Il risorgimento d'Italia/Parte I/Mille - Capo secondo

Mille - Capo secondo

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Parte I - Stato d'Italia prima del Mille Parte I - Mille cento - Capo terzo


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MILLE.

CAPO SECONDO.


Uscì l’anno millesimo da quel secolo or or da noi conosciuto, cioè dal più tenebroso ed inculto che mai vedesse l’Italia, e in cui veramente giunta era al colmo la notte, e la barbarie de’ secoli trapassati, sicchè più oltre non potendo avanzarsi fu quasi pel giro delle umane cose l’estremo fine dei mali, e il principio del risorgimento. Anche i mali allor, che sono all’eccesso par che debban dar volta, e aprir luogo a vicende migliori, nulla quaggiù potendo in un tenore consistere. E siccome l’arti il buon gusto gli studj arrivati alla perfezione sembrano da occulta forza sospinti a cadere, come l’epoche tutte comprovano di letteratura, così venuti al profondo par che trovino il punto, onde tentare di rialzarsi. Questo rivolgimento è più proprio, e poco meno che. naturale alle cose appunto d’ingegno, e la presente epoca intorno al mille n’è pruova [p. 105 modifica]novella. Imperciocchè nè a maggior perfezione poteva alzarsi l’ingegno umano, quanto avea fatto nel secol d’Augusto in Italia, nè più basso potea ruinare, quanto fece prima del mille, sicchè seguendo suo giro, e tendenza dovè rinascere dalle ruine e dall’oppressione risorgere, insinchè risalito di poi a nuovo splendore, torni pur nuovamente a degenerare or più, or meno secondo il vario e moltiplice combinarsi di mille cause non facili a determinare1. Quel che sembra più certo si è, che la decadenza suol essere precipitosa, lento e lungo il risorgimento, e che un secolo solo è il felice, molti prima, e dopo di lui sono i men lieti.

E nel vero non dobbiam già pensare, che [p. 106 modifica]subitamente volgesser le cose a nuovo corso di prosperità coll’epoca nuova, ma grado a grado sì lentamente, che appena potrebbe conoscersi cambiamento, e a talun può sembrare l’undecimo peggior secolo del precedente. Seguirono in fatti ancor molto tempo i disordini l’ignoranza il furore e le stragi in Italia. Le prepotenze de’ grandi in Roma, e specialmente de’ conti Toscolani in oltraggio de’ papi, e della sede pontificale; i vescovi simoniaci, concubinarj, scismatici, e quindi il clero sfrenato, il monachismo scorretto, la religione, il costume, la pietà depravata punto non parvero differenti, e vi si aggiunsero a nuovo danno ancor le guerre aperte tra il sacerdozio, e l’impero, gli scismi grandi dei regni, le ribellioni delle provincie e città, infin l’eresie.

Ma nel mezzo di questo stesso peggioramento ben riguardando a inosservati principj, e i sentier piccioli seguitando fuor dei tumulto, allor appunto si trova incominciar non sentito, ed occulto un nuovo spirito, e genio, e contenzione inverso il dirozzamento e la coltura. Dalle piccole cause [p. 107 modifica]nascono i grandi effetti, ed eziandio da contrari principi le favorevoli conseguenze. Piccola cosa ne sembra, ed è perciò dagli storici appena accennata quell’opinion generale, che avea gli animi preoccupati della fine del mondo imminente. Eppur non è credibile quant’essa pregiudicasse insino all’ultimo giorno del secolo X., e quanto danno togliesse il non aspettato principio del mille. L’orror sempre presente d’una prossima desolazione universale, rinnovato da ogni accidente non solito della natura, o tenuto per minaccioso tolse ad ognuno speranze e pensieri intorno ad un avvenire, in cui già disperavan d’esistere neppur col nome, neppur ne’ figli, neppur nella memoria degli uomini destinati tutti a perire. Questa orrenda disperazione non dovette lasciar altri pensieri, fuorchè di continuo terrore, di fuga, di scampo, e dovette chiamar tutti gli affetti a un’altra vita, restando inerzia e abbandono di tutto il presente2. Ma trapassato il pericolo, [p. 108 modifica]e trovandosi ognuno in sicuro suo lido, come dopo un temuto naufragio, qual fu [p. 109 modifica]allora nuova vita, e nuovo giorno di nuove speranze, e pensieri, qual coraggio, qual [p. 110 modifica]forza, quale attività negli animi tutti per compensare i terrori, e le trascuranze passate?

Piccola cosa non meno in altro genere può sembrare l’aver carta, o il mancarne; eppur rispetto agi studi ella è di grande momento, sicchè inventata, come pensa con altri il Muratori, a quel tempo, o propagatasi, fu grandissimo ajuto a studiare, come il marcarne fu prima gran danno3. Perchè [p. 111 modifica]mento essendo sì necessario al sapere la lettura degli esemplari, e maestri, e l’averne copie per molti, ove sia troppo cara, e dispendiosa la merce a ciò richiesta, più difficilmente s’ottengono; siccome ottenuti, più facilmente circola in ogni parte co’ libri la curiosità, la lettura, lo studio, il rischiaramento, come più apertamente si vide poi al nascer la stampa. Bastin per ora questi due esempli ad intendere l’utilità, che da lievi cagioni può derivare.

Quanto a quella, che pur deriva dalle contrarietà, può essa intendersi principalmente dalle discordie romane, e imperiali. Gli stessi urti, ed assalti mossi a deprimere, ed annientare l’autorità pontifìcia, da cui molto ognor pende la sorte d’Italia, quelli furono, che la rialzarono, e quando appunto ella fu all’orlo della ruina in questo secolo allor divenne potente. Lo stesso avviene dell’eresie, che ponno dirsi rispetto a’ sacrj [p. 112 modifica]studj somiglianti alle persecuzioni dell’idolatria rispetto alla fede. Senza queste noi non avremmo tanti martiri, e tanti eroi di fortezza cristiana, e senza gli eretici noi non avremmo le più dotte opere de’ più illustri scrittori, di Tertulliano, di Agostino, di Ambrogio, e degli altri. Non già, che il secolo undecimo possa di tali eroi vantarsi, ma chiaro è quindi, che risorti gli errori in quello, risorsero i difensor della verità, e fu bisogno studiare per armarsi a combatter*e. Ma venghiam più dappresso alla storia, ordinatamente procedendo.

Mi sembra strano frattanto, che gli storici insino ad ora non abbiano riconosciuta guest’epoca siccome quella, in cui risorse l’Italia a nuova vita. L’esaltamento di Roma sì propizio agli studi ecclesiastici, diffusi in molte città per que’ maestri di scuole ricordati dalle storie, il principio di libertà, onde le nostre nascenti repubbliche nelle leggi si stabilirono, e i principali, e più ambiziosi di governarle gareggiarono in farsene dotti, i primi passaggi in Oriente, per cui molti tornarono ricchi della lingua, e delle [p. 113 modifica]greche dottrine, il commercio più vivo cogli arabi, e co’ saraceni vicini, dal qual furono a noi recati tanti classici antichi, ed ignoti, una scuola famosa in Salerno di medicina a cui concorrevano gli stranieri, un’altra di giurisprudenza in Bologna, che fa maestra all’Europa, un’altra di studi sacri, e filosofici insieme portata in Francia, ed in Inghilterra da due famosi italiani maestri, un nuovo magistero di musica regolata, una nuova palestra di guerra propagata tra noi da’ celebri cavalieri, o sia paladini, le prime memorie delle famiglie Estensi, Pallavicini, Malaspini, tutto ciò con molti autori di storia pregevoli, e d’altre materie si vide nel secolo, di cui entriamo a ragionare. Egli dunque era degno del titolo di ristoratore de’ precedenti barbarici, e di sorgente de’ susseguenti ognor più colti, ed illuminati. Vediamolo parte a parte.

