Orlando innamorato/Libro terzo/Canto quinto

Libro terzo - Canto quinto

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CANTO QUINTO


         Còlti ho diversi fiori alla verdura,
     Azuri e gialli e candidi e vermigli;
     Fatto ho di vaghe erbette una mistura,
     Garofili e vïole e rose e zigli:
     Traggasi avanti chi de odore ha cura,
     E ciò che più gli piace, quel se pigli;
     A cui diletta il ziglio, a cui la rosa,
     Ed a cui questa, a cui quella altra cosa.

         Però diversamente il mio verziero
     De amore e de battaglia ho già piantato:
     Piace la guerra a l’animo più fiero,
     Lo amore al cor gentile e delicato.
     Or vo’ seguir dove io lasciai Rugiero
     Con Rodamonte alla zuffa nel prato,
     Con sì crudeli assalti e tal tempesta,
     Che impresa non fu mai simile a questa.

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         E’ se tornarno con le spade adosso
     Gli animosi baroni a darsi morte.
     Rugier primeramente fu percosso
     Sopra del scudo a meraviglia forte,
     Che tre lame ha di ferro e quattro d’osso;
     Ma non è resistenzia che ['l] comporte
     Di Rodamonte la stupenda forza:
     Tagliò quel scudo a guisa de una scorza.

         Su da la testa alla ponta discende,
     Più de un terzo ne cade alla campagna;
     Rugier per prugna acerba agresto rende,
     Ne la piastra ferrata li sparagna.1
     Il scudo da la cima al fondo fende,
     Come squarciasse tela ad una aragna;
     Nè a quel ni a questo l’armatura vale:
     Una altra zuffa mai non fu cotale.

         E veramente morte se avrian data
     E l’uno e l’altro a sì crudo ferire,
     Ma, non essendo l’ora terminata,
     Nè ’l tempo gionto ancora, al suo morire,
     Tra lor fu la battaglia disturbata,
     Chè Bradamante gli venne a partire,
     Bradamante, la dama di valore,
     Qual dissi che seguia l’imperatore.

         E già bon pezzo essendo caminata,
     Nè potendo sua gente ritrovare,
     La qual fuggiva a briglia abandonata,
     Ne la sua mente se pose a pensare,
     Tra sè dicendo: O Bradamante ingrata,
     Ben discortese te puote appellare
     Quel cavallier che non sciai chi se sia,
     Ed ha’ gli usata tanta villania.

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         La zuffa prese lui per mia cagione,
     E le mie spalle il suo petto diffese,
     Ma, se io vedesse quivi il re Carlone,
     E le sue gente morte tutte e prese,
     Tornar mi converrebbe a quel vallone,
     Sol per vedere il cavallier cortese.
     Sono obligata a l’alto imperatore,
     Ma più sono a me stessa ed al mio onore.

         Così dicendo rivoltava il freno,
     E passò prestamente il monticello,
     Ove Rugiero e il figlio de Ulïeno
     Faceano alla battaglia il gran flagello.2
     Come ella ariva a ponto, più nè meno,
     Gionse Rugiero, il franco damigello,
     Un colpo a Rodamonte a tal tempesta,3
     Che tutta quanta gli stordì la testa.

         Fuor di se stesso in su lo arcion si stava
     E caddeli di mano il brando al prato;
     Rugier alora adietro se tirava,
     Chè a cotale atto non l’avria toccato;
     E Bradamante, che questo mirava,
     Dicea: Ben drittamente aggio io lodato
     Di cortesia costui nel mio pensiero;
     Ma che io il cognosca, al tutto è di mestiero.

         E come gionta fo gioso nel piano,
     Alta da l’elmo si levò la vista,
     E voltata a Rugier con atto umano,
     Disse: Accetta una excusa, abenchè trista,
     De lo atto ch’io te usai tanto villano;
     Ma spesso per error biasmo se acquista:
     E certo che io commessi questo errore
     Per voglia di seguire il mio segnore.

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         Non me ne avidi alora se non quando
     Fu la doglia e il furor de me partito;
     Ora in gran dono e grazia te adimando
     Che questo assalto sia per me finito.
     Mentre che così stava ragionando,
     E Rodamonte si fo risentito,
     Qual, veggendosi gionto a cotale atto,
     Quasi per gran dolor divenne matto.

         Non se trovando ne la mano il brando,
     Che, com’io dissi, al prato era caduto,
     Il celo e la fortuna biastemando
     Là dove era Rugier ne fu venuto.
     Con gli occhi bassi a la terra mirando,
     Disse: Ben chiaramente aggio veduto
     Che cavallier non è di te migliore,4
     Nè teco aver potrebbi alcun onore.

