Le orazioni inaugurali, il De italorum sapientia e le polemiche/Nota

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NOTA

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I

Orazioni inaugurali

dal 1699 al 1707.

Delle sei prolusioni universitarie raccolte sotto questo titolo, la seconda fu pubblicata per la prima volta dal Villarosa1 di su un cod. della Biblioteca nazionale di Napoli, segnato xiii, B, 36 [C]; le altre cinque videro la luce per cura di Antonio Galasso 2, che ebbe presente l’altro cod. della medesima biblioteca, segnato xiii, B, 53, e contenente non solo tutte le sei orazioni, ma anche, in settimo luogo, il De studiorum ratione3. [p. 306 modifica]

C è una tarda copia, forse posteriore alla morte del V., e nella quale, a ogni modo, nulla prova che egli abbia avuto parte diretta. Ponendola a confronto col testo dell’altro cod., risulta evidente che non fu esemplata su questo, ma su di una diversa redazione [A], a noi non pervenuta, e che procureremo in séguito d’identificare.

Il cod. xiii, B, 53, oltre una dedica al p. Antonio Maria di Palazzolo 4 e un sommario5, ambedue autografi, consta di due parti ben distinte: la prima [D], di 116 pp. innumerate, apografe con correzioni autografe, contenenti il testo delle sette orazioni;— la seconda [A1], di 14 pp. innumerate, autografe e di formato piú piccolo, contenenti alcune Emendationes, taluna abbastanza lunga, tal’altra non eccedente le due o tre righe.

Finora è stato creduto (e così pare a prima vista) che testo ed Emendationes formino un sol tutto. Ma uno studio piú accurato del cod. ci ha indotti nella convinzione che le Emendationes non si riferiscano al testo del medesimo cod., sì bene a quella redazione dispersa, cui accennavamo piú sopra [A]; ossia che D non è anteriore, ma posteriore ad A1.

E invero ciascuna emendatio è distinta da una lettera alfabetica (nella prima e seconda orazione sono cinque, numerate da A a E; nella terza, quattro, da A a D; nella quarta, due, da A a B; nella quinta, tre, da A a C; la sesta e la settima non hanno emendationes), e reca l’indicazione del numero della pagina del testo, cui essa emendatio si riferisce. Posto ciò, noi dovremmo trovare in D, alle pagine indicate, i richiami correlativi, additati anch’essi mercé lettere alfabetiche. Supporre in si fatta materia una distrazione o un errore del V., è fuor di luogo, giacché egli, inesattissimo [p. 307 modifica] nelle cose essenziali, diventava, in codesti amminicoli, come provano i suoi mss. preparati per la stampa (vera delizia dei tipografi), d’una meticolositá quasi pedantesca. Orbene, D, come abbiamo detto, è innumerato; di richiami indicati con lettere alfabetiche non c’è neppure l’ombra; e, quel che è piú, anche volendo supplire idealmente numerazione e richiami, tra il numero di pagina indicato da ciascuna emendatio e quello che dovrebbe corrispondergli in D, non c’è correlazione di sorta. P. e. la prima emendatio alla prima orazione rimanda alla p. 7 del testo: al contrario il luogo corrispondente in D si trova alla pagina che dovrebbe avere il n.° 8 o 6, a seconda si includano o si escludano dal computo le 2 pp. di dedica e sommario.

Ma non basta. Ponendo a raffronto D e A1, si scorge agevolmente non solo che le Emendationes sono state giá rifuse in D, ma che la lezione, prima di fissarsi nella forma a noi pervenuta in D, dovè subire un’altra serie di ritocchi, per altro assai lievi e meramente formali. Assai meglio di qualunque nostro chiarimento, varrá a documentare quanto si è asserito il seguente specimen:

A1

emendatio A alla 1a oraz.

