Le Mille ed una Notti/Storia di Giuder

Storia di Giuder

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NOTTE DCCI-DCCXX

STORIA

DI GIUDER.

— Un mercante aveva tre figliuoli, il primogenito de’ quali chiamavasi Salib, il secondo Selim ed il terzo Giuder. Il minore era oggetto di tutta la tenerezza del padre, ed il vecchio, temendo che, nella divisione dell’eredilà, Giuder non fosse spogliato da’ fratelli che l’invidiavano, determinossi a regolare egli medesimo questa faccenda mentr’era in vita, ed in tal pensiero fe’ venire il cadì per compilare lo stato di tutti i beni che possedeva e dividerli in quattro parti eguali, una per ciascun figlio, e la quarta per la loro madre.

«Morto il vecchio poco tempo dopo, i due fratelli maggiori di Giuder, malcontenti della fatta divisione, e pretendendo di avere una parte più ragguardevole alla successione paterna, recaronsi dal cadì per sottoporgli l’affare. Comparvero innanzi al giudice i testimoni del testamento, ed egli pronunziossi in favore di Giuder, ma le spese della lite rimasero non meno a carico di lui, che de’ suoi fratelli. Appellaronsi questi ad un altro tribunale, dove guadagnarono la causa. Giuder li citò innanzi ad un terzo cadì, e così di [p. 65 modifica] tribunale in tribunale, e di giudizio in giudizio, spesero tutti e tre l’eredità del padre. I due fratelli, la cui anima era spoglia d’ogni generoso sentimento, attaccarono la madre, e la spogliarono della parte accordatale per suo dovario. Venuta essa a trovare Giuder per lamentarsi dell’infelice sua sorte, fece questi ogni sforzo per consolarla, e le rappresentò che non poteva ricorrere contro i fratelli davanti a verun tribunale, non possedendo più nulla, talchè dovevano rassegnarsi amendue a soffrire con pazienza.

«La madre, commossa della tenerezza del figlio, risolse di passare con lui il resto della sua vita, ed ogni giorno vivevano dei benefizi della Provvidenza. Giuder recavasi colle sue reti ora al mare di Birkah, ora a quello di Bulak, oppure al Vecchio Cairo per guadagnarsi il vitto, facendo il pescatore. Così provvedendo alla propria esistenza, prendeva la massima cura che nulla mancasse alla madre. Quanto a’ due fratelli maggiori, essi ebbero in breve sciupato quanto avevano tolto alla madre, talchè si videro ridotti a vivere d’elemosine come miserabili accattoni, e talvolta venivano, in assenza di Giuder, a chiedere alla madre stessa un tozzo di pane. Questa, non potendo soffocare i sentimenti della natura verso i figli, benchè ingratissimi, dava lor da mangiare, e li faceva allontanare prima del ritorno dell’altro figliuolo, onde non accenderne l’ira. Giuder sopraggiunse un giorno che i fratelli trovavansi tuttora a mensa: la madre non disse una sola parola, per tema d’inquietarlo; ma egli, lungi dal mostrarsene malcontento, strinse i fratelli tra le braccia, e si lagnò che nol venissero a trovar più di frequente: condotta generosa che li riempì di turbamento e di confusione. Giuder disse loro mille cortesie, e li costrinse in fine a restar la notte presso di lui: vi rimasero poi non solo quella, ma ancora le notti seguenti. Giuder usciva [p. 66 modifica] di casa tutte le mattine colle reti, aumentando di tal guisa la madre ed i fratelli col prodotto delle sue fatiche.

«Un giorno che aveva gettate le reti senza pigliare un sol pesce, si trovò costretto a tornar colle mani vote com’era venuto la mattina, e riflettendo con tristezza che la famiglia avrebbe dovuto andar a letto digiuna, si pose in via per redire a casa. Ora, passando dinanzi alla bottega d’un fornaio dov’era solito prender il pane, vide molta gente che correva a comprarne, ma non avendo danari, si fermò in disparte, guardando tristamente quelli che andavano e venivano. — Avvicinatevi,» gli gridò il prestinaio, e avvicinatevi, Giuder! Non avete bisogno di pane quest’oggi?» Giuder tacque. «Quando pure non aveste denaro,» riprese il fornaio,«prendetene egualmente; ecco i dieci pani che siete solito comprare.» Volea Giuder lasciargli in pegno le reti. «Dio mi guardi,» sclamò il prestinaio, «dal privarvi di ciò che vi serve a guadagnar il vitto! Ecco dieci pani e dieci monete che vi presto, e domani mi porterete venti pesci.» Giuder, fattigli mille ringraziamenti, comprò carne e legumi, e tutta la sua famiglia cenò secondo il solito.

