Memorie di un pazzo

russo

Nikolaj Vasil'evič Gogol' 1835 1916 Domenico Ciampoli Indice:Gogol - Novelle, traduzione di Domenico Ciampoli, 1916.djvu Novelle Memorie di un pazzo Intestazione 22 dicembre 2023 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Novelle (Gogol)


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MEMORIE DI UN PAZZO


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3 ottobre


Oggi è accaduta una singolare avventura. Stamattina mi sono alzato molto tardi, e quando Mavra mi ha portato gli stivali puliti, le ho chiesto che ora fosse. Avendo saputo che da un bel pezzo eran suonate le dieci, affrettai a vestirmi. Lo confesso; non avevo gran voglia di recarmi al Ministero, prevedendo che brutta faccia avrebbe fatta il nostro capo-sezione. Non è la prima volta che mi va dicendo: «Cosa son mai, fratello, tutte codeste corbellerie che ti ruzzano in testa? tu ti arrovelli talora come un indemoniato; tu aggrovigli, tal’altra, in guisa un affare, che lo stesso Satana non vi si raccapezzerebbe: tu metti al titolo una minuscola, e non metti poi data o numero d’ordine». Maledetto allocco! Certo è geloso ch’io sieda nel gabinetto del Direttore e che temperi le penne per Sua Eccellenza. A farla breve, io non andrei al Ministero, se non avessi la speranza di far una visitina al cassiere; e veder se vi sia mezzo di chiedere a quell’ebreo una piccola anticipazione, sia pur misera, sul mio stipendio. Altro bel tomo costui! Prima di dare il becco di un quattrino sul mensile che corre, oh, Signore Dio nostro, scoccherà l’ora del giudizio universale1 più presto. Chiedi e richiedi, crepa pure, muori di fame, colui non ti darà niente, quel vecchio demonio! E a casa poi, la cuoca gli regala scapaccioni e mostaccioli; si sa oramai da tutti. Non vedo che sugo si sprema nel servire in un ministero; non v’è risorsa che tenga; mentre nelle reggenze governative, nelle amministrazioni civili, nelle camere di finanza, è un altro paio di maniche; guarda lì, un tale cocciuto in un cantuccio, dove mette nero sul bianco; ha un soprabito sudicio, la testa tanto brutta che vien [p. 150 modifica]voglia di sputare2; eppure, sapessi che stipendio intasca! Non offrirgli una tazza di porcellana dorata. «Cotesto», direbbe, «è un donativo da medico. Dàgli invece una pariglia di corsieri, o un droski3, o una pelliccia di castoro da trecento rubli. A prima vista lui è dolcissimo, vi dice delicatissimamente: «Abbia la cortesia di favorirmi un temperino per temperare una penna»; ma intanto ripulisce così bene il postulante, da lasciargli appena la camicia. In verità, il servizio ne’ nostri uffici è davvero pulito: vi regna tale nettezza che la reggenza del governo non ne avrà mai tanta: i tavolini son d’acagiù e i capi non danno del tu. Sì, lo confesso; se non ci fosse stata tale distinzione nel servizio, avrei lasciato da un pezzo il Ministero.

Indossai una vecchia pellegrina, e presi l’ombrello poichè pioveva a catinelle. Non gente per via; solo, alcune vecchie che si riparavano col rovescio della sottana; anche mercanti russi sotto i parapiova e corrieri mi dettero nell’occhio. In quanto a persone per bene, non incontrai che un collega cinovnik4; lo scorsi in un crocicchio. Quando lo vidi, dissi fra me lì per lì: «Ah, no, piccioncino, tu non vai per lo appunto al ministero; tu ti affretti dietro colei che ti corre davanti e ne rimiri i piedini». Che bestione quel collega cinovnik! Per Dio, non la cede a un ufficiale; passi qualunque femmina in cappellino, e lui, senza fallo, le si appicca. Mentre pensavo a ciò, vidi una carrozza fermarsi davanti a un negozio, vicino al quale mi trovavo. La riconobbi subito; era la carrozza del nostro Direttore. «Ma che gli occorre in un negozio?...» pensai: «Certo, sarà sua figlia». Rasentai il muro. Un valletto aprì la portiera, e lei svolazzò dalla carrozza come un uccello. Quando lei guardò a diritta e a sinistra, quando lampeggiò fra sopracciglia ed occhi... oh mio signor Iddio, io fui perduto, addirittura perduto! Perchè la incontrai in quel giorno di pioggia? Vieni a sostenermi adesso che le donne non hanno un grande amore per i fronzoli! Lei non mi riconobbe; ma io m’imbacuccai apposta meglio che potetti, perchè avevo addosso quella pellegrina lercia, e quel ch’è [p. 151 modifica]peggio, di foggia antica. Usan ora pastrani a baveri lunghi, o a mantellette lunghe, mentre le mie eran corte e disposte l’una sull’altra, senza contar che la stoffa non era senza tacche.

La sua cagnolina, non avendo avuto il tempo a passar per la porta del negozio, era rimasta sulla via. Conosco quella cagnolina; si chiama Medji. Non era scorso un minuto, quando udii d’un tratto una vocina tenera: «Buondì, Medji». Quest’è curiosa! Chi ha detto così? Guardai e vidi due signore riparate sotto un ombrello, l’una vecchia, l’altra giovane: ma esse eran passate oltre, quando vicino a me s’intese di nuovo: «È un errore, Medji». Che diavolo! Vidi che Medji si fiutava con altra cagnolina, che seguiva le signore. «Oh!» dissi fra me: «no, certo, non sono briaco. Briaco, credo, m’avviene d’esserlo tanto di rado!»

«No, Fedele, hai torto di pensar così», seguita lei. Vidi bene con questi occhi che Medji parlava. «Sono stata guà, guà, sono stata guà, guà, molto malata!» O ve’ codesta cucciola: confesso, fui molto stupito nel sentirla parlare come persona; ma poi, quand’ebbi considerata meglio la cosa, non fui stupito più. E davvero in questo mondo avvengon molti casi simili. Si dice che in Inghilterra un pesce uscì un giorno a fior d’acqua e profferì due parole in lingua così strana che i dotti da ben due anni sudano a determinarla, senza aver potuto ancora concluder niente. Ho pur letto sui giornali la storia di due vacche, le quali entrarono in una bottega e chiesero due libbre di tè. Ma devo confessare che il mio stupore si accrebbe quando Medji disse: «Ti ho scritto, Fedele; certo, Polkan non ti ha portato la lettera». Se il diavolo mi porti, durante tutta la vita, io non ho inteso mai che un cane possa scrivere! Solo un nobile può scrivere correttamente. Sicuro: scrivon pure i mercanti e i popolani servi, talvolta; ma per lo più la loro scrittura è semplicemente meccanica; non virgole, non punti, non stile.

