Atto III

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Atto II Nota storica
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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

La Contessina e Lindoro.

Contessina. Eh via, siate più umano;

Troppa selvatichezza
A poco a poco a imbestialire avvezza.
Lindoro. S’io non vi amassi, non sarei geloso.
Contessina. Gelosia non è degna
Nè di voi, nè di me. Mi fate torto
Del mio amor dubitando:
So distinguere il tempo, il come e il quando.
Ma che vorreste mai
Di me giungesse a giudicar la gente,
S’io non avessi un cavalier servente?
Lindoro. Dirà, che un uso tale
Abborrire è virtù...
Contessina.   Pensate male.
Dirà, che nol facendo,
Voi siete un incivile, io un’ignorante.
Lindoro. Dica ognun ciò che vuole, a voi sol basti
Piacere a me.
Contessina.   In quanto a questo poi,
Chiaro vi parlerò. V’amo, vi adoro,
Ma quando il mio decoro
Oscurar voglia il vostro strano umore,
Alla mia nobiltà ceda l’amore.
Lindoro. Bell’amor daddovero!
Contessina.   Inver gran fede
Mostrate aver di me!
Lindoro.   Dunque Lindoro,
Se non soffre il servente, è abbandonato?

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Contessina. Dunque è il mio cor macchiato,

Se onesta servitude altrui concede?
Lindoro. Che sviscerato amor!
Contessina.   Che bella fede!
Lindoro. Ma possibile, o cara...
Contessina.   Andate via,
Non vi voglio ascoltar.
Lindoro.   Crudele!...
Contessina.   Ingrato!...
Lindoro. Se vedeste il mio cor quanto v’adora.
Contessina. Siete meco indiscreto, e v’amo ancora.
Lindoro. Possibile che poi...
Contessina.   Sarà poi vero...
Lindoro. Ch’io v’abbia da lasciar?
Contessina.   Ch’io v’abbandoni?...
Lindoro. Smanio sol nel pensarlo.
Contessina.   Ahimè, ch’io moro.
Lindoro. Vieni, bell’idol mio.
Contessina.   Vien, mio tesoro:
Dubiterai di me?
Lindoro.   No.
Contessina.   Ti contenti
Ch’io segua onestamente
Il mio tratto civil?
Lindoro.   Sì, mi contento.
Contessina. Lungi, lungi il penar.
Lindoro.   Bando al tormento.
  Dammi la mano, o cara.
Contessina.   Prendi la man, ben mio.
(a due   Che bel contento, oh dio!
  Che fortunato amor!
Lindoro.   Non esser meco avara.
Contessina.   Lo sai che tua son io.
(a due   Destin perverso e rio
  Non ci tormenti il cor. (partono

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SCENA II.

Sala dei Conte.

Il Conte, Gazzetta e detti.

Conte. Da’ ordine, Gazzetta,

Ai miei guardaportoni,
Che non lascino entrar gente ordinaria.
Oggi che le sublimi
Nozze si devon far della mia figlia,
Tutto il paese inarcherà le ciglia.
Venga la nobiltà; ma non s’ammetta
Al grande onor della veduta nostra,
Chi almeno dieci titoli non mostra.
Gazzetta. Lustrissimo, ho paura
Che poca zente vegnirà.
Conte.   Perchè?
Gazzetta. Perchè ghe ne xe tanti
Che fa da gran signori,
Ma quando po le prove
Della so nobiltà se ghe domanda,
I mua descorso1, e i va da un’altra banda.
Mi ghe n’ho servìo tanti,
Che pareva marchesi e prenciponi,
E i ho scoverti alfin birbi e drettoni2. (parte

SCENA III.

Il Conte, poi la Contessina e Lindoro.

Conte. Costui non dice male; anch’io son nato

In bassissimo stato, e pur veggendo
Che ognun mi riverisce e mi fa onore,
Parmi talor ch’io sia nato un signore.

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Venite, o nobil germe

Delle viscere mie.
Contessina.   Gran genitore,
A voi s’umilia lo rispetto mio.
Lindoro. Suocero illustre, a voi m’inchino anch’io.
Conte. Porgetevi la destra, indi attendete
Da nobiltà infinita
Le congratulazioni.
Lindoro.   (Ah ch’io pavento
Da tal finzion qualche sinistro evento!)

SCENA ULTIMA.

Pancrazio ne’ suoi abiti; poi Gazzetta e detti.

Pancrazio. Padroni, vi son schiavo.

