro, che avevano incendiata Roma.

Cacciati i Galli dalle lor terre, queste divennero del popolo Romano. Egli era amico, e confederato in quel tempo co’ Piceni, come ci avvisa T. Livio20: fœdus ictum cum Picenti populo est. Furono questi così fedeli con esso, che secondo il citato Storico gli svelarono le trame, e le istigazioni loro fatte da’ [p. 9 modifica]Sanniti, e perciò furono ringraziati: fama Picentium novorum sociorum indicio exorta est, Samnites arma, et rebellionem spectare, seque ab eis sollicitatos esse: Picentibus gratiæ actæ. I Romani dunque, a’ quali il nome de’ Galli era divenuto così odioso, perchè li fecero tanto sospirare, chiamarono col nome di Piceno quel tratto posseduto da’ Galli; e così la Gallia mutò nome, ed assunse quello di Piceno. Di fatti il breviatore di T. Livio parlando della Colonia, che i Romani condussero a Rimini21 disse: Picentibus victis pax data. Coloniae deductae Ariminum in Piceno, Beneventum in Samnio. Polibio ci notifica, che nell’anno 522 di Roma: M. Lepido Cons. C. Flaminius legem ad populum tulit, ut ea regio Galliae, quam Picenum vocant, unde Senones fuerunt expulsi, militibus Romanis divideretur. Eutropio parlando di Asdrubale22 asserisce, che: Asdrubal apud Senam Piceni Civitatem in insidias a consulibus compositas incidit. Orosio nel medesimo proposito dice: fuit hoc prœlio Pœnis Metaurus fl, ubi Asdrubal est victus, quasi Trasimenus lacus, et Sena Piceni Civitas quasi vicus ille Cannensis. Frontino colloca Sentino, Attidio, Tufico, Ostra, Alba fra le Città Picene. A torto dunque l’Ammiani23 calorosamente vuol sostenere, che fugati i Senoni la sua regione non si chiamò Piceno, ma Umbria, e che Fano non fu mai compreso nell’Agro Piceno. Fa trionfare l’Andreantonelli, mentre l’impugna, che nella storia di Ascoli disse: miror autem reperiri quosdam adeo perfrictæ frontis, ut vel armis quin etiam certare audeant, ne scilicet inter nostrates numerentur; ita Picenorum ipsis invisum nomen sthomacum movet: fortius vero hac de re dimicant Fanenses.

Ottaviano Augusto cambiò lo stato dell’Impero, e fece un nuovo riparto geografico dell’Italia, dividendola in undici Regioni, come ci accerta Plinio, il [p. 10 modifica]quale ricavò da esso la sua geografia24: qua in re præfari necessarium, auctorem nos divum Augustum secuturos, descriptionemque ub eo factam Italiæ totius in regiones XI. Secondo questa la Gallia perdette il nome di Piceno, ed assunse il nome di Gallia Togata, come ci accerta Plinio: ab Ancona Gallica ora incipit Togatæ Galliæ cognomine, perchè fu compresa nella sesta Regione composta dall’Umbria, e dall’Agro Gallico, secondo il detto25: hinc sexta regio Umbriam complexa, Agrumque Gallicum circa Ariminum; e perciò Strabone, e Tolomeo annoverano nell’Umbria le Città galliche. Fu chiamata Gallia Togata per distinguerla dalla Gallia Comata, e dalla Gallia subalpina, e si disse Togata dalla Toga, veste propria dei Romani conceduta a’ popoli, che l’abitarono, come associati alla cittadinanza Romana, secondo Marziale.

Gallia Romanæ nomine dicta togæ.

e vero che col nome di Togata fu chiamato anche quella Gallia, che i Romani tolsero in appresso a’ Galli Boj. Ma saviamente il Sigonio26 crede, che la Gallia Senonia fu la prima ad averlo, perchè prima dell’altra ricevette i Cittadini, ed i costumi de’ Romani coll’uso della Toga. Il di lei nome fu comunicato in appresso a quelle terre, che i Romani tolsero a’ Galli Boj, e che confinavano con quelle de’ Senoni.