Giusta cosa si è volger prima lo sguardo a Roma, la qual come sede di religione e capo del cristianesimo serbò ognor le reliquie della scienza ecclesiastica, come [p. 114 modifica]arti necessarie al sacro culto più felicemente che ogni altra parte e fu arsenale a tutta Italia della dottrina in lei rimasta. In lei concorsero sempre i dotti co’ lumi sparsi in tutto il mondo cristiano, ella sempre fu centro di studi principalmente sacri eziandio per la congiunzione spontanea degli uni, e degli altri. Nello stesso secolo decimo il già mentovato vescovo di Verona Raterio diceva di lei, come leggiamo nel suo itinerario = della quale ignoranza ove meglio posso io dispogliarmi che in Roma facendomi ammaestrare? O qual de’ dogmi ecclesiastici in qualche parte è saputo, che venga in Roma ignorato? = E certamente i dubbi, i contrasti, le dispute teologiche, l’autorità pontificia, il clero, i concili furon sempre sorgenti di necessaria coltura. Dunque libri sacri primieramente vi si conservarono più che altrove, bibbie, santi padri, tradizioni canoniche, e tutti gli autori più importanti alle materie di fede, di disciplina, di giurisprudenza ecclesiastica, quanti s’eran potuti salvar dalle stragi, erano in Roma. Di che fanno fede que’ cardinali [p. 115 modifica]bibliotecarjdella santa chiesa romana4, che incontriam nelle storie d’allora. Dotti pontefici non mancarono, e gran ventura fu incontrarsi appunto al mille il dottissimo papa Silvestro II. che tra suoi pregi ebbe quello [p. 116 modifica]di raccogliere a grande studio codici, e libri d’ogni parte siccome sollecito fu di chiamar sempre, e invitare gli uomini più scienziati d’Europa. E benchè troppo presto mancasse, pur non poco giovò certamente a dar moto, ed impulso al rinascimenro dell’erudizione, come dicemmo. E poichè Roma era non meno il centro de’ monaci, che facevan conserva di codici più ch’altri, a monte Cassino, a Farfa, a Nonantola, a Bobbio principalissimi monasteri, benchè talor desolati dagli ungheri, e da’ saraceni, Roma pure di ciò profittava, or chiamando co’ monaci i lor volumi, or volendone copie, ed ottenendole spesso in dono, ed omaggio5. [p. 117 modifica]con quelle rarissime, e care reliquie d’antichità di lor professione più proprie vi si trovarono quelle ancora de’ classici greci, e latini depositate, essendo anche in mezzo alla barbarie tenuti almen di nome in gran pregio poeti, storici, oratori, ed altri, che da loro vediamo citati, ed imitati, sebben rozzamente. Grande obbligo abbiamo a que’ solitari, e claustrali, che molto occuparono del santo lor ozio in trascrivere, e multiplicare i maestri dell’antichità, senza che non avremmo fors’oggi nessuno, pochissimi di que’ soccorsi, che furono i principali al risorgimento d’Italia, e d’Europa. Quindi ognor si trovarono, e trovansi i codici più pregiati, e i manoscritti nelle badie più illustri, negli archivi di chiese, o di capitoli di canonici, anch’essi allora monastici spesso, e regolari6. Frequente allor era [p. 118 modifica]mandar qua, e là d’ogni paese cercando alcun codice, e autore, di cui s’avesse [p. 119 modifica]bisogno sacro, o profano per consultar passi, e testi, per trarne copie, per farne confronti. Venivano sin di Francia, di Germania, e d’Inghilterra monaci, preti, vescovi a questo fine, allorchè nelle badie d’oltre monti, e d’oltre mare, che anch’esse ne furon ricche, per caso mancassero, o non fosser compiuti7. Il più spesso volgevansi a [p. 120 modifica]Roma, e a’ papi, avendo spesso mestieri di là ricorrere ancor per altri motivi, quanti sappiamo poter condurre le membra al capo, massimamente in tempi di tante necessità, e ignoranza, e disordini. Quindi era la gran custodia, in che i libri tenevano sino a legarli con catene di ferro a’ lor banchi, il comperarli a gran prezzi, il guardarli colle cose più preziose entro le torri, e le rocche, il porli sotterra ne’ pericoli de’ saccheggi, il lasciarli per testamento obbligati, e quindi poi la rarità di quelli o perduti, o sepolti in obblivione, onde tante fatiche per disotterrarli ebbero i nostri del mille quattrocento, come vedremo. Con tai mezzi Roma fu centro sempre primario della dottrina, e più lo divenne in tempi men torbidi, quali furono gli ultimi anni dei X. e i primi del secolo XI. ripigliando riposo, e 8 [p. 121 modifica]tregua l’autorità pontificia e sorgendo uomini di valore ad incitar coll’esempio, e coll’ istruzione il desiderio di sapere, e l’umanità de’ costumi seguace di quello. Molto però fu ritardato il corso dell’altre scienze dalla disputa insorta più calda nel pontificato di Gregorio VII. e poi durata alcun tempo sopra le investiture, e le immunità, nella quale assai dotti impiegarono le lor penne unicamente.

Dopo Silvestro II. può noverarsi Benedetto VIII. che per undici anni sedendo tranquillo per la protezione9 d’Arrigo imperadore di gran pietà, potè promuovere l’arti. Allor fu la gloriosa epoca del ristoramento della musica per Guido monaco, inventor celebre del solfeggio da questo papa, e dal suo successore Giovanni XIX. protetto, e incoraggito, in quell’arte sì unita al culto sacro non meno, che all’umana letteratura gentile. Per lui renduti più chiari, e facili [p. 122 modifica]a ricordare i tuoni musicali segnati prima confusamente da note letterali da’ greci venute, e prive de’ segni delle distanze, si sparse tosto in tutta Europa la musica regolata, e nelle memorie d’allora si trovano suonatori, e cantori d’ogni nazione non prima accennati. Di che più chiaro diremo, ove dell’arti trattiamo. Più ancor si deve a Leone IX. Vittore III. Alessandro II. Gregorio VII. che precedendo, o seguendo altri men degni, sostenner l’onore della sede romana colle opere dell’ingegno, e col padrocinio de’ dotti, e degli studj.

Tra questi alcuni de’ principali basterà ricordare. Insigni tra tutti, e capi degli altri saranno i due gran filosofi, e teologi insieme Lanfranco Pavese, e Anselmo d’Aosta. Pel primo può dirsi rinato il giorno in Italia alle scienze, essendo stato maestro dell’ altro, è de’ più dotti di quell’età, che il seguirono in Francia, dove aprì scuola famosa, e da’ francesi medesimi nelle storie esaltata10. Nato nel 1005. studiò a Bologna [p. 123 modifica]le leggi, che già vi s’insegnavano, e traevano da lontano discepoli, ed a vent’anni era in fama di tal dottrina, che ne fu egli publico insegnatore, secondo alcuni scrittori, nella sua patria. Passato in Francia al 1042. fuggendo i romori di guerra, ed apertavi scuola, siccome monaco nella Badia del Becco in Normandia, fu al 1050. chiamato da Leone IX. ai concili Romano, e Vercellese, fu eletto al 1070. arcivescovo di Cantuaria, e promosse in Inghilterra gli studi coll’opere, e colla dottrina, per le [p. 124 modifica]li si riconosce non sol dottissimo. pe’ suoi tempi, ma sopra ogni altro d’allora buon critico, e diligente in esaminare, distinguere, ed emendare i codici, che è fondamento del vero sapere a que’ giorni sì raro. Morì nel 1089. ad 84. anni d’età, e può chiamarsi il ristoratore non meno degli alti studj, e della filosofia, che delle lettere secondo il Mabillon, che qui presso rechiamo.

S. Anselmo detto di Cantuaria succeda qui al suo maestro, come successegli in quell’arcivescovado nel 1092. Convien dire, ch’egli insegnasse anche vivente Lanfranco, e con lui, poichè il Fiorentini nella vita di Matilda afferma, che Alessandro II. fu pur suo discepolo, e che il venerava per la sua grande dottrina. Leibnizio poi sommo giudice in tal materia come gran metafisico lo riguarda, e le gran quistioni della immortalità dell’anima, dell’esistenza di Dio, e di tali pili astrusi argomenti da lui riconosce trattare profondamente sino a pensar, che Cartesio n’abbia molto approfittato. Morì al 1109 in fama di gran santità, come di gran dottrina, di che le sue opere fanno fede, onde [p. 125 modifica]

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vero ristoratore delle scienze in Europa e

riputato, come il maestro suo, col qual pure scrisse a gara sulla gran lite delle investiture. Anselmo poi combattè nel Concilio di Bari contro allo scisma de’ greci con gran dottrina, e zelo nel 1098. Basti per tutti a gloria d’entrambi il testimonio del Mabillon nota.

S, Pier Damiani studiò a Parma ne 1025 ove allora era una celebre scuola secondo il monaco Benedetto di Chiusi, che circa il 1028. scrivea 4| lei, che qual fonte di sapienza vantava*! in queste parti, e sino al 111$. Donizzone chiamolla Emporio, delle sette ar, tinota, Il Damiani studiò pure a Faenza,


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poi fecesì monaco in Ravenna sua patria al

1034. Stefano IX. l’assunse al cardinalato nel 1057. per la fama di sua dottrina, onde divenne gran lume della chiesa per l’opere sue, rra le quali i suoi sermoni il mostrano ancor eloquente, benchè nello stil de’ supi tempi. Morì nel 1072. A lui può unirsi S. Romualdo per la comune lor patria, che scrisse un commentario sopra i salmi; ed era già morto al 1027.

S. Anselmo vescovo di Lucca nativo di Mantova secondo alcuni, ’e più probabilmente milanese siccome Alessandro II. suo zio, fu celebre per l’autorità ottenuta presso Gregorio VII. e la gran contessa Matilda, come pure per commenti scritturali, e dotti trattati teologici e per molte opere sopra

13 [p. 127 modifica]l'investiture, e contro i simoniaci, e a difesa della santa sede, oltre ciò, che scrisse nel gius canonico, di che diremo trappoco. Morì nel 1086.