Ut enim Deus in mundo, ita animus in corpore est. Deus per mundi dementa, aniinus per membra fiumani corporis perfusus, uterque ornili concretione secreti, ornili corpore meri purique agunt. Et Deus in mundo, et in corpore animus ubique adest, nec usquam comprelienditur. Deus enim in aethere movet sydera, in aëre intorquet fulmina, in mari procellas ciet, in terra denique cuncta gignit: nec coelum, nec mare, nec tellus Dei circumscriptae sunt sedes. Mens fiumana in aure audit, in oculis videt, in stomacho irascitur, ridet in bene, in corde sapit, in cerebro intelligit, nec in una corporis parte habet finitum larem. Deus complectitur et regit omnia, et extra Deum nihil;animus, ut cum Sallustio loquar, «rector humani generis ipse agit, atque habet cuncta, neque ipse habetur». Deus semper operosus, semper actuosus animus. Mundus vivit, quia Deus est: si mundus pereat, etiam Deus erit. Corpus sentit, quia viget animus: si corpus occidat, animus tamen est immortalis. Tandem Deus naturae artifex, animus artium deus.

D

(p. 8 della pres. ediz.)

Ut enim Deus in mundo, ita animus in corpore est. Deus per mundi dementa, animus per membra corporis humani perfusus; uterque omni concretione secreti, omnique corpore meri purique agunt. Et Deus in mundo, et in corpore animus ubique adest, nec usquam comprehenditur. Deus enim in aethere movet sydera; in aëre intorquet fulmina; in mari procellas ciet; in terra denique cuncta gignit; nec coelum, nec mare, nec tellus Dei circumscriptae sunt sedes. Mens humana in aure audit, in oculo videt, in stomacho irascitur, ridet in bene, in corde sapit, in cerebro intelligit, nec in ulla corporis parte habet finitimi larem. Deus complectitur et regit omnia, et extra Deum nihil: animus, ut cum Sallustio loquar, «rector humani generis ipse agit, atque habet cuncta, neque ipse habetur». Deus semper actuosus; semper operosus animus. Mundus vivit, quia Deus est: si mundus pereat, etiam Deus erit. Corpus sentit, quia viget animus: si corpus occidat, animus tamen est immortalis. Tandem Deus naturae artifex; animus artium fas sit dicere deus.

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Si supponga per un istante che le Emendationes sieno relative a D: vien subito spontanea alle labbra la domanda: — A che scopo il V. avrebbe trascritto così lungo brano per sole sette correzioncelle formali, che, così come fece per altre di simil genere, avrebbe assai piú comodamente e perspicuamente potuto segnare nei margini o inserire tra le interlinee del testo?— Ammettendo, invece, che le Emendationes si riferiscano a una antecedente redazione ora dispersa, non solo l’anzidetta domanda non ha ragione di essere, ma si spiega anche come D ci dia, nell’esempio allegato e negli altri che si potrebbero assai facilmente aggiungere, una lezione piú elaborata di quella conservataci da A1 . Giacché evidente miglioria è, p. e., la sostituzione di «oculo» a «oculis» dopo la frase «in aure audit»; e nel «fas sit dicere», aggiunto in fine per smorzare l’effetto, chi non vede il pio e religioso Vico, che, ritornando sul proprio scritto, attenua una frase, che alle sue orecchie di buon cattolico doveva sonare alquanto ardita?

Senza perderci in altre parole, possiamo a buon diritto fissare così la genesi del testo a noi pervenuto. Delle orazioni il V. stese una prima redazione [A], alla quale aggiunse piú tardi A1. Da A, senza tener conto di A1 fu tratta, soltanto per la seconda orazione, direttamente o per altre copie interposte, C. Su A, per altro, il V. ritornò una seconda volta, stendendo una seconda redazione [B], anch’essa smarrita, nella quale rifuse A1 ed eseguì alcuni ritocchi formali. Su B finalmente fu esemplato D, ossia il testo di cui noi disponiamo. Come poi D e A1 si trovino nel medesimo codice, non si riesce a spiegare, tranne che non si pensi: a) o che il V., per piú facilmente resistere alla tentazione di pubblicare quelle sue orazioni giovanili, inviasse al padre Antonio di Palazzolo tutto ciò che di [p. 309 modifica] esse restava fra le sue carte, e che il buon cappuccino (il quale non si prese di certo la briga di fare tutti i nostri ragionamenti), credendo che le Emendationes si riferissero a D, facesse rilegare le une e l’altro in un solo volume; — b ) oppure che il V. donasse al suo amico in un primo momento A e A1, e in un secondo momento D, e che il Palazzolo sostituisse, nel codice, D ad A, senza togliere, per altro, A1. A sostegno di codesta seconda ipotesi (che ci sembra assai piú probabile) valga non tanto il fatto che il V. nei cataloghi delle sue opere discorra di orazioni «donate originalmente» od «originali» al Palazzolo (giacché «originale», qui, potrebbe essere sinonimo di «manoscritto» e non di «autografo»), quanto che nella dedica è detto nel modo piú esplicito «hunc... autographum codicem». Dunque la dedica non poteva riferirsi a D, che è apografo, ma ad A; e ad A deve del pari riferirsi il sommario (che è a tergo della dedica): il che verrebbe anche a spiegare perché i titoli delle singole orazioni sieno, nel sommario, affatto diversi da quelli preposti, in D, a ciascuna di esse.