Il ripartimento di Augusto non istette lungo tempo ad essere sottoposto alle variazioni. L’Imperadore Adriano cangiò forma di governo in tutta l’Italia. Ripartendola in quattro parti ne diede il comando a quattro consolari, ed a ciascuno assegnò una parte, come ce ne accerta Sparziano27: quatuor consulares per omnem Italiam judices constituit. Allora o poco dopo la Gallia Togata perdette affatto tal nome, e ripigliò quello di Piceno, come chiaramente si rileva da quella legge diretta nell’anno 313 di Cristo al [p. 11 modifica]Correttore del Piceno, che risedeva in Alba; lo che in appresso sarò per dire. Per distinguer poi tal regione dalla mia Provincia, che fu chiamato Piceno suburbicario, perchè a Roma più prossimo, fu denominato Piceno Annonario, forse perchè doveva contribuire vettovaglie all’Annona di Roma. Il primo era soggetto al Vicario di Roma, il secondo al Correttore, ai Giudici, o ad altri simili incaricati, come si osserva in tante lapidi. Nella Notizia delle dignità dell’Impero illustrate dal Panciroli si legge nominato con distinzione il Piceno annonario, e suburbicario, come due diverse provincie, che componevano le XVII, nelle quali era ripartita l’Italia. I Goti non tolsero tal nome, perchè nell’anno 537 di Cristo Procopio28 chiama Alba Città Picena. Anzi quest’autore non fa alcuna distinzione di Piceno Annonario, o suburbicario, e annoverando il sito, che occupavano i popoli Italiani dice, che ai Sanniti succedevano i Piceni, il territorio de’ quali giungeva sino a Ravenna: nunc eorum, qui Italiam incolunt, exponere situm aggredior . . . a cujus dextera sunt Calabri, Apuli, et Samnites: hos picentes excipiunt, quorum sedes Ravennam usque pertinet29. Cominciando il Piceno dunque da Pescara, e giungendo sino a Ravenna Città antica, popolata, e celebre, sembrava, che questa fosse la capitale di esso, come ci testifica la seguente lapide eretta nel 499, anno in cui cadde il consolato di Flavio Mallio Teodoro, che è riferita dal Grutero, che dice essere stata trovata in Roma30


CRONIO EVSEBIO V. C. CONSVLARI AEMILIAE
ADDITA PRAEDICTAE PROVINCIAE
CONTVITV VIGILANTIAE
ET IVSTITIAE EIVS ET IAM EA
VENNATENSIVM CIVITATEM

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QVAE ANTEA PICENI CAPVT PRO
VINCIAE VIDEBATVR VICARIO
ITALIAE QVAE POTESTAS SVPRA
DICTO VIRO OB TESTI
MONIVM ANTEACTI HO
NORIS EST ADTRIBVTA
PETITIONE SENATVS CON
TEMPLATIONE VITAE ATQVE
ELOQVENTIAE EIVS AB INVICTISS.
PRINCIPIBVS EST DELATA
nel rovescio
DEDICATA V. EIDVS NO
VEMBRIS COS. FL. MALLIO
THEODORO V. C.