         Se tal ventura ben fosse la mia,
     Ch’io te vincessi il campo alla battaglia,
     Non sono io vinto già di cortesia?
     Nè mia prodezza più vale una paglia.
     Rimanti adunque, ch’io me ne vo via,
     E sempre, quanto io possa e quanto io vaglia,
     Di me fa il tuo parere in ogni banda,
     Come il maggiore al suo minor comanda.

         Senza aspettar risposta via fu tolto,
     In men che non se coce a magro il cavolo;
     Il brando su dal prato avea racolto,
     Il brando qual già fo del suo bisavolo.
     In poco de ora longi era già molto,
     Chè sì camina che sembra un dïavolo;5
     Nè mai se riposò quel disperato
     Sin che la notte al campo fu arivato.6

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         Rimase Bradamante con Rugiero,
     Dapoi che il re di Sarza fie’ partenza,
     E la donzella avea tutto il pensiero
     A prender di costui la cognoscenza.
     Ma non trovando ben dritto sentiero,
     Nè via di ragionar di tale essenza,
     Temendo che non fosse a lui disgrato,
     Senza più dimandar prese combiato.

         Disse Rugiero, il giovane cortese:
     Che vadi solo, io nol comportaria.
     Di Barbari è già pien tutto il paese,
     Che assaliranno in più lochi la via.
     Da tanti non potresti aver diffese,
     Ma sempre serò tieco in compagnia;
     Via passaren, quand’io sia cognosciuto,
     Se non, coi brandi ce daremo aiuto.

         Piacque alla dama il proferire umano,
     E così insieme presero il camino,
     Ed essa cominciò ben da lontano
     Più cose a ragionar col paladino;
     E tanto lo menò di colle in piano,
     Che gionse ultimamente al suo destino,
     Chiedendo dolcemente e in cortesia
     Che dir gli piaccia de che gente sia.

         Rugiero incominciò, dal primo sdegno
     Che ebbero e’ Greci, e la prima cagione
     Che adusse in guerra l’uno e l’altro regno,
     Quel de Priamo e quel di Agamenòne;
     E ’l tradimento del caval di legno,
     Come il condusse il perfido Sinone,
     E dopo molte angoscie e molti affanni
     Fo Troia presa ed arsa con inganni.

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         E come e’ Greci poi sol per sua boria
     Fierno un pensier spietato ed inumano,
     Tra lor deliberando che memoria
     Non se trovasse del sangue troiano.
     Usando crudelmente la vittoria,
     Tutti e’ pregion scanarno a mano a mano,
     Ed avanti a la matre per più pena
     Ferno svenar la bella Polissena.

         E cercando Astianatte in ogni parte,7
     Che era di Ettórre un figlio piccolino,
     La matre lo scampò con cotale arte:
     Che in braccio prese un altro fanciullino,
     E fuggette con esso a la disparte.
     Cercando i Greci per ogni confino,
     La ritrovarno col fanciullo in braccio,
     E a l’uno e a l’altro dier di morte spaccio.

         Ma il vero figlio, Astïanatte dico,
     Era nascoso in una sepoltura,
     Sotto ad un sasso grande e molto antico,
     Posto nel mezo de una selva oscura.
     Sieco era un cavallier del patre amico,
     Che se pose con esso in aventura,
     Passando il mare; e de uno in altro loco
     Pervenne in fine alla Isola del Foco.

         Così Sicilia se appellava avante,8
     Per la fiamma che gietta Mongibello.
     Or crebbe il giovanetto, ed aiutante
     Fu di persona a meraviglia e bello;
     E in poco tempo fie’ prodezze tante,
     Che Argo e Corinto pose in gran flagello;
     Ma fu nel fine occiso a modo tristo
     Da un falso Greco, nominato Egisto.

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         Ma prima che morisse, ebbe a Misina
     (De la qual terra lui n’era segnore)
     Una dama gentile e pellegrina,
     Che la vinse in battaglia per amore.
     Costei de Saragosa era regina,
     Ed un gigante chiamato Agranore,
     Re de Agrigento, la oltraggiava a torto;
     Ma da Astianatte fu nel campo morto.

         Prese per moglie poscia la donzella,
     E fece contra e’ Greci il suo passaggio,
     Insin che Egisto, la persona fella,
     Lo occise a tradimento in quel rivaggio.
     Non era gionta ancora la novella9
     De la sconfitta e di tanto dannaggio,
     Che e’ Greci con potente e grande armata
     Ebber Misina intorno assedïata.

