Le piacevoli notti (1927)/Notte settima/Favola terza

Notte settima - Favola terza

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FAVOLA III.

Cimarosto buffone va a Roma, e uno suo secreto a Leone Papa racconta, e fa dar delle busse a duo suoi secreti camerieri.

[Lodovica:]

— La favola, graziose e amorevoli donne, da Fiordiana ingeniosamente raccontata, vi ha dato materia di spargere qualche lagrima, per esser stata pietosa; ma perchè questo luoco è piú tosto luogo di ridere che di piagnere, ho determinato dirne una, la qual spero vi sarà di non poco piacere; perciò che intenderete le buffonarie fatte da uno Bresciano, il qual, credendosi a Roma divenir ricco, in povertà e in miseria finí la vita sua.

Nella città di Brescia, posta nella provincia di Lombardia, fu già un buffone, Cimarosto per nome chiamato: uomo molto astuto, ma a’ Bresciani poco grato, sí perchè egli era dedito all’avarizia, devoratrice di tutte le cose, sí anco perchè egli era bresciano, e niun profeta è ricevuto nella propria patria. Vedendo Cimarosto non avere il convenevole precio che li pareva per le sue facezie meritare, tra se stesso molto si sdegnò; e senza far sapere ad alcuno il voler suo, di Brescia si partí, e verso Roma prese il camino, pensando di acquistare gran quantità de danari: ma non gli andò fatto com’era il desiderio suo, perciò che la città di Roma non vuole pecora senza lana. Trovavasi in quei tempi in Roma sommo pontefice Leone, di nazione alemanna; il quale, quantunque scienziato fosse, pur alle volte e di buffonarie e di altri simili piaceri, come fanno e gran signori, molto si dilettava: ma pochi, anzi niuno era guidardonato da lui.

Cimarosto, non avendo conoscenza d’alcuno in Roma, nè sapendo in qual guisa farsi a papa Leone conoscere, determinò [p. 47 modifica]di andare personalmente a lui e dimostrargli le sue virtú. E andatosene al palazzo di San Pietro, dove il papa faceva la residenza, trovò nella prima entrata un camariere assai robusto, con barba nera e folta; il qual gli disse: — E dove vai tu? — E postali la mano nel petto, lo ribattè in dietro. Cimarosto, vedendo la turbata ciera del cameriere, con umil voce disse: — Deh, fratello mio, non m’impedir l’entrata, perciò che ho da ragionar col papa cose importantissime. —- Disse il cameriere: — Parteti di qua per lo tuo meglio; se non, tu troverai cose che non ti piaceranno. — Cimarosto pur instava d’entrare, affermando tuttavia di aver cose importantissime da ragionare. Intendendo il camariere la cosa esser di molta importanza, pensò tra sè ch’egli dovesse dal papa esser sommamente guidardonato; e pattiggiò con lui, se libera l’entrata voleva. E la lor convenzione fu questa, che ’l Cimarosto desse al cameriere nel suo ritorno dal papa la metà di quello che gli fia concesso. Il che di fare Cimarosto largamente promise. Ed andato piú oltre, Cimarosto entrò nella seconda camera, alla cui custodia dimorava un giovane assai mansueto; il quale, levatosi da sedere, ci li fe’1 incontro, e disse: — Che addimandi tu, compagnone? — A cui rispose Cimarosto: — Io vorrei parlar col papa. — Disse il giovane: — Ora non se gli può parlare, perciò che ad altri negozii egli è occupato: e sallo Iddio quando fia il tempo comodo di poterli parlare. — Disse Cimarosto: Deh, non mi tener a bada; perciò che troppo sono importanti le cose che raccontargli intendo. — Il giovane, udite cotai parole, pensò quello istesso che l’altro camariere imaginato s’aveva; e dissegli: — Se tu vuoi entrare, voglio la metà di tutto quello che il papa ti concederà. — Il che di fare Cimarosto liberamente rispose.

