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ella parve tale all’oracolo della scienza militare, a Federigo, quel Grande che nobilita il Trono e l’età nostra, o se colla spada eserciti l’arte di vincere, o se la insegni colla penna e colla lira. Posso io tacere, com’egli, agguagliando Raimondo al vincitore di Pompeo, inviti i giovani guerrieri a riguardarlo sul Reno, o se per la scelta del campo ei preserva l’Alemagna, o se mutando spesso di luoghi, dovunque è presente a’ Francesi, dovunque rende infruttuosi i loro progressi, o se, antiveggendo sempre, le azioni sue misura colle intenzioni del nimico, se animoso approssima, se cauto retrocede, se, accennando sempre nuovi disegni, i disegni dell’avversario debilita ed interrompe? Per tali atti di incomparabile prudenza si conduceva il sagacissimo Italiano, quando la morte immatura e momentanea del Turenna cangiò di aspetto le cose, e il pubblico giudizio, che pendeva dallo sperimento di una battaglia, si rimase incerto a qual de’ due competitori convenisse aggiudicarsi la preferenza.

Certificato della morte dell’avversario, Raimondo lo pianse con lagrime sincere e generose, parendogli che non potesse giammai bastevolmente deplorarsi la perdita del maggiore degli uomini, siccome ei si espresse, e di colui che parve nato per onore dell’uman genere: parole, nelle quali è il senso del più ampio elogio, e più facondo, e delle quali può nascer dubbio se maggiormente il lodato onorino o il lodatore: parole piene di equità, che non furono con pari gratitudine dagli scrittori francesi ricambiate28. Certo coloro che non teme-