Ero proprio attonito. Confesso che da qualche tempo a questa parte, comincio a comprendere e vedere cose che niuno ha finora mai vedute o intese. Or vo’ seguire», dissi fra me, «questa cucciola, e saper chi è e cosa pensa». Apersi l’ombrello, e via, dietro alle due signore. Esse passaron per la Gorokhovaia, giraron per la Mescianskaia, di là nella Stoliarnaia, passarono alla fine il ponte Kokuskin, e si fermarono davanti a una gran casa. «Conosco [p. 152 modifica]questa casa», dissi fra me: «è la casa di Zverkov». Che casa! E che gente vi abita! cuoche, provinciali, a centinaia, e i miei colleghi cinovniki, come cani, addossati gli uni agli altri. Io ho là un amico che suona diversamente la trombetta. Le signore salirono al quinto piano. «Benissimo», pensai: «non andrò più in su; mi segnerò il punto, e, come mi venga a portata, coglierò la palla al balzo».


4 ottobre

Oggi era mercoledì: e però sono stato dal nostro Direttore nel suo gabinetto. Vi sono andato apposta di buon’ora, e, sedutomi a bell’agio, ho ritemperate tutte le penne. Il nostro Direttore dev’essere uomo intelligentissimo. Tutto il suo gabinetto è guarnito di scaffali pieni di libri. Ho letto il titolo di alcuni volumi: tutta roba erudita; erudizione alla quale non c’è verso di addentare per noi; tutto è francese e tedesco. Poi, basta guardarlo in viso: ah, che gravità gli spira dagli occhi! Non ho sentito mai dalle sue labbra una parola superflua. Solo, talora, quando gli recano una carta, domanda: «Che tempo fa fuori?». — «Piovoso, Eccellenza!». Oh, no; non c’è da paragonarlo neppure per idea a noialtri. È un uomo di Stato. Noto tuttavia che mi vuole proprio bene... Se anche sua figlia... Orsù, briccone!... Niente, niente! Acqua in bocca.

Ho letto la «Petite Abeille». Quei francesi sono un popolo di sciocchi. Vediamo un po’: cosa vogliono? Io li afferrerei tutti, per Dio, e giù, sotto le verghe! Ho letto anche l’amenissimo racconto di un ballo, descritto da un pomescik5 di Kursk. I pomescikij scrivono benissimo. Mi accorsi poi ch’era passata la mezza dopo mezzodì e che il nostro Direttore non era uscito dalla sua camera da letto. Ma verso l’una e mezza avvenne un fatto che niuna penna può narrare. Si aperse un uscio; credetti che fosse il Direttore, e balzai dalla sedia con un fascio di carte; invece era lei, proprio lei! Santi del Cielo, che splendore! e quando guardò... un sole! un sole, per Iddio! Salutò e chiese: «Il babbo dunque non è qui?». Ahi, ahi, ahi, che vocina! Un canarino, addirittura un canarino! «Vostra Eccellen[p. 153 modifica]za», volevo dirle, «non mi comanda di picchiarmi, ma se tuttavia vuol picchiarmi lei, lo faccia pure con la sua manina aristocratica». Ma, che il diavolo mi porti, la lingua non mi si sciolse, e risposi semplicemente: «Non è qui»: Guardò allora me, guardò i libri e si lasciò cadere il fazzoletto. Accorsi, scivolai sul maledetto pavimento e poco mancò non mi schiacciassi il naso; nondimeno mi rifeci, e raccolsi il fazzoletto. Santi del Cielo, che fazzoletto! Finissimo, di batista; ambra, ambra purissima, d’onde esalava come un profumo di generalato. Lei mi ringraziò, e sorrise quasi, così che le sue labbra zuccherine si toccaron lievemente, e se ne andò. Io rimasi là, seduto ancora un’ora. D’improvviso comparve un valletto, che mi disse: «Vada pure a casa; Aksentij Ivanoric, mio padrone, non esce dalle sue stanze». Io non posso sopportare la genia dei valletti; se ne sta sempre sdraiata nell’anticamera e non degna di far neppure un cenno del capo. E questo è niente; un giorno, uno di questi Oresti, dimenticando chi era, si permise di offrirmi una presa di tabacco. Ma sai tu, sai tu, stupido servo, che io sono funzionario, che sono di nobile stirpe?

Presi intanto il cappello, imbracciai da me la pellegrina, giacchè quei messeri non ve la presentan mai, e uscii. A casa rimasi sul letto quasi tutto il mio tempo. Poscia, copiai bellissimi versi:

          «Se da un’ora non vegga la mia
          Mi pare un anno. Or se
          L’attesa nel dolor sembra infinita,
          Posso vivere ancor?» dico fra me.

Questa poesia dev’essere di Puskin. A sera, indossata la pellegrina, me ne andai verso il portone a scalini di Sua Eccellenza, e aspettai lungamente se mai ella venisse a salir in carrozza, per poter rivederla ancora una volta; ma no, lei non è uscita.

6 novembre

Il nostro capo-sezione è sulle furie. Quando son giunto al Ministero, mi ha chiamato a sè e ha preso a parlarmi così: «Orsù, dimmi, se ti garba, cosa fai?». — «Come? Che faccio? Non faccio niente», ho risposto... «Via; pensa [p. 154 modifica]un po’. Tu hai sorpassata la quarantina; è tempo di mettere senno. Che credi? Credi che io non sappia le tue scappatelle? E ora fai la corte alla figlia del Direttore. Orvia; rimirati un momento, e pensa a quel che sei!... Tu non sei che uno zero e nulla più. Tu non possiedi un gros6, il becco di un quattrino. Guardati un po’ nello specchio.... Come ti è potuto passare in testa una cosa simile?».

Il diavolo mi porti, se poi la faccia sua non somiglia a una ampolla da speziale! Ha in testa un ciuffo di capelli acconciati a cresta, che tira su, in aria, e poichè se li unge con pomata alla rosa, crede che lui solo possa quel che vuole. Capisco, capisco, ciò non lo cruccia contro di me, Lui mi invidia, ha forse veduto i segni di preferenza accordatimi. Ma io gli sputo addosso! Gran che, un consigliere di corte!7. Lui porta una catena d’oro, si ordina stivali da trenta rubli; ma che il diavolo lo porti, forse io appartengo alla plebaglia, ai figli dei sottufficiali? Io sono nobile. E poi, in fin delle fini, posso anche io avanzar nella carriera. Aspetta, caro! Diventeremo anche noi colonnello! e poi, coll’aiuto di Dio, qualcosa di meglio ancora. Anche noi acquisteremo un appartamento, e più bello del tuo! Che ti sei fitto in capo? Che tu solo sei al mondo un uomo per bene? Dammi, non dico altro, una marsina di gala, di nova foggia, annodami una cravatta come la tua, e tu, tu non sarai degno di levarmi le scarpe... Io non ho quattrini... ecco la mia sventura!