Comunque, certo è che D rappresenta fortunatamente l’ultima volontá del V.: su di esso, dunque, dovevamo condurre la nostra edizione. Per altro, non senza qualche ritocco. Giacché l’ignoto amanuense, cui il V. si affidò, se non era proprio nemico acerrimo del latino, ne conosceva quanto uno scolaro di terza ginnasiale: del greco, poi, non è addirittura da parlare. Da ciò strafalcioni parecchi nella trascrizione, qualche salto e anche qualche vuoto. Vero è che il V. s’addossò egli stesso di correggere gli spropositi, di supplire le omissioni e di colmare le lacune; e ciò fece con l’accuratezza che soleva porre in sì fatti lavori. Pure, qualcosa gli sfuggì. Alle involontarie distrazioni di lui riparò giá in gran parte il Galasso, introducendo qua e lá alcune sennate correzioni, che abbiamo fatte quasi tutte nostre. Qualche altro erroruccio, sfuggito anche al Galasso, abbiamo emendato noi.

E delle correzioni del nostro predecessore e nostre indichiamo qui le principali:

p. 6, r. 3 dal basso, corr. «veter» in «vester»; — p. 11, r. 15, corr. «infinitate» in «infinitae»; — ivi, r. 17, corr. «abortam» in «obortam»; — p. 12, r. 6, corr. «ratiocinatio» in «ratiocinantis»; — p. 21, r. 6, corr. «Archimedes» in «Archimedem»; — ivi, r. 8, corr. «Scipiones» in «Scipionem»; — ivi, r. 18, corr. «affectum» in «affectuum»; — p. 22, r. 7 dal basso, corr. «servet» in «servat»; — p. 24, r. 15, corr. «quaecumque» in «quicumque»; — p. 28, r. 14, corr. «commineret» in [p. 310 modifica] «committere»; — p. 31, r. 14 dal basso, corr. «nostratae» in «nostrate»; — p. 33, r. 2 dal basso e passim, corr. «Demonsthenem» in «Demosthenem»; — p. 34, r. 14 dal basso, corr. «paret» in «patet»; — ivi, r. 12

dal basso, corr. «versunt» in «vertunt»; — p. 35, r. 3, sostituito «quadam» ad «aliqua» per la misura del verso; —p. 46, r. 1, aggiunto un «coërcentur», indispensabile pel senso; — p. 48, r. 13 dal basso, corr. «obiectat» in «obiectant»; — p. 50, r. 10, corr. «fater» in «fateor»; — p. 51, r. 8, corr. «intectam» in «intactam»; — ivi, r. 12, corr. «ulla» in «illa»; — ivi, r. 24, corr. «tantam» in «tantum»; — ivi, r. 27, corr. «omoliuntur» in «amoliuntur»; — p. 52, r. 14 dal basso, corr. «coecas» in «caecas»; — ivi, r. 3 dal basso, corr. «coërcet» in «coërceat»; — p. 53, r. 20, aggiunte, secondo le Emendationes, le parole «non iusto exercitu rem gerunt, sed», forse omesse dal V. in B (e conseguentemente dal copista in D) per distrazione; — p. 54, r. 5, corr. «literas» in «literis»;— ivi, r. 18, corr. «certe» in «certae»; — p. 61, r. 2 dal basso, corr. «grammaticae» in «grammatice»; — p. 64, r. 9, corr. «distractum» in «distractam»; — p. 63, r. 8, corr. «humanae» in «humanam».

