Lettere (Sarpi)/Vol. II/187

CLXXXVII. — (D’incerta direzione)

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CLXXXVII. — (D’incerta direzione)
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CLXXXVII. — (D’incerta direzione).1


Desiderando continuare la comunicazione per lettere con V.S., la quale non possiamo trattenere [p. 244 modifica]senza cifra, nè intieramente, se ella non è facile; per questa causa ho più volte pensato di ampliar quella che sino al presente è stata tra noi, e mi s’è attraversato impedimento insuperabile, volendo fare che possi servire alla lingua francese e italiana. Finalmente io ho dato nella presente, la quale mando a V.S., che non ha bisogno di nessuna attenzione di mente nè inquisizione di caratteri, così per essere scritta come per esser interpretata; ma il solo copiare basta. Nello scrivere si cammina per li numeri arabici, e si copia per li numeri romani...

Per il presente corriero ho ricevuto quella di V.S. delli 29 marzo; alla quale dirò prima, che quella del signor Assellineau... delli 2 febbraio, e per Barbarigo l’altra delli 15, giunsero2 tutte due in un giorno. Come mi persuado ch’Ella averà inteso dalla mia, della tardanza ad aver risposta Ella non debbe farsi maraviglia; perchè quarantadue giorni conviene che passino prima che da Parigi a Venezia si abbia la corrispondente, e per la distanza da Parigi a costà vi si aggiunge tanto, che in tutto vanno appresso a due mesi.

Io intendo in bene la controversia in dottrina che si ventila in Francia sopra la vita del re, perchè farà conoscere la buona dalla cattiva, e metterà anco li principi in pensiero, vedendo che oziosamente si tratta della loro pelle. È certo che di qua è necessario attendere qualche grand’esito, o per riforma o per tutta disforma del mondo.

Io ho ancora a sapere se la damigella di Comans [p. 245 modifica]fu fatta prigioniera per l’accusazione da lei intentata, o pur se essendo in prigione per altro, sia passata all’accusa per meritar perdono. Mi farà grazia sodisfacendo alla mia curiosità.

Al signor Molino ho fatto l’ambasciata comandatami da V.S.; il quale le rende mille saluti, e desidera restar perpetuamente nella sua memoria e grazia, e aver occasione di servirla.

Ben era vero3 che Barbarigo li sarebbe riuscito caro; ma le aggiungo che nel parlar di lui non ho saputo dire tutto quello ch’è, poichè ha tutte le buone parti degl’Italiani, e nessuno delli difetti di questa nostra nazione.4 Io prego V.S. che, uscendo qualche cosa dall’ingegno dell’Anti-Cottone, voglia mandarne quanto prima un esemplare a Barbarigo per me.

Qui si maneggia qualche cosa contra i Gesuiti di conseguenza non leggiera: Dio voglia prestar il suo divino aiuto alle buone intenzioni.

Per dirli alcuna cosa di nuovo delli disegni del duca di Savoia, non sappiamo nè il futuro nè il presente. Egli non ha più che 7000 soldati per Ginevra sono pochi, per Bernesi meno: quello che disegni di fare, non so se lo sappi esso stesso.

In continuazione di quello che contiene l’esempio della cifra, per non replicarlo, il vicerè ha detto pubblicamente in consiglio, che se li Gesuiti faranno un’altra azione simile, sarà costretto imitar li [p. 246 modifica]Veneziani; di che il generale ha sentito dispiacere grande, e ha scritto una lettera al vicerè con molta sommissione. La corte di Roma ebbe molto disgusto quando l’editto contra Baronio, di che mandai a V.S. la copia, fu pubblicato in Sicilia. Di nuovo ne hanno sentito un maggiore per la pubblicazione fatta pochi giorni sono in Napoli: aspettano ora anco la pubblicazione di Milano, la quale, come preveduta, ferirà manco.

Hanno recitato li padri Gesuiti in Roma, nella loro casa professa, una rappresentazione o commedia spirituale della conversione del Giappone; e nella prima scena, è comparso un gesuita a far una predica nella piazza con questo soggetto: — Che Dio volendo rinnuovar il mondo, ha eccitato in questo secolo la loro Compagnia, alla quale Sua Maestà dona tali favori, che nessuna potenza umana può loro resistere; — e altri tali concetti. Alla quale fecero rispondere per un giapponese con dire, che non credevano ch’essi fossero mandati da Dio, ma da qualche nemico dell’umanità; ch’erano per metter dissensione civile, per spiar le debolezze del paese; — e altri tali concetti. E seguì la commedia con altri particolari molto notabili, detti dai recitanti, i quali sono tutti contro loro; nè io so indovinare perchè sia fatta una tal cosa, se non per dir al mondo in faccia, che sanno di esser scoperti, e che non per questo stimano alcuno.

Al Padre, nel scrivere la presente, è sopraggiunta una gran febbre, sì ch’è stato necessitato abbandonar l’impresa. E con questo bacia la mano a V.S.

Di Venezia, li 26 ottobre 1611.




Note

  1. Nella raccolta di Ginevra, dove trovasi a pag. 343, è posta fra le indirizzate al De l’Isle. Ma questi, secondo la precedente, pag. 241, aveva ultimamente scritto al Sarpi a dì 20 di settembre, mentre qui trattasi di replicare ad una, già molto arretrata e tardata a giungere, dei 29 marzo. La contraddizione perciò sarebbe flagrante; senza dire della poca verisimiglianza che il solerte Servita indugiasse questa volta pur tanto a rispondere ad un amico, col quale era in sì stretta e continua corrispondenza. Nè mancano, quanto alla presente, altri indizi d’interpolazioni, o forse di confusione di due lettere in una, o di sbaglio nella data assegnatale; tra i quali anche il luogo ove trovasi nella citata raccolta, e per cui potrebbe facilmente riportarsi al 26 d’aprile. Ma le materie in essa trattate, e soprattutto quello che vi si dice del duca di Savoia, ci sembrano giustamente riferibili, se non al giorno indicato, a questa metà dell’anno 1611. Credemmo però sufficiente il restringere i nostri dubbi alla persona del direttario, spettando il di più a chi, dopo il raccogliere che noi facemmo, sottoporrà queste Lettere ad esame ben più sapiente e severo, ma che le fatiche nostre avranno forse reso più agevole.
  2. I segni di lacuna ritraggono dalla prima edizione. Per più chiarezza, modifichiamo alquanto e suppliamo qui giunsero, avendo quella soltanto tutti duoi.
  3. Sarà, forse, da correggersi: certo.
  4. È chi, per eccesso di patriottismo, vantasi talvolta di avere in sè le qualità tutte quante, buone e cattive, della propria nazione. Meglio però sarebbe il meritare la lode che da due frati italianissimi (Vedi l’ultimo paragrafo) veniva già data al buon Barbarigo.