8 novembre

Io sono stato a teatro: si dava il Buffone russo Filalka. Ho riso molto. C’era anche una canzonetta in versi giocondi, sugli avvocati, massime sopra un registratore di collegio8; versi audacemente scritti, tanto audaci, ch’io mi meravigliai come la questura li avesse lasciati correre; è pei mercanti, si diceva, senza tanti preamboli, che truffano la gente, mentre i figli si danno bel tempo e scimiottano i nobili. V’era anche un’arietta contro i giornalisti; che essi aman dir male di tutto, e che l’autore si metteva sotto la [p. 155 modifica]protezione del pubblico. Gli scrittori del tempo nostro scrivono versi molto ameni. — A me piace l’andare a teatro. Appena qualche monetina ci tintinna nelle tasche, non possiamo resistervi dall’andarvi. E tuttavia fra i nostri colleghi funzionari, ci son tanti bestioni che non ci vanno di proposito deliberato, tranne quando si regalano loro biglietti gratuiti. Io penso a lei... Olà, briccone!... Niente, niente...

9 novembre

Verso le otto sono andato al Ministero. Il capo-sezione ha assunto l’aria di non notare il mio arrivo. Ed io, a mia volta, finsi che tra noi non fosse niente di comune. Ho rivisto e collazionato carte. Son venuto via alle quattro, passando vicino al quartiere del Direttore; ma non mi è venuto fatto di scorgere cosa alcuna. Dopo il desinare, ho passato nel letto quasi tutto il mio tempo.

11 novembre

Oggi sono stato ad adagiarmi nel gabinetto del nostro direttore, e ho ritemprate per lui e per lei... ventitrè penne... Ahi, ahi!... per Sua Eccellenza quattro penne. Piace al nostro Direttore veder abbondanza di penne. Ah, dev’essere proprio una testa quadra! Tale sembra bensì, ma quella testa deve scrutar tutto. Vorrei sapere a che cosa pensi di più. Vorrei vedere inoltre più da vicino la vita di questi signori, gl’intrighi, le astuzie di corte: come sono, che fanno nella loro cerchia; ecco che cosa desidererei conoscer bene. Mi è venuto in mente talora di appiccar discorso con Sua Eccellenza; ma, se il diavolo mi porti, la lingua non mi obbedisce punto; si dice al solito, che fa freddo o tiepido di fuori, e addirittura nient’altro. Ho gran desiderio di vedere il salone, del quale si trova talvolta l’uscio aperto; e, dopo il salone, una certa stanza... Oh, che ricchezza di ornamenti! Che specchiere, che porcellane! Vorrei penetrar coll’occhio là, nella porta dov’è Sua Eccellenza la Signorina, ecco; vorrei trovarmi proprio là, nel suo salottino segreto; esaminar quei vasettini, quelle fialette, quei fiori, che quasi mette paura ad aspirarli; come giaccion le sue vesti, abbandonate al vento, più simiglianti ad aria, [p. 156 modifica]che a vesti... Vorrei veder la camera da letto... Ivi, suppongo, saranno meraviglie; ivi, credo, è il paradiso quale non è nei cieli. Esaminar quel piccolo cuscino, sul quale, nell’uscir di letto, posa i piedini; veder quel piedino appunto con calza bianca come la neve... Ahimè, ahimè!... Niente, niente!... Zitto!

Oggi ecco, non di meno, schiarirmi un raggio; e mi son ricordato del dialogo fra le due cucciole, inteso sulla Prospettiva della Nevà. «Benissimo», ho pensato fra me: «ora vo’ mettere tutto in chiaro. Occorre prendere il carteggio scambiatosi fra quelle due bestiolinacce. Di là, certamente, scoprirò qualcosa». Confesso, avevo già una volta chiamato a me Medij e le avevo detto: «Senti, Medij, vedi che ora siam soli; se vuoi, posso anche chiuder l’uscio, perchè nessuno ci veda: raccontami quel che sai sulla tua padroncina, che cosa è, come vive. Ti giuro di non fiatarne con anima viva». Ma l’astuta cagnetta si mise la coda fra le gambe, si raccolse, e via verso l’uscio, come se non avesse udito parola. Da un pezzo sospettavo che il cane fosse più intelligente dell’uomo; ero già sicuro che può parlare, e che se non parla, è solo per testardaggine. E un singolare politicone; scruta ogni cosa, ogni passo dell’uomo. Sì, qualunque cosa avvenga, domani mi recherò in casa di Zverkov, interrogherò Fedele, e, se mi viene il destro, le prenderò tutte le lettere scrittele da Medji.

12 novembre

Verso le due del pomeriggio, mi sono avviato per andare a veder Fedele e interrogarla. Detesto il tanfo di cavoli ch’esce da tutte le bottegucce della Mescianskaia; di sotto le porte di ogni casa sbuffa tal lezzo, che, turandomi il naso, mi detti a correre da perdere il fiato. Lerci artigiani poi lascian scorrere dalle luride officine sugna fetida fumante, così ch’è addirittura impossibile a una persona per bene il girarvi. Quando fui giunto al sesto piano, e tirai il campanello, vidi comparire una ragazza, non tanto brutta, con macchioline di rossore. La riconobbi; era quella che accompagnava la vecchia signora. Arrossi alquanto e subito compresi. — «Tu, cara, tu cerchi marito». — «Che desidera?» — domandò. — «Vorrei parlare alla sua cagnolina». Quella ragazza era stupida; capii lì per lì ch’era stupida. La cucciola accorse su quel punto abbaiando; vol[p. 157 modifica]li prenderla, ma la ribalda poco mancò non m’addentasse il naso. Vidi intanto la sua cuccia in un canto. Ah, ecco appunto quel che mi occorre! Mi avvicinai al covaccio, ne mossi la paglia nel cestone di legno, e con sommo giubilo, ne trassi un pacchettino di foglietti. Ciò vedendo, la maledetta bestiola prese a saltarmi a’ polpacci; ma poi, scorto che avevo preso le carte, pur abbaiando, parve volermi addolcire: «No, colomba, addio!» le dissi, e via, correndo fuori. Credo che la fanciulla mi abbia preso per pazzo, poichè sembrava molto spaventata. Tornato a casa, volevo subito mettermi all’opera e scorrere le lettere, poichè alla luce leggo con qualche stento; ma Mavra stava lavando il pavimento; si sa, queste balorde cukuki9 son sempre nette a proposito. E però me ne sono andato a spasso, a riflettere sulla curiosa ventura. Adesso, alla fine, conoscerò tutti i fatti, tutti i pensieri, tutte le fila, e strigherò la matassa. Queste lettere sveleranno l’arcano. I cani son di natura intelligenti: san tutte le relazioni politiche; e così tutto si troverà là: il ritratto e gli eventi di quell’uomo. Troverò anche lì qualcosa su colei... Basta! Silenzio! Son ritornato in casa a sera, e son rimasto a letto la maggior parte del mio tempo.