Parliamo più brevemente d’alcuni altri, benchè assai possa dirsene da uno storico di professione. Fulberto vescovo di Chartres, e allievo di Silvestro II. vuolsi da molti, e con buone ragioni italiano; le sue lettere son pregiate per dotta critica, e per le memorie de’ suoi tempi. Egli morì al 1029. Guglielmo Abate di S. Benigno nacque in un’isola del lago d’Orta, studiò a Vercelli, e a Pavia, insegnò lettere a Locedio, riformò assai monasteri, stabilendovi scuole eziandio di medicina, e morì a 70. auni nel 1031. Eustazio romano si crede vissuto in questo secolo con fama di dotto in jus civile, e canonico. Più degni ancor son di memoria pel lor sapere Bonizone vescovo di Sutri, poi di Piacenza14, e s. Brunone [p. 128 modifica]vescovo di Segni morto dopo il 1100. Così Alfano arcivescovo di Salerno, di cui più sotto diremo, e così molti tutti illustri per opere scritte or contro l’eretico Berengario, or in favore de’ papi, e delle immunità ecclesiastiche, or contro lo scisma de’ greci, e in altre materie eziandio, intervenendo i più di loro a’ concili, sostenendo legazioni, ed instruendo i popoli con nuove scuole. ed insegnamenti di dottrina cattolica. Perciò qui sono uniti, ove di Roma parliamo, perchè dà lei venia serpeggiando il calor nuovo dà papi diffuso a pro degli studj, a favore de’ quali ricorderemo tra molti il decreto del concilio romano sotto Gregorio VII. al 1078. onde vien comandato a tutti i vescovi di far [p. 129 modifica]nelle lor chiese insegnar lettere gratuitamente. Riflettasi intanto, che quasi tutti i sinora accennati furono monaci, e che molti più di questi potrebbon qui aver luogo, specialmente di monte Cassino, che in questo secolo per grande studio, e dottrina fiorì sino ad avere due storici molto insigni per que’ rozzi tempi, cioè Leon Marsicano, e Pietro Diacono benemeriti della posterità per le preziose memorie di quel secolo oscuro in istile men lurido a noi lasciate. Ma di loro altrove.

Dal sin qui detto apparisce, ch’erano già rinate in molte parti d’Italia le scuole, a che fiorivano in alcuna assai nobilmente. Dopo Roma ricordansi adunque Parma, Pavia, Vercelli, Faenza, Ravenna, oltre ai monasteri in più luoghi, che la gioventù istruivano, e a’ vescovi molto più, che volsero il loro zelo alla pubblica istruzioue dei lor greggi. Vuolsi Milano distinguere d’infra l’altre città per l’autentico testimonio di Landolfo storico di que’ giorni, il quale all’anno 1085. afferma essere stati in gran fervore gli studj. a Milano per ottimi [p. 130 modifica]
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tori di filosofia, e d’altre arti, e per lo

zelo degli arcivescovi, sicchè in divine e umane lettere i? eran dotti preclari. E per guanto ci sembrino un po’ liberali queste sue lodi, pur troviamo lo stesso Landolfo, e seco un Arnolfo preti milanesi prima del noo. che le storie lasciarono del lor tempo non Spregevoli, benchè quelle del secondo sian tenute dal Murarori, che pubblicò i loro scritti, d’autor men credulo, e più diligente dell’altronota. Troviamo ancora Pier Grossolano, detto ancor Crisolao, arcivescovo di Milano scrittore anch’esso e assai dotto, che fiorì prima del noo. benchè morisse nei secolo susseguente. Papia detto Lombardo credesi milanese, e fu tenuto gran dotto per la perizia ancor del greco, grammatica

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suo tempore er uditissimus di lui scrissero, e

fu autore del primo gran dizionario di latinità. Era celebre in quella grammatica, di cui parlammo poco sopra; e fiorì circa il 1060.nota.

Ma tra tutte queste città Bologna ìnsiti d’allora meritava il bel nome di madre degli studj e d'insegnatrice, che da immemorabil tempo troviamo a lei dato; imperocché non solo Lanfranco quivi era stato a studio, come si disse, di giurisprudenza, segno, che nella sua patria, e ià intorno mancava, ma di molti altri restano qua e là memorie, e nomi di maestri suoi nelle leggi

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romane, citandosi dal dottissimo Fiorentini

un Giovan Bono, un Marchesello, un Pepone, ed altri, che poterono ammaestrare Ianfranco, e i suoi condiscepoli. Fuor di ogni dubbio e la sua gloria sopra tutte le genti pel nome e il valore d’Irnerio creatore, può dirsi, della scienza legale, e quindi degno, che ne facciam più distinta menzione.

Alcuni il vogliono milanese, altri tedesco, o d’altra nazione, ma avendone io fatte diligenti ricerche presso a? più eruditi in Bologna delle cose patrie, egli fu certamente loro concittadino. Studiò prima secondo qualche autore a Costantinopoli, secondo qualche altro a Ravenna, e già chiaro per letteratura venne a Bologna al noo. o in quel torno, e incominciò dall’insegnarvi filosofìa, dal che si pruóva aver quivi fiorito alrre scienze e lettere a quel tempo. Venne di poi alla cattedra di giurisprudenza, nella quale alzò grandissimo grido in poco tempo, e divenne l’oracolo delle leggi non pure in Bologna, ma in tutta l’Italia. E ciò principalmente

per aver egli spiegate non solo, [p. 133 modifica]

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ma ravvivate le istituzioni, il codice, e le.

novelle di Giustiniano, anzi pur le Pandette stesse, che dal secolo suo si credono ignorate, ma secondo il Muratori, e il Facciolati dopo il Fiorentini a lui furono notenota. E quanto alle Pandette lunga opera ci vorrebbe ad entrar nella disputa infra molti agitata sopra la pretensione de’ pisani quai primi ritrovatori di quelle nella presa di Amalfi per Ior fatta nel 1137. Alcuni però affermano non esser quél codice stato nè so-’ Io, nè primo in Italia, perchè Irnerio uno n’ebbe in Bologna, e forse il recò seco da Costantinopoli, o da Ravenna, che co-

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me città governata dagli esarchi più facilmente

ne sembrava di que’ mandati a tutte le città suddite, e a’ loro governatori da Giustiniano medesimo; sebben poi per la misera condizione de’rempi fosser rimaste neglette, e a pochissimi conosciute, siccome gli altri libri di quell’imperadore sopra le leggi. Il passo dell’autorevole abate"Urspergense nella sua cronaca all’anno 1126. può dar molto lume alla storia. Al tempo stess s o Irrterìo (dominus Wernerius) a richiesta della contessa Matilda rivide i libri delle leggi, che da gran tempo erano stati negletti, e non i studiati da alcuno, e come una icl~ ta erano stati compilati da Giustiniano di santa memoria (divae recordationis) egli con poche parole qua e là frapposte mise in chiaronota. Dal che apparisce essere stato Irnerio per la sua fama adoperato, e consultato dai principi, e specialmente dalla grande Matilda, e da Arrigo IV. dicon altri.


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Ora i popoli dell’Italia, che allora appunto

gustavano il dolce della libertà, e si cominciavano a regolare in comunità sotto il governo delle leggi, vergognandosi ornai dell’antica barbarie, e di quelle straniere leggi or bavare, or longobarde, or alemannenota si volsero tutti a tal nuova luce di nobile giurisprudenza romana, e divenne presto Bologna la scuola universale. Possiarn dunque credere al Muratori più d’ogni altro in tal fatto autorevole, che presso al 1100. fosse vera università in Bologna, e; dedur quindi, che dunque poco appresso al mille vi fossero assai stud;, e studiosi, onde giugner dentro al secolo stesso a farne pubbliche scuole, e professioni; benchè poi egli ristringale troppo severamente alle leggi. Vero è, che tanto presero di fervor queste allora, che 1 a stessa filosofia, non che

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l’altre lettere, vi cadde quasi in dimenticanza,

e parve passare nell’università di Parigi, ove fiorì grandemente, sinchè ne Venne sbandita con solenni decreti, e ritornò a Bologna verso il 1200.nota. Intanto Ja giurisprudenza bolognese giunse a mandar suoi maestri per tutta Europa, e credesi in "Francia portata da Piacentino, e da Ruggero in Inghilterra, entrambi della scuola d J Ir nerio.

Ma poichè di Matilda s’è fatta menzione giusto è parlare dei principi, che più all’Italia giovarono per rischiarar la sua notte. Può dirsi in generale, che sino al 1056. volser le cose italiane a qualche miglior condizione, e quiete, cioè sino alla morte d’Arrigo III., poichè con Arrigo IV. fu poi tutta sconvolta. In quel respiro già preceduto dal mite impero degli Ottoni non inimici de’ papi, fu re d’Italia Ardoino marchese d’Ivrea nel 1002., sicchè un italiano


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potè sembrare, ed ei mostrò voler esserlo j

un ristorator della patria. Molto più poi Arrigo il bavaro chiaro per santità, e benefico alla chiesa, il fu pure all’Italia, e colla pace sì necessaria agltstudj, e col favor verso i papi, ed a Roma. La gran contessa Matilda frattanto dopo il marchese Bonifacio, e la marchesa Beatrice suoi genitori, che collo splendore della Ior corte, e la potenza di loro autorità aveano alquanto rianimate l’arti, e il coraggio italiano, fu principalissima promotrice d’ogni virtù, come d’ogni coltura. Ella stessa fu studiosissima delle lettere sacre, fondò monasteri, ed arricchinne pur altri, incoraggi gli scienziati, e coltivò l’amicizia de’ più dotti vescovi, papi, a’ quali fu poi con l’armi sì forte scudo, e col gran dono di grande stato fu principio Ji nuova magnificenza romana. Per tai conforti l’Italia può dirsi in quel secolo aver cominciato a risorgere, e specialmente la Lombardia, in cui Matilda signoreggiava. Già s’è veduto quanto ella giovò agli studi di dritto pel

favore prestato ad Irnerio, e per l’uso fatto del suo sapere. Non meno promosse il [p. 138 modifica]
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jus canonico, e per suo comando s. AnseJ.

mo il vescovo Lucchese fece riuova compilazione di canoni, dopo la quale poi li vedremo in un corpo ridotti, $ ad un metodo al secol seguentej ma tempo e di scorrere alquanto per l’altre parti.