«La domane, non essendo la pesca stata più felice del giorno prima, Giuder tornò mestissimo a casa, e nel passar davanti alla bottega del fornaio, questi gli prestò dieci altri pani, dicendogli: — Coraggio, Giuder; ciò che il destino decise una volta, è irrevocabile, e ciò che oggi non accade, accade domani.» Il giovane pescatore recossi sette giorni di seguito in un altro sito; ma anche il nuovo tentativo fallì, poichè non prese un solo pesce. Infine determinossi d’andare al Birket-al-Karun1, e preparavasi a [p. 67 modifica] gettarvi le reti, allorchè vide avvicinarsi un Mogrebino2 sì ben avvolto nel mantello, che non se gli vedeva se non un solo occhio; riccamente bardata n’era la mula, e portava in groppa un sacco da viaggio; colui salutò il pescatore, che gli rese il saluto. — Giuder,» disse il Mogrebino,«se ti trovi in bisogno, ti prometto di soccorrerti e colmarti di beni, nè ti chiederò altra ricompensa se non di prestarmi un servigio. — Parlate,» Giuder rispose; «sono a’ vostri comandi. — Or bene, comincia dunque a dire un fatihah3.» Lo recitarono assieme, e quindi il Mogrebino, tratta dalla valigia una cintura di seta: — Fammi il piacere,» disse a Giuder, «di legarmi al braccio questa cintura e gettarmi nel lago. Se a capo d’alcuni istanti, vedi comparire sull’acqua una delle mie mani, getta in quel sito le reti, e riconducimi a riva: ma se vedi apparire un piede, è segno che son morto, ed allora, prendendo la mia mula insieme alla valigia, vanne al bazar, domanda del giudeo Schemsa e dagli la mula per la quale ei ti conterà [p. 68 modifica] cento danari. Poi torna a casa, e non parlare con chicchessia di ciò che sarà accaduto.» Fece Giuder quanto gli avea comandato il Mogrebino: lo gettò nel lago, e poco dopo vide comparire sull’acqua un piede. Senza perder tempo, salì sulla mula, e recatosi al bezestin, gli fu indicata la bottega del giudeo Schemsa, il quale, non appena vide la mula, sclamò: — È morto! — Sì, è morto,» rispose Giuder. — Fu la di lui avarìzia che pose fine alla sua vita,» ripigliò l’Ebreo. «Ecco cento pezze d’oro, andatevene, e mantenete il più rigoroso segreto su ciò che vedeste. —

«Affrettossi Giuder a pagare quanto doveva al fornaio, e saldò parimente i debiti dei fratelli, dando loro inoltre danaro, in modo che in poco tempo si vide povero quanto prima. Per non più gettare le reti invano, recossi subito, il primo giorno in cui riprese il lavoro, al mare di Karun. D’improvviso, scoperse un altro Mogrebino, salito sur una mula ancor più riccamente bardata di quella del primo, e che portava una valigia ancor più preziosa. Avendo il pescatore salutato colui, gli domandò se non avesse poco tempo prima veduto un altro Mogrebino vestito come lui, e che seguiva la medesima strada. Giuder, il quale temeva di essere costretto a restituire ciò che avea ricevuto, affermò di non averne veduto nessuno. — Come!» gridò l’altro;«non so io che tu gli legasti le braccia, e che dopo averlo gettato nel lago, ti recasti dal giudeo Schemsa, al quale vendesti per cento pezze d’oro la mula? — Ebbene,» riprese Giuder, «poichè lo sapevate, era inutile domandarmelo. — Tutto ciò che esigo da voi,» ripigliò il Mogrebino, «è che mi rendiate esattamente il medesimo servigio ed alle stesse condizioni.» Acconsentì Giuder volontieri, gli legò le braccia, e gettatolo nel lago, allorchè vide comparire sulla [p. 69 modifica] superfice dell’acqua un piede, si allontanò colla mula, che gli fu pure pagata cento pezze d’oro. Il qual mestiere di annegar i Mogrebini in modo sì lucrativo piacque tanto a Giuder, che subito la mattina appresso tornò al Birket-al-Karun, e quasi nel medesimo istante, ecco venire un terzo Mogrebino ancora più notabile dei precedenti per la ricchezza degli abiti e l’equipaggio della mula. — Non hai veduti i miei fratelli?» chiese costui a Giuder. — Sì,» questi rispose; «e’ si divertono coi pesci, attendendo che andiate a raggiungerli. — Dici bene,» ripigliò il Mogrebino; «tale è infatti la mia intenzione. — Disponete di me,» disse Giuder; «sono già al fatto del mestiere.» Sì discorrendo, lo legò strettamente, e gettatolo nel lago, attese qualche minuto. D’improvviso vide comparire al di sopra dell’acqua una mano; allora, gettate le reti, ricondusse il Mogrebino alla riva, mentre teneva in mano due pesci rossi come corallo, che nel medesimo istante pose in due coppe, cui trasse dalla valigia. Poi, baciato Giuder in fronte, lo ringraziò di avergli salvata la vita, col gettare le reti appunto nel momento opportuno. — Se credete di avermi qualche obbligazione,» gli disse Giuder, «per parte mia vi sarò obbligatissimo, se voleste raccontarmi la storia dei due Mogrebini che vi hanno preceduto, e così pure quella di questi due pesci.