Distrutto il dominio de’ Goti in Italia, e costituita Ravenna per Città capitale dell’Esarcato, il Piceno Annonario mutò nome nuovamente, e la parte marittima di esso fu chiamata Pentapoli, e la parte montana fu chiamata Provincia de’ Castelli, e fu diviso in due Provincie. L’anonimo Ravennate enumerando le regioni dell’Italia dice, che la sesta era Annonaria Pentapolensis, cui adnexa pars Piceni annonarii. Septima est supra ipsam Pentapolim, idest Provincia Castellorum, quæ ab antiquis. . . . Il P. Berretti contro il Fontanini supplisce le parole aggiungendo, quæ ab antiquis dicta est Picenum, e crede, che il contado Fermano sia la Provincia de’ Castelli. Il Catalani, Stefano Borgia, ed il Raffaeli, come dissi nel Plinio illustrato, si uniscono a lui. Io ora penso diversamente, e credo che la Pentapoli annonaria, a cui era annessa porzione del Piceno, fu composta in principio da cinque Città, cioè da Rimino, da Pesaro, da Fano, da Sinigaglia, e da Ancona, cioè dalla Gallia marittima, e che la Provincia de’ castelli situata sopra la stessa Pentapoli, e che dagli antichi fu chiamata Piceno, fu composta dalla Gallia Montana, cioè da Camerino, Matelica, Attidio, Tufico, Sentino, Alba, Ostra, Suasa, Pitulo, Jesi. Di fatti quanti Castelli non hanno soggetti [p. 13 modifica]Fabriano, ed Arcevia? Camerino non ne conta ottanta per credere, che la provincia de’ Castelli situata sopra la Pentapoli, fu la Galla montana?

La voce Pentapoli è composta da due parole greche, che significano cinque Città. Col tempo la Provincia Pentapoli distese i confini. Imperocchè nel Sinodo Romano celebrato nel 680 sotto il Papa Agatone, gli atti del quale furono poscia inseriti nel sesto Concilio Costantinopolitano, i Vescovi di Rimino, di Pesaro, di Fano, di Numana, di Osimo, di Ancona tutti uniformemente chiamano sè stessi Vescovi Provinciæ Pentapolis. Ludovico Pio confermando le donazioni fatte alla chiesa da Pipino, e da Carlo Magno, pone molte Città nella Pentapoli. Ecco le di lui parole secondo l’edizione, che fece fare del di lui diploma Mons. Marino Marini31. Similiter et Pentapolim, videlicet Ariminium, Pisaurum, Fanum, Senogalliam, Anconam, Ausimum, Hesim, Forum Sempronii, Montemferetri, Urbinum, et Territorium Balnense, Callem, Luciolis, et Eugubium cum omnibus finibus, ac terris ad easdem civitates pertinentibus. Queste Città non eran più degli Imperatori Greci, ma erano passate in mano dei Longobardi. Pippino Re di Francia le ritolse al Re Astolfo, mandò Fulrado Abate di S. Dionisio co’ deputati del Re Astolfo per la Pentapoli, e per l’Emilia, come narra Antipapa Anastasio III, per ricevere le chiavi delle Città, e portatosi in Roma le depositò nella confessione di S. Pietro, e gli donò le città, cioè Ravennam, Ariminum, Pisaurum, Concam, Fanum, Cesinas, Senogallias, Aesis . . . Montem feltri . . . Urbinum, Callis, Luceolis, Eugubium etc. Siccome i Longobardi divisero l’Italia in Ducati, così chi sa dire quanti ducati costituirono colla Pentapoli, che loro fu ritolta, e poscia donata con tal nome alla S. Sede? Anastasio Bibliotecario nella vita di Anastasio I. nomina il Ducato Fermano, Osimano, Anconitano, e dice, che [p. 14 modifica]essendosi gli abitanti di questi volontariamente dati alla S. Sede, more Romanorum tonsurati sunt.