         Gravida era la dama de sei mesi,
     Quando alla terra fu posto lo assedio,
     Ma a patti se renderno e’ Misinesi,
     Per non soffrir di guerra tanto tedio.
     Poco o nïente valse essersi resi,10
     Chè tutti morti fôr senza rimedio,
     Poi che promesso a’ Greci avean per patto
     Dar loro la dama, e non l’aveano fatto.

         Ma essa, quella notte, sola sola
     Sopra ad una barchetta piccolina
     Passò nel stretto, ove è l’onda che vola
     E fa tremare e’ monti alla ruina;
     Nè si potrebbe odire una parola,
     Tant’alto è quel furor de la marina;
     Ma la dama, vargando come un vento,
     A Regio se ricolse a salvamento.11

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         E’ Greci la seguirno, e a lor non valse
     Pigliar la volta che è senza periglio,
     Perchè un’aspra fortuna a l’onde salse
     Sumerse ed ispezzò tutto il naviglio,
     E fôr punite le sue voglie false.
     Ora la dama a tempo ebbe un bel figlio,
     Che rilucente e bionde avia le chiome,
     Chiamato Polidoro a dritto nome.

         Di questo Polidoro un Polidante
     Nacque da poi, e Flovïan di quello.
     Questo di Roma si fece abitante
     Ed ebbe duo filioli, ogniun più bello,
     L’un Clodovaco, l’altro fu Constante,
     E fu diviso quel sangue gemello;
     Due teste illustre da questo discesero,
     Che poi con tempo molta fama [a]presero.

         Da Constante discese Costantino,
     Poi Fiovo e ’l re Fiorello il campïone,
     E Fioravante e giù sino a Pipino,
     Regal stirpe di Francia, e il re Carlone.
     E fu l’altro lignaggio anco più fino:
     Di Clodovaco scese Gianbarone,
     E di questo Rugier, paladin novo,
     E sua gentil ischiatta insino a Bovo.

         Poi se partitte di questa colona
     La nobil gesta, in due parte divisa;
     Ed una di esse rimase in Antona,
     E l’altra a Regio, che se noma Risa.
     Questa citade, come se ragiona,12
     Se resse a bon governo e bona guisa,
     Sin che il duca Rampaldo e’ soi figlioli
     A tradimento fôr morti con dòli.

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         La voglia di Beltramo traditore
     Contra del patre se fece rubella;
     E questo fu per scelerato amore
     Che egli avea posto alla Galacïella;
     Quando Agolante con tanto furore,
     Con tanti armati in nave e ne la sella,
     Coperse sì di gente insino in Puglia,
     Che al vòto non capea ponto de aguglia.13

         Così parlava verso Bradamante
     Rugier, narrando ben tutta la istoria,
     Ed oltra a questo ancor seguiva avante,
     Dicendo: Ciò non toglio a vanagloria,
     Ma de altra stirpe di prodezze tante,
     Che sia nel mondo, non se ne ha memoria;
     E, come se ragiona per il vero,
     Sono io di questi e nacqui di Rugiero.

         Lui de Rampaldo nacque, e in quel lignaggio14
     Che avesse cotal nome, fu secondo;
     Ma fu tra gli altri di virtute un raggio,
     De ogni prodezza più compiuto a tondo.15
     Morto fu poscia con extremo oltraggio,
     Nè maggior tradimento vidde il mondo,
     Perchè Beltramo, il perfido inumano,
     Traditte il patre e il suo franco germano.

         Risa la terra andò tutta a ruina,16
     Arse le case, e fu morta la gente;
     La moglie di Rugier, trista, tapina,
     Galacïella, dico, la valente,
     Se pose disperata alla marina,
     E gionta sendo al termine dolente
     Che più il fanciullo in corpo non si porta,
     Me parturitte, e lei rimase morta.

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         Quindi mi prese un negromante antico,
     Qual di medolle de leoni e nerbi
     Sol me nutritte, e vero è quel ch’io dico.
     Lui con incanti orribili ed acerbi
     Andava intorno a quel diserto ostìco,
     Pigliando serpe e draghi più superbi,
     E tutti gli inchiudeva a una serraglia;
     Poi me ponea con quelli alla battaglia.

         Vero è che prima ei gli cacciava il foco
     E tutti e’ denti fuor de la mascella:
     Questo fo il mio diletto e il primo gioco
     Che io presi in quell’etate tenerella;
     Ma quando io parvi a lui cresciuto un poco,
     Non me volse tenir più chiuso in cella,
     E per l’aspre foreste e solitarie
     Me conducea, tra bestie orrende e varie.

