La Canzone del Paradiso/VI. Il Paradiso

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V. Il Consiglio del Popolo VII. La Libertà
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VI.
IL PARADISO

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E sorge il savio Rolandino, e parla:1
«Dio, l’uomo all’uomo toglie a forza il dono
che come padre che partisce il pane
tra i figli, giusto hai tu tra noi diviso:
5la libertà. Chè, come volse i passi
altrove il padre, ecco il fratello grande
strappa il suo pane al piccolo fratello.
Ma tu, Dio, vedi, e vieni, e togli, e rendi.
Nel suo giardino, nel suo monte santo,2
10Dio pose l’Uomo. Con l’eterne mani
vi avea dal cielo trapiantato i rami
de li odoriferi alberi, e gettato
i semi colti nelle stelle d’oro.
E v’era in mezzo una fontana viva
15che l’irrigava, donde escono i fiumi
     Gehon Phison Euphrate e Tigris.

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Dio pose l’Uomo, libero, nel santo
suo Paradiso. Opera, disse, e godi;
non disse: Opera e piangi, opera e impreca.
20Aveva allora, il placido ortolano
di Dio, soavi pomi per suo cibo,
per sua bevanda acqua più dolce a bere,
d’ogni dolcezza; e facile il lavoro
come il trastullo; e lo seguian li uccelli
25con l’alie rosse, all’ombra delle foglie
tremule, lungo il mormorio d’un rivo.
Tutto era luce, tutto odore e canto.
Ferìa la fronte ove sudor non era,
un’aura uguale; e pur movendo, l’Uomo,
30su questa terra, era sì presso al cielo,
che udiva il caro suono delle sfere,
     che si volgeano eternamente.

Ei fu cacciato, e fuori errò meschino
e doloroso. E Seth il buono, un giorno,
35venne al Cherub che a guardia era dell’orto
di Dio, dov’ora non vivean che uccelli.
Moriva l’Uomo; e l’Angiolo al buon figlio
un grano diede, ch’e’ ponesse al morto
sotto la lingua; ed era della pianta
40di cui suo padre avea mangiato il pomo;

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e Seth sì fece, e seppellì suo padre,
col grano in bocca: e di quel seme un grande
albero sorse; e dopo mille e mille
anni seccò. Gli diedero la scure
45alle radici, e il tronco giacque.
Un giorno vennero i fabri, e recidean due legni
dal tronco, e insieme li giungean nel mezzo,
     tra loro opposti. E fu la Croce.

L’albero, ch’era in mezzo al Paradiso,
50sorse d’allora in mezzo della terra.
Fu tutto il mondo l’orto di Dio chiuso.
I quattro fiumi lo partian; ma ora
moveano rossi sotto il cielo azzurro.
Uomo, lavora e canta! Or ti sovvenga
55dei canti uditi nella grande aurora
dell’universo. È tuo fratello il sole.
La terra, tu la solchi, ella t’abbraccia,
chè voi vi amate. Abbi il sudor sul volto,
ma come la rugiada sopra il fiore.
60Sia l’arte buona presso te. Lavora
libero. Tutto ora vedrai ch’è buono
ciò che tu fai, come vedea, creando,
Dio. Cogli i fiori e fattene ghirlanda,
     o uomo, all’ombra della Croce!

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65O Croce rossa, rossa come il sangue
sparso da Dio, Croce per cui vincemmo,
cauta nel monastero di Pontida,
alto schioccante sul Carroccio ai venti,
o Croce tratta da’ placidi bovi
70tra spade e lancie, tra le grida e il sangue;
o Croce nostra, noi di te siam degni.
Questo Comune, ch’ha interrotto il vento
imperiale, ch’ha spezzato l’arco
di Federigo, ch’ha gittato il rugghio
75solo tra i tanti, ch’ha recinto al fianco,
non targa e scudo, ma cultello e spada,
il suo diritto, ora, di tutti il primo,
adempia il verbo, e dica a tutti il vero:
che il Redentore ancor non è là, dove
     80ancor non è la libertà!»