«— I due Mogrebini annegati,» disse il terzo,«erano miei fratelli; il primo chiamavasi Abdosselim e l’altro Abdossamed. Il Giudeo, ch’è giudeo quanto lo sei tu, ma bensì un fedele musulmano, chiamasi Abderrabim, ed è mio terzo fratello. Nostro padre era un gran mago, che possedeva a fondo tutti i segreti delle scienze occulte, e ci lasciò beni immensi che dividemmo tra di noi dopo la sua morte; ma però non ci potemmo accordare intorno a possesso de’ [p. 70 modifica] suoi manoscritti, che racchiudevano il segreto di tutti i tesori nascosti. Già la discordia cominciava a dividerci, allorchè il vecchio sceik, che aveva istruito mio padre nella magia e delle scienze occulte, si profferse a servirci d’arbitro, e ne disse: — Figliuoli, questo libro m’appartiene; bisogna che quello di voi il quale desidera di possederlo, vada ad aprire il tesoro di Sciamardal, e me ne porti la sfera artificiale, la scimitarra, la scatola di Kohol ed il suggello. È codesto sigillo custodito da un genio, ii cui solo nome è spaventevole, e chi lo possiede non ha nulla da temere dalla potenza de’ principi, potendo a suo beneplacito sottomettere a suoi ordini la terra intiera. La sciabola distrugge in un solo istante tutto un esercito. La sfera artificiale mostra tutto ciò che accade in ciascun luogo dell’universo; basta farla girare per vedere quello' che si desidera. Volete ardere una città? mettete una scintilla nel sito dove questa trovasi indicata sul globo, ed all’istante medesimo diventerà preda delle fiamme, e così del resto. Finalmente, chi si frega gli occhi col Kohol, vede tutti i tesori nascosti sulla terra. Ma per aprire il tesoro di Sciamardal, bisogna prima impadronirsi dei figliuoli del re Rosso, che abitano in fondo del lago di Karun. Vostro padre tentò indarno di rendersene padrone; non fu se non dopo arduissimi calcoli, che scopersi essere, per influsso delle costellazioni, assolutamente necessario che un giovane del Cairo, chiamato Giuder, gettasse nel lago quello che volesse impossessarsi de’ due pesci. Comparirà sopra l’acqua un piede di chi perirà nell’impresa, e di quello che dee riuscire, si vedrà invece galleggiare una mano. —

«Risolvemmo tutti e tre di tentar l’avventura; il quarto nostro fratello, il preteso Giudeo, preferì restare al Cairo per esercitarvi il traffico, e convenimmo assieme di mandargli le nostre mule da [p. 71 modifica] comperare, nel caso in cui soccombessimo nell’impresa. I miei due fratelli perirono, ed io ebbi la fortuna d’impadronirmi dei figliuoli del re Rosso, che sono geni potenti sotto la forma di pesci di corallo, come li vedete. Ora, per aver il tesoro, è d’uopo che facciate meco il viaggio di Fez e Mequinez. — Vi acconsentirei volentieri,» rispose Giuder, «se da me solo non dipendesse l’esistenza di mia madre e de’ miei fratelli. — Quanto a questo,» rispose il Mogrebino, «vi provvederemo sull’atto; ecco mille zecchini per sovvenire ai loro bisogni durante la nostra assenza. Tra quattro mesi sarete di ritorno, e ricco abbastanza per tutta la vostra vita.» Avendo Giuder dato le mille pezze d’oro alla madre, prese da lei congedo, e salì in groppa alla mula del Mogrebino.

«Viaggiato alcun tempo, Giuder si avvide che non avevano provvigioni. — Vi siete dimenticata la cucina,» disse al Mogrebino. — Avete fame?» questi rispose. — Sì,» replicò Giuder. — Ebbene,» proseguì il Mogrebino, «smontiamo, e portatemi la mia valigia da viaggio; ora ditemi cosa volete. — Pane e formaggio, se v’aggrada. — Ah! pane e formaggio è un cibo grossolano! Non avete gusti un po’ più dilicati? — Or via, un pollo arrosto. — Buono! — Riso cotto colla carne. — Buono! — Pasticci. — Buono!» Giuder nominò così sino ventiquattro specie di cibi, e l’altro sempre diceva: — Buono! — Ora basta,» disse Giuder; «vediamo d’onde ci verranno.» E subito il Mogrebino tirò fuori dalla valigia un piatto d’oro col pollo arrosto, e ad uno ad uno i Ventiquattro piatti che Giuder aveva desiderato, cavandone poi anche un catino ed una brocca pur d’oro per lavarsi le mani dopo il pasto. Ricollocata poscia ogni cosa nella valigia, risalì sulla mula, e: - Quanta strada credete che abbiamo fatta?» domandò il Mogrebino. — Non saprei,» rispose Giuder; «siamo in [p. 72 modifica] cammino da circa un paio d’ore. — È vero, » rispose quello, «eppure abbiamo percorso uno spazio ehe esige ordinariamente il tempo d’un mese: questa mula è un genio che fa, in un sol giorno, il viaggio d’un anno; ma ne ho moderato il corso per non istancarvi.» Così proseguirono la loro via, provvedendo sempre la valigia ai loro bisogni, ed in cinque giorni arrivarono a Mequinez.