13 novembre

Orsù, vediamo! Esaminiamo! Una lettera abbastanza leggibile, se pur nella scrittura è qualcosa di canino. Leggiamo da cima a fondo.

«Cara Fedele! Non posso proprio abituarmi a codesto tuo nome borghese! Come se non si trovasse di meglio! Fedele, Rosa... che, brutto gusto! Ma lasciamo questo da parte. Io son felicissima di aver pensato di scriverci a vicenda».

La lettera è scritta correttissimamente. La punteggiatura, e sin la lettera iati10, sono al posto loro. No; il nostro capo-sezione non scrive così, sebbene dica di avere studiato in una università. Vediamo più giù.

«Mi sembra che il comunicare ad altro pensieri, sentimenti, impressioni, sia uno de’ maggiori piaceri di questo [p. 158 modifica]mondo». O ve’: questo pensiero è tratto da un’opera tradotta dal tedesco! Ne ho scordato il titolo.

«Ti dico ciò per esperienza, sebbene io non sia stata nel mondo mai più in là della porta di casa. Non scorre forse la mia vita nell’abbondanza? La mia padroncina, che il babbo chiama Sofia, mi ama follemente».

Ahimè, ahimè!... Niente, niente! Zitto!

«Anche il babbo mi carezza spesso. Bevo tè, caffè con crema. Ah, ma chère!11. Devo dirti che non trovo piacere di sorta negli ossoni che il nostro Polkan rode e divora in cucina. Non mi piacciono, fra le ossa grosse, che quelle della selvaggina, massime quando non ne hanno succhiato il midollo. Bonissimo è mescolarvi un bel po’ di salsa, ma senza capperi o legumi; però, stimo non ci sia cosa peggiore quanto l’uso di dare ai cani pallottoline di pane a tortello. Un messere qualunque, seduto a mensa, che ha preso con le mani ogni specie di lordure, indura fra le dita del pane, lo chiama e gli ficca delle pallottoline fra i denti. Rifiutarle, sarebbe scortesia... allora, tu ingozzi, nauseato bensi, ma ingozzi...».

Solo il diavolo sa che cosa voglia dir cotesto. Che sciocchezze! Come se non vi fosse di meglio per scrivere! Vediamo un’altra pagina; può darsi che vi trovi qualcosa di più ragionevole.

«Son disposta col più gran piacere a raccontarti tutti i fatti che avvengon da noi. Ti ho già parlato del padrone, chiamato babbo da Sofia. È un uomo stupefacente...».

Ah, eccoti alla fine! Sì, lo sapevo: in essi trovasi una veduta politica sovra qualsiasi oggetto. Vediamo sul babbo.

«... un uomo stupefacente; rimane sempre muto; parla rarissimamente. La settimana passata egli diceva continuamente fra sè: «L’avrò o non l’avrò?». Prendeva una carta fra una mano, chiudeva l’altra vuota, e diceva: «L’avrò o non l’avrò?». Si volse una volta a me e mi chiese: «Che ne pensi, Medij? Lo avrò o non l’avrò?». Non ci capivo niente; gli annusai gli stivali e uscii. Poco dopo, ma chère, in capo a una settimana, il babbo rientrò tutto raggiante... durante la mattinata vennero per casa tanti signori in uniforme, che si congratulavano di non so che. [p. 159 modifica]A tavola egli era più allegro che non l’avessi mai visto sino allora, e narrava storielle. Dopo il pasto, mi prese pel collo e mi disse: «Via, guarda, Medij, ch’è mai questo!». Vidi un nastrino. Lo annasai; ma, in verità, non aveva odore; infine, lo leccai pian piano; era un po’ sudicio...».

O ve’; codesta cucciola mi pare troppo... Perchè non la staffilano? Insomma, lui è ambizioso. E ciò sta bene notare.

«Addio, ma chère... Scappo... et cætera... Domani finirò la lettera... Ah, buondì! Eccomi di nuovo a te. Oggi la mia padroncina Sofia...».

Ah, vediamo che dice di Sofia... Olà, briccone!... niente, niente. Seguitiamo:

«...la mia padroncina Sofia era tutta affannata. Si preparava per un ballo e io sono stata felicissima pensando che durante la sua assenza potrò scriverti. La mia Sofia è beata sempre quando va a’ balli, sebbene ogni volta si adiri mentre si veste. Non capisco perchè la gente si vesta; perchè non vanno come noi, ad esempio? Si sta benissimo e più tranquilli. E neppure capisco, ma chère, la felicità di andare al ballo. Sofia torna quasi sempre dal ballo verso le sei del mattino, e mi accorgo quasi ogni volta, da quell’aria di pallore, di vuoto, che non le han dato niente da mangiare. Sventurata! Confesso che io non potrei vivere così. Se non mi dessero salse con una starna o una aletta di pollo arrosto, allora... chi sa che mi avverrebbe! Anche la salsa al semolino è bonissima; ma la carota, la rapa, i carciofi... tutta roba da buttar via...».