Entrato adunque Cimarosto nella sontuosa camera del papa, vidde un vescovo tedesco, che stava discosto dal papa in un cantone; ed accostatosi a lui, si mise seco a ragionare. Il vescovo, che non aveva l’italiano idioma, ora tedesco ora latino parlava; e Cimarosto, fingendo di parlar tedesco, sí come e buffoni fanno, ciò che in bocca gli venea, respondeva. E di tal maniera erano le loro parole, che nè l’uno nè l’altro non [p. 48 modifica]intendeva quello si dicesse. Il papa, che era alquanto occupato con un cardinale, disse al cardinale: — Odi tu che odo io? — Beatissimo padre, sí, — rispose il cardinale. Ed avedutosi il papa, che ogni linguaggio ottimamente sapea, del burlo che faceva Cimarosto al vescovo, rise e gran piacere ne prese. E fingendo di ragionar col cardinale, acciò che la cosa piú in lungo si traesse, gli voltò le spalle. Avendo adunque Cimarosto e il vescovo per gran spazio con grandissimo piacer del papa contrastato insieme, nè intendendo l’uno e l’altro il suo linguaggio, finalmente disse Cimarosto latinamente al vescovo: — Di qual città sete voi? — A cui rispose il vescovo: — Io sono della città di Nona. — Allora disse Cimarosto: — Monsignor mio, non è maraviglia se voi non intendevate il parlar mio, nè io il vostro; perciò che, se voi sete da Nona, e io sono da compieta. — Sentita il papa la pronta e arguta risposta, si mise col cardinale in sí fatto riso, che quasi si smassellava. E chiamatolo a sè, l’addimandò chi egli era, e di dove venea, e che andava facendo. Cimarosto, prostrato a terra e basciato il piede al santo padre, rispose esser bresciano, e nominarsi Cimarosto, e esser venuto da Brescia a lui per ottenere una grazia da sua santità. Disse il papa: — Addimanda quel che vuoi. — Io, rispose Cimarosto, altro non voglio da vostra beatitudine, se non venticinque staffilate, e delle migliori. — Il papa, udendo la sciocca dimanda, molto si maravigliò, e assai se ne rise. Ma pur Cimarosto fortemente instava che la grazia li fosse concessa. Il papa, vedendolo persistere in cotal suo volere, e conoscendo lui dir da dovero, fece chiamare un robustissimo giovane, ed ordinòli che in presenza sua gli desse venticinque buone staffilate per suo amore. Il giovane, ubedientissimo al papa, fece spogliar Cimarosto nudo come nacque; e preso un sodo staffile in mano, voleva essequire il comandamento impostoli dal papa. Ma Cimarosto con chiara voce, disse: — Fermati, giovane, e non mi battere. — Il papa, veggendo la pazzia di costui, e non sapendo il termine, scopiava dalle molte risa; e comandò al giovane che si fermasse. Fermatosi il giovane, Cimarosto cosí ignudo s’inginicchiò2 dinanzi [p. 49 modifica]al papa, e con calde lagrime disse: — Non è cosa, beatissimo padre, al mondo, che piú dispiacqua a Iddio, che la rotta fede. Io per me voglio mantenerla, pur che vostra santità non sia manchevole. Io contra mia voglia promisi a duo di vostri camerieri la metà di quello che da vostra santità mi sarà concesso. Io richiesi venticinque staffilate buone, e voi per vostra innata umanità e cortesia concesse me l’avete. Voi adunque per nome mio farete dar dodeci staffilate e mezza ad uno cameriere, e dodeci e mezza all’altro; e cosí facendo, voi adempirete l’addimanda mia, ed io la lor promessa. — Il papa, che non intendeva il fine della cosa, disse: — E che vuoi per questo dire? All’ora disse Cimarosto: — Se io, santissimo padre, volsi qua entro entrare ed a vostra beatitudine appresentarmi, forza mi fu contro ogni mio volere pattiggiare con duo di camerieri vostri, e con giuramento promettergli la metà di quello che voi mi concederete. Onde, non volendo mancare della promessa fede, mi è forza di dare a ciascun di loro la parte sua, e io ne rimarrò senza. — Il papa, intesa la cosa, assai si risentí; e fatti e camerieri a sè venire, ordinò che si spogliassino e, secondo che Cimarosto promesso l’aveva, fussero battuti. Il che fu subito essequito. Ed avendo il giovane a ciascuno di lor duo date dodeci staffilate, e mancandone una al numero di venticinque, ordinò il papa che l’ultimo ne avesse tredeci. Ma Cimarosto disse: — Non bene si conviene, perciò che egli arrebbe piú di quello che io li promisi. — Ma come si farà? — disse il papa. Rispose Cimarosto: — Fategli legare ambiduo sopra una tavola, uno appresso l’altro con le rene in su; ed il giovane gliene darà una buona, che accingherà(3) indifferentemente l’uno e l’altro, e cosí ciascuno ugualmente arrà la parte sua, e io ne rimarrò libero.

