Lettere (Sarpi)/Vol. I/52

LII. — Al signor De l’Isle Groslot

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LII. — Al signor De l’Isle Groslot
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LII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


In questo stesso giorno, ricevo due di V.S. (una delli 28 novembre, la seconda del 9 decembre), in tanta angustia di tempo, che dubitavo non poterle risponder niente per questo spaccio; ma pure ho ancora un’ora da scrivere, e le risponderò passo a passo. Quanto al frate mandato fuori dello Stato, la cosa non va sì male. Egli fu licenziato senza esser interrogato nè chiamato: si partì immediatamente e andò a Mantova, di dove scrisse una supplica, richiedendo abilità d’esser ascoltato per mostrar la sua innocenza, la quale asseriva. L’istesso consiglio de’ Dieci, non il presente, consentì che si presentasse alle prigioni pubbliche, per dire le sue ragioni. Si presentò e fu udito; e innanzi che quel consiglio finisse, fu levato dalle prigioni pubbliche, e messo in una camera del suo convento; dove ancora sta, senza uscir di là, che si sappia; nè il consiglio presente, in questi tre mesi ha dato di mano alla sua causa.2 Si può dire che sia stato male il concedere l’abilità suddetta, per la fama uscita che il bando sia ritrattato: si può ancor dire che sia bene, perchè con questo il frate e il suo monasterio consente [p. 180 modifica]al fôro. Io sospenderò su questo il mio giudicio, per conformarlo a quello di V.S.; ma il fatto è precisamente come le dico. Ma se ella riceve gelosia per li mancamenti della nostra debolezza, ci scusi, perchè riceviamo cattivi esempi per tutto.

Il sacrificio di Bartolommeo Borghese,3 se bene è fatto simile a molti altri, e anco fatto da chi meno doveva, non credo che da noi fosse fatto alcerto. Le cose nostre hanno il difetto ch’Ella e tutto il mondo sa: pur ci tratteniamo, e se da Roma sarà continuato a darci quotidiani disgusti, resteremo vigilanti.

Le scrissi la fuga dell’arcidiacono:4 egli è stato ricevuto con somma allegrezza, messo nella famiglia del papa, assegnatogli 500 ducati di provvisione all’anno. Già egli dice d’aver fatto tutto quello che ha fatto, sforzato, e ne sparla assai: quel che seguirà non posso profetarlo, ma forse sarà fatta qualche provvisione.

Nel negozio delli Stati, vedendo che la tregua è continuata per tre mesi ancora, vado persuadendomi che li Spagnuoli non vogliono nè pace nè lunga tregua, ma trattenersi così sin che saranno ridotti dove vorranno, o quanto alla regolazione dei loro maravedi, o quanto alla discordia seminata tra li Stati. [p. 181 modifica]

L’avviso delli nuovi occhiali l’ho avuto già più d’un mese, e lo credo per quanto basta a non cercar più oltre, non per filosofarci sopra, proibendo Socrate il filosofare sopra esperienza non veduta da sè proprio. Quando io era giovane, pensai ad una tal cosa, e mi passò per la mente che un occhial fatto di figura di parabola potesse far tal effetto;5 e avevo ragione da farne la dimostrazione. Ma perchè queste sono cose astratte, e non mettono in conto la repugnanza della materia, sentivo qualche opposizione. Per questo non son molto inchinato all’opera, e questa sarebbe stata faticosa: onde nè confermai nè riprovai il pensiero mio con l’esperienza. Non so se forse quell’artefice abbia riscontrato col mio pensiero, e se la cosa non ha acquistato aumento, come suole la fama per il viaggio.

Vengo alla seconda lettera, la quale avendo letto dopo scritto già questo, veggo ch’ella ha inteso la verità del bando, e ne ha fatto appunto quel giudizio ch’io presupponevo.

