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22 pensieri (490-491-492)

ad direptionem urbis vocaretur. Hoc tunc Veii fuere. Le quali parole chiudono la dimostrazione dell’antica grandezza e forza di Veio. Vedi però le ultime edizioni di Floro (11 Gennaio 1821).


*    Σὺ γάρ, ὦ Θαλῆ, τὰ ἐν ποσὶν οὐ δυνάμενος ἰδεῖν, τὰ ἐπὶ τοῦ οὐρανοῦ οἴει γνώσεσθαι: disse quella vecchia fantesca a Talete caduto in una fossa mentre andava contemplando le stelle (Laerzio, I, 34, in Talete).  (491) Ὥσπερ καὶ Θαλῆν ἀστρονομοῦντα, ὦ Θεόδωρε, (dum cælum suspiceret. Ficin.). καὶ ἄνω βλέποντα, πεσόντα εἰς φρέαρ, (in foveam; id), Θρᾷττά τις ἐμμελὴς καὶ χαρίεσσα θεραπαινίς (Thracia quaedam eius ancilla concinua et lepida; id). ἀποσκῶψαι λέγεται, ὡς τὰ μὲν ἐν οὐρανῷ προθυμοῖτο εἰδέναι, (pervidere contenderet; id), τὰ δ᾽ ἔμπροσθεν αὐτοῦ καὶ παρὰ πόδας, λανθάνοι αὐτὸν. Ταὐτὸν δὲ ἀρκεῖ, (obiici potest; id. aptius, cadit, convenit) σκῶμμα ἐπὶ πάντας ὅσοι ἐν φιλοσοφίᾳ διάγουσι (in philosophia versantur. id). Platone nel Teeteto, ἢ περὶ ἐπιστήμης, alquanto prima della metà (pag. 127, f.; Lugduni 1590). E vedi il Menagio, ad Laert., I, 34. E Diogene Cinico si maravigliava ἐθαύμαζε... τοὺς μαθηματικοὺς (cioé gli astronomi) ἀποβλέπειν μὲν πρὸς τὸν ἥλιον καὶ τὴν σελήνην, τὰ δ᾽ἐν ποσὶ πράγματα παρορᾶν (Laerzio VI. 28. in Diogene Cynico).


*    Tutto questo si può dire non solo dei sapienti, ma degli uomini in generale, e compiangere non solo l’impotenza del sapere umano, non solo il cattivo giudizio nello scegliere, cioè il  (492) curarsi delle cose poste fuori della nostra sfera e a noi straniere e lasciar le vicine e importanti per noi; ma anche la cecità, la miseria, l’inutilità, la dannosità del sapere umano: quando tutte le cose che noi dovevamo sapere, ed ancora che possiamo sapere, sono veramente ἔμπροσθεν ἡμῶν καὶ παρὰ πόδας, e finalmente la sommità, l’ultimo grado del sapere, consiste in conoscere che tutto quello che noi cercavamo era davanti a noi, ci stava tra’ piedi,