Conte.   Olà, che vuoi?
Che fai qui? come entrasti? Olà, Gazzetta.
Gazzetta. Lustrissimo.
Conte.   Intendesti
Gli ordini miei? Pancrazio come entrò?
Gazzetta. Come ch’el sia vegnuo mi no lo so.
Conte. Su, cacciatelo via.
Pancrazio.   Come! Non puote
Il padre esser presente
Ai sponsali del figlio?
Non si tratta così. Mi meraviglio.
Lindoro. (Ora sì viene il buono!)
Conte.   Il pover uomo
Ha perduto il cervello.
Pancrazio. Pazzo non son.
Conte.   Dov’è tuo figlio?
Pancrazio.   È quello.
Conte. Lindoro?
Pancrazio.   Sì.

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Conte.   Va via. Come facesti,

Misero, ad impazzir? Codesto è figlio
Del nobile marchese Cavromano,
Che venne in casa mia sin da Milano.
Fa che venga, Gazzetta, e sia presente
Al sublime Imeneo.
Tu sarai testimonio. (a Pancrazio
Contessina.   Un vil plebeo?
Conte padre, non voglio.
Cacciatelo di qua.
Lindoro.   (Cresce l’imbroglio).
Gazzetta. Ho cerca e recercà per tutti i busi3,
No se trova el marchese.
E solo s’ha trovà sul taolin
L’abito ch’el portava e el perucchin.
Conte. Che imbroglio è questo mai?
Pancrazio.   Tutto saprete.
Son io quel gran marchese,
Che con enormi spese
Venendo da Milan per valli e monti,
Spianò campagne e fabbricò dei ponti.
Contessina. Stelle!
Conte.   Come! Lindoro...
Lindoro. 8A’ vostri piedi,
Signor, eccovi un reo.
Pancrazio. Levati su di là, vile, plebeo.
Non conosci, non vedi,
Che non sei degno di baciargli i piedi?
Troppo la nobiltà del conte offende
Un uomo mercenario,
Che d’aver la sua figlia e spera e prega.
Vanne, figlio plebeo, vanne a bottega.
Conte. Son confuso.
Contessina.   Son morta.

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Pancrazio.   (Oh che baggian!)

Gazzetta. (El ghe l’ha (atta ben da cortesan4).
Pancrazio. Su, via, Lindoro, andiamo.
Lindoro.   Oh Dei! Contessa,
Fu amor colpa del allo.
Contessina.   Oh che m’avete,
Crudele, assassinata!
Conte. Di me che si dirà? Figlia sgraziata!
Tutto il mondo è informato
Di questo matrimonio.
Si sa ch’è stato in casa
Lo sposo con la sposa;
Quest’è una brutta cosa.
Figlia, per l’onor tuo questo è il partito:
Lindoro, qual si sia, sia tuo marito.
Contessina. Amor fa de’ gran colpi. Io non dissento
D’abbassarmi per lui.
Pancrazio.   Piano di grazia,
V’ho da essere anch’io.
Conte.   Sei fortunato.
Sarai con il mio sangue apparentato.
Pancrazio. Eh prendete, signor, miglior consiglio.
Non è per un mio figlio
L’illustrissima vostra contessina.
Mandereste in rovina
La vostra nobiltà.
Conte.   Fatto è l’imbroglio.
Vuò che sposi Lindoro.
Pancrazio. Ed io non voglio.
  Tua figlia, ah ah,
  Pretende, uh uh,
  Mio figlio, oh oh,
  Oh questo poi no.

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Conte. (Ah perfido! m’insulta, ed ha ragione).

Lindoro. Deh padre, per pietà, deh permettete
Ch’io sposi la contessa. Io senza lei
Di dolor morirei.
Pancrazio.   Ma la contessa,
Il di cui cor fastoso
Di accrescer nobiltà non è mai sazio,
11 figlio sdegnerà d’un vil Pancrazio.
Contessina. Amor codesta volta
Supera nel mio seno ogni riguardo.
Pancrazio. Quando dunque è così, via, mi contento.
Porgetegli la man.
Conte.   No, no, fermate.
Ho trovato un rimedio
Che opportuno sarà.
Perchè di nobiltà
Privo non sia lo sposo di mia figlia,
A cui tutto perdono,
Quattro titoli miei gli cedo e dono.
Pancrazio. Oh quante belle vane!
I titoli, signor, non danno pane,
Lindoro. Deh, contessina mia, deh perdonate
Un inganno amoroso.
Contessina. Non lo rammento più, siete mio sposo.

CORO.

  Sia eterno il giubilo

  De’ nostri petti,
  Mai non si spengano
  Gli accesi affetti,
  Discenda Venere,
  Trionfi amor.

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  De’ vani titoli

  D’onor sognato
  Non senta stimoli
  Fuor dell’usato,
  Non si rammarichi
  Il nostro cor.


Fine del Dramma.


Note

  1. Mutano discorso.
  2. Astuti, ingannatori: v. Boerio.
  3. Buchi, angoli.
  4. Qui astuto: vol. II, 121. Vedi poi vol. I. pag’. 157.