Questo stile è singolarmente ineguale. Si vede subito che non scrive un uomo. Comincia convenevolmente, e finisce in... canaglia. Vediamo ancora un’altra lettera; qualcosa un po’ lunga. Guarda; qui non c’è data:

«Ah, très chère, come si sente l’avvicinar della primavera! Mi batte il cuore come se aspettasse qualcosa. Ho nelle orecchie un continuo corneamento, tanto che certe volte, alzando una zampa, rimango per alcuni minuti ad ascoltare alla porta. Ti svelerò che ho molti corteggiatori. Li guardo spesso seduta sulla finestra. Ah, se sapessi, fra loro, quanti son brutti! Un di essi, rozzo can da cortile, terribilmente balordo, che porta la stupidità sulla faccia, se ne va serio serio per la via, si crede un personaggio importante e pensa che tutti sieno là per mirarlo. Io non gli ho badato punto, proprio come se non lo vedessi. E quell’alano se ne sta pure dinanzi alla mia finestra! Se si drizzasse sulle [p. 160 modifica]zampe di dietro, cosa che il villanaccio certo non sa fare, sorpasserebbe di tutta la testa il babbo della mia Sofia, che pure è toroso e di alta statura... quello stupido deve essere un vero manigoldo. Gli ho ringhiato appresso, ma è quasi niente per lui; non ha neppure aggrottato le ciglia; anzi, ha cavato la lingua; si è lasciato cader le orecchie all’indietro, e ha guardato la finestra come un muzik...12. Ma è possibile tu creda, ma chère, che il mio cuore sia insensibile a tante richieste? Ah, no!... Se tu vedessi un certo cavaliere, che si è introdotto nel cancello della casa vicina! Si chiama... Tesoro... Ah, ma chère, ha un musetto!...».

Via, via, al diavolo!... che scipitaggini! Come mai si può riempire una lettera con simili corbellerie? Datemi un uomo, voglio vedere un uomo! Ho bisogno di nudrimento spirituale, che mi alimenti e allieti l’anima; e, invece di questo, quante inezie! Voltiamo pagina; sarà forse meglio.

«... Sofia era seduta presso una tavola e cuciva... Io stavo alla finestra perchè godo nel veder passare la gente, quand’ecco entrare di botto un servo che dice: «Teplov!» — «Entri!» esclamò Sofia, e corse ad abbracciarmi. «Ah, Medij! Se tu sapessi chi è! Bruno, gentiluomo della camera; e che occhi! Neri come agata». E Sofia scappò nelle sue stanze. Un minuto dopo, entrò il giovine gentiluomo di camera con favoriti neri; andò verso lo specchio, si lisciò i capelli, e osservò la stanza. Io ringhiavo, seduta al mio posto. Sofia rientrò quasi subito; salutò lietamente con un inchino; io, come se non vedessi niente, seguitai a guardar dalla finestra; tuttavia voltavo un po’ la testa e tentavo di sentire quello che dicevano. Ah, ma chère, che ciance, che ciarle sciocche! Parlavano di questo: una signora, ballando, invece di una figura, ne aveva fatta un’altra; e poi dicevano che un certo Bobov, col suo cravattone spiovente di pizzi, sembrava una cicogna e poco era mancato non cadesse; che una tale, chiamata Lidina, credeva avere gli occhi azzurri, mentre li aveva verdi, e perdevan tempo in altre cose simili. «Come mai», pensavo fra me, «paragonare quel gentiluomo di camera con Tesoro? Cielo, qual differenza! Prima di tutto, la faccia di quel gentiluomo è larga e affatto schiacciata, e ha intorno intorno i favoriti, che [p. 161 modifica]la circondano come una benda nera, mentre Tesoro ha un musettino acuto, e sulla testa una macchietta bianca. In quanto alla snellezza poi, è impossibile qualunque paragone col gentiluomo di camera. Ma gli occhi, le movenze, la maniera... non è pur da parlarne! Oh, quanta differenza! Io non so, ma chère, cosa lei trovi nel suo Teplov. Perchè dunque ne è rapita?...».

A me pare invece che qui ci sia qualche inesattezza. Non può essere che Teplov l’abbia potuta ammaliare così. Vediamo appresso.

«Mi sembra che se il gentiluomo le piace, allora le piacerà subito anche quel cinovnik che si adagia nel gabinetto del babbo. Ah, ma chère, se tu lo conoscessi, che mostro! Proprio una tartaruga nel sacco!...».

Di qual cinovnik conta costei?

«Il suo nome di famiglia è curiosissimo. Sta sempre seduto e tempera le penne. Ha i capelli, su su in testa, addirittura simili a fieno. Il babbo certe volte lo fa chiamare in vece del servo...».

Mi pare che questa lurida cagnetta alluda a me. Dove ha mai veduto che i miei capelli somigliano al fieno?

«Sofia, quando lo vede, non può trattenere le risa...».

Tu mentisci, maledetta cucciola! Che mala lingua! Come s’io non sapessi che c’è di mezzo la gelosia! Come s’io non sapessi d’onde vien codesto tiro! È un difettuccio del capo-sezione. Quell’uomo m’ha votato un odio implacabile... e, vedi, mi nuoce, mi nuoce, mi nuoce ad ogni piè sospinto. Leggiamo intanto una lettera ancora. Là, forse, la matassa si strigherà da sẻ.

«Ma chère Fidèle, scusami se non ti ho scritto da un pezzo. Era in un’ebrezza completa. Ha davvero ragione lo scrittore quando dice che l’amore è una seconda vita. Vi sono poi stati da noi grandi cambiamenti. Il gentiluomo di camera viene adesso in casa ogni giorno. Sofia è innamorata pazza di lui. Il babbo è contentissimo. Ho pure inteso dire dal nostro Gregorio, che, quando spazza l’impiantito, parla da solo a solo, come le nozze si faranno presto, giacchè il babbo vuole assolutamente veder Sofia o con un generale, o con un gentiluomo di camera, o con un colonnello di esercito...».

Il diavolo lo porti! Io non posso legger oltre. Tutto consiste in ciò: o un generale o un gentiluomo di camera. Quanto è di meglio al mondo, si riduce, dunque, o a un [p. 162 modifica]generale o a un gentiluomo di camera. Ma sei ricco, molto ricco? chiedi la sua mano, e allora eccoti scomparire il gentiluomo di camera e il generale. Lo trascini il diavolo!...

Io vorrei diventar generale, non per chiedere la sua mano e il resto, no; vorrei esser generale per veder come sarebbero estasiati, e come userebbero tutte le astuzie, tutte le arti cortigianesche, e per dir loro poi che io sputo sopra entrambi. Oh, diavolo, quant’è seccante! Ho strappato a pezzettini le lettere di quella stupida cagna!

3 decembre

Non può essere! Son frottole! Non vi sarà matrimonio. Su via! Che vuol dire esser gentiluomo di camera? E nient’altro che una dignità, ove non è cosa visibile che si possa toccar con mano. In fin delle fini, pel solo fatto che colui è gentiluomo di camera, non ha aggiunto un terzo occhio in fronte. Il suo naso non è d’oro, ma è come il mio, come quello d’ognuno; e con quel naso annusa, non mangia, starnuta e non tossisce. Varie volte ho voluto scrutare onde derivino tutte codeste varietà. Perchè io sono consigliere titolare? Onde avviene? Può essere benissimo ch’io non sia punto consigliere titolare. Forse son conte, son generale, e, solo in apparenza, son consigliere titolare. Forse non sono quel che credo di essere. Quanti esempi di ciò nella storia! Un uomo comune, neppur nobile, semplicemente borghese o addirittura contadino, a un tratto si scopre gentiluomo o barone o qualcosa di simigliante.