«Ciascuno, passando, salutava il Mogrebino, e quando furon giunti alla sua casa, bussò alla porta, che gli venne aperta da una giovane bella e svelta come una gazella sitibonda. — Aprici il padiglione, figliuola, » le disse il Mogrebino. — Sono ad obbedirvi, » rispos'ella. Poi, avendo la giovane levata la valigia dal dorso della mula, le disse: — Torna al sito donde venisti.» E tosto apertasi la terra, accolse la mula nel suo seno. — Lode a Dio, » sclamò Giuder, «che mi liberò da simile montura!» Rimase la sua vista abbagliata dallo splendore e dalla moltitudine delle ricchezze che il padiglione racchiudeva. — Rahmeh, » disse il Mogrebino a sua figlia, «portami il bogtscià, che si trova dove sai.» Egli ne trasse primieramente un abito che valeva almeno mille pezze d’oro, e col quale vestì Giuder, poscia una mensa con ventiquattro piatti. Venti giorni passarono in tal guisa; ogni mattina il Mogrebino faceva all’ospite il presente di un abito di mille pezze d’oro, e la sera lo trattava ad una tavola di ventiquattro piatti, senza che si vedesse mai fumare la cucina. Il dì ventunesimo, il Mogrebino fece insellare due mule, e si pose in cammino con Giuder per andar ad aprire il tesoro di Sciamardal. Giunti sulla sponda d’un lago fangoso, smontarono; le mule tornarono addietro, e gli schiavi eressero una tenda, sotto la quale furono posti la valigia da viaggio ed i due vasi entro cui stavano i due pesci di corallo. Allora, avendo il Mogrebino [p. 73 modifica] cominciato i suoi scongiuri, li continuò sinchè, apertisi i vasi, ne uscirono i pesci gridando: — Sovrano del mondo, cosa comandi? — Vi strangolerò, vi abbrucerò, » rispose il Mogrebino, «se non mi aprite il tesoro di Sciamardal. — Sarà fatto, » risposero, «ma a condizione che sarà presente il pescatore Giudea essendo scritto nel libro del destino, che questo tesoro non possa essere aperto se non in presenza sua.» Il Mogrebino cavò dalla valigia un piatto di onice ed un bracere, pose nel piatto i due pesci e sparse profumi sul bracere. — Ora, » disse a Giuder, «vi dirò, prima d’ogni altra cosa, quello che dovete fare, poichè, cominciate che abbia una volta le mie fumigazioni, non potrò più rivolgervi la parola. Mano mano, che s’innalzerà la fiamma, quest’acqua a poco a poco scemerà, e voi vedrete in fondo una porta d’oro, grande quanto quella d’una città: busserete tre volte, ed udrete una voce che dirà:«Chi batte alla porta di questo tesoro?» E voi risponderete: «Sono il pescatore Giuder che la deve aprire.» Il custode uscirà dicendo: «Allunga il collo, affinchè provi colla mia sciabola se sei veramente Giuder.» Obbedite all’ordine del custode, presentategli il collo, ed ei non vi farà alcun male; ma se ricusaste di farlo, vi ucciderebbe senza pietà. Rotto il primo incanto, incontrerete presso alla seconda porta un cavaliere armato di lancia damaschinata. Presentategli arditamente il petto; vedrete svanire sull’istante quel fantasma, e passerete la porta senza il minimo ostacolo; ma se negaste di lasciarvi colpire dalla lancia, certa sarebbe la vostra morte. Altrettanto vi accadrebbe alla terza porta se voleste evitare il dardo che vi scoccherà il custode. Quando picchierete alla quarta, ne usciranno sette mostri che vi si slanceranno addosso per divorarvi: ma non fuggite, stendete solo verso di loro la mano, e tosto spariranno. Alla quinta [p. 74 modifica] porta troverete uno schiavo nero che vi dirà: «Se sei Giuder, apri la sesta porta;» e la porta si aprirà da sè medesima, appena pronuncerete il nome di Mosè. Due dragoni, uno per parte, vi seguiranno per via colle ampie fauci spalancate; continuate ad inoltrarvi senza paura sino alla settima porta, d’onde vedrete uscire vostra madre, che vi dirà: «Vieni, figlio mio, vieni, che ti stringa nelle mie braccia.» Ma sarà d’uopo risponderle: «Allontanati, o ti uccido!» Allora, sguainando la spada che avete sospesa al fianco, uccidetela all’istante, se non si spoglia di tutte le sue vesti. Quindi potrete finalmente entrare nella stanza del tesoro, nella quale vedrete il mago Sciamardal seduto sur un trono d’oro, con in testa un diadema scintillante, in mano la scimitarra della quale già vi parlai, ed in dito l’anello col sigillo magico. La scatola di Kohol gli sta sospesa dinanzi mediante un’aurea catena. Dei quali oggetti impossessandovi facilmente, tornerete a me sano e salvo, poichè spero che seguirete esattamente tutte queste istruzioni; pel resto, abbandoniamoci alla divina Provvidenza. —

