L'isola misteriosa/Parte terza/Capitolo XIV

Parte terza - Capitolo XIV

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Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
Parte terza - Capitolo XIV
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CAPITOLO XIV.


Tre anni passati – La questione della nuova nave – Deliberazione – Prosperità della colonia – Il cantiere di costruzione — I freddi degli emisferi australi – Pencroff si rassegna – Imbiancatura dei pannilini – Il monte Franklin.

Eran passati tre anni dacchè i prigionieri di Richmond se ne erano fuggiti, e quante volte dopo d’allora parlarono della patria, sempre presente al loro pensiero.

Non mettevano dubbio che la guerra civile fosse allora terminata. Pareva loro impossibile che la causa del Nord non avesse trionfato.

Ma quali erano stati gli incidenti della terribile guerra? Quanto sangue aveva costato? Quanti amici eran periti? Di queste cose parlavano spesso senza intravedere il giorno in cui sarebbe loro dato di tornare nel proprio paese.

Tornarvi, non fosse che per qualche giorno, riannodare il legame sociale col mondo abitato, porre una comunicazione fra la patria e la loro isola, e poi passare la più lunga parte, la migliore forse, dell’esistenza in quella colonia che avevano fondato e che dipenderebbe allora dalla metropoli, era dunque un sogno che non poteva avverarsi?

Due sole vie erano aperte all’avveramento del sogno; o che una nave si mostrasse un dì o l’altro nelle acque dell’isola Lincoln, o che i coloni costruissero colle proprie mani un bastimento tanto forte da tenere il mare fino alle terre più vicine.

– Se pure, diceva Pencroff, il nostro genio non ci fornisca esso medesimo i mezzi di tornarcene al nostro paese! [p. 18 modifica]

E in verità, se si fosse venuti a dire a Pencroff ed a Nab che una nave di trecento tonnellate li aspettava al golfo del Pesce-cane od al porto Pallone, non avrebbero fatto alcuna smorfia di sorpresa.

Oramai essi aspettavano tutto.

Ma Cyrus Smith, meno fiducioso, consigliò loro di rientrar nel vero, e fu in proposito della costruzione d’un battello, impresa urgentissima, poichè si trattava di deporre il più presto possibile nell’isola Tabor un documento che annunciasse la nuova dimora di Ayrton.

Non esistendo più il Bonaventura, sei mesi almeno dovevano essere necessarî a costrurre una nuova nave. Ora giungeva l’inverno e il viaggio non poteva compiersi prima della primavera prossima.

– Noi abbiamo dunque il tempo di prepararlo per la bella stagione, disse l’ingegnere, il quale parlava di questo con Pencroff; credo, amico mio, che posto che dobbiamo rifare il battello, sarà meglio dargli dimensioni più grandi. L’arrivo dello yacht scozzese all’isola Tabor è molto problematico. Può anzi darsi che, venuto da molti mesi, ne sia ripartito dopo aver cercato invano le traccie di Ayrton. Non con verrebbe dunque costrurre una nave che all’occasione potesse trasportarci o agli arcipelaghi polinesiani od alla Nuova Zelanda? Che ne pensate voi?

– Io penso, signor Cyrus, che voi siete capace di fabbricare una nave grossa quanto una piccina; non ci manca nè legno nè utensili; è solo questione di tempo.

– E quanti mesi richiederà la costruzione d’una nave di dugentocinquanta o di trecento tonnellate?

– Sette od otto mesi almeno, rispose Pencroff, ma non bisogna dimenticare che giunge l’inverno e che nei giorni freddi è difficile lavorare il legno. Contiamo adunque su qualche settimana di ozio, e se il nostro bastimento sarà pronto per il prossimo novembre, dovremo reputarsi felicissimi. [p. 19 modifica]

– Ebbene, sarebbe appunto il tempo favorevole per intraprendere una traversata di qualche importanza sia all’isola Tabor, sia a qualche terra più lontana.

– È vero, signor Cyrus, rispose il marinajo. Fate dunque i vostri disegni, gli operai sono pronti, ed io credo che Ayrton potrà darci una mano al bisogno.

