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CAPO XXII. 151


Per farci un’idea più giusta del sacerdozio etrusco sarebbe buono partire dal più basso grado della scala ieratica per indi salire al più eminente. Ma nell’inferiore troviamo soltanto rammentati i Camilli, od i più giovani, assistenti ai sacrifizi: nella più alta dignità il Pontefice nominato pe’ suffragj dei dodici popoli1; senza che sia noto per qual graduale ministerio la legge costitutiva del clero etrusco concedesse d’arrivare agli altri ordini mezzani della gerarchia. Una speciale educazione era quindi indispensabile per essere ministro dell’altare: anzi erasi questo il massimo privilegio di certe famiglie e prosapie nobili, che di padre in figlio serbavano ne’ loro casati i misteri rivelati, di cui soli si teneano proprietari, capi, ed interpetri nati. I soli abili in breve, per cotal monopolio spirituale, a produr legale effetto in qualunque atto od uficio civile col mezzo degli auspicj. Se più tosto essi stessi non erano la legittima discendenza di quegli uomini consacrati, che avean dato l’essere alle nostre colonie sacre, più volte innanzi rammentate2. Questo gran corpo del sacerdozio s’atteneva così nello stato a due ordini di cose essenzialmente distinte, e non di meno congiunte: cioè al culto pubblico, per riguardo al carattere sacro dei suoi membri; ed alla costituzione civile e giudiciaria del paese, come guardiani e interpetratori della legge. Di tal forma in Etruria l’aristocrazia vi custodiva il total segreto

  1. Liv. v. 1.
  2. Vedi sopra p. 71.