«Cominciò il Mogrebino le sue fumigazioni, accompagnandole con parole misteriose. Scomparsa l’acqua, rimase scoperta la prima porta, e tutto accadde come il Mogrebino aveva predetto, finchè Giuder pervenne alla settima porta, d’onde vide uscire la propria madre. Aveva coraggiosamente sfidati tutti i pericoli e gl’incanti, ma venne meno allorchè trattossi di spogliare la madre di tutte le sue vesti. Pure, fatto uno sforzo su sè medesimo, minacciò di ucciderla se non ispogliavasi. Obbedì quella, e si cavò tutti gli abiti, tranne uno solo. — Figlio, » gli disse allora, «sarebbe un violare la decenza costringendomi a spogliarmi anche di quest’ultimo. È impossibile che vi sia stato dato simil ordine. — Avete ragione, madre: mia, » riprese [p. 75 modifica] Giuder; «tenete la camicia; non ne può derivare male veruno.» Appena ebb’egli pronunziate tali parole, essa gridò: — Battetelo!» E sull'atto i geni, custodi invisibili del tesoro, fecero piovere su di lui una gragnuola di colpi; in un mover di ciglio, ripassò egli le sette porte, l’acqua riprese il suo posto, ed il povero Giuder trovossi slanciato semivivo appiè del Mogrebino, il quale: — Non ve l’aveva io predetto, » gli disse, e che le cose sarebbero ite male se aveste provato scrupoli fuor di luogo? Tutto per quest’anno è finito; bisogna attendere l’anno venturo per fare un nuovo tentativo. —

«Tornarono dunque a Fez, dove Giuder fe’ per un anno intiero squisiti banchetti a spese della valigia incantata. In capo ad un anno, ed in un giorno simile, recaronsi nello stesso sito, ed il Mogrebino comandò di nuovo a Giuder di non dimostrare troppa dilicatezza verso il fantasma di sua madre. Questa volta il giovane lasciò da banda gli scrupoli; costrinse la pretesa madre a spogliarsi di tutte le vesti, e nel medesimo istante la figura svanì. Poscia, penetrato bel tesoro, s’impossessò senza difficoltà della sfera artificiale, della sciabola, del suggello e della scatola di Kohol, e tornatosene in mezzo alle acclamazioni de’ geni del tesoro, consegnò al Mogrebino quanto ne aveva riportato. Questi lo ringraziò, pregandolo di domandargli tutto che volesse in guiderdone del reso servigio. — Null’altro io desidero, » rispose Giuder, «se non la valigia incantata che può somministrare i più lauti pranzi. — Volentieri, o figlio, » rispose il Mogrebino, «ma questa valigia non vi servirebbe che a mangiare soltanto; voglio aggiungervene un’altra piena d’oro, d’argento e di pietre preziose, che vi porrà in grado di mantenere la vostra famiglia, ed esercitar il commercio. Vi darò inoltre una mula ed uno schiavo per ricondurvi a casa; ma guardatevi [p. 76 modifica] bene dal rivelare giammai questo segreto a chicchessia. —

«Giuder, preso commiato dal Mogrebino, tornò sano e salvo al Cairo, dove trovò la madre in preda alla disperazione, e seduta in un angolo della casa, dalla quale erano state levate tutte le mobiglie. — Che cosa avete, o madre?» sclamò egli. Non seppe la buona vecchia frenare le lagrime dalla gioia che provava rivedendo il figlio, e gli raccontò come i dissoluti fratelli avessero scialaquato al giuoco il poco danaro lasciatole partendo, ed aggiunse che morivano di fame al par di lei. — Oh! quanto a questo, » riprese Giuder, e c’è modo di rimediarvi; ecco un sacco che ci somministrerà il più splendido banchetto. — Perchè scherzare?» rispose la madre;«veggo bene che è voto. — Non ischerzo, non avete se non a dire quello che desiderate. — Or bene, pane e formaggio. — Oibò! è troppo magro pasto; so meglio di voi cosa ne occorre: arrosto, riso colle spezie, un’insalata di cocomeri, salsicce, focacce mielate, del bakliwah4, del kataif5 e sorbetti. — Basta! basta!» sclamò la madre, credendo sempre che il figliuolo volesse scherzare. Allora Giuder pronunziò le parole insegnategli dal Mogrebino per farsi obbedire dal genio del sacco, e ne trasse fuori tutte le vivande nominate con grande stupore della madre; il giovane, narratole come quel sacco maraviglioso fosse venuto in suo possesso, le raccomandò di custodire il più grande segreto.