I coloni, consultati, approvarono il disegno dell’ingegnere; ed era invero il meglio da farsi. Certo che la costruzione d’una nave di due o trecento tonnellate era grave impresa, ma i coloni avevano in sè stessi una fiducia giustificata da tante imprese già riuscite.

Cyrus Smith si occupò dunque a fare il piano della nave ed a determinarne il sesto. Frattanto i compagni lavoravano ad atterrare ed a trasportare gli alberi, che dovevano formare le curve, le membrature ed il fasciame. Fu la foresta del Far-West che diede le migliori piante di quercia e d’olmo. Si trasse partito dai passaggi già aperti nell’ultima escursione per aprire una strada, che prese il nome di strada del Far-West. Gli alberi furono trasportati ai Camini, dove fu stabilito il cantiere di costruzione.

Quanto alla strada di cui si trattava, era fatta capricciosamente, e fu appunto la scelta del legname che ne determinò la traccia, ma reso più facile l’accesso a una gran parte della penisola Serpentina. Importava molto che quel legname fosse subito spezzato, giacchè non si poteva adoperare verde com’era, e bisognava lasciar al tempo la cura d’indurirlo.

I carpentieri lavorarono adunque con ardore nel mese di aprile, che fu solo turbato da qualche colpo impetuoso di vento d’equinozio. Mastro Jup era un abile ajutante, sia che s’arrampicasse ad un albero per fissarvi la corda di atterramento, sia che prestasse le robuste spalle per trasportare i tronchi.

Tutto quel legname fu accatastato sotto una vasta tettoja di tavole, costrutta dietro i Camini, e colà attese il momento d’essere adoperato. [p. 20 modifica]

Il mese d’aprile fu piuttosto bello, come è il mese di ottobre nella zona boreale. In pari tempo i lavori del terreno furono spinti alacremente, e presto sparve ogni traccia di devastazione.

Fu ricostrutto il mulino, e nel cortile sorsero nuovi edifizî che parve necessario erigere in maggiori dimensioni, essendochè la popolazione volatile si moltiplicava in modo maraviglioso.

Le stalle contenevano ora cinque onagga, quattro dei quali, robusti e ben avvezzati, si lasciavano aggiogare o cavalcare, ed un piccino, appena nato. Il materiale della colonia contava un aratro di più e gli onaggas venivano adoperati a lavorare la terra come veri buoi del Yorkshire o del Kentucky. Ciascuno dei coloni si distribuiva la fatica, e le braccia non stavano in ozio. E come erano sani i lavoratori! E di che buon umore essi animavano le serate del Palazzo di Granito facendo mille disegni per l’avvenire!

S’intende che Ayrton faceva assolutamente la vita comune, e che non parlava più di andare a stare al ricinto. Pure egli rimaneva sempre melanconico, poco verboso, e si univa meglio ai lavori che ai piaceri dei compagni. Ma era un operajo coi fiocchi, al bisogno, robusto, ingegnoso, agile, intelligente. Era stimato ed amato da tutti e non poteva ignorarlo.

Nè il ricinto fu abbandonato. Ogni due giorni uno dei coloni, conducendo il carro o cavalcando uno degli onaggas, andava a curare il gregge di mufloni e di capre, e portava il latte che serviva alla dispensa di Nab. Queste escursioni erano in pari tempo occasioni di caccie; laonde Harbert e Gedeone Spilett preceduti da Top correvano più spesso d’ogni altro dei loro compagni sulla via del ricinto, e colle armi eccellenti di cui erano forniti non mancavano mai cabiaj, aguti, kanguri, cinghiali, anitre, galli di brughiera od altra selvaggina.

I prodotti della conigliera, quelli dell’ostricaja, al[p. 21 modifica]cune tartarughe, che furono prese, una nuova pesca di quegli eccellenti salmoni, che vennero ancora a cacciarsi nelle acque della Grazia, i legumi dell’altipiano di Lunga Vista, le frutta della foresta, erano ricchezze sopra ricchezze, e Nab, che faceva da cuoco in capo, bastava appena ad attendervi, a cucinarli e conservarli.