II

De nostri temporis studiorum ratione.

Non c’era da far altro che riprodurre l’edizione originale curata dal medesimo Vico 6, introducendo qualche piccolo ritocco, concernente, piú che altro, la disposizione tipografica. Tale, p. e., l’avere riunito a principio dell’orazione, a guisa di sommario, le postille apposte qua e lá dall’autore in margine al suo discorso7. Tale ancora l’avere ripartita l’orazione, troppo lunga da esser letta [p. 311 modifica] tutta d’un fiato, in quindici paragrafi: ripartizione, che, d’altra parte, si trova idealmente anche nell’edizione originale, giacché in questa, quantunque non appaiano numeri d’ordine, il principio di ciascuno dei nostri paragrafi è distinto da una particolare postilla marginale (equivalente al titolo dell’intero paragrafo), la quale non solamente, a differenza delle altre, è stampata in caratteri maiuscoli, ma è ripetuta a capo di ogni pagina, fintanto che dura il paragrafo stesso. Delle poche correzioncelle formali da noi fatte al testo non è il caso di parlare, giacché si tratta di bazzecole. La sola di qualche importanza (che d’altronde si trova anche nelle precedenti ristampe 8 è l’aver sostituito, a p. 85, r. 19, per ovvie ragioni sintattiche, «istas methodos, sive soritas istos» a «istae methodi, sive soritae isti» del testo.

III

De antiquissima Italorum sapientia.

Anche qui abbiamo seguita l’edizione originale, curata dal V.9, della quale abbiamo procurato di mettere a profitto il maggior numero di esemplari postillati dall’autore10, per tener conto di tutte le correzioni tipografiche e grammaticali, che il V., con vigile cura, aveva segnate, col suo caratterino minuto, nei margini di ciascuno di essi. Il confronto non è stato inutile, perché, oltre a darci modo di migliorare qua e lá la lezione, ci ha resi accorti di un grossolano sproposito infiltratosi in tutte le precedenti ristampe, appunto a causa dell’errata interpetrazione di una delle postille anzidette. YVale a dire, il tipografo dell’edizione [p. 312 modifica] originale, invece di comporre in un punto (p. 173, r. 2 della presente ristampa), come doveva essere scritto, «et ab iisdem [dai latini] mens hominibus dari a diis, immiti dicebatur», stampò: «et ab iisd. mens hominib. dari indi, immitti diceb.». Il V., accortosi dell’errore e volendo anche premettere «a diis» a «dari», pose un segno di richiamo dopo «hominibus», scrisse in margine «a diis», e cancellò l’«indi», che non significava nulla. Codesta cancellatura, per altro, dimenticò di fare in qualche esemplare11, il quale, capitato, probabilmente, nelle mani del Ferrari, o, per dir meglio, del Ballanche12, indusse lui, e gli altri dopo lui, a stampare: «et ab iisdem mens hominibus a diis dari, indi, immitti dicebatur».

Circa la disposizione tipografica, abbiamo anche qui riuniti a principio di ciascun capitolo o di ciascun paragrafo (quando il capitolo era suddiviso in paragrafi) le postille a stampa, che nell’edizione originale sono disseminate nei margini. E, per rendere piú agevoli le citazioni, abbiamo creduto utile numerare in modo piú moderno e piú logico i paragrafi stessi. Giacché il V., conforme all’uso del suo tempo (che seguiva ancora il sistema di numerazione adoperato nelle compilazioni giustinianee), al primo paragrafo non assegna alcun numero (in guisa che il titolo, relativo per l’appunto al primo paragrafo, sembra, specie preposto, com’è, al numero d’ordine del capitolo, riferirsi all’intero capitolo), al secondo il n. I, e così di séguito. Conseguentemente, abbiamo introdotte le modificazioni correlative in quei luoghi della Conclusio, ove il V. rimanda ai singoli capitoli e paragrafi dell’opera. [p. 313 modifica]

IV

Polemiche intorno al De antiquissima
Italorum sapientia
.