«I fratelli di Giuder, uditone il ritorno, vennero a salutarlo; egli li accolse bene, e li fece sedere a tavola con lui. Finito di mangiare, volevano raccogliere i rimasugli, ma Giuder disse loro di distribuirli ai [p. 77 modifica] poveri, promettendo altri cibi per la cena. Ed in fatti li trattò la sera splendidamente, e così fu nel giorno appresso e ne’ dieci altri successivi. Veramente, » dissero tra loro i due prodighi, «nostro fratello Giuder è diventato un gran mago, poichè ci può trattare in tal modo senza aver d’uopo di cucina.» Approfittarono della sua assenza per istrappare alla madre il segreto confidatole dal figliuolo, ed essendosi la gelosia ed il dispetto impadroniti di loro, pensarono di far perire Giuder, immaginandosi che possedendo quel sacco, non avrebbero più bisogno d’altro. Andati a trovare un capitano di nave che trafficava di schiavi, gli dissero che aveano un pessimo soggetto per fratello, il quale minava tutta la famiglia, e convennero di vendergli Giuder per quaranta pezze d’oro. Non trattavasi più che di trovar l’occasione di consegnarlo al capitano. A tal fine, i due scellerati chiesero al fratello il permesso d’invitare a cena tre amici, e col di lui consenso, si diede loro uno splendido convito. Ritiratasi la madre, i tre ribaldi, aiutati dai due fratelli, precipitaronsi sul giovane, gli posero una sbarra in bocca e lo condussero a Suez, dove rimase schiavo un intiero anno, facendo intanto i due scellerati credere alla madre che gli ospiti avuti a cena erano Mogrebini, i quali avevano condotto con loro Giuder per cercare nuovi tesori. Pianse quella amaramente, ed i due suoi snaturati figli la maltrattarono per le lagrime che l’assenza del giovane le strappava. Si divisero quindi l’oro ed i diamanti, ma non poterono aggiustarsi sul possesso del sacco incantato. Invano la madre propose di lasciarlo a lei, promettendo di somministrar loro ad ogni pasto tutto ciò che sapessero desiderare; non vollero acconsentirvi, e trascorsero gran parte della notte in contrasti, sinchè passando a caso la guardia, i soldati, attirati dallo strepito, accostaronsi [p. 78 modifica] alla porta ed udirono tutto ciò che i due fratelli dicevano. La domane mattina, il comandante fece intorno a quell'affare il suo rapporto al re, che chiamavasi Scemseddaulet, e questi, fatti venire i due fratelli, tolse loro il sacco, li fe’ gettare in prigione, ed assegnò una certa somma per la sussistenza della madre.

«Giuder intanto passò un anno intiero come schiavo fra la ciurma d’una galera. Avendo il vascello, sul quale era cattivo, fatto naufragio nel mar Rosso, salvossi lo sventurato sulla costa d’Arabia, dove fu raccolto da un mercatante che lo condusse a Gidda e di là alla Mecca. Facendo le sue divozioni in quella città, incontrò l’antico suo amico Mogrebino, lo sceik Abdossamed, e gli narrò colle lagrime agli occhi la propria sciagura. Il Mogrebino, accoltolo coi segni della più viva amicizia, gli diede un abito magnifico, e tracciò sulla sabbia alcune figure cabalistiche per iscoprire il suo futuro destino. — Rasserenatevi, » disse poi, «la sventura sta per cessare di perseguitarvi: i vostri fratelli sono in prigione, vostra madre è felice, e per voi si svela il più brillante avvenire.» Trattosi quindi dal dito l'anello di Sciamardat, disse a Giuder: — Accettate questo dono: sapete che a codest’anello va soggetto un genio potente, pronto ad adempire gli ordini vostri qualunque siano. Prendete! ora siete padrone dell’anello e del genio. — Non bramo che una sola cosa, » rispose Giuder, «di trovarmi, cioè, a casa mia. — Ebbene, » rispose il Mogrebino, «non avrete d’uopo che di chiamare il genio. — Allora, addio! — «Chiamò Giuder il genio, che, in un batter di ciglio, lo trasportò davanti alla porta della casa di sua madre, la quale fu lieta nel rivederlo, ma gli disse che temeva per la vita de’ fratelli, ch’erano tuttora in prigione. — Non v’inquietate, cara [p. 79 modifica] madre, » rispos’egli; «or ora li rivedrete sani e salvi.» e nello stesso tempo comandò al genio di ricondurglieli: rimasero coloro molto stupefatti allorchè trovaronsi dinanzi a Giuder, e versarono lagrime di vergogna e pentimento. — Non piangete, » disse loro questi; «il demonio della cupidigia si è impadronito di voi, e fu egli che vi aizzò contro di me; ma io vi perdono, come Giuseppe perdonò a’ suoi fratelli che l’avevano gettato in un pozzo.» Poi raccontò le sue avventure, e chiese in qual modo il re li avesse trattati. Narrarongli come avesse fatto dar loro le bastonate, dopo averli spogliati dei diamanti e del sacco incantato. — Li ricupereremo subito, » disse Giuder. E chiamato il genio, gli comandò non solo di portargli tutti i tesori del re, ma anche di fabbricare, nella notte medesima, un superbo palazzo, ed ammobigliarlo di tappeti e sofà colla più rara magnificenza. Il genio dell’anello, adunati subito i compagni, si accinse sul momento all’opra: cominciò a tagliare con essi le pietre, allestire i legnami, stenderei tappeti, dipingere e dorare, di modo che il palazzo trovossi compiuto prima del sorger del sole. Soddisfattissimo ne rimase Giuder, e sceltolo anche per residenza della madre, comandò al genio di condurgli quaranta schiavi negri e quaranta bianchi, con altrettante schiave abissine e circasse. Destinò le schiave alla madre, e prese gli schiavi per suo servigio e dei fratelli, i quali erano allora come visiri, mentre egli faceva le parti di monarca.