Estinto il Regno de’ Longobardi cominciò ad andare come in disuso il titolo di Duca, ed a questo venne surrogato quello di Marchese. La voce Marca non altro denota, che termine, o confine. Tutti coloro, che si destinarono al governo di qualche provincia posta nel confine del regno, cominciarono a chiamarsi Marchesi; e l’epoca di questo uso non è più alta del secolo IX dell’era volgare, come crede il Muratori nella sesta dissertazione32, dal quale parimente impariamo, che in quei tempi le voci di Duca, Marchese, e Conte erano sinonime. La prima Marca costituita nella nostra Provincia fu la Fermana, e di essa discorre molto a lungo il P. Berretti nell’illustrazione della tavola corografica dell’Italia del medio evo, e ne misura l’estensione dagli appennini al mare, dal fiume Musone a Pescara, ed abbracciava quasi tutto il Piceno suburbicario. Lo prova con molti documenti. Produce un diploma dell’anno 967 riportato dal Baluzio nell’appendice al Tomo II dei Capitolari dei Re Franchi33, in cui si legge Villa Mariani campo jure proprietatis Sanctæ Firmanæ Ecclesiæ residente Pandulfo Duce, et Marchione. Ne allega un altro parimenti stampato dal Baluzio34, che ha per data l’anno 1044, in cui dicesi infra territorium Pinnense in loco, qui nominatur Salajano aut infra istam MARCHIAM FIRMANAM, aut infra totum Regnum Longobardorum. Cita il seguente passo di Leone Ostiense, il quale scrive, che tempore Benedicti Papæ anno III. (978). . . quae Lambertus dux, et Marchio possedisse visus est in comitatu Marsicano, et Balva, Furcone, Amiterno, nec non et MARCHIA FIRMANA, et Ducatu Spoletino. Nella cronaca Farfense all’anno 940 si riferisce: per idem tempus bellum magnum commissum est pro [p. 15 modifica]contentione MARCHIAE FIRMANAE inter Ascherium, et Sarilionem, in qua prœvalens Sarilio interficit Ascherium, et obtinuit MARCHIAM. Nell’anno 1078 giusta gli atti del Concilio Romano furono scomunicati tutti i Normanni, qui invadere terram S. Petri laborant, videlicet MARCHIAM FIRMANAM, et ducatum Spoletanum35. Roberto Guiscardo Duca de’ Normanni essendosi portato in quest’anno a Roma, ed essendosi gettato ai piedi di S. Gregorio VII gli prestò giuramento di fedeltà, e si riservò quella parte già occupata della Marca fermana con Salerno, ed Amalfi; ed il Papa assolvendolo dalle Censure, e dandogli l’investitura della Puglia, della Calabria, e della Sicilia, come l’aveva ricevuta dagli antecessori Niccolò, ed Alessandro gli soggiunse: de illa autem terra, quam injuste tenes, sicut est Salernus, et Amalphia, et pars Marchiæ Firmanæ, nunc te patienter sustineo. Ecco l’epoca, in cui gli Agri Adriano, e Pretuziano: cioè quel tratto di paese, che cominciando dal fiume Pescara giungeva sino al Tronto, perdette il nome di Piceno, e di Marca, ed assunse quello di Abruzzo ultra, che sino a dì nostri ritiene.

In quest’epoca stessa si trova nelle carte antiche la Marca Camerinese, ed i suoi Marchesi sono i Duchi di Spoleto, ch’erano ancor Marchesi della Marca Fermana. È comune il parere de’ dotti, cioè del Muratori, e del Berretti, e di altri, che la Marca di Fermo, e quella di Camerino fosse la stessa, e differisse pel solo nome. Imperocchè il Duca di Spoleto era Marchese di Camerino, e di Fermo, e que’ Marchesi, che egli destinava al governo di Camerino, e di Fermo, erano da lui dipendenti. Nelle pergamene dell’Abbadia di S. Vittore di Chiusi situato nel distretto di Pierosara riportate dal Benedettoni36 si trova, che Fabriano, la Genga, ed altri paesi erano in tal tempo situati in Ducatu Spoletano, e gli annalisti [p. 16 modifica]Camaldolesi producono un documento dell’anno 999 scritta in Castello Petroso, cioè Pierosara, in cui si nomina Ademaro Duca, e Marchese ignoto al Muratori. Nell’anno 1115 la Contessa Matilde trasferì il pieno dominio tanto del Ducato di Spoleto, quanto della Marca Camerinense, e Fermana alla S. Sede. Questa Marca fu chiamata anche Marca di Guarnieri, come crede il Muratori37. Io glie ne darò una prova presentemente. Nell’appendice de’ documenti autentici stampati dal Colucci sopra le memorie di Pierosara38 se ne legge uno, che dice: anno Dominice incarnationis mille c. XXIII mense Junius indictione prima regnante Enrigo Imperatore et Guarnerius Marchione. . . damus, tradimus, atque transactavimus in servo servorum Dei in ipso monasterio beato sando Victore quod est positum et est edificatus in fundo Vicioriano territorio Camerino. Ottone da Sanbiagio narrando l’assedio, che Federico pose a Milano nel 1158 ci fa sapere, che in una sortita i Milanesi Wernherum italicum marchionem praestantissimum cum multis aliis occiderunt, de cujus nomine dicitur adhuc Werneri Marchia.39