I tre articoli del Giornale de’ letterati d’Italia sono stati riprodotti direttamente dal Giornale13; le due Risposte del V. dalle ediz. originali, curate dal medesimo autore14. Sì in queste che in quelli abbiamo integrate e date in forma piú moderna e qualche volta corrette15 le citazioni che si trovano nelle poche note a piè di pagina. E sì nella Prima risposta (p. 204) che nel Secondo articolo (p. 233) abbiamo supplite due battute (Call. Bustirape!Ball. Certe!) in quel passo di Plauto intorno a cui tanto si disputa (giacché, così com’esso è dato dal V. e riprodotto dal suo contradittore, si trova in troppo aperto contrasto con le piú elementari norme metriche), e fatta pronunziare l’ingiuria «furcifer» a colui al quale Plauto veramente la fa uscir di bocca, che è Callidoro, e non giá, come il V. e, sulla fede di lui, il «dotto signore» scrivono, Pseudol. Analoga correzione abbiamo introdotta nella Seconda risposta, p. 253, rr. 6 e 19. [p. 314 modifica]

Avremmo pur voluto aggiungere un excursus per identificare l’anonimo recensente dell’opera vichiana; ma purtroppo il nostro desiderio non si è potuto convertire in atto, per l’assoluta mancanza di documenti. Giacché tutte le ricerche, fatte a tal proposito dal Croce e da noi, non hanno dato alcun risultato; in guisa che, fintanto non venga fuori qualche documento, che possa supplire il distrutto carteggio di Apostolo Zeno (nel quale, senza dubbio, si sarebbe rinvenuta la soluzione del problema), bisogna rassegnarsi a lasciar nell’ombra questo particolare assai importante della vita scientifica del V. Forse la congettura, proposta con molte riserve dal Croce16, che autore di quegli articoli possa essere stato Bernardo Trevisano — il solo che si occupasse allora a Venezia di filosofia in modo degno, e il solo quindi che fosse capace, in quella cittá, di movere, con piena conoscenza dell’argomento e con molto acume dialettico, e talvolta anche con ragione, obiezioni all’aureo libretto del V. — meritava di essere approfondita. Ma, poiché, da una parte, il solo lavoro da compiere sarebbe stato un incerto raffronto stilistico tra gli articoli del Giornale e le opere del Trevisano; e dall’altra, congettura per congettura, niente vieta di supporre che le recensioni sieno state scritte in altra parte d’Italia (p. e. a Napoli stessa, da uno dei tanti cartesiani, in mezzo a cui viveva solitario il V.), abbiamo creduto assai piú utile esibire al lettore, in luogo di una sterile discettazione, quegli altri pochi documenti, che hanno qualche attinenza con la questione, vale a dire altri quattro articoli del Giornale relativi a scritti del V.17. [p. 315 modifica]

V

Frammento d’un’opera d’incerto titolo
anteriore al 172O.

Fu pubblicato la prima volta dal Ferrari18 (cui lo comunicò il Villarosa) come prefazione al perduto Comento a Grozio, che il V. cominciò a scrivere verso il 1716, e poi intermise, preso dallo scrupolo di spendere le sue fatiche intorno a un autore eretico. Ma che non sia una prefazione, sì bene un commiato, e che si riferisca non a un comento, ma a un’opera originale, vale a dire a una probabile redazione, ora dispersa, del Diritto universale, dimostrò, e con buoni argomenti, il Croce19. Nel riprodurlo, abbiamo tenuto presente l’autografo,conservato in casa Villarosa(20.

