Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/3561

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[p. 29 modifica] del genitivo plurale invece dell’accusativo del medesimo numero appresso Aristotele, Polit., l. III, ed. Flor., ap. Innt., 1576, p. 209, mezzo, e veggasi quivi il commento di Pier Vettori 1) (30 settembre 1823).


*    Alla p. 3413. Infatti la scrittura dello Speroni è tutta sparsa e talor quasi tessuta, non pur di vocaboli o d’usi metaforici ec. di parole, tutti propri di Dante e di Petrarca, ma di frasi intere e d’interi emistichi di questi poeti, dall’autore dissimulatamente appropriatisi e convertiti all’uso della sua prosa. Né tali voci, frasi ec. riescono in lui punto poetiche, ma convenientissimamente prosaiche. Altrettanto fanno piú o meno molti altri autori del cinquecento, massime i piú eleganti, ma lo Speroni singolarmente. Or andate e ditemi che altrettanto potessero fare, non pur i prosatori greci con Omero, o altro lor poeta, ma i latini con Virgilio ec., benché il latino non abbia linguaggio poetico distinto. Che vuol dir ciò dunque, se non che il linguaggio di Dante e Petrarca era poco o nulla distinto da quel della prosa? Onde i prosatori potevano farne lor pro, anche a sazietà, senza dar nel poetico. 2) Altri, e non pochi, prosatori [p. 30 modifica]del cinquecento, siccome nel trecento il Boccaccio, davano nel poetico sconveniente

Note

  1. Noi ed i francesi usiamo il genitivo plurale anche in vece del nominativo plurale. Anche in caso terzo ec. a di molti, con di molti, à des femmes ec.
  2.     Le voci e frasi e significati piú poetici ed eleganti di Petrarca, Dante ec. tengono come un luogo di mezzo tra il prosaico e il poetico, onde in una prosa alta, com’é quella dello Speroni, ci stanno naturalissimamente. Per esempio, talento in quel significato Che la ragion sommettono al talento. Non si sa ben dire se sia piú del verso che della prosa. Vedilo benissimo usato dallo Speroni ne’ Dialoghi, Venezia, 1596, p. 69, fine.