Si navigava frattanto dai porti di mare a varie genti straniere, e se ne recavano cognizioni. Toscani, e genovesi, siciliani, e napoletani verso le Spagne, (ove fiorivano gli arabi studi come sino dall’ottocento sotto ii Califo Raschildi li vedemmo fiorenti) e veneziani verso Oriente. Vero è, che questi già da lungo tempo intenti al traffico, e all’ingrandimento, si erano, con silenzio condotti tra le discordie, e fierezze d’Italia, come se a quella non appartenessero; ed è pur vero, che più a libri di conti, a carte marine, a nautici affari badavano, che non ad altro, ed erano molto occupati or dalle cittadinesche contese, or dall’esterne guerre marittime, sicchè sino alJora poco l’arti e le scienze de’ greci curavano, fuor quel poco, che ad ornar la città ne ritrassero, onde

poi divenne Venezia ancor per ciò una [p. 139 modifica]

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città veramente maravigliosa. Pur non furono

inutili al principio stesso del secolo al ben comune per una vittoria da lor riportata sopra de’ saraceni j più fieri perturbatori d’ogni quiete. Ma gli altri popoli posti al mare or or ricordati benchè ancor essi nej traffico, e nelle guerre occupati, e dai mori di Spagna, e dai greci di Levante, che 14 Sicilia ancor dominavano, gran frutto ritrassero. Certo è, che la Grecia, e Costantinopoli

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poli sempre fiorivano con vasto impero, e

colla gara lor propria nelle cose d’ingegno, e specialmente in materia di religione, ed in sottilità delle scuole. Né men fiorivano gli arabi, o mori conquistatori di Spagna nelle scientifiche discipline tra lor gran tempo già coltivate, e a lor di Grecia venute co’ libri classici in arabo trasportatinota.

Dunque portarono i nostri navigatori dì cotai libri assai, ch’esser doveano grande alimento de’ nuovi studi unitamente a que’, che già vedemmo in Italia serbati. Sempre


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è più comodo aver molte guide, e maestri,

che il far da se, lentamente operando l’limano ingegno isolato. Egli a se stesso lasciato è costretto d’addottrinarsi per via de’ sensi, de’ corpi, dello spettacolo della terra, e del cielo, onde gli vengono le prime idee di ricerca, e di combinazioni. Ma troppo ampi» ed oscuri volumi sono questi di naturale filosofia nella ignoranza più naturale all’uom solitario. Dunque gli antichi esemplari, ed originali in ogni tempo tur necessari allo studio, e il furon pure a rimetterlo per l’Italia.

La propagazione pertanto degli arabi autori, e de’ greci nell’arabo volti, tra tanti mali da quella nazione recati all’Italia, questo vantaggio apporto per tre secoli, e più, come vedremo, e sin dal mille, moltiplicandosi pel commercio marittimo colla Spagna» furono studiati da chi sapea 1* arabo, come era l’uso di molti per la ragion del commercio medesimo, e furon poi traslatati in latino a sparger per tutto l’erudizione. Con questi sforzi primieri accoppiossi un primo

sapore di libertà nelle città italiane, sino da [p. 142 modifica]
142 Capo Secondo

questo secolonota, in cui troviamo già guerre intestine tra nobili j e popolari., come in


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Mille. 143
Milano al 1041., senza inframmettersi quivi

l’autorità degl’imperadori già già languente. Vedrem presto da tenui principi a qual segno giugnesse la libertà madre delle più grandi intraprese di mano, e d’ingegno anche tra noi, oltre a quanto se n’è accennato.

Con tal libertà venne scemando la dominazione, e frequenza tra noi delle genti straniere affatto feroci, e solo desolataci della quiete sì necessaria allo studio, onde riordinarono un poco le cose, non si temeron più tanto i saccheggi, e la gente di chiesa, e di chiostro potè applicare più sicuramente alle lettere dopo tanta stanchezza di una vita sempre incerta, e assalita. A dio, sebben da principio nuocesse, alla fin poi giovò la gente nuova in questo secolo a noi venuta, detti normanni, cioè uomini del Nord, perchè di Danimarca sparsi prima in Europa, ottener poi la provincia francese in possesso dal re Carlo il semplice, che da lor Normandia si disse. Questi afflitta alcun tempo la Sicilia, ove prima approdarono, e Napoli,

e Roma, e le coste italiane per tutto [p. 144 modifica]
144 Capo Secondo
intorno, alfin venner padroni dentro il secolo

stesso della Sicilia, e di gran parte del regno napoletano, e cómbatteron così a favor nostro contro de’ greci, e de 5 saraceni, cacciandoli, e risarcendo con qualche tran quillirà i tafbarnenti per loro insorti dappri- ma.nota.

Più vicino agli studi, che ricordiamo, è il trattar, che si fece alla metà dello stesso secolo la riunione tra la chiesa greca, e latina, per cui dovettero scriversi dai romani risposte, e confutazioni incontro allo scisma de’ greci, il qual negozio più volte ripreso, e lasciato vedrem poi dove giunse. Presso allo scisma fu l’eresia di Berengario intorno all’eucaristia; la qual eresia più super-

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Mille. 145
perba levando- il capo, con furore incredibll

le dilarossi rapidamente, onde a migliaia per tutta Europa sorsero combattenti scrivendo, ed in Italia, ed in Roma affilaronsi l’arme della dottrina, e dell’ingegnoì. Ed anche tal eresia, come lo scisma greco, sorse in questo secolo, e si propagò poi pe’ susseguenti sino a fare nel decimo sesto sì gran piaga alla chiesa nella Francia, e nella Germania pe’ novatori. Per tutte queste ragioni si manifesta essere stato veracemente l’undecimo secolo un primo riaprimento di nuova scena prima all’Italia, poi per essa all’Europa,


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146 Capo Secondo
donde dobbiam riconoscere le sorgenti del

nostro vivere più umano, de’ nostri studi, e della nostra presente condizione. AI che diede ajuto eziandio l’essere stati da moltenota città riconosciuti i vescovi non sol come pastori, e maestri, ma come capi del civile governo, e in alcune persino quai sovrani ubbiditi, (onde anch’oggi molti han titolo di principe) e per essi meno incolti, e più costumati degli altri vantaggiò il primo coltivamento degli animi, e degl’ingegni.

Ma troppo essendo difficile, e lento il passare dal male al bene, più che rion è dal ben cader nel male per l’umana miseria, e per le passioni, quindi furono tai principi assai confusi, e ancor guasti di molta ignoranza, e fallacia. Vediam però in pochi tratti, quai furono le dottrine più coltivate, e con quale coltura per l’opere, e per gli autori.

La scarsezza de’ libri, e specialmente de’ verr, e legittimi originali, le distrazioni non

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Mille. 147

ben tolte della discordia, e del tumulto, i vizj feroci, e brutali ognor prepotenti, infine gli sressi maestri, e le foriti più frequentate dell’insegnamento, cioè gli Arabi, e i Greci, gli uni, e gli altri corrompitori, e corrotti in mezzo allo stesso esercizio della ragione, e dell’ingegno per mille abusi di quello in dispute, cavillazoni, sofisticherie puerili e di nomi, e di voci, fecero inciampo a quegli studj medesimi, che tra noi destarono. La teologia fu in Roma col diritto ecclesiastico, i sacri carjoni, e la scienza delle scritture, e de’ padri più coltivata, come più necessaria, e all’esempio, ed incitamento di lei furono tali studi assai ferventi tra le persone di chiostro, e di chiesa in ogni parre. Se però alcun autor di quel secolo ancor oggi ha qualche nome, egli e qualche vescovo, prelato, o claustrale, i quali promossero inoltre le scuole private, e pubbliche, educando giovani ne’ monasteri per le ottime discipline, e specialmente poi nella musica, laqual dopo il monaco Guido ristoratore fiorì sempre tra loro, come l’altre liberali

per ornamento di chiesa, e di chiostro, [p. 148 modifica]
148 Capo Secondo
il qual fnerito ebber poi gli ordini mendicanti

due secoli dopo ancor più luminoso. Ma dN)rdinario più barbari sono d’assai gli stranieri scrittori d’allora, che di tanti ajuti, ed esempi mancavano, e tanto gravi impedimenti incontravano più che in Roma, e in Italia. Difficilmente da due estremi erano immuni, della somma rozzezza di stile, e d’ingegno, e della somma arditezza e insolenza. Di che pruova sia quell’opera del Cardinal Umberto nel 1057. composta, e pubblicata, in cui osa trattar Enrico I. re di Francia di simoniaco, di tiranno e d’anticristo. Dal quale spirito di fanatico zelo possiam già ravvisare i principi di quello, che tanto accrebbe le divisioni tra i principi, e ì papi, tra i popoli, e i vescovi, e tanto confuse le giuste idee di religione, e di superstizione, di zelo e di fanatismo, onde sorsero tanti mali, e infine la fiamma delle crociate. Più ragionevole molto era Io studio, e Io scrivere de’ romani, e per la più jicca supellettile de 5 buoni esemplari, e per una specie di altezza, e nobiltà di pensare

propria delle metropoli, delle corti, e della [p. 149 modifica]

