Giuseppe Gioachino Belli

1832 Indice:Sonetti romaneschi VI.djvu corone di sonetti letteratura Li spiriti Intestazione 14 novembre 2022 75% Da definire

Er Curato linguacciuto Sesto, nun formicà (1832)
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

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LI SPIRITI.

1.

     L’anno che Ggesucristo o er Padreterno
Cacciò cquel’angelacci mmaledetti,
Tanti che nun agnédero1 a l’inferno
4Rimàseno pell’aria su li tetti.

     E cquesti so’ li spiriti folletti,
Che pper lo ppiù se senteno d’inverno
Le notte lónghe: e a cchi ffanno dispetti,
8E a cchi jje cricca2 fanno vince un terno.3

     Tireno le cuperte e le lenzola,
Strisceno le sciavatte pe’ la stanza,
11E ppàreno4 una nottola che vvola.

     De le vorte te soffieno a l’orecchie,
De le vorte te gratteno la panza,
14E ssò nnimmichi de le donne vecchie.

Roma, 16 novembre 1832.

Note

  1. Andarono.
  2. Va a capriccio.
  3. È volgare opinione che gli spiriti diano i numeri pel lotto.
  4. Paiono.
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2.

     Dio sia con noi! Lo vedi, eh?, cquer casino
Co’ le finestre tutte svetrïate?1
Llì, a ttempi de la Cènci,2 un pellegrino
4De nottetempo ciammazzò un abbate.

     D’allor’impoi, a ssett’ora sonate,
Ce se vede ggirà ssempre un lumino,
Eppoi se sente un strillo fino fino,
8E un rumor de catene strascinate.

     S’aricconta che un’anno uno sce vòrze3
Passà una notte pe’ scoprì ccos’era:
11Che ccredi? in capo a ssette ggiorni mòrze.4

     Fatt’è cche cquanno ho da passà de sera
Da sto loco che cqua, pperdo le forze,
14E mme ffaccio ppiù bbianco de la scera.

Roma, 16 novembre 1832.

Note

  1. [Senza vetri, senza cristalli.]
  2. L’epoca di Beatrice Cènci, detta dal popolo e conosciuta col nome della Bella Cènci, è per lui un epoca di terrore, e si annette a tutte idee funeste e terribili.
  3. Ci volle.
  4. Morì.
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3.

     Tu cconoschi la mojje de Fichetto:
Bbe’, llei ggiura e spergiura ch’er zu’ nonno,
Stanno una notte tra la vejj’e ’r zonno,
4Se sentì ffà un zospiro accapalletto.1

     Arzò la testa, e nne sentì un siconno.
Allora lui, cór fiato ch’ebbe in petto,
Strillò: “Spirito bbono o mmaledetto,
8Di’, da parte de Ddio, che ccerchi ar monno?„

     Disce: “Io mill’anni addietro era Bbadessa,
E in sto logo che stava er dormitorio
11Cór un cetrolo2 me sfonnai la f.... .

     Da’ un scudo ar piggionante,3 a ddon Libborio,
Pe’ ffamme li sorcismi4 e ddì una messa,
14Si mme vòi libberà ddar purgatorio.„

Roma, 17 novembre 1832.

Note

  1. A capo al letto.
  2. “Cetriuolo„ o “citriuolo„.
  3. [Pigionale, casigliano.]
  4. Gli esorcismi.
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4.

     Un mese, o ppoco ppiù, ddoppo er guadagno
De la piastra, che ffesce er zanto prete,
Venne pasqua, e ’r gabbiano1 che ssapete
Cominciò a llavorà de scacciaragno.2

     “Ch’edè? Un buscio3 ar zolàro!4 Oh pprete cagno,5
Fesce6 allora er babbeo7 che cconoscete:
“Eccolo indove vanno le monete!
8 cche lo scudo mio scerca er compagno?.„

     Doppo infatti du’ notte de respiro,
Ècchete la Bbadessa de la muffa9
A ddajje ggiù cor zolito sospiro.

     “Sor Don Libborio mio, bbasta una fuffa„,10
Strillò cquello; “e lle messe, pe’ sto ggiro,11
Si le volete dì, dditele aùffa.„12

Roma, 21 novembre 1832.


Note

  1. Imbecille, zimbello, ecc.
  2. All’avvicinarsi della Pasqua di Resurrezione si suole in Roma (e in quell’epoca sola dell’anno) spazzare le pareti e i soffitti delle case. Lo scacciaragno, nome che benissimo indica l’uso a cui è destinato, consiste in un fascio di... attaccato in cima ad una pertica o ad una canna.
  3. (con la c striscicata). Buco.
  4. Suolaio, soffitto.
  5. “Cane„: tolto da cagnaccio, o dal maschio della cagna.
  6. [Fece]: disse.
  7. x
  8. Formula di scommessa; come per esempio: Va un luigi che tal cosa accade? ecc.
  9. Antica: la Badessa de’ mille anni.
  10. Qui sta per “gherminella„; vale ancora: “bugia con malizioso scopo.„
  11. Per questa volta.
  12. Parola significante gratis, che dicesi derivare dalle sigle A. V. F. poste già dai Romani sulle moli che i popoli soggetti dovevano dirigere ed avviare senza mercede a Roma: cioè Ad Vrbem Ferant. [si veda invece quel che ne dive il Diez nel suo Dizionario mitologico.]
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che i popoli soggetti dovevano dirigere ed avviare senza mercede a Roma: cioè Ad Vrbem Ferant. [si veda invece quel che ne dive il Diez nel suo Dizionario mitologico.]


5.

     Burlàtemesce, sì, ccari coll’ogna:1
Voantri fate tanto li spacconi,2
E cquanno sémo a l’infirzà un’assogna3
Poi se manna in funtana li carzoni.

     Nun è mmica un inguento pe’ la rogna4
Quer vedé un schertro in tutti li cantoni:
Cquà tte vojjo: a cciarlà ttutti so’ bboni,
Ma bbisogna trovàccese, bbisogna.

     So cche da quella sera de la sbiòssa5
Ancora sto ppijjanno corallina,6
E nnun m’arrèggo in piede pe’ la smossa.7

     E cquanno penzo a rritornà in cantina,
Me sento li gricciori ggiù ppell’ossa,
Me se fanno le carne de gallina.8

Roma, 22 novembre 1832.


Note

  1. L’equivoco dell’ógna, che in romanesco vuol dire unghie, cade in ciò, che aggiunto quel vocabolo a caro, forma la parola carogna.
  2. Rodomonti, bravi.
  3. Sugna.
  4. Modo proverbiale: “Non è già una delizia ecc..„
  5. Paura, accidente terribile [altro significato della parola sbiòssa, da aggiungersi a quelli indicati alla nota 3 a pag. 71, e nella nota 7 del sonetto seguente.].
  6. Medicina contro le verminazioni intestinali.
  7. Mossa, diarrea.
  8. [Mi viene la pelle d'oca.]