F. N.

  1. Ioh. Baptistae Vici Opuscola, a Carolo Antonio de Rosa, marchione Villa rosae, collecta et evulgata (Neapoli, MDCCCXXIll, apud fratres Fernandes, praesidibus annuentibus), pp. 191-208. Nell’ediz. Villarosa il testo, giusta il cod., è mancante del principio, ma non giá, come si è creduto, della fine, giacché basta mutare, secondo l’altro cod., di cui piú oltre, il «natura» finale in «naturae», perché il senso sia compiuto. Si veda Croce, Bibliogr. vich., p. 9.
  2. Cinque orazioni inedite di Giovan Battista Vico, pubblicate da un cod. ms. della Biblioteca nazionale di Napoli, per cura del bibliotecario Antonio Galasso, con un discorso preliminare (Napoli, presso Domenico e Antonio Morano, 1869). Della seconda orazione il Galasso pubblica soltanto il principio, mancante nell’ediz. Villarosa. Cfr. Croce, l. c.
  3. Per piú estese notizie dei due codd. si veda Croce, op. cit., p. 26 e Galasso, p. v sgg. — Le condizioni, in cui si trova il secondo cod., pervenuto alla Nazionale dalla libreria dei cappuccini della Concezione a S. Efrem nuovo, sono veramente miserande. A ciò per gran parte contribuirono l’umido e i tarli, i quali par quasi che trovassero la carta di piú gustoso sapore nei luoghi ove il V. aveva aggiunta qualche correzione marginale; ma non poco vi misero di proprio gli uomini. Con assai ingenuitá il Galasso stesso narra che nelle Emendationes furono «ravvivate le spente tracce della scrittura con certo mezzo efficacissimo, offertoci gentilmente dal dottissimo Costantino Tischendorf, che per ventura trovavasi allora fra noi». Senonché il «mezzo efficacissimo» era uno dei piú nocivi reagenti, il quale, oltre a imbrattare la carta di grosse macchie di un colore tra il verderame e il vino misturato, ha reso ora a dirittura illeggibile la scrittura.
  4. Antonio Palazolio | e Franciscana Capucinorum familia | sacro oratori nostrae tempestatis eloquentissimo | hunc | de finibus et ratione studiorum | autographum codicem | ut | luculentiori vita | in eius amplissima cellula | quam publicis literarum typis consignatus \fruatur | Ioh. Baptist a Vicus | dat dedicatque». Del dono fatto al Palazzolo il V. discorre nei due Cataloghi delle sue opere, pubblicati dal Croce in appendice all' Autobiografia, pp. 86 e 88. Del Palazzolo non si sa altro che era assai amico del V. e lo assistè negli ultimi momenti di sua vita (Villarosa, Aggiunta all’autobiografia, ediz. Croce, p. 82).
  5. Del sommario abbiam dato a p. 3 la parte relativa alle prime sei orazioni. La settima, ossia il De studior. ratione, vien dal V. così enunciata: «De ratione studiorum | eadem oratione | ut quam studiorum rationem corrupta natura dictat sequamur. | Dissertatio | auctior typis edita | Qua via incommoda nostrae studiorum rationis cum antiqua comparatae | vitanda essent, quo nostra rectior antiqua me liorque esse possit».
  6. De nostri temporis studiorum ratione, dissertatio a Ioh. Baptista a Vico Neapolitano, Eloquentiae professore Regio, in Regia Regni Neap. Academia xv Kal. Nov. Anno mdcciix ad Literarum studiosam Iuventutem solemniter habita, deinde aucta (Neapoli, typis Felicis Mosca, Anno mdccix, Permissu publico, in-12, di pp. 126). Si veda Croce, p. 9, ove è anche l’elenco delle ristampe.
  7. Queste postille vengono ripubblicate per la prima volta nella nostra edizione. Giacché il Daniele, il Villarosa e il Predari (cfr. Croce, l. c.) non ne tennero conto: il Ferrari poi (su cui si modellarono i posteriori editori) sostituí, alle postille vicinane, altre di suo capo, mercé le quali venne anche a modificare alquanto la ripartizione voluta dal V. «Monemus vero orationem De nostri temporis studiorum ratione mole sua librum metaphysicum [il De antiquissima ] excedere: ac propterea non perperam duximus marginales notulas apponere, quibus totius operis capita et sectiones singulae indicentur» (in Opp. di G. B. V., ediz. 1835, II, p. xv).