S’intende che il filo telegrafico era stato ristabilito fra il Palazzo di Granito ed il ricinto, e funzionava quando l’uno o l’altro dei coloni, trovandosi al ricinto, giudicava opportuno passarvi la notte.

D’altra parte, l’isola era sicura e non si poteva temere alcuna aggressione: almeno da parte degli uomini. Pure il fatto accaduto poteva ancora rinnovarsi. Uno sbarco di pirati, o anche di deportati evasi, era sempre possibile. Nulla di più probabile che i compagni di Bob Harvey, ancora prigionieri a Norfolk, messi a parte dei suoi disegni fossero tentati d’imitarlo. Perciò i coloni non cessavano di osservare gli approdi dell’isola, e ogni giorno il loro cannocchiale interrogava il vasto orizzonte che chiudeva la baja dell’Unione e la baja Washington. Quando essi andavano al ricinto, esaminavano colla stessa attenzione la parte ovest del mare, ed elevandosi sul contrafforte, i loro sguardi potevano percorrere un largo settore dell’orizzonte occidentale.

Non appariva nulla di sospetto, ma pur bisognava sempre stare sull’avvisato.

E l’ingegnere fece una sera noto agli amici il disegno da lui concepito di fortificare il ricinto. Parevagli cosa prudente rialzare la palizzata e fiancheggiarla di una specie di fortino, da cui i coloni potessero all’occasione far fronte ai nemici. Essendo il Palazzo di Granito fatto inespugnabile dalla posizione mede sima, il ricinto colle sue provviste, cogli animali che conteneva, doveva sempre esser fatto segno agli assalti dei pirati, qualunque essi fossero, che avessero [p. 22 modifica]a sbarcare nell’isola, e se i coloni fossero costretti a chiudervisi bisognava che potessero resistere senza svantaggio.

Era quello un disegno da maturare e la cui esecuzione, d’altra parte, fu di necessità differita alla prossima primavera.

Verso il 15 maggio, la chiglia del nuovo bastimento si allungava sul cantiere, nè andò molto che la ruota di prua e quella di poppa, incastrate a ciascuna delle sue estremità, si drizzarono quasi perpendicolarmente. Questa chiglia di buona quercia misurava centodieci piedi di lunghezza: il che permetteva di dare al baglio maestro una larghezza di venticinque piedi. Ma fu tutto quanto ii carpentieri poterono fare prima che sopraggiungesse il freddo ed il brutto tempo. Nella settimana successiva si posero in opera le prime coste di poppa, dopo di che bisognò interrompere i lavori.

Negli ultimi giorni del mese il tempo fu bruttissimo, il vento soffiava dall’est, e talvolta ebbevi violenza d’uragano. L’ingegnere provò qualche inquietudine per le tettoje del cantiere di costruzione, perchè l’isolotto mal copriva il litorale contro i furori del largo, e nelle gran tempeste le onde venivano a battere direttamente il piede della muraglia granitica.

Ma per buona sorte questi timori non si avverarono. Il vento soffiava da sud-est, ed in tali condizioni la spiaggia del Palazzo di Granito si trovava interamente coperta dalla punta del Rottame.

Pencroff ed Ayrton, i due più zelanti costruttori del nuovo bastimento, proseguirono i lavori per quanto poterono. Non erano già uomini da darsi pensiero del vento, che scompigliava loro i capelli, nè della pioggia che li bagnava fino alle ossa; e un colpo di martello fa il fatto suo tanto nel brutto tempo quanto nel bello. Ma quando un freddo vivissimo succedette a questo periodo di umidità, il legname, le cui fibre [p. 23 modifica]acquistavano la durezza del ferro, divenne difficilissimo da lavorare, e verso il 10 giugno bisognò assolutamente abbandonare la costruzione del battello.

Cyrus Smith ed i suoi compagni sapevano quanto la temperatura fosse aspra negl’inverni dell’isola Lincoln. Il freddo era paragonabile a quello degli Stati della Nuova Inghilterra, situati pressochè alla medesima distanza dall’equatore. Se nell’emisfero boreale, od almeno nella parte occupata dalla Nuova Bretagna e dal nord degli Stati Uniti, codesto fenomeno si spiega colla conformazione piana dei territori che confinano col polo, e sui quali non è rialzo di terra che ponga ostacolo ai venti, per l’isola Lincoln tale spiegazione non poteva valere.