Se da un contadino può venir tanto, che può venire da un nobile? D’improvviso, per esempio, io arrivo in divisa di generale... ho sulla spalla destra una spallina, sulla sinistra una spallina, e a mo’ di croce un nastro azzurro. Ebbene? In che tono canterà la bella, allora? che dirà lo stesso babbo, il nostro Direttore? Oh, quello lì, è un solennissimo ambizioso; è... un framassone, certo un framassone; e sebbene lui finga costi e colà, io ho subito scoperto che è [p. 163 modifica]un framassone. Quando vi dà la mano, sporge solo due dita. Ma non posso forse anch’io essere promosso in questo momento generale, governatore, o intendente, o altro? Vorrei ben sapere: perchè sono consigliere titolare? perché proprio consigliere?

5 decembre

Oggi ho letto durante l’intera mattinata i giornali. Avvengono cose singolarissime in Ispagna. Io non giungo neppure a capirle bene... Scrivono che il trono è vacante, che i poteri si trovano in seri imbarazzi per la scelta del successore, e che di là derivino i tumulti. Stimo codesto molto strano: Come mai un trono può essere vacante? Dicesi che una certa doña debba ascendere su quel trono. Codesto non si può. Sopra un trono, dev’essere un re, «senza dubbio»; dicono: «ma se il re non c’è?». Non può avvenire che il re non ci sia. Uno Stato non può esistere senza re. C’è il re. Solo, si trova incognito in qualche luogo. Trovasi forse anche qui; ma ragioni sue particolari o di famiglia, o timori da parte degli Stati vicini, come la Francia ed altri paesi, lo costringono a nascondersi... e vi possono essere anche altri motivi.

8 decembre

Avevo deciso di recarmi al Ministero; ma varie ragioni e riflessioni mi hanno trattenuto. Gli affari di Spagna non vogliono davvero uscirmi di mente. Come mai può avvenire che una doña diventi regina? Non lo permetteranno. E prima di tutti, non lo permetterà l’Inghilterra; e poi, anche gli affari politici dell’intera Europa, l’imperatore d’Austria, il nostro imperatore. Lo confesso: questi avvenimenti mi hanno talmente sconvolto e stremato da non poter badare ad altro durante tutta la giornata. Mavra mi ha fatto osservare che a mensa io era singolarmente distratto. E in verità, ho gettato sull’impiantito due piatti, a quel che pare, appunto per distrazione, che si son rotti... Dopo desinare, sono stato vicino alla montagna, senza trarne niente di giovevole. Poi son rimasto sul letto quasi tutto il mio tempo, pensando e ripensando agli affari di Spagna. [p. 164 modifica]

Anno 2000, 43 aprile

Oggi è il giorno del trionfo supremo. C’è un re nella Spagna. È trovato il re, il re son io! Solo oggi ho saputo questo. Confesso: tutto mi si è schiarito in mente d’improvviso, come in un baleno. Non capisco come mai ho potuto credere, anzi imaginare di essere consigliere titolare. Come mi è potuta passar in testa un’idea così balorda, così folle? Meno male che non sia venuto in capo ad alcuno di cacciarmi in una casa di pazzi! Ora tutto mi si è rivelato; ora vedo tutto come sulla palma della mano. E prima, io non capivo niente; prima, ogni cosa mi stava davanti come avvolta nella nebbia. E tutto ciò deriva, credo, dal perchè la gente suppone che il cervello umano trovasi nella testa: nient’affatto; esso è portato dal vento spirante dal mar Caspio... Sulle prime, ho svelato a Mavra chi sono. Quando ha saputo che aveva dinanzi agli occhi il re di Spagna, ha battuto le mani ed è stata sul punto di morir dalla paura; è una sciocca che non ancora ha veduto un re di Spagna. Mi sono tuttavia sforzato di calmarla, e, con amabili frasi, darle fede nella mia benevolenza, dicendole che non sono punto adirato perchè lei qualche volta mi ha mal pulite le scarpe. Appartiene al popolo basso, e non è possibile tenerle altri discorsi. Era addirittura terrificata poichè credeva che tutti i re in Ispagna rassomiglino a Filippo II. Ma io le ho spiegato che fra me e Filippo II non è alcuna analogia e che vicino a me non si trovan cappuccini. Non sono andato al Ministero. Vadano al diavolo! No, cari miei; adesso voi non mi prenderete più; io non copierò più le vostre luride carte!