Quanto al mio particolare, non solo credo, ma ho quotidiani riscontri di insidie che mi sono tese. [p. 182 modifica]Faccio tutto quello che so e posso per cauzione; non però con ansietà o sollecitudine. Senza Dio non si effettua alcun disegno, e tutto quello che piace alla sua Maestà è per bene e me ne contento. Per levarmi la vita, non avanzeranno niente: gli farò più guerra morto che vivo.6 In questi giorni hanno fatto strettissimi uffici con tutti gli altri con promesse e minaccie per guadagnarli. Credo che non li riuscirà con alcuni: con me non tentano: dicono apertamente che non sperano se non nelli pugnali; e la intendono, perchè io non voglio altri per mia regola che la sola coscienza e (se dopo questo affetto tiene qualche dominio) l’onore. Le altre cose le tengo tutte per frivole.

Ma l’affetto mi trasporta di nuovo in Olanda. Gran giudizio di Dio, che la prudenza del più savio uomo7 sia così dementata a persuadersi che la sua riputazione di arbitro vi ricerchi, con così notabile suo danno, che gli Stati tornino sotto Spagna, e tante forze debbano servire contro la posterità sua. Dio ci abbia compassione. Ma che la guerra si trasporti in Italia, V.S. non lo creda. Tenga per fermo che gl’Italiani vogliono pace, non dissensione fra loro; e l’ottengono. Crescono tuttavia le diffidenze e li disgusti qua, e sono fomentati con artifici mirabili. Vorranno ridurli a perfezione prima che si muova altro: fra tanto mancherà che fare. Resta una sola speranza: che Dio dissolva li consigli [p. 183 modifica]de’ savi, quali spesso incorrono in qualche fagotto senz’avvedersene.

Non vorrei che V.S. si dasse pena delli libri di che le ho scritto. Sarà assai a tempo ch’ella si adoperi quando sarà a Parigi. Tra tanto, faccio sempre qualche cosa, purchè l’opera non mi riesca vana. Non posso esser più lungo per difetto di tempo. Faccio fine e le bacio la mano per nome del nostro Fulgenzio, del signor Molino e anco del Muranese, che ha da lei disegni. L’avviso che mi dà della fama uscita che questa Repubblica abbia parte nel disegno di quell’infelice Borghese, l’ho anco d’altre parti, e viene donde esce ogni falsità e bestemmia. Le bacio la mano.

Venezia, il 6 gennaio 1609.




Note

  1. Edita nella raccolta di Ginevra, pag. 116.
  2. Vedasi alla pag. 120 e nota 1.
  3. Di questo infelice, di cui forse invano si cercherebbero notizie, tornasi a parlar più a lungo nelle seguenti Lettere. Per le quali sembra chiaro abbastanza, esser egli stato un italiano di opinioni eterodosse, che in Francia fu vittima del suo proprio e dell’altrui fanatismo; e ciò sotto il regno (tanto ognor possono i tempi!) dell’ottimo Enrico IV. Vedasi, soprattutto, al principio della Lettera LV.
  4. Il Rubetti. Vedi la Lettera XLIV, pag. 154 e nota 2.
  5. Rimandiamo di nuovo ai biografi di Fra Paolo, per ciò che spetta le scoperte da lui fatte nelle scienze fisiche e matematiche. A chiarezza di questo passo, giova ricordare come in quell’anno medesimo si fosse in Venezia sparsa la notizia, che un Olandese avesse presentato al conte Maurizio di Nassau uno strumento pel quale gli oggetti lontani apparivano vicini. Allora il Galileo, scrive un suo biografo, “si pose a cercare come ciò fosse possibile, osservando il movimento dei raggi luminosi nei vetri sferici di forma diversa. Alcuni saggi tentati con que’ vetri che si trovò avere alle mani, produssero l’effetto ch’egli desiderava. Bentosto egli rese conto della riuscita a’ suoi amici: era questa, niente meno, che l’invenzione del teloscopio o cannocchiale di lunga vista.„
  6. Queste parole stesse e questo medesimo presentimento dell’uomo che la Provvidenza manda per i suoi fini, sono ancora in altre Lettere.
  7. Con questo appellativo qui viene indicato il re Enrico IV.