— Fu anzi osservato, diceva un giorno Cyrus Smith ai compagni, che, a latitudini uguali, nelle isole e nelle regioni del litorale fa meno freddo che nei paesi mediterranei. Ho spesso inteso dire che gl’inverni della Lombardia, per esempio, sono più rigidi di quelli della Scozia, e ciò deriva da questo, che il mare restituisce nell’inverno i calori ricevuti nell’estate. Le isole sono adunque nelle migliori condizioni per godere i benefizî di tale restituzione.

– Ma allora, signor Cyrus, domandò Harbert, perchè l’isola Lincoln sembra sottrarsi alla legge comune?

— Questo è difficile da spiegare, rispose l’ingegnere. Pure, sono propenso ad ammettere che tale singolarità derivi dalla condizione dell’isola nell’emisfero australe che, come tu sai, figliuolo mio, è più freddo dell’emisfero boreale.

– Sicuro, disse Harbert, e i ghiacci galleggianti s’incontrano in latitudini più basse nel sud che nel nord del Pacifico.

– Questo è vero, rispose Pencroff. Quando io faceva il baleniere, ho visto dei massi di ghiaccio fino in faccia al capo Horn. [p. 24 modifica]

– Si potrebbero forse spiegare i freddi rigorosi dell’isola Lincoln, disse allora Gedeone Spilett, colla presenza di banchi di ghiaccio a breve distanza.

– La vostra opinione è ammissibile, caro Spilett, rispose Cyrus Smith, ed è precisamente alla vicinanza dei banchi di ghiaccio che dobbiamo la rigidezza dei nostri inverni. Vi farò notare che una causa vera. mente fisica rende l’emisfero australe più freddo del boreale. In fatti, poichè il sole è più vicino a questo emisfero nell’estate, ne è necessariamente più lontano nell’inverno. Ciò spiega che vi sia eccesso di temperatura nei due rispetti, e che mentre troviamo gli inverni freddissimi nell’isola Lincoln, gli estati vi siano al contrario molto caldi.

– Ma perchè dunque, signor Smith, disse Pencroff aggrottando il sopracciglio, perchè dunque il nostro emisfero, come voi dite, è trattato così male? Non è giusto questo!

– Amico Pencroff, rispose l’ingegnere ridendo, sia giusto o no, bisogna pur pigliare le cose come sono. La terra non descrive un circolo intorno al sole, ma bensì un’elissi, come vogliono le leggi della meccanica razionale. Ora la terra occupa uno dei fuochi della elissi, e per conseguenza, al momento della sua traslazione, essa è più lontana dal sole, cioè dal suo apogeo, ed un altro momento è più vicina, vale a dire al suo perigeo. Ora accade che è precisamente nell’inverno delle regioni australi che essa è al suo punto più lontano dal sole, e per conseguenza nelle condizioni necessarie perchè quelle regioni abbiano i maggiori freddi. A ciò non v’è nulla da fare, e gli uomini, caro Pencroff, per dotti che siano, non potranno mai cambiare nulla dell’ordine cosmografico stabilito da Dio medesimo.

– Eppure, aggiunse Pencroff che stentava a rassegnarsi, il mondo è tanto dotto! Che grosso libro, signor Cyrus, si farebbe con tutto ciò che si sa! [p. 25 modifica]

– E che libro più grosso si farebbe con tutto quello che non si sa, rispose Cyrus Smith.

Infine, qualunque ne fosse la ragione, il mese di giugno riportò il freddo colla sua violenza usata, ed i coloni furono spesso costretti a starsene chiusi nella sala del Palazzo di Granito.

Dura sembrava a tutti questa prigionia, e forse, più che ad altri, a Gedeone Spilett.

– Vedi, diss’egli un giorno a Nab, ti farei donazione, con atto notarile, di tutte le eredità che dovranno toccarmi un giorno, se tu fossi buono ad andare, non importa dove, ad associarmi ad un giornale qualunque. Assolutamente, quello che manca alla mia felicità è di sapere tutte le mattine quanto è accaduto alla vigilia, altrove, lontano di qui.