«Allorchè il tesoriere del re Scemseddaulet entrò nel tesoro, qual non fu il suo stupore di trovarlo vuoto, poichè il genio n’aveva levato non solo il sacco incantato ed i diamanti di Giuder, ma benanco tutto quanto c’era. Corse il tesoriere sollecito ad annunciarlo al re, il quale, entrato in gran furore, [p. 80 modifica] convocò il divano ed i grandi dell’impero per partecipar loro più non esservi una sola moneta in tutto il tesoro. Niuno sapeva cosa rispondere; l’uffiziale di polizia, che aveva udito il contrasto de’ due fratelli, fu il solo che si arrischiasse a parlare. — Sire, » disse, «sono accadute cose ancor più maravigliose. Facendo stanotte la ronda, ho udito un gran rumore di voci, di martelli, di trivelle, ed al levar del sole vidi un magnifico palazzo, in un sito dove ier sera non ce n’era la minima apparenza. Mi sono informato da chi fosse abitato, e mi fu risposto da Giuder, da sua madre, ed anche da’ suoi due fratelli, i quali, usciti di prigione, vivono adesso come principi. — Mi si conducano, » gridò il re, pieno d’ira, «questo miserabile Giuder ed i suoi fratelli; mi siano condotti all’istante! — Permetta vostra maestà, » riprese il visir, «di darle un consiglio ed indurla a non agire con troppa precipitazione in tale circostanza. — Ebbene! qual consiglio? — Credo, » rispose il visir, «che sarebbe meglio adoperare prima con Giuder la dolcezza: vostra maestà lo faccia pregare di venir da lei, e lo interroghi come tanti beni gli siano venuti in una sola notte. —

«Il re incaricò di tale messaggio un emiro della sua corte, rinomato per prudenza, il quale, giunto alla porta del palazzo di Giuder, vide seduto sur un seggio d’oro il capo degli eunuchi, il quale però non gli mosse incontro, e nemmeno si alzò. Era quel capo degli eunuchi il genio dell’anello in persona. L’emiro, offeso da quella mancanza di rispetto, lo caricò d’ingiurie, e volle anche percuoterlo col suo bastone d’acciaio, non sapendo di aver a fare con un genio; ma questi, toltogli il bastone, glielo fe' giuocare sulle spalle, e volendo le persone del seguito dell’emiro, colle sciabole sguainate, venire in aiuto del loro signore, il genio li scacciò in un batter di ciglio. [p. 81 modifica] L’emiro andò a gettarsi appiè del trono cogli occhi ammaccati e la schiena rotta dalle percosse; il re, trasportato dall’ira, mandò prima cento, poi dugento, ed infine trecento soldati, ma furono tutti malconci dal capo degli eunuchi, che non volea comportare veruna violenza. — Sire,» disse il gran visir, «non giungeremo mai al nostro scopo per mezzo della forza; voglio presentarmi io medesimo come messaggero incaricato di parole di conciliazione. —

«Vestito di bianco e senza scorta, presentossi il visir alla porta del palazzo, e salutato il capo degli eunuchi, lo pregò di annunziare al suo padrone come ei venisse da parte del re con un messaggio. Giuder comandò di far entrare il visir che soddisfece alla sua missione, ed egli lo congedò, facendolo prima vestire d’un abito che, per ricchezza, superava tutto ciò che il re avesse mai avuto di più prezioso nel suo tesoro. Inteso dal monarca il rapporto del visir: — È ancora più potente sovrano di me,» sclamò; «voglio sull’istante andar io pel primo a fargli visita.» Salì a cavallo, e circondato dalle sue guardie, recossi al palazzo di Giuder, il quale, istruito appena dell’arrivo del re, ingiunse al genio dell’anello di condurgli un reggimento di guardie riccamente vestite, e disporle in ispalliera nella corte del palazzo. Fremette il re vedendo l’aspetto guerresco di quella guardia, e passando tra le due file di soldati, entrò in una sala, dove sur un trono era seduto Giuder; questi non si alzò per riceverlo e nemmeno lo fece sedere. — Signor re,» gli disse, «è agire in modo indegno delle persone del vostro grado, il maltrattare la gente senza alcun motivo, e spogliarla.» Il re, naturalmente pusillanime, turbossi assai per l’accento severo, con cui Giuder gli volse quel rimprovero; e scusandosi alla meglio, si lasciò l’altro [p. 82 modifica] pregare e gli perdonò, facendogli nello stesso tempo dono del suo kaftan, ed invitandolo a pranzo.