86 Martobre, fra il giorno e la notte

Il nostro usciere è venuto oggi per pregarmi di andare al Ministero, giacchè, da oltre tre settimane, non adempio le mie funzioni. Ma gli uomini sono ingiusti; loro fanno i conti a settimana. Sono gli ebrei che stabiliscono codeste costumanze, poichè, durante quel periodo, il loro rabbino si lava. Tuttavia, per ischerzo, mi son recato al Ministero. [p. 165 modifica]Il capo-sezione credeva che io andassi a salutarlo e a scusarmi; ma io l’ho guardato con indifferenza, senza troppo sdegno o benevolenza, come se non vedessi anima viva. Guardavo tutta quella combriccola burocratica e pensavo: «Che avverrebbe se costoro sapessero chi è seduto fra loro?». Signore Iddio, quante follie farebbero! Lo stesso capo-sezione comincerebbe dall’inchinarsi fino a terra, come fa adesso col nostro Direttore. Mi portarono innanzi alcune carte, perchè le copiassi. Ma non le toccai neppure col mignolo. Dopo alcuni minuti, ecco tutti appaiono sconvolti. Dicevano che stava per passare il Direttore. Molti cinovniki si disponevano a gara per mostrarglisi; ma io non mi mossi dal posto. Quando passò nella nostra sezione, tutti abbandonarono l’uniforme; io invece rimasi lì, com’ero. Che cosa è un Direttore? Ch’io mi alzi inanzi a lui? Mai! Chi è codesto Direttore? È un turacciolo e non un Direttore. È un turacciolo comune, un semplice turacciolo, e nient’altro, come quello con cui si tura una bottiglia. Quel che per me è stato più ameno, avvenne quando mi portarono a firmare una carta. Credevano che in calce al foglio io scrivessi: Il capo di Ufficio Tizio di Caio». Baje! In testa al foglio, proprio là dove firma il Direttore del Ministero, scrissi a grandi lettere: «Ferdinando VIII». Bisognava vedere che rispettoso silenzio regnò d’intorno; ma io feci solo un cenno di mano, dicendo: Io non chiedo alcun segno di sommissione!» e uscii. Di là, andai difilato nell’appartamento del Direttore. Lui non c’era. Un valletto volle impedirmi l’entrata, ma io gli dissi tal parola, che si lasciò cadere le mani. Così vo diritto al salottino da toeletta. Lei era seduta davanti lo specchio; trasalì e si scosto da me. Non le avevo tuttavia detto che ero il re di Spagna. Le dissi solo che stava per allietarla una grande gioia, sì grande che lei non poteva neppur figurarsela, e che, a malgrado degli intrighi dei miei nemici, diverremmo l’uno dell’altra. Non volli dirle altro e me ne andai. Oh, la donna è un essere audace: solo adesso capisco che cosa è la donna. Sinora nessuno ha saputo di che cosa è innamorata: l’ho scoperto io, pel primo. La donna è innamorata del diavolo. Sì, del diavolo, sul serio. I fisici scrivon fandonie, dicendo, dicendo ch’è questo o quello; ella ama unicamente il diavolo. Ve’: da un palco di prima fila, lei fissa qualcosa con l’occhialetto. Voi supponete che guardi quel messere bracalone, che ha una placca cavalleresca. Niente affat[p. 166 modifica]to. Lei guarda il diavolo, che le sta alle spalle. Eccolo: lui si nasconde sotto la marsina; ecco, di là le fa un cenno col dito. E lei lo seguirà, lo seguirà. Guardate tutti coloro, decorati, granduchi, guardateli. Intrigano, si ficcano nella corte, si proclaman patrioti e questo e quello; ma codesti patrioti vonno arende, buone arende13. Rinnegano le madri, padri, Dio, pel danaro, codesti ambiziosi, che venderebbero Cristo! Tutto ciò è schietta ambizione, e questa ambizione deriva da questo, che sotto la lingua c’è un bottoncino, nell’intimo del quale è un vermicello, come la capocchia di uno spillo, e autore di tutto codesto è un certo barbiere che dimora nella Gorokhovaia. Non ricordo più come si chiami; ma si sa del rimanente che con una levatrice egli vuol propagare nel mondo intero il maomettismo; ed è perciò che in Francia, assicurano, la maggior parte del popolo riconosce la fede di Maometto.

Senza data. Il giorno non aveva data.

Sono stato in incognito sulla Prospettiva della Nevà. Vi passeggiava l’Imperatore. Tutti si levavano il cappello; anch’io ho fatto lo stesso; e però non ho dato alcun indizio ch’io fossi il re di Spagna. Ho creduto non fosse conveniente il rilevarsi così, dinanzi a tutti; è necessario esser prima presentato alla corte. Me lo ha impedito finora il fatto ch’io non ho il costume nazionale spagnuolo. Se avessi almeno un mantello! Volevo ordinarlo a un sarto; ma costoro son ciuchi addirittura; di più, trascurano il lavoro, si gettano negli affari e passano il miglior tempo a logorare il lastrico delle vie. Ho deliberato di farmi un manto con un bell’uniforme nuovo, che ho indossato solo due volte. Ma perchè quei guastamestieri non me lo concino male, ho deciso di cucirlo da me, dopo aver chiuse le porte, che nessuno veda. L’ho tagliato intero con le forbici; il taglio in fatto differisce completamente. [p. 167 modifica]

Non rammento la data. Neppure il mese.

Il diavolo sa in qual momento.

Il mantello è bell’è cucito, interamente. Mavra ha strillato nel vedermelo addosso. Eppure non mi sono ancora risolto di presentar a corte, finora non è giunta di Spagna alcuna deputazione. Senza inviati non è conveniente; non si crederebbe alla mia dignità. Io li aspetto da un’ora all’altra.

Il primo

La lentezza degli inviati mi sorprende immensamente: che ragioni avrebbero potuto trattenerli? Non sarebbe mai la Francia? Sì; è dessa, la potenza più ostile. Sono andato a prender novelle alla posta, se fossero giunti inviati spagnuoli; ma il mastro di posta, un vero melenso, non sa niente. «No,» ha risposto; «qui non c’è nessun inviato spagnuolo; ma se lei desidera scivere una lettera, noi la spediremo per la solita via». Se lo porti il diavolo; qual lettera!... una lettera? Una lettera è... una sciocchezza. Gli speziali scrivon lettere, dopo d’essersi inumidita la lingua con l’aceto, perchè altrimenti avrebbero la faccia tutta coperta di erpete.

Madrid, il 30 febbraio

Eccomi alla fine in Spagna, e in così poco tempo, che non credo quasi a me stesso. Delegati spagnuoli sono comparsi stamane al mio cospetto, e io mi sono adagiato con loro in una carrozza. La velocità mi è parsa proprio sorprendente. Noi siamo stati tanto rapidi che in capo a una mezz’ora siamo giunti alle frontiere spagnuole. Non c’è che dire: oramai, in tutta Europa, le strade ferrate e le navi a vapore vanno come il vento. Che strana terra, la Spagna! Quando siamo entrati nella prima stanza, eccoti vedo una moltitudine di teste rase. Ho supposto tuttavia che siano soldati, che per ciò si rasano la testa... Addirittura stupefancenti mi son parse le maniere del Cancelliere di Stato; mi ha preso per mano, e mi ha spinto in una celletta dicendo: «Siedi costì; e se t’esce ancor di bocca che [p. 168 modifica]tu sei il re di Spagna, te ne toglierò la voglia». Ma io, sapendo che quella era solo una prova, ho risposto con un rifiuto. Allora il cancelliere mi ha percosso due volte la schiena con un bastone e così forte che stavo per gridare; ma mi trattenni ricordando che quello è un uso cavalleresco adoperato nel ricevimento per l’assunzione ad alti gradi; la Spagna, in fatto, ha conservato sino ad ora le costumanze cavalleresche. Rimasto solo, risolvetti di occuparmi d’affari di governo. Ho scoperto che la Cina e la Spagna sono una sola, unica terra, e che solo per mera ignoranza esse son considerate come Stati differenti. Consiglio a tutti di scrivere sulla carta Spagna», e ne uscirà «Cina». Tuttavia, un fatto mi ha profondamente contristato, fatto che deve avvenir domani. Domani, alle sette, si compirà uno spaventevole avvenimento: la terra crollerà sulla luna. Il celebre chimico inglese Wellington ha scritto sull’argomento. Lo confesso: ho provato una stretta al cuore, quando mi son figurato la singolarissima delicatezza della luna e la lieve solidità. La luna, in effetto, è di solito fatta in Amburgo ed è fatta malissimo. Resto attonito che l’Inghilterra non vi badi. Essa è fatta da un bottaio zoppo, ed è evidente che lo scemo non abbia alcuna nozione sulla luna. Egli mischia una corda di resina e una parte di olio di olive; onde, su tutta la terra, un tanfo tale da doversi turare il naso. E di là deriva anche che la luna è un globo tanto fragile che la gente non vi può vivere, e ora vi vivono solo nasi. Ed ecco perchè noi non possiamo vedere i nostri nasi; perchè sono tutti nella luna... Quando ho pensato che la terra, pesante com’è, sedendosi, può ridurre i nostri nasi in farina, allora sono stato preso da tale ansia, che, dopo aver messo calze e scarpe, mi son gettato verso la sala del Consiglio di Stato, per dar ordine alla polizia d’impedire alla terra di sedersi sulla luna... I grandi tosati, che trovati in folla nella sala del Consiglio di Stato, son gente assennatissima, e quando ebbi detto: «Signori, salviamo la luna, poichè la terra vuol sedervisi su», a un tratto essi si slanciarono ad eseguire il nostro regale desiderio, e in gran numero si arrampicarono a un muro per afferrar la luna; ma, in quel momento, entrò il Gran Cancelliere. A questa vista, tutti scapparono. Io solo restai, come re. Ma con sommo stupore, il Cancelliere mi percosse col bastone e mi scacciò nella cella. Tanto potere hanno in Ispagna le costumanze nazionali. [p. 169 modifica]