         Là me facea seguir sempre la traccia
     Di fiere istrane e diversi animali;
     E mi ricorda già che io presi in caccia
     Grifoni e pegasei, benchè abbiano ali.
     Ma temo ormai che a te forse non spiaccia
     Sì lunga diceria de tanti mali:
     E, per satisfar tosto a tua richiesta,
     Rugier sono io; da Troia è la mia gesta.

         Non avea tratto Bradamante un fiato,
     Mentre che ragionava a lei Rugiero,
     E mille volte lo avea riguardato
     Giù dalle staffe fin suso al cimero;
     E tanto gli parea bene intagliato,
     Che ad altra cosa non avea il pensiero:
     Ma disiava più vederli il viso
     Che di vedere aperto il paradiso.

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         E, stando così tacita e sospesa,
     Rugier sogionse a lei: Franco barone,
     Volentier saprebbi io, se non ti pesa,
     Il nome tuo e la tua nazïone.
     E la donzella, che è d’amore accesa,
     Rispose ad esso con questo sermone:
     Così vedestù il cor, che tu non vedi,
     Come io ti mostrarò quel che mi chiedi.

         Di Chiaramonte nacqui e di Mongrana.
     Non scio se sciai di tal gesta nïente,
     Ma di Ranaldo la fama soprana
     Potrebbe essere agionta a vostra gente.
     A quel Ranaldo son sôra germana;
     E perchè tu mi creda veramente,
     Mostrarotti la faccia manifesta;
     E così lo elmo a sè trasse di testa.

         Nel trar de l’elmo si sciolse la trezza,17
     Che era de color d’oro allo splendore.
     Avea il suo viso una delicatezzia
     Mescolata di ardire e de vigore;
     E’ labri, il naso, e’ cigli e ogni fatezza
     Parean depenti per la man de Amore,
     Ma gli occhi aveano un dolce tanto vivo,18
     Che dir non pôssi, ed io non lo descrivo.

         Ne lo apparir dello angelico aspetto
     Rugier rimase vinto e sbigotito,
     E sentissi tremare il core in petto,
     Parendo a lui di foco esser ferito.
     Non scia pur che si fare il giovanetto:19
     Non era apena di parlare ardito.
     Con l’elmo in testa non l’avea temuta,
     Smarito è mo che in faccia l’ha veduta.

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         Essa poi cominciò: Deh bel segnore!
     Piacciavi compiacermi solo in questo,
     Se a dama alcuna mai portasti amore,20
     Ch’io veda il vostro viso manifesto.
     Così parlando odirno un gran rumore;
     Disse Rugiero: Ah Dio! Che serà questo?
     Presto se volta e vede gente armata,
     Che vien correndo a lor per quella strata.

         Questi era Pinadoro e Martasino,
     Daniforte e Mordante e Barigano,
     Che avean posto uno aguato in quel confino,
     Per pigliar quei che in rotta se ne vano.
     Come gli vidde il franco paladino,
     Verso di lor parlando alciò la mano,
     E disse: Stati saldi in su il sentiero!
     Non passati più avanti! Io son Rugiero.

         In ver da la più parte e’ non fu inteso,
     Perchè cridando uscia de la foresta.
     E Martasin, che sempre è de ira acceso,21
     Subito gionse e parve una tempesta.
     A Bradamante se ne va disteso,
     E ferilla aspramente nella testa;22
     Non avea elmo la meschina dama,
     Ma sol guardando al celo aiuto chiama.

         Alciando il scudo il capo se coperse,
     Chè non volse fuggir la dama vaga.
     Re Martasino a quel colpo lo aperse,
     E fece in cima al capo una gran piaga.
     Già Bradamante lo animo non perse,
     E riscaldata a guisa d’una draga
     Ferisce a Martasin di tutta possa;
     Ma Rugier gionse anch’esso alla riscossa.

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         E Daniforte cridava: Non fare!
     Non far, Rugier, chè quello è Martasino!
     Già Barigano non stette a cridare,
     Chè odio portava occulto al paladino,
     Ed avea voglia di se vendicare,
     Però che un Bardulasto, suo cugino,23
     Fo per man di Rugier di vita spento,
     Ma lui lo avea ferito a tradimento.

         Se vi racorda, e’ fu quando il torniero
     Se fece sotto al monte di Carena.
     Scordato a voi debbe esser de legiero,
     Chè io, che lo scrissi, lo ramento apena.
     Ora, tornando Barigano il fiero,
     Sopra a Rugiero un colpo a due man mena;
     Sopra la testa a lui mena a due mano,
     E ben credette di mandarlo al piano.