«Allorchè il re fu tornato al suo palazzo, si chiuse in camera col visir, per concertare con lui ai mezzi di guarentirsi da un uomo che per la sua possanza pareva tanto pericoloso. — Temo, » soggiunse, «che voglia impadronirsi della mia corona. — Della vostra corona!» ripreso il visir; «cosa volete che ne faccia? Non è forse più potente di tutti i re della terra? Ma se lo temete, perchè non cercate d’imparentarvi seco lui? La principessa vostra figlia è mirabilmente opportuna a stringere quest’alleanza. — «Siete un abile politico, mio caro visir, » disse il re, «e m’affido tutto su di voi per la condotta di questo dilicato affare. — Se vostra maestà vuol seguire il mio consiglio, »rispose il visir, «ella dee invitar Giuder a recarsi qui, e mentre discorrerete assieme, vostra figliuola passerà come un baleno davanti alla porta dell’appartamento dove vi troverete. Dico come un baleno, per eccitare vie meglio la curiosità di Giuder. Ha egli un’immaginazione tanto romanzesca, ch’io son certo s’invaghirà perdutamente d’una bellezza cui non avrà fatto che travedere un istante. Mi domanderà chi è, ed io gli dirò essere la principessa vostra figliuola. Così lo indurò a chiedervela in consorte, ed allora passerete giorni felicissimi in intima unione con vostro genero.» Il re approvò il progetto, e sul momento ordinò i preparativi della festa, dove voleva far comparire la figlia. Bella di tutti i doni della natura, passò la principessa, dinanzi alla porta dell’appartamento nel quale Giuder stava seduto a mensa; appena il giovane la vide, gettò un grido di sorpresa, avendolo amore ferito con tanta forza, che un tremito universale gl’invase le membra. — Che cosa avete?» gli chiese lo scaltro visir. — Ah!» rispose Giuder, «quella beltà celeste che m’è apparsa, mi ha rapito il [p. 83 modifica] cuore e turbata la ragione» — Quella beltà, » riprese il visir, «è la figlia del sultano; se l'amate, non avete che a chiederla in matrimonio. Son certo che, ve raccorderà senza difficoltà veruna; ed anzi, per evitarvi questo passo, m’incarico di farne la proposta a sua maestà. Sire,» disse poi, volgendosi al re, «Giuder brama di stringere anche coi vincoli del sangue l’alleanza d’amicizia che esiste tra voi. Egli ama la principessa figlia di vostra maestà; volete accordargliela in isposa? — Mia figlia,» rispose il re «è la schiava di Giuder; non ha che a comandare.» Subito la domane furono celebrate le nozze colla massima pompa. Essendo poi il re morto poco dopo, il divano offerse la corona a Giuder, che l’accettò. Fece fabbricare una moschea alla quale assegnò ricche donazioni, ed il quartiere della città nel quale ergevasi il suo palazzo, ancor oggi si chiama il quartiere di Giuder. Al suo avvenimento al trono erasi egli sollecitato d’innalzare al grado di visiri i due suoi fratelli Selim e Salib; ma rodendo l’invidia di continuo il loro cuore, nè potendo sopportare il pensiero d’essere soggetti al fratello, formarono una trama per impossessarsi del suo anello, nel qual disegno, invitatolo ad un banchetto, lo avvelenarono. Allorchè il veleno ebbe prodotto il suo effetto, Selim s’impadronì dell’anello di Giuder, e chiamato il genio, gli comandò d’uccidere il fratello Salib. Quindi, convocato il divano, dichiarò di essere signore dell’impero in virtù dell’anello; i grandi rimasero colti da tal timore, che non osando dire una sola parola, gli resero omaggio, e lo riconobbero per loro re.

«Il nuovo sultano cominciò il suo regno ordinando i funerali del defunto re, ed in pari tempo i preparativi del matrimonio, che voleva contrarre colla regina. Al qual proposito il divano gli fece rispettose rimostranze, e lo supplicò ad attendere che [p. 84 modifica] fosse scorso il tempo del lutto. — Sono formalità vane delle quali mi prendo poco pensiero,» rispose il tiranno; «bisogna che la principessa si arrenda a’ miei voleri in questa medesima notte.» Conforme agli ordini suoi, fu steso il contratto di matrimonio, e fatta conoscere alla principessa la volontà del nuovo monarca. — Venga!» rispose colei; «son disposta a riceverlo.» Avendogli prodigati i segni d’una finta tenerezza, gli presentò una tazza di sorbetto avvelenato che gli diè la morte; poscia, impadronitasi dell’anello e del sacco magico, spezzò il primo e lacerò il secondo, affinchè niuno per l’avvenire facesse cattivo uso della potenza di quei due oggetti.»

  1. Nelle vicinanze dell’antica Memfi trovasi il lago di Caron sul quale trasportavansi i morti per sotterrarli nella pianura di Sacara: è questa l’origine della favola di Caronte e della sua barca.
  2. Intendesi per Mogrebino un abitante della parte occidentale dell’Africa, che porta di nome di Mogrib.
  3. Chiamasi fatihah il primo capitolo del Corano, perchè principia con tale parola. È appunto come noi diciamo recitare un Pater o un’Ave Maria. Ecco la traduzione di questo capitolo:

    In nome di Dio clemente e misericordioso.

    «Lode a Dio, signore di tutte le cose. Essere buono e misericordioso per eccellenza, giudice del giorno estremo! O Dio, tu sei che noi adoriamo, tu da cui imploriamo aiuto. Deh! ci conduci nella retta via, in quella via che seguono coloro che tu hai ricolmi de’ tuoi favori, coloro contro i quali non è accesa l'ira tua, e che non vanno smarriti!»

  4. Specie di pasticceria.
  5. Maccheroni dilicatissimi, composti con zucchero e miele.