La Marca Anconitana cominciò nel 1198, come dimostra il Peruzzi40. Il Pontefice Innocenzo III investì di essa Azzo VI di Este nell’anno 1208, come si rileva da una carta prodotta dal Muratori41, in cui espressamente si nomina magnificus, et inclitus vir Azo Dei, et APOSTOLICA GRATIA Estensis, et Anconitanus Marchio. Questi forse per goderla in pace, o per essere protetto, chiese ed ottenne da Ottone IV Imperadore nel 1210 l’investitura. Fu data in Chiusi, e vi sono specificate queste Città42, cioè Ascoli, Fermo, Camerino, Umana, Ancona, Osimo, Jesi, Sinigaglia, Fano, Fossombrone, Cagli, Sassoferrato, e la Rocca dell’Appennino, e perciò l’Ariosto disse43

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E sarà detto Marchese di Ancona
Dal Quarto Ottone.

Il Muratori si studia di rappresentare le ragioni, che secondo il pregiudizio del suo sistema, Ottone aveva di dominar sulla Marca. Ma erra, e lasciando da parte qualunque ragione dirò solo, che Federico II. che fu eletto Imperatore nel 1220, scrisse a’ popoli della Marca dicendo, che il suo Dapifero Gonzolino præter mandatum, et etiam conscientiam nostram Ducatum Spoletanum, et Marchiam Anconitanam ingressus juramenta recepit ab eorum locorum hominibus . . . . Ecclesiæ Balivis amotis, e scioglie dai giuramenti di fedeltà quelle popolazioni, carpiti loro violentemente da Gonzolino, e vuole riconoscano, ed obbediscano come veri vassalli il Romano Pontefice: e a ciò fare fu egli indotto, come nella lettera esprime, per difendere, e conservare alla Chiesa i suoi diritti. Fu questa stampata da Monsig. Marino Marini, e resta in fine di quel libro intitolato Nuovo esame etc.44 Anzi questo dotto Scrittore trattando de’ pregj di un manoscritto italiano trovato negli Archivi Vaticani scritto nell’anno precisamente 1279 dice “che con frequenza si mentova in esso il Marchese, e questi era un’estense, che a nome del Pontefice governava la Marca. Che egli non fosse che un subalterno del Papa, si rileva dal salario mensuale, che pagavagli il Tesorier pontificio, e dal giuramento di fedeltà, che esso, e i Giudici prestavano alla Chiesa di Roma. Conservasi negli Archivj segreti pubblico stromento di obbligazione degli Estensi di non assumere il titolo di Marchesi della Marca, il qual documento è inserito dal Muratori nel catalogo degli scritti degli Archivj Pontificj dato da lui alla luce nel tomo VI. delle antichità del medio evo alla pag. 76. Innocenzo IV scrivendo al Marchese Azzolino, gli proibisce innovazioni nella Marca, poichè egli dice, che quella Provincia voleva conservare in demanium Apostolicae Sedis. Rinaldi riportò la lettera d’Innocenzo negli Annali.„45 Non avevano dunque alcun [p. 18 modifica]diritto gl’Imperatori sopra la Marca, e non si può lodare Azzo di Este per aver chiesta l’investitura di Ottone IV, che dimentico de’ beneficj, che gli fece Innocenzo III. scorse con armata tutta l’Italia; e fra le altre Città, che occupò, prese intieramente la Marca Anconitana. Corre dunque il settimo secolo, da che la metà del Piceno suburbicario, e quasi tutto il Piceno annonario mutò nome, e chiamasi Marca di Ancona. I confini di questa Provincia egregiamente furono delineati con due soli versi dall’Omero italiano, cioè dall’Ariosto, quando cantò