Partito Cimarosto dal papa senza rimunerazione alcuna, fu per le sue pronte risposte dalle persone circondato. Ed avicinatosi a lui un prelato che era buon compagno, disse: — Che è qui da nuovo? — E prestamente Cimarosto rispose: — Non altro, salvo che dimane si criderà la pace. — Il prelato, che creder no’l poteva, nè ragion vi era che creder lo dovesse, [p. 50 modifica]disse a Cimarosto: — Tu non sai quel che tu ti dici, perciò che egli è tanto tempo che ’l papa e Franza guerreggiano insieme, nè mai si ha sentita parola di pace. — E fatto lungo contrasto insieme, disse Cimarosto al prelato: — Messere, volete che vada un godimento tra noi, che dimani si griderà la pace? — Sí, — rispose il prelato. Ed in presenzia di testimoni misero dieci fiorini per uno a godere insieme. Partitosi il prelato con animo di far gozzaviglia a costo di Cimarosto, allegramente se n’andava. Ma Cimarosto, che non dormiva, andò al suo alloggiamento; e trovato il patrone in casa, disse: — Patrone, io vorrei da voi uno piacere, che sarà utile e di diletto. — E che vuoi? — disse il patrone. — Non sai che mi puoi comandare? — — Io, — disse Cimarosto, — non voglio altro da voi, se non che la moglie vostra dimani si vesti di quelle armi antiche che sono nella camera vostra; nè dubitate punto di male, nè di disonore alcuno: e poi lasciate la cura a me. — Aveva la moglie del patrone nome Pace, e l’armature da uomo di arme erano sí ruginose e di sí gran peso, che un uomo, quantunque gagliardo fosse, sendo in terra steso, levar non si potrebbe. Il patrone, che era festevole e molto attrattivo, conosceva Cimarosto pieno di berte; e però di tal cosa volse compiacergli. Venuto il dí sequente, il patrone fece la moglie di tutte quelle armi vestire, e cosí armata, la fece in terra nella sua camera distendere; poi disse alla donna: — Levati su in piedi; — ed ella piú volte si sforzò di levarsi: ma muoversi non si puotea. Cimarosto, vedendo che la cosa gli riusciva sí come desiderava, disse al patrone: — Partiansi di qua; e chiuso l’uscio della camera che guardava sopra la strada publica, si partirono. La moglie del patrone, vedendosi chiusa sola in camera, e non potendosi movere, grandemente temette di qualche sinistro caso, e ad alta voce si mise a gridare. La vicinanza, sentendo il gran grido e il suono delle armi, corse a casa dell’oste. Cimarosto, udito il tumulto degli uomini e delle donne che vi erano concorsi, disse al patrone: — Non vi movete, nè parlate; ma lasciate il carico a me, che presto goderemo. — E sceso giú per la scala, andò sopra la strada, e addimandò questo e [p. 51 modifica]quello: — Chi è colui che sí fortemente grida? E tutti ad una voce rispondeano: — Non odi tu che grida la Pace? — E fattosi replicare e treplicar tal detto, chiamò molti testimoni della gridata pace. Passata l’ora di compieta, venne il prelato; e disse: — Tu hai pur perso, fratello, il godimento. Non è già fin ora sta’ gridata la pace. — Anzi sí, — rispose Cimarosto. E tra loro fu grandissimo contrasto; e fu bisogno ch’un giudice la causa determinasse. Il quale, udite le ragioni di l’una parte e l’altra, e uditi e testimoni che apertamente deponevano tutta la vicinanza aver sentito gridar la pace, sentenziò il prelato a pagare il godimento.

Non passarono due giorni, che Cimarosto, andando per la città, s’incontrò in una donna romana ricchissima, ma sozza come il demonio. Costei era maritata in un bellissimo giovane; e di tal matrimonio ogniuno si maravigliava. Avenne che all’ora a caso passò un’asinella; e a lei voltatosi, Cimarosto disse: — O poverella, se tu avessi danari assai come ha costei, tu ti maritaresti. — Il che intendendo, un gentiluomo, che della sozza donna era parente, prese un bastone, e sopra la testa gli diede sí fatta percossa, che per mani e per piedi a casa dell’oste lo portarono. Il cirugio, per poterlo meglio medicare, gli fece rader la testa. Gli amici che venevano a visitarlo, dicevano: — Cimarosto, come stai? Tu sei raso? — Ed egli diceva: — Deh, tacete per vostra fè, e non mi date noia; che se raso o damaschino io fosse, io valerei un fiorino il braccio, che ora nulla vaglio. — Venuta poi l’ultima ora della sua vita, venne il sacerdote per dargli l’ultima unzione, e cominciollo ungere; e venuto con l’unzione ai piedi, disse Cimarosto: — Deh! messer, non mi ungete piú. Non vedete voi come presto vado e leggermente corro? — I circostanti, udendo questo, si misero a ridere; e Cimarosto cosí buffoneggiando in quel punto se ne morí: e in tal guisa egli con le sue buffonarie ebbe miserabil fine. —

  1. [p. 239 modifica]si li fece, ’58
  2. [p. 239 modifica]inginocchiò, ’58