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alla porta ed udirono tutto ciò che i due fratelli dicevano. La domane mattina, il comandante fece intorno a quell'affare il suo rapporto al re, che chiamavasi Scemseddaulet, e questi, fatti venire i due fratelli, tolse loro il sacco, li fe’ gettare in prigione, ed assegnò una certa somma per la sussistenza della madre.

«Giuder intanto passò un anno intiero come schiavo fra la ciurma d’una galera. Avendo il vascello, sul quale era cattivo, fatto naufragio nel mar Rosso, salvossi lo sventurato sulla costa d’Arabia, dove fu raccolto da un mercatante che lo condusse a Gidda e di là alla Mecca. Facendo le sue divozioni in quella città, incontrò l’antico suo amico Mogrebino, lo sceik Abdossamed, e gli narrò colle lagrime agli occhi la propria sciagura. Il Mogrebino, accoltolo coi segni della più viva amicizia, gli diede un abito magnifico, e tracciò sulla sabbia alcune figure cabalistiche per iscoprire il suo futuro destino. — Rasserenatevi, » disse poi, «la sventura sta per cessare di perseguitarvi: i vostri fratelli sono in prigione, vostra madre è felice, e per voi si svela il più brillante avvenire.» Trattosi quindi dal dito l'anello di Sciamardat, disse a Giuder: — Accettate questo dono: sapete che a codest’anello va soggetto un genio potente, pronto ad adempire gli ordini vostri qualunque siano. Prendete! ora siete padrone dell’anello e del genio. — Non bramo che una sola cosa, » rispose Giuder, «di trovarmi, cioè, a casa mia. — Ebbene, » rispose il Mogrebino, «non avrete d’uopo che di chiamare il genio. — Allora, addio! — «Chiamò Giuder il genio, che, in un batter di ciglio, lo trasportò davanti alla porta della casa di sua madre, la quale fu lieta nel rivederlo, ma gli disse che temeva per la vita de’ fratelli, ch’erano tuttora in prigione. — Non v’inquietate, cara ma-