Nab si era messo a ridere.

– In fede mia, aveva egli risposto, quello che mi dà da pensare sono le faccende quotidiane!

Il vero è che all’interno come all’esterno il lavoro non mancava.

La colonia dell’isola Lincoln si trovava allora nel massimo grado di prosperità, e tre anni continui di lavoro perseverante l’avevano fatta tale. Nuova sorgente di ricchezza era stato il brik distrutto. Senza parlare dell’attrezzatura completa, che serviva alla nave in cantiere, utensili e strumenti d’ogni fatta, armi, munizioni, vestimenta, ingombravano i magazzini del Palazzo di Granito.

Non era neppur più stato necessario ricorrere alle confezioni delle stoffe di feltro. Se i coloni avevano sofferto freddo durante il primo inverno, oramai poteva venire la cattiva stagione senza che si avesse a temerne i rigori; abbondava la biancheria, che veniva tenuta con molta cura. Da quel cloruro di sodio, che altro non è che il sale marino, Cyrus Smith aveva facilmente estratto la soda ed il cloro; la soda che fu facile trasformare in carbonato di soda, ed il cloro [p. 26 modifica]con cui fece dei cloruri di calce ed altri che furono adoperati in usi domestici e precisamente all’imbiancamento dei pannilini.

D’altra parte, non si facevano più che quattro bucati all’anno, come già nelle famiglie d’una volta, e sia permesso aggiungere che Pencroff e Gedeone Spilett si mostravano lavandai valenti.

Così passarono i mesi d’inverno, giugno, luglio ed agosto, e la medesima osservazione termometrica non diede più di otto gradi Fahrenheit (13° 33 centigradi sotto zero). Fa dunque inferiore alla temperatura dell’inverno precedente.

Che belle fiammate si accendevano nei camini del Palazzo di Granito, il cui fumo macchiava di lunghe striscie nere la muraglia! Non si faceva risparmio del combustibile che cresceva a pochi passi di là. D’altra parte, il superfluo del legname destinato alla costruzione della nave permise di fare economia del carbone, che costava un trasporto penosissimo. Mastro Jup si mostrava un po’ freddoloso, dobbiamo convenirne. Era forse il suo solo difetto, e bisogno fargli una veste da camera ben imbottita. Ma che servitore svelto, zelante, infaticabile e niente ciarliero!

Si avrebbe potuto con ragione proporlo a modello a tutti i suoi confratelli bipedi dell’altro mondo.

– Diancine! diceva Pencroff, bisogna pur far le cose bene quando si hanno quattro mani al proprio servizio!

E l’intelligente quadrumano faceva le cose bene davvero!

Nei sette mesi che trascorsero dopo le ultime ricerche fatte intorno alla montagna, e durante il mese di settembre che riportò i bei giorni, non fu fatta parola del genio dell’isola, la cui azione non si fece più manifesta. Vero è che sarebbe stato inutile, chè non avvenne nessun incidente, il quale dovesse mettere i coloni a dura prova. [p. 27 modifica]

Cyrus Smith osservò anzi che, se per caso le comunicazioni fra essi e l’incognito si erano mai stabilite attraverso il masso di granito, e se l’istinto di Top le aveva, per così dire, presentite, nulla di tutto ciò accadeva in quel periodo. Erano cessati i brontolii del cane e le inquietudini della scimmia. I due amici giacchè erano tali non vagavano più all’orifizio interno del pozzo non abbajavano, nė gemevano più in quel bizzarro modo che aveva dato la sveglia all’ingegnere. Ma poteva costui assicurare che tutto fosse detto su quell’enimma, e che non ne avrebbero mai la parola? Poteva egli affermare che non si riproducesse qualche avvenimento per cui il misterioso personaggio avesse a tornare in iscena? Chissà quello che riserbava l’avvenire!

Finalmente passò l’inverno; ma un fatto, le cui conseguenze potevano essere gravi, avvenne appunto nei primi giorni che segnarono il ritorno della primavera.

Il 7 settembre, Cyrus Smith, avendo osservato la vetta del monte, vide un fumo che contornava il cratere e si spingeva nell’aria.