         Ma il giovanetto, che ha soperchia possa,
     Non se mosse per questo dello arcione;
     Anci, adirato per quella percossa,
     Tornò più fiero, a guisa di leone.
     Già Bradamante alquanto era rimossa
     Larga da loro; e, stracciato un pennone
     Di certa lancia rotta alla foresta,
     Con fretta avea legata a sè la testa.

         L’elmo alacciato e posta la barbuta,
     Tornò alla zuffa con la spada in mano.24
     La ardita dama aponto era venuta
     Quando a Rugier percosse Barigano.
     Lei speronando de arivar se aiuta,
     E gionse un colpo a quel falso pagano;
     Non par che piastra, o scudo, o maglia vaglia:
     A un tratto tutte le sbaraglia e taglia.

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         Rugiero aponto si era rivoltato
     Per vendicar lo oltraggio ricevuto,
     E vidde il colpo tanto smisurato,
     Che de una dama non l’avria creduto.
     Barigano in duo pezzi era nel prato,
     Nè a tempo furno gli altri a darli aiuto,
     A benchè incontinente e’ destrier ponsero;
     Ma, come io dico, a tempo non vi gionsero.

         Onde adirati, per farne vendetta
     Contra alla dama tutti se adricciarno.
     Rugier de un salto in mezo a lor se gietta,
     Per dipartir la zuffa, abenchè indarno;
     Non val che parli, o che in mezo se metta,
     E Martasino e Pinador cridarno:
     Tu te farai, Rugier, qua poco onore:
     Contra Agramante èi fatto traditore.

         Come quella parola e oltraggio intese
     Il giovanetto, non trovava loco,
     E sì nel core e nel viso se accese,
     Che sfavillava gli occhi come un foco;
     E messe un crido: Gente discortese,25
     Lo esser cotanti vi giovarà poco.
     Traditor sete voi; io non sono esso,
     E mostrarò la prova adesso adesso.

         Tra le parole il giovane adirato
     Urta il destriero adosso a Pinadoro.
     Or vedereti il campo insanguinato,
     E de duo cori arditi il bel lavoro.
     Chi gli assalta davanti, e chi da lato,
     Chè molta gente avean sieco coloro;
     Dico gli cinque re, de che io contai,
     Avean con sieco gente armata assai.

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         De’ suoi scuderi in tutto da cinquanta
     Avean sieco costoro in compagnia.
     El resto di sua gente, ch’è cotanta,
     Era rimaso adietro per la via;
     Ma se qui ancora fosse tutta quanta,26
     Già Bradamante non ne temeria;
     Mostrar vole a Rugier che cotanto ama,
     Che sua prodezza è assai più che la fama.

         Nè già Rugiero avia voglia minore
     Di far vedere a quella damigiella
     Se ponto avea di possa, o di valore,
     E lampeggiava al cor come una stella.
     Ragione, animo ardito e insieme amore
     L’un più che l’altro dentro lo martella;
     E la dama, ferita a tanto torto,
     L’avrebbe ad ira mosso essendo morto.

         Dunque adirato, come io dissi avante,
     Se adriccia a Pinadoro il paladino;
     Nè più lenta se mosse Bradamante,
     Che fuor de gli altri ha scorto Martasino.
     Ma questo canto non serìa bastante
     Per dir ciò che fu fatto in quel confino,27
     Onde io riservo al resto il fatto tutto,
     Se Dio ce dona, come suole, aiutto.28



  1. T lo; P. gli.
  2. Mr. battaglia e (el?) gran.
  3. P. D’un.
  4. Mr. non ne di; P. non v’è.
  5. P. Così cammina.
  6. P. campo è.
  7. Mr. e P. omm. E.
  8. Mr in sicilia.
  9. Mr. gionto.
  10. Mr. haven.
  11. T. e Mr. Reghio.
  12. P. si nomò.
  13. T. e Mr. ponto.
  14. T. omm. e.
  15. Mr. e P. prod. fu.
  16. Mr. roina.
  17. T. e Mr. treccia.
  18. Mr. e P. Gli occhi avevano.
  19. Mr. e P. sa pur.
  20. Mr. alcuno.
  21. P. omm. E.
  22. P. Ferilla asperamente.
  23. T. Mr. Bardalusto.
  24. P. torna.
  25. P. Oh gente.
  26. P. qui ancora.
  27. Mr. e P. che fu fatto.
  28. T. aiuto.