Gennaio di questo stesso anno, che ha seguito febbraio.

Sinora io non posso capir niente intorno a questa terra di Spagna. Le costumanze nazionali e il cerimoniale di corte sono addirittura strani. Non capisco, non capisco, non ci capisco proprio niente. Oggi mi hanno rasa la testa, non badando punto alle mie grida di non voler essere prete. Ma non posso più ricordarmi di quel che è avvenuto, quando han preso a gettarmi acqua fredda sul capo. Non avevo provato mai simile inferno. Stavo per divenir furente, tanto che potevano trattenermi a stento. Non comprendo affatto l’usanza, e che possa valere. Usanza stolta, dissennata! Nè concepisco la sconsideratezza dei re, che fino ad oggi non l’hanno abolita. A giudicare da tutte le apparenze, mi domando se io non son caduto nelle mani della Inquisizione, e se colui che ho preso per Cancelliere non sia il grande Inquisitore in persona. Solo non posso concepire come mai un re si esponga alla Inquisizione. Codesto in verità, può provenir di Francia, e, massime, da Polignac. Oh, quel bestione di Polignac! Egli ha giurato di perseguitarmi sino alla morte. E davvero, or mi perseguita, mi dà la caccia! Ma io so, caro, che vi conduce l’Inglese. L’Inglese è un grande politico. Esso intriga dovunque. Ed è noto in tutta la terra, che quando Inghilterra prende tabacco, la Francia starnuta.

Il 25

Oggi, il grande Inquisitore è venuto nella mia stanza; ma io, che avevo sentito di lontano i suoi passi, mi ero nascosto sotto una sedia. Non vedendomi, cominciò a chiamare. Gridò sulle prime: «Perprixin!». Io non risposi. Poi: «Akscutii Ivanov! Consigliere titolare! Nobile!». Non fiatai. «Ferdinando VIII, re di Spagna!». Volevo sporgere la testa; ma pensai subito: «No, fratel caro, tu non mi pigli! Noi ti conosciamo. Tu mi verserai ancora acqua fredda sulla testa!». Non di meno mi vide, e mi scacciò di sotto la sedia col bastone, il maledetto bastone che picchia sodo! D’altra parte, mi ha compensato di tutto ciò una sco[p. 170 modifica]perta fatta or ora. Ho scoperto che in ogni gallo c’è la Spagna, la quale si trova sotto le penne, non lontano dalla coda. Il grande Inquisitore però mi ha lasciato furibondo con la minaccia di un castigo. Ma io ho sprezzata sdegnosamente la sua malvagità inquisitoriale, poichè so che opera come una macchina, come un istrumento all’Inglese.

El 34 Ms. de l’aeenn Febral 349.

No, io non ho più la forza di durarla. Dio! Che fanno di me? Mi gettan sulla testa acqua gelata! Non mi capiscono, non mi vedono, non mi ascoltano! Che ho fatto loro? perchè mi perseguitano? Che vogliono da un disgraziato come me? Che posso dar loro? Non ho niente. Sono stremato; non reggo più a’ loro strazi, mi gira la testa e tutto mi gira intorno. Salvatemi, portatemi via! Datemi una troika14, dai cavalli veloci come la tempesta. Siedi, cocchiere mio; suona, campanello mio; galoppate, cavalli, e rapitemi fuori del mondo! Più lontano, sempre più lontano, che non si veda più nulla. Il cielo mi turbina davanti, laggiù; brilla una stellina remota, ondeggia un bosco cogli alberi scuri; ecco la luna; sotto i piedi mi si stende la nebbia azzurro-cupa; e nella nebbia risuona una corda; da una parte il mare, dall’altra l’Italia; ed ecco apparir le isbà15 russe. È la mia casa che biancheggia lontano? È la mia mamma che sta sulla finestra? Mamma, salva il tuo povero figlio; versa una lacrima sulla sua testina dolorosa. Vedi come lo torturano! Stringiti al petto il tuo povero orfanello! Non c’è più posto sulla terra per lui. Lo scacciano!... Mamma, abbi pietà del tuo figliuolo malato!... A proposito: sapete che è spuntato un bernoccolo proprio sul naso del bey di Algeri?

Note

  1. In russo: tremendo giudizio.
  2. Sputare o, meglio, crasciare, in Russia è segno di disprezzo.
  3. Specie di carrozza senza molle.
  4. Cin: corpo di impiegati amministrativi; cinovnik: impiegato, burocratico.
  5. Proprietario di un podere.
  6. Moneta che vale due copeki, cioè otto centesimi.
  7. Settimo grado del cin, che ne ha quattordici.
  8. Ultimo grado del cin.
  9. Finlandesi.
  10. Il cui uso corretto è alquanto difficile nel russo.
  11. Le parole francesi sono nel testo.
  12. Contadino, colono, villano.
  13. Terre governative che lo zar suol donare a impiegati governativi in ritiro o a coloro che vuol favorire.
  14. Vettura a tre cavalli di fronte.
  15. Capanne da contadini.