Mille. 149

sede di religione, ond’anche il gusto, e ld stile prendono gravità, e vaghezza. Tal si riconosce il carattere di que’ dotti nell’opere di S. Pier Damiani, di S. Anselmo il lucchese, di Leon IX., e dello stesso cardinale Umberto eloquente, e quasi elegante per cotale stagione. Pur discopresi in tutti qual più qual meno con gran sapere, e molto ingegno la poca critica, la credulità, lo stile ampolloso, e il raffinato pensare Dopo gli studi, che ponno dirsi italiani, coltivati furono que" d’astronomia, di medicina, e di filosofia, che dagli arabi ricevevano più vigore. Imperciocchè tra loro salito era a dominar nelle scienze Aristotile da lor medesimi sfigurato, e nel linguaggio non solo, ma nel pensare saracin divenuto j di che non è a cercarsi dichiarazione, tal conoscendosi anch’oggi, che con vergogna infinita persevera ancora in qualche professione, e provincia quel corrampimento, con tanto profonde radici l’aveano gli arabi stabilito. Provano tuttavia quello strano commercio di letteratura tra noi, e i mori que’

codici molti, che si conservano dalle italiane [p. 150 modifica]
150 Capo Secondo
ne biblioteche più celebri in lingua arabica,

e le traduzioni latine dall’arabo, che segutron facendosi per tre secoli, come andremo vedendonota, segno chiarissimo, che sino a’

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Mille. 151
rempi di S. Tomaso prevalse presso di noi 1

arabo al greco, in cui erano i principali autori originalmente. Essi avrebbon dovuto anteporsi e per la sicurezza maggiore di studiar questi più che le versioni, e per l’affinità più stretta della greca lingua colla latina, e per tanto influsso de’ greci in Italia col loro impero, e commercio costantinopolitano, col lor dominio nell’esarcato, e col più lungo possesso nella Sicilia, e nelle coste d’Italia. Eppur l’arabo più si seppe tra nostri, in arabo si lessero i greci, dall’arabo si tradussero, onde un problema sarebbe a sciogliersi questo oscurissimo a chi non sapesse, che il commercio era maggiore assai colla Spagna, che i greci erano e per lo scisma, e per genio più gitasi inverso di noi, e ritrosi dal farne parte d’alcun loro favore; che i veneti quasi soli co’ genovesi dopo loro, e solamente per traffico vi si vedevano ben accolti, ed aveano studiosamente a tal fine presa l’indole, e il genio greco sino al parlare, al vestire, ad ogni usanza, tenendo piuttosto lontano per loro interesse, e politica gli

altri popoli italiani da quella nazione. Ciò [p. 152 modifica]
152 Capo Secondo
basti a far. cenno di talquisito, senza parlar

dell’altiera opinione de’ greci in favor loro e del loro disprezzo dell’altre genti, che è primario motivo di separazione. E a dir vero la ricchezza, la pompa, la coltura della corre, e della città di Costantinopoli facean loro parer molto barbare l’altre nazioni ben giustamentenota.

Checche sia di questo, certo in Italia ebber gli arabi studj gran voga. Tra questi si vuol distinguere l’astronomia colla medicina. Costantino Cartaginese dottissimo in astronomianota fu principale propagatore, e tradurla) 29

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Mille. 153

duttore, de’ lor maestri specialmente medici, e astronomi. Quelli erano in credito grande tra i mori per Avicenna, che in quel secolo con gran nome fioriva (mori nel 1056.) e per quelli tra noi fu ognor più celebre la scuola salernitana già prima del mille non poco nota. Ma poi sempre più avvalorando in fama pe’ libri d’Avicenna, e per que’ d’ Averroe più tardi, trasse a se gran concorso di studiosi, non men che grandissimi personaggi d’Europa tutta a cercar guarigione insieme, ed ammaestramento. Pensa in fatti il Muratori sin dal 1066. essere uscito il celebre libro, che dalla scuola medesima prese il nome.

In tal credito venne a quella parte d’Italia

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154 Capo Secondo
Jia quest’arte, che vedonsi gran prelati e

dotti monaci averla pubblicamente professata, non che secolari illustrinota; e durò tanto


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Mille. 155
in vigore, che verso il 1300. Giovanni milanese

dal primo libro or or menzionato della scuola salernitana trasse argomento a comporre quei versi leonini, che citansi ancora, e si leggono salvi dal tempo in numero di -j?. benchè per lui se ne componessero più di mille. Quanto alla pratica seguirono sempre gli ebrei già sin da Carlo Magno da noi veduti esercitarla, ed aver in Europa gran voga, ma fu degna di loro la medicina, ciofc


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156 Capo Secondo
di gente per professione superstiztrsa, poiché

in gran parte mettevano il loro studio nell’astrologia giudiciaria, e nell ’indovinar misterioso medicando, accusati per sino di servirsi dell’arte magicanota.


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Mille. 157
Questa scienza astrologica presedeva allora

a quasi tutte le professioni per l’universale ignoranza, e credulità, e presso i saggi non meno era pregiata, perchè confusa co l'astro- nomia. Certo di questa non mancarono sin d’allora studiosi, poichè in Firenze si serbano calendari del 900., e del iqoo., indizio certo, che vi fioriva lo studio degli astri. Strozzo Strozzi detto il grande "astrologo, morto quivi nel. 1012. credesi aurore d’un marmo solstiziale nella sua patria, del quai resta reliquia, e memoria nella chiesa di s. Giovanni di quella città, come narra il p. Ximenez nel suo gnomone fiorentino.

Ma quanto all’astrologia vana, che dicesi giudiciaria, dall’indovinare divinatoria, essa più ampiamente regnò in tutti quei secoli, come accennammo parlando dell’opinione del fin del mondo per quella accreditata, e ne parleremo troppo ancor "lungo tempo dappoi. Per cagione però del confondersi in tanta oscurità le due professioni, cioè quella degl’impostori indovini, e quella degli osservatori fisici del cielo, venner poi

tanti disordini abusi sospetti ed accuse, ogni [p. 158 modifica]
158 Capo Secondo
uomo più ciotto ed ingegnoso degli altri essendo

per poco tenuto qual mago, come Gerberro monaco, o sia papa Silvestro II. ne dimostrò. Vero ’e che non mancarono stolti o scellerati, che credettero all’arte magica, o fecer creder altrui di possederla; ma più e vero, che qualunque tenuto era per mago, diede sospetto di sua credenza, e fu detto eretico; questi parve vicino all’empietà, e fu detto ateo; e per tai titoli e colpe abbondarono accuse, e finirono in roghi, e in fuoco moltissimi sciagurati. Tanto può un solo equivoco e somiglianza di nome, che assai gente fu tratta in opinioni e paure sì nimiche dell’umanità, perche facilmente non distinguevano astrologia da astronomia, e tanto giova talora un sol raggio, un po’ più di lume della ragione per impedir funestissime conseguenze, di che almen oggi possiam consolarci.

A finir la pittura di questo secolo presentandone l’epoca principale può riflettersi, che oltre le ragioni addotte del rinnovamento in Italia venuto per gli studi il più efficace

stromento ne fu l’ingrandita potenza [p. 159 modifica]

Mille. 159
della

sede romana. Qualunque sia l’opinione degli uomini sopra quell’epoca tanto agitata, certo egli e, che molto dovea giovare all’esercizio degli ingegni e degli studi pacifici un potente signore italiano, o almen dominante e presente all’Italia, pacifico di professione e di stato, con leggi fisse e sagge, anzi sacre, esercitato in istudj per istituto, circondato da ministri e prelati


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160 Capo Secondo
dell’istituto medesimo, maestro e giudice di

coscienze di riti di costumi di dogmi di controversie, e insieme principe di un governo strettamente monarchico, perchè teocratico, più che gli altri. Questi all’incontro in quel governo feudale, cioè quasi repubblicanonota,

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Mille. 161
sempre in guerre nemiche di studio, e tra

V armi disturbataci d’ogni cultura, sempre chiamati in Germania da discordie, ailevati nell’ignoranza d’ogni letteratura, e soltanto esercitati nell’arti guerriere, e nei piaceri soli a quell’arti compagni, cioè ne’ piaceri del corpo, assai poco potevano contribuire, e troppo nuocer piuttosto alla propagazion e delle lettere e delie scienze italiane. Il qual punto, a dir così, di prospettiva verrà ognor meglio scoprendosi e verificandosi de’ secoli e fatti succedenti.