Note

  1. [p. 83 modifica]Giovi ricordare, per alcuni tratti dell’arringa di Rolandino de’ Passageri, alcuni della sua risposta a Federigo (vedi Frati, La prigionia del R. E., pag. 116): confidunt se potentia potius quam de iure (v. 75),... nec semper ponet.... arcus (v. 73).... ventosis verbis.... non sumus arundines paludine que vento modico agitantur (v. 72; e cfr. La Canzone del Carroccio, pag. 62, vv. 1 e 16, La Canzone dell’Olifante, pag. 50, v. 7, in cui sono volute rendere le note di Dante in Par., III, 119, Purg., I, 130)... tamquam creditur nostri iuris (v. 77)... Accingemus enim gladium super femur (v. 76) et rugitum dabimus (v. 74)... nec magnificentie vestre suffragium dabit innumerabilis multitudo (v. 75 e cfr. v. 77)... E con Dio comincia anche quella celebre risposta: Exurgat Deus, et inimici sui penitus dissipentur. Ma sopratutto si tenga presente il solenne proemio al registro degli schiavi liberati, il qual registro si chiamò Paradisus o, dal caso che ha questa parola iniziale, Paradisum voluptatis. Eccolo trascritto dalla Historia di Bologna del Ghirardacci, vol. I, pag. 194, sotto l’anno 1257: “Nella Camera de gli Atti di Bologna, vi è un libro intitolato Paradisum voluptatis dove si vede il numero de’ servi liberati, et anco il nome di quei, che havevano li [p. 84 modifica]detti servi sotto il loro imperio, nel qual libro così si legge: «Paradisum voluptatis plantavit dominus Deus omnipotens a principio, in quo posuit hominem, quem formaverat, et ipsius corpus ornavit veste candenti, sibi donans perfectissimam et perpetuam libertatem. Sed ille miser suae dignitatis, et divini muneris immemor pomum vetitum supra praeceptum Dominicum degustavit. Unde seipsum, et omnem suam posteritatem in hanc vallem miseriae trahxit, et humanum genus enormiter tossicavit, alligans id miserabiliter nexibus diabolicae servitutis, et sic de incorruptibile factum est corruptibile; de immortali, mortale, subiacens alterationi, et gravissime servituti. Videns vero Deus quod totus mundus perierat, misertus est humano generi, et misit filium suum unigenitum natum de Virgine Maria, cooperante gratia Spiritus Sancti, ut gloria suae dignitatis diruptis vinculis servitutis, quibus tenebamur captivi, nos restitueret pristinae libertati. Et idcirco valde utiliter agitur, si homines quos ab initio natura liberos protulit, et creavit, et ius gentium servitutis iugo subposuit, restituantur manumissionis beneficio. Illi inquinati fuerunt libertati, cuius rei consideratione nobilis Civitas Bononiae, quae semper pro libertate pugnavit, praeteritorum memorans et futura providens in honorem nostri Redemptoris D. N. Jesu Christi nummario pretio redemit omnes quos in Civitate Bononiae, ac Episcopatu reperit servili conditione adstrictos, et liberos esse decrevit, inquisitione habita diligenti, statuens ne quis adstrictus aliqua servitute in Civitate, vel Episcopatu Bononiae deinceps audeat commorari, ne massa tam naturalis libertatis, quae redempta pretio, ulterius corrumpi possit fermento aliquo servitutis, cum modicum fermentum totam massam corrumpit, et consortium unius mali bonos plurimos dehonestet. Tempore in quo viri nobilis D. Accursij de Sorixina Bononiae Potestatis fama, cuius omnium laudum longe, lateque diffusa irradiat, velut sydus, et sub examine D. [p. 85 modifica]Iacobi Grataceli eius Iudicis, et Assessoris, quem vir peritia, sapientia, constantia, et temperantia in omnibus recommendat, factum est memoriale praesens, quod proprio nomine debeat vocari merito Paradisus, continens Dominorum nomina Servorum, et etiam Ancillarum, ut liqueat, quibus Servis, et Ancillis est acquisita libertas et quo pretio, scilicet, decem libras pro maiore xiiii. annis Servo, et Ancilla, et octo libras Bonon. pro minore constituto cuilibet dominorum, pro quolibet, qui detinebatur astrictus vinculo servitutis. Scriptum est autem hoc Memoriale per me Corradinum Sclariti Notarium ad Servorum, et Ancillarum officium deputatum. Sitque nunc, et in posterum memoria omnium praedictorum„.
  2. [p. 85 modifica]Vedi per questa e le altre leggende sul Paradiso deliziano il bel libro di Edoardo Coli, Il Paradiso terrestre dantesco (Firenze, 1897). E v’è bisogno di ricordare la Matelda dantesca, l’arte cantatrice e operatrice, contemplativa e attiva, la quale è il simbolo perfetto di ciò che deve essere, di ciò che sarà, il lavoro umano?