  8. Si veda, p. e., in quella cit. del Ferrari, 11, 12.
  9. De antiquissima Italorum Sapientia ex Linguae Latinae Originibus eruenda, Libri tres, Ion. Baptistak a Vico Neapolitani, Regii Eloquentiae Professoris (Neapoli, mdccx. Ex Typographia Felicis Mosca. Permissu publico, in-12 di pp. 130+2 innumer.). Per le ristampe cfr. Croce, p. 10.
  10. Si veda, per alcuni di essi, Croce, Secondo supplemento alla Bibl. vich., pp. 2-3. Oltre gli esemplari ivi descritti, ne abbiamo tenuti presenti altri due: uno conservato nella Nazionale di Napoli (segn. 24, B, 51), l’altro giá posseduto dal giureconsulto Niccola Nicolini e ora da Giovanni Gentile.
  11. P. e., in uno dei due posseduti dal Croce.
  12. Il Ferrari, infatti, condusse la sua edizione su quella, fuori commercio, pubblicata dal Ballanche in alcuni numeri del suo Orphèe (1827-8). «Pro munere nostro meminimus editionem opusculi De antiq. Ital. sap., quatti clarissimus Petrus Simon Ballanche... exemplaribus inseruit sui Orphei... Michaëli Parmae... hoc bonum referamus oportet, quod unum ex eiusmodi exemplaribus consulere potuerimus, ac simul merita laudum praeconia conferre in hanc edthonem accuratissimam sane et maximi aestimandam» (Opp . di G. B. V., ii, p. xxiii sg.).
  13. Giornale de’ letterati d’Italia, tomo quinto, anno mdccxi, sotto la protezione del serenissimo principe di Toscana (In Venezia, mdccxi, Appresso Gio. Gabriello Ertz, Con licenza de’ Superiori, e Con Privilegio Anche di N. S. Papa Clemente XI), art. vi, pp. 119-130; — ivi, tomo ottavo, 1711, art. x, pp. 309-338; — ivi, tomo duodecimo, 1712, art. xiii, Novelle letterarie d’Italia dell’ott., nov. e dic. MDCCXII, sotto la rubrica Di Napoli, pp. 417-8.
  14. Risposta del signor Giambattista di Vico, nella quale si sciogliono tre opposizioni fatte da dotto signore contro il Primo Libro De antiquissima Italorum sapientia, overo della Metafisica degli Antichissimi Filosofi Italiani tratta da’ latini parlari (In Napoli, mdccxi. Nella stamperia di Felice Mosca. Con licenza de’superiori, in-12, di pp. 48 V, —Risposta di Giambattista di Vico all’articolo X del Torno VIII del Giornale de’ Letterati d’Italia (In Napoli, MDCCXII. Nella stamperia di Felice Mosca. Con licenza de’ Superiori, in-12, di pp. 93 + 3 inn.). — Sia per l’una sia per l’altra Risposta, le cui edizz. originali sono estremamente rare, abbiamo avuto presente l’esemplare, postillato dal V., che si conserva nella ricca raccolta vichiana posseduta da B. Croce. Cfr. Sec. suppl. cit., l. c.
  15. P. e., a p. 274 n il V. aveva citato il 17° capitolo del II libro della Rettorica aristotelica, laddove si tratta del 21°.
  16. Nella sua ediz. dell’Autobiografia, p. 112.
  17. Cfr. Giornale, tomo primo, 1710, art. x, pp. 321-333; — ivi, tomo secondo, 1710, art. xvii, Novelle lett. d’Italia dell’apr., maggio e giugno MDCCX, sotto la rubrica Di Napoli, pp. 495-498; — ivi, tomo ventesimosesto, 1715, art. xii, Novelle letterarie d’Italia dal gennaio fino a tutto giugno MDCCXV, p. 465; — ivi, tomo ventesimottavo, 1717, art. xi, Nov. lett. d’It. da genn. fino a tutto giugno MDCCXVII, pp. 436-7.
  18. Nelle Opp. del V., ediz. 1835, 1, 280.
  19. Sec. suppl., pp. 3-4. Cfr. anche Fausto Nicolini, nella sua ediz. della Scienza nuova (Bari, Laterza, 1910 sgg.), p. xxvi sg.
  20. Fausto Nicolini, in B. Croce, Sec. suppl., p. 39, n° 4.