Intanto noi vediamo chiarissimo il risorgimento d’Italia per gli studj in questo secolo primo dopo il mille. Gli uomini liberati dal terrore e dall’avvilimento universale preser coraggio, la religione ricuperò j suoi dritti, la libertà e le leggi cominciarono a fare- de’ cittadini. Così venne più ardire contro la tirannia, frenaronsi le guerre particolari, formaronsi de’ governi, s’intrapresero dei commerci e delle navigazioni, si giunse a pensare alle conquiste ancor lontane. Gli stessi nobili prima feroci e prepo.

tenti si rivolsero a guerre ordinate, e le fram[p. 162 modifica]
162 Capo Secondo
mischiarono di quello spirito di cavalleria j

che spirava onore e virtù generosa. Purgarono essi le provincie dai ladroni, onde s s aprì la comunicazione tra i popoli, e si facilitarono i commerci ancor dell’ingegno. Allora cercaronsi comodi ed agi, sentironsì desideri e bisogni più che non mai, nacquero infin le scuole; e poichè ognuno intende quanto l’esempio e la condotta de’ principali d’una nazione influiscono in tutto il resto, e quanto i governi e i costumi da loro dipendano, da’ quali dipende poi sempre ogni cosa, quindi vien nuovo lume a conoscere meglio quel primo gusto risorto inverso gli stud;. De’ cavalieri, detti ancor paladini, noi facciamo trattato a parte per questa ragione. Qui basti dire, che per loro due scuole ci furono e due maniere di letteraria coltura, l’une puramente letterarie, l’altre si ponno dir militari. Gli ecclesiastici preser quelle, i cavalieri si diedero a queste, non senza disprezzo dell’altre. Cotal divisione divenne fatale a tutti gli studi, che o rimaser perciò nell’infanzia, o caddero miseramente

jn eccessi. I militari al solo corpo, [p. 163 modifica]

Mille. 163
alla forza, il valere diedero la preferenzs,e

v’aggiunsero una tintura di lettere, a di esercizi piuttosto galanti, che letterari; gli ecclesiastici nel loro sapere s’immersero, cio compilarono erudizione senza discernimento. Venne co’cavalieri l’amor paladino principio d’urbanità per piacer alle donne principalmente. Queste amarono oltre le imprese più valorose la gentilezza, il bel costume, le gtazie e gli ornamenti dello spirito, e del sapere pacifico, siccome il sono esse per indole e per destino tra gli uomini. Così divenner cortesi e studiosi i loro adoratori. «I tornei nnirono il lusso, ia generosità la modestia l’emulazione l’onore, come quelle voleano, in omaggio delle quali portavano l’armi, e le divise. Esse davano Iodi e premj ne’ pubblici giuochi e spettacoli, nei quali, siccome ne’ giuochi olimpici erano t trombadori, cioè cantori e poeti gli stessi eroi, quasi i Pindari di quel secolo, onde può dirsi, che l’amicizia, e l’amor generoso fece umani i popoli nostri, come la musica i greci, gli uni e gli altri però per ia

poesia. Vi furono, e ver, dei guerrieri poe[p. 164 modifica]

ti, ovver letterati; ma come poco era io studio loro tra le guerriere intraprese, restò lungo tempo in rozzezza. Cresciute le scuole in appresso, e fatte le università, tornaronsi a separare l’educazione civile e la letteraria, e questa fu sempre servile, e barbara, perchè senza libertà, e con superstiziosa venerazione verso gli antichi. Di che gran colpa ebbero in verità l’altre nazioni, che dopo aver preso da noi dopo il mille le migliori dottrine per Lanfranco, Anselmo, e molti altri, e principalmente pei papi e concili e contese ecclesiastiche, quinci a poco i sacri studj, e i non sacri in nuovi, e torti sentieri guidarono.


  1. M. Tullio nelle Tusculane attribuisce ciò alla natura stessa delle umane cose di non poter tenersi e stare. Seneca il retore rrieno filosoficamente nè incolpa una legge fatal del destino e Lucano con lui s’accorda = Invida fatorum series, summisqut negatum.... Stare diu. Ma noi che vogliam ragione, e filosofia, noi andremo accennando alcune di quelle cause principali qua e là.
  2. Lo studio vano dell’astrologia giudiciaria, la comune credulità, la scostumatezza de’ sacri uomini, e de’ mondani venata all’eccesso con tant’altri mali, e disordini accennati poc’anzi nel secolo X. fecero spargere, e autenticare la profezia del capo XX. dell’Apocalisse, che Satanasso doveva esser disciolto dopo mill’anni. Abusavano insieme d’altri testi siffatti della Scrittura, e de’ SS. Padri, i quali, a correggimento de’ cristiani scorretti aveano spesso minacciata la fine del mondo. Tra questi bastino ricordare quel di S. Gregorio Magno nell’omelia quinta sull’evangelio di S. Matteo al capo IV. Quanti miracoli vediam noi, di quanti flagelli siamo percossi, con quante fiere minacce siamo atterriti! Già siede in cielo, quel che ci avvisa di convertire e già sottomise le genti al giogo della fede, già la gloria del mondo atterrò, già con le ruine di questo ognor più frequenti ci avverie, che il giorno del suo tremendo giudizio avvicinasi. Di tali, ed altre autorità mal intese, ed esagerate valevansi ora i zelanti pastori a frenar i disordini, ed or gl’impostori a turbare i popoli. E non è maraviglia, che vi riuscissero in tanta rozzezza, per cui facilmente la superstizione tien luogo di religione, e quanto meno è questa intesa, e praticata, tanto più sicuramente il suo linguaggio viene usurpato da quella. Ben è maraviglia, che ancor, Passato il mille ripullulasse quell’opinione quasi in ogni secolo ancor più illuminato d’assai; ma tanta è la forza del mirabile, e del terribile insieme sopra dell’uomo, che fu sempre proclive all’inganno. E se non fosse stato sì comune alle nazioni, o quasi proprio inganno dell’uomo, potrebbe riflettersi, che l’Italia sin da’ primi tempi inchinato avea sempre a cotale superstizione, poichè gl’indovini d’Etruria faceano tal professione principalmente in mezzo a’loro altri augurj, riti, ed usi religiosi insegnati poi a’ romani. Gli stessi romani dopo i greci, gli egizj, e quasi tutte le nazioni ebbero la stessa paura del fin del mondo, quando trovaronsi in grandi calamità. Virgilio, Ovidio, Cicerone han parlato di ciò chiaramente. Noi stessi udiamo spesso nel caso di straordinarj disastri, e rivoluzioni che siamo alla fine del mondo. Qual maraviglia che tra le misere vicende del novecento così abbian pensato i cristiani avvezzi ad interpretare tanti passi del vangelo sopra la fin del mondo, come proprj di loro per la paura, e l’avvilimento, in che aveal posti l’orror de’ mali, e l’ignoranza? Non è però a stupire, che molti facessero testamento con quel principio = Avvicinandosi la fin del mondo io dono e lascio i miei beni alla chiesa, al monastero ec. Approssimando la venuta del gran giudice a sconto de’ miei peccati, ec. ed altri pellegrinasse in terra santa, e alla gran Valle ad aspettarvi il giudicio.
  3. Oltre il papiro d’Egitto, e la pergamena, usavasi intorno al mille la carta di bambagia, che diede luogo a quella de’ nostri giorni per più simiglianza. Ma le pergamene erano sì rare fatte, che i greci principalmente avendo mestieri di libri di chiesa, presero a cancellare, raschiando i codici antichi, che primi lor vennero in mano, e de’ Polibj, de’ Dioni, de’ Diodori di Sicilia, dice il Mabillone, fecero Triodioni, Pentecostarj, Omilie. Lo stesso fecero poi tutte le nazioni guastando infiniti Codici. Non cessò però l’uso delle pergamene, come vediamo, per atti pubblici a cagionai farli più durevoli, nè della carta bambagina, in cui sull’ esempio forse de’ greci si videro sino a’ tempi d’Allo alcune sue stampe.
  4. Bibliotecarj suppongono biblioteca, come Scriniarj, e Protoscriniarj eran custodi di scrigni per codici, e manoscritti. Or dopo altri men celebri si trova Leone vescovo, e bibliotecario della S. C. R. in un Placito citato dal Mabillone circa l’830.
    Il più celebre il nome d’Anastasio bibliotecario scrittor delle vite de’ papi, e dotto in greche, e latine lettere, che intervenne all’VIII. concilio generale nel 869.
    All’891. fiorì Guglielmo soprannomato il bibliotecario della chiesa romana, e creduto autore della continuazione delle vite de’ papi dopo Anastasio.
    Federico di Lorena canonico, ed archidiacono di Liegi, poi cardinale, fu cancelliere, e bibliotecario di S. Chiesa nel 1051. sotto Leone IX. e infin papa nel 1057. col nome di Stefano IX.
    Pietro è pur registrato con lode a’ tempi di Alessandro II. come un altro Guglielmo a que’ di Gregorio VII. tra i bibliotecari della chiesa romana.
    Lucio II. papa era stato bibliotecario nel 1044, sotto il pontificato di Celestino. Così poi altri.
  5. Il monaco Dungallo, e il gran Gerberto aveano a Bobbio raccolta fatta di codici, e tant’altri a monte Cassino, e altrove, come sopra s’è dichiarato, ed anche perciò è verissimo, che i monaci furono pressochè i soli letterati prima del mille, e dopo ancora per molto tempo, tanto più, che erano gli ecclesiastici stessi, e papi, e vescovi, ed ogni maniera di prelati tratti da’ monasteri. Poco a poco si ordinarono sacerdoti, e si fecero parrochi anche i non monaci, e alfine avendo i vescovi trovata qualche indocilità nel monachismo, fecero nuova disciplina di ordinazioni, ed esclusero dal clero i monaci.
  6. Gran fama ottenne ancor nelle storie Pacifico arcidiacono di Verona morto nell’846. per ducento diciotto codici lasciati per testamento al capitolo de’ suoi canonici, e il suo epitaffio famoso ne fa distinta memoria. Due canonici di Ratisbona vennero verso il mille in Italia, per veder l’opere di s. Ambrogio, e ne trovarono parte in Verona tra i codici di Pacifico. Così quando vescovi, e papi al lor clero fecero dono di qualche libro, meritarono iscrizioni a perpetua lor gloria, come alcune comprovano o registrate nella storia, o esistenti in marmo tuttora. Fuori de’ chiostri appena i principi avevano qualche libro. Una contessa di Francia dessi non so dove) aver pagate ducento pecore, un moggio di grano, un di miglio, un di segala, e molte pelli di martoro per aver l’omelie d’Aimone d’Alberstad morto nell’852. condiscepolo di Rabano Mauro nella scuola d’Alcuino; e il gran prezzo, che allor costavano, fu cagione, che molte opere furono finte, o attribuite a falsi autori. E qual sarà stata penuria al mille, o circa, se sino al 1286. leggiamo un decreto del popolo ferrarese per ricuperare una bibbia in due volumi fatta trascrivere a pubbliche spese, e ad onore di Maria Vergine, e di S. Giorgio, la quale essendo stata da’ canonici usurpata, vuoisi rendere alla fabbrica della chiesa, a cui dalla città era stata assegnata? Una copia a penna di Plutarco pagossi 80. ducati d’oro, dice l’Orlandi.
    Sin presso al 1400. non avea Carlo VI. re di Francia più di novecento volumi nella sua reale biblioteca. I più d’essi d’astrologia tradotti dall’arabo. Bibbie, e ascetici molti, pochi santi padri, nulla di Cicerone, e i soli Orazio, Lucano, Boezio di antichi poeti. Luigi XI. anche più tardi impegnò de’ suoi argenti per aver copia di Rasis medico arabo tradotto in latino. Ma noto è assai, che il Poggio comprò una villa col prezzo ricavato da un Livio venduto, e il Panormita offrì un suo podere per comperarlo da altri. Sicchè non fa maraviglia tanta scarsezza di codici intorno al mille.
  7. L’abate Lupo di Francia mandò chiedendo tra gli altri al pontefice Benedetto III. morto nell’857. parecchi codici, per copiarli a benefizio de’ monaci
  8. suoi; cioè parte de’ commentarj di s. Girolamo sopra Geremia, dj Tullio de Oratore, delle istituzioni di Quintiliano, e tutto intero il commenta di Donato sopra Terenzio. Murat. Dissert.
  9. S. Arrigo da lui coronato nel 1014 il cui governo saggio fu propizio all’Italia.
  10. Fu nella celebre Badia del Becco, ch’egli fu maestro di teologia, e può dirsi ancora di filosofia, poichè non meno egli, che il suo discepolo Anselmo sono riconosciuti in metafisica specialmente preclari, che allor poco era nota. Molti scrittori di storia ecclesiastica dicono concordemente aver lui condotte in Francia l’arti liberali, che colà da gran tempo eran cadute: che quel monastero per lui fu detto regno, ed emporio di dottrina, ove i più nobili, e gli stessi principi ad istruirsi correvano. Tali furono Alessandro II. da s. Pier Damiani chiamato bene literatus, & vivacis ingenii, Gregorio VII., Anselmo di Cantuaria, Guitmondo cardinale, Jvone Carnotense, ed altri assai.
  11. Lanfrancus, quem latinitas in antiquum sdentiti statura ab eo restituta agnoscit magistrum y & Anselmus ejus discipulus ambo ex Italia profe&r in Becctnsi monasterio flortntissrmam erexsre Accademiam. Prsef. in saec. VI.
  12. Il metodo degli studj d’allora comprendeva le sette arti, che in lor linguaggio chiamavano trivio e quadrivio. Intendevano essi con ciò una triplice via, che guidava all’eloquenza, cioè lingua, latina, rettorica, e dialettica. Il quadrivio guida-
  13. va la filosofia per quattro strade, ed erano l’aritmetica, la geometria, la musica, e f astronomia. Tutte insieme dicevansi talor grammatica, e talor se sette arti liberali, distinguendole dalle arti maggiori, che la giurisprudenza, la medicina, e le scienze sacre abbracciavano. Questa era l’enciclopedia di que’ giorni.
  14. Bonizone fu ucciso all’anno 1089. dagli scismatici partigiani d’Enrico IV., come zelante amico del Papa, e di Matilde, scrisse molte opere dotte ancor prima del 1073. sopra s. Agostino, su i decreti ecclesiastici, su I sacramenti, diede una storia de' pontefici da s. Pietro sino ad Urbano II. e impugnò gli errori d’Ugone scismatico. S. Brunone fu astigiano nato nel 1049. e celebre pe’ commentari scritturali, per le omilie ed altre opere sacre a suoi tempi, può a’ nostri sembrar anche elegante scrittore.
  15. Vedi il tomo 5. Rerum Italicarum, ove di questo Landolfo si parla, e vien detto il vecchio a differenza del giovane, che fiorì, e scrisse in appresso. Quivi ponno vedersi altri st0rici e / s£orie d ’al " lora, come quelle di Mosè da Bergamo, d’Ottone, e Acerbo Morena di Lodi, de’ Caffari Genovesi e d’altri, de’ quali a suo luogo diremo.
  16. Questo dizionario di Papia ebbe il titolo di Glossario della lingua latina, e fu seguito da quello di Uguccione Pisano vescovo di Ferrara al 119» Con titolo poi di catkolicon diede il suo fra Giovan Balbi genovese al 1286. onde in tre secoli tri latini vocabolari usciron d’Italia a farla maestra prima di latinità a tutta l’Europa. Il Catholicon fu stampato a Magonza del 1460. e si tiene pei quarto libro dopo la bibbia venuto in luce all’invenzione della stampa in caratteri mobili di fuso metallo.
  17. Crede il. Facciolari avere Irnerio i’ primo dati titoli, e insegne proprie a’ professori di legge |er mettere quello studio in maggior pregio, benché comunemente siasi pensato ciò solo accaduto nel secolo appresso. Interpretò, die’ egli, le leggi romane soprai litri vertutigli da Ravenna Qdc Gymn, Patav.).
    L’opera del p. Sarti ~ Storia dell y università di Bologna ~ ha pòi messa in chiaro ta verJtà di queste mie asserzioni.
  18. (Vedi Mur. ànn. all’anno ine. e Z3is % f«rf. 44.
  19. I conti di Savoja avendo professata semprr la legge, eia nazione salica al 1097. il conte Umberto già trovasi professare la legge romana. Muratori annali a" Italia.
  20. Il Ghirardacci nel libro 3. ciò co’ diplomi comprova di Federico II. a favor di Bologna.
  21. D’altri Hi spiegar più a minuto la veneziana sapienza nel profittar che fece sì di buonora delle turbazioni italiche, e delle discordie imperiali, e romane di poi; in appresso delle guerre de’ due Federici, poi delle fazioni Guelfa, e Gibellina per crescere ed afforzare Ja sua potenza, ed autorità nell’ Italia, siccome ne’ tre secoli dopo il mille fece £ grandi acquisti di regni, e di provincie in Levante, cadendo l’imperio greco ogni giorno più. Quanto agli studj, basti il testimonio del celebre loro cardinale Valiero ~ Nobilibus potius mercaturis, ST rerum plurimarum usa gubernand’reipublice atterri ediscebant pisci veneti; literarum studiti operam non dabant ~ (De cautione adhibenda in edendis libris ~).
  22. Un’accademia babilonica fiorì tra saraceni per medicina, e astronomia, come un’altra in Alessandria, ove Avicenna fu discepolo di Rasis". Così gli arabi ottenner per tutto gran fama, e ampliarono i loro studj in Ispagna, e specialmeute a Toledo, a Siviglia, a Salamanca, e altrove. E’celebre il viaggio all’India, e alla Cina sin del secolo IX. da due arabi intrapreso; del qual diede più chiara notizia stampandolo, e traducendolo il dotto abate Renaudo’t al 1718. Le sezioni coniche d’Apollonio PergeO perdute nel lor linguaggio originale si con«ervarono per un’araba tradazione sin * quest’oggi, e così altri.
  23. Primo principio di libertà venne sino da Ottone il grande in Italia al 973- facendo egli varie città libere salvo solo il dominio’ suo supremo, aN trc ergendo in marchesati, e contee. Così pensa il marchese Maffei Verona illustrata, e il Sigom’o de regno Itali* 1. 17. Ala dal looz. danno indizio certo di libertà le nostre città, eleggendosi in loro xe C morto Ottone III.) Ardocio marchese d’Ivrea. E già prima del fin del secolo Milano, Pavia, Lodi poteano dirsi vere repubbliche. Il lor governo era di due consoli ad imitazione di Roma; due consigli, uno generale, l’altro particolare, e questo diCeasi consiglio di credenza. I lor magistrati non tran di soli nobili, ina si traevano dai tre ordini de’ cittadini, ciè da quello de’ capitani, de’ valvassori, della plebe. Riconoscevano l’alto dominio dell’imperadore secondo il bisogno; altre elessero il papa in lor sovrano supremo. Il più spesso però si tenner sospese tra l’uno, e l’altro, non ubbidendo a veruno. Certo è che la lor libertà nacque principalmente dall’esempio avutone delle città marittime, che prima scossero il giogo, come Genova, e Pisa, anch’esse imitatrici di Venezia, le qnali fatte poi ricche, ognor più tutte l’altre invitarono alla libertà. Più chiaro si farà ciò al secolo seguente.
  24. Vedi al 1300. ove farlo de 1 vomanzj del Boc- caccio.
  25. Scisma de’ greci eccitato dal patriarca Michele, dal vescovo d’Acride, e da Niceta monaco, per cui famosa legazione del 1053. del cardinal Umberto, di Federico arcidiacono, e cancellier della chiesa romana, che poi fa papa col nome di Stefaoe |X«, e di Pietro arcivescovo d’Amalfi.
  26. Contro Berengario scrisse il cardinal Alberico religioso di raopte Cassino molto rinomato per la uà dottrina verso il 1050.; e s. Brunone sopraccitato dopo aver disputato contro Berengario W7. nel concilio romano, e Amato monaco cassinese, e vescovo dottissimo poeta, e teologo pel suo rempo, autor del libro de gettis Apostolorum Petti,’& fault dedicato a Gregorio VII. e della storia de’ Normanni dedicata a Desiderio abate di monte Cassino, che fu poi Vittore III. per tacer di Lanfranco, e d’altri atleti venuti in campo contro quella eresia.
  27. Mvrau Annali 104J.
  28. Tradotte erano l’opere de’ maestri antichi dì Grecia, e specialmente di Tolomeo in arabo, come sopra si disse; moltissime traduzioni fecero ancora gli ebrei nella lor lingua dall’arabo, e perchè, erano i medici, o sieno astrologi £che una cosa era allora) di professione, e fuggivano l’armi, e le guerre, in ch’erano tutti occupati i cristiani, cosj grande autorità usurparono nelle scienze tra popoli ignari del pari, che creduli, e mossero noi a tradarre dall’arabo, e dall’ebraico ancori gli antichi, siccome a prestar fede agli oroscopi, alle predilezioni, a cento superstiziose osservazioni durate troppo gran tempo in Italia. Ma donde avvenne che gli arabi traducessero tanto de’ greci filosofici, e nulla d’Omero, di Sofocle, di Demostene, di Senofonte, e che i greci insieme con loro no;i curassero uè Virgilio, ne Cicerone e gl’altri Utini? Fu forse per l’indole naturale, e del clima degli arabi, al gusto de’ quali usati al mirabile, al tronfio, al simbolico orientale parvero insulsi que’ greci e latini, e fu per orgoglio de’ greci, che parvero loro i latini soli imitatori e discepoli della Grecia.
  29. E così la chiamarono, come noi due secoli dopo demmo il nome di barbari a tutti i non italiani. Anna Comnena nella sua Aessiade non da altro titolo a tutti i latini; comprendendo tutte le nazioni dal mar adriatico sino alle colonne d’Ercole.
  30. Al 1075. fiorì. Fattosi cristiano, e monaco in monte Cassino fu secondo il Muratori un altro Ippocrate, e tradusse molte opere dall’arabo nel latino principalmente di medicina, e d’astronomia e astrologia poco allora differenziate. Seppe dieci linguaggi, e fu un prodigio di sapere, se crediamo a Pietro diacono nella sua storia degli uomini illu-
  31. stri di monte Cassino. Tra questi annovera molti allievi di Costantino, ed altri dotti, che troppo lungo sarebbe nominare. Degno è di memoria il metodo di qne’ primi maestri di medicina in varie città d’Italia poco dopo il milie. Tra lor dividevansi le parti di quella, e chiamavansi medico delle piaghe, medico delle rotture, medito degli occh’j te. Nei che meglio di noi pensavano.
  32. Due arcivescovi di Salerno Romualdo Guarii» e Benedetto Alfano, quel dopo il 1200. questi sino dal 1050., e Bernardino Caracciolo arcivescovo di Napoli, e Gio: da Procida celebre capitano e liberator di Sicilia verso il 1181. professarono medicina. Abella dotta salernitana sotto i re Angioini lasciò un trattato medico de atra bile, ed Egidio Carboliense vissuto al 1180. chiamò Salerno fonte di fisica. Alfano era stato monaco, ed avea studiata medicina col canto ne’ monasteri, ove quella insegna vasi intorno al mille, come provasi dalla vita di Guglielmo abate di s. Benigno, già. nominato più sopra, che ebbe per suo allievo in quello studio un ravennate per nome Giovanni, o Giannolino morto verso il 1080., dopo aver pellegrinato in terra santa, ed essere caduto schiavo in mano dei saraceni. Fu questi scrittore di opuscnli di pietà. Diverso da lui, benchè da alcuno con lui confuso è un altro Giovanni pur italiano tenuto grandissimo ingegno, e gran disputatore, e professore a Costantinopoli in filosofia, del qual parla monsignor Gradenigo nell’opera sua degli scrittori greco-italiani, e fiorì colà prima del 1100. Quanto ad Alfano il suo valore nella medicina il rendè più caro a papa Vittore
  33. III., a «ui non solo donò libri di quella scienza, ma molti ancora medicamenti dì sua man preparati e composti. Fu pure autor d’altre opere teologiche e di poesie sacre. Fu fatto arcivescovo di Salerno al 1058., e morì al io8S. Quindi confermasi unopinione d’alcuni autori, per cui sembsa, che i monaci abbiano i primi ravvivata la medicina, e eh» questa da monte Cassino passasse a Salerno, indi per tutta l’Italia, e l’Europa. Certo essi non meu che il clero la professarono in varie città per opporsi agli ebrei e a’ loro scandali e danni. Ma sopra di ciò, e specialmente sopra la scuola e l’opera salernitana vedi la storia dell’abbate Tiraboschi che non lascia desiderare di più aè di meglio. Tom. 3. lib. 4.
  34. Ebrei e soriani, e ancor greci erano i medici, tutti tenuti per mala gente e infida. Ciò ptao? vano molte leggi d’allora principalmente contro gif ebrei, soprattutto le celebri accise del regno di Gerusalemme promulgate sotto Goffredo di Buglione, anche in Cipro osservate, poi sotto dei veneziani, che alfin le abolirono. Se la cara non era, qual la legge intendeva, o se pareva malfatta, era punito il medico severamente. Ecco un cenno di quelle n «f* alcun medico non guarisce uno schiave (gli schiavi erano infedeli, non mai cristiani) tenuto sarà il medico a pagare il prezxp e sostituì’ re un altro schiavo; se r, uore un cristiano sotto la loro cura, siano impiccati e confiscati prima i loro beni. Allor sia menato il reo frustandolo per la terra con un urinale in mano, * così vada alla forca per ispaurir gli altri. Tanto erano tenuti per inimici ed insidiatori nello stesso esercizio della loro arte. Targ. tom. 2. Piaggi per la Toscana. Ed erano più sospetti gli ebrei, perchè studiavano nelle arabe università di Spagna, ove dice Genebrardo, che pubblicamente inseg lavasi Ja magia.
  35. E’ a ricordar sempre l’ossequio degli uomini tutti verso il capo della religione, e molto più degl’italiani verso i papi. Sino dal 731. ebbero, dice il Catalani, un’autorità temporale in Roma, almeno nella città Leonina fabbricata e cinta da loro tra gli anni 820. e 840. dicendosi il papa capo della santa repubblica, come dicevasi la santa romana chiesa e repubblica. Onde sin dai tempi di Gregorio II. 731. i popoli italiani separaronsi dall’imperio mientale, e si elesser sovrani. Quindi fu grandissimo P influsso de’ papi in tutti gli studi al principio, tutti avuti in conto di sacri e proprj sol del clero, cherico appellandosi ogni studioso, insegnandosi nelle chiese, ne’ monasteri, in Inoghi sacri soltanto, ov’erano le biblioteche, e i maestri vescovi, canonici, monaci, preti, e quindi le università fiuon sì dipendenti dai papi.
  36. Oltre il già detto qui si rifletta, che il governo feudale fu il vizio intrinseco, e fatale all’ autorità cesarea massimamente sotto i tedeschi imperadori, che dovea sempre dipendere dai lor gran vassalli tanto potenti, per aver gente da guerra, come poi chiaro vedremo., ove della milizia si parlerà. Quindi era può dirsi sempre l’Italia nuova conquista da farsi, dopo che fu conquistata da Ottone il grande sino al ducato di Napoli, e a parte della Calabria per lui tolte a’ greci nel 944- * duche marchesi vassalli dell’imperio non sol negavano spesso milizie agl’imperadori, ma di quelle servivansi contro di loro. Ciò più ’facilmente avvenne in Italia per la lontananza frequente degli imperatori germanici male ubbiditi e