E Azzo suo fratel lascierà erede
Del dominio di Ancona, e di Pisauro
D’ogni Città, che dal Truento siede
Tra ’l mar, e l’Appennin fin’ all’Isauro.

E composta dunque da tutti quei luoghi, che rimangono tra il mare Adriatico, e i Monti Appennini, tra i fiumi Tronto, ed Isauro oggi chiamato Foglia. Siccome il Piceno antico era diviso in tre Agri, cioè Adriano, Pretuziano, e Palmense: così i moderni Geografi dividono la Marca in tre Contadi, e li chiamano Marca Ascolana, Marca Fermana, e Marca Anconitana, e queste tre Marche, oppure Agri formano una sola Provincia, cioè la Marca Anconitana.

Avendo dimostrato i confini, ed i nomi, che ebbe il Piceno Annonario, debbo passare a descrivere i luoghi, e le città, che lo composero. Ma siccome quest’opera verebbe assai voluminosa, se tutto minutamente delineassi: così parlerò soltanto delle Città, e luoghi distrutti. Chi brama sapere le notizie delle Città, che esistono, cioè di Rimino, di Sinigaglia, di Fano, di Pesaro, di Gubbio, di Jesi etc. facilmente può saperle leggendo gli Storici di tali Città.

Note

  1. Lib. 7.
  2. Lib. 3 c. 14
  3. Lib. 3. c. 4.
  4. Lib. 5. p. 241.
  5. Lib. 15.
  6. Lib. 3. c. 14.
  7. De’ primi abitatori dell’Italia p. 4. art. 11. p. 354
  8. In Aeneid 1. v. 187. Dionys lib. 2. p. 7. Tucid. lib. 6. Antioch. apud Dionys. lib. cit.
  9. In perip.
  10. Lib. 8.
  11. p. 107.
  12. Cap. 3
  13. Lib. 3. c. 141
  14. Mus. Etrus. T. XII. e XIII.
  15. Lib. 5.
  16. Lib. 8.
  17. Lib. 3. c. 5.
  18. Saggio storico c. X.
  19. Pag. 56.
  20. Lib. 9.
  21. Lib. 15.
  22. Lib. 3.
  23. Lib. 1. p. 24.
  24. Lib. 3. c. 5.
  25. Lib. 3. c. 14.
  26. De antiq. Jur. Ital. lib. 1. c.
  27. cap. 22
  28. Lib. 2. c. 7. de Bel Gothor.
  29. De Bel. Got. l. 1. c. 15.
  30. p. 366. n. 3.
  31. P. 105.
  32. Antiquit. Italic. T. I. pag. 268.
  33. Pag. 1550
  34. Tom. 2: col. 1021
  35. Labb. Concil. T. X
  36. Antic. pic. t. 2.
  37. Dis. v. de Ducib.
  38. Antic. Pic. T. 2. p. XIV.
  39. In Chron. c. x. Rer. Ital. T. VI.
  40. Dis. Anconit. p. 265.
  41. Antiq. est. p. 383.
  42. Pigna lib. 2.
  43. Cant. 3. v. 3.
  44. P. 120.
  45. Effemeridi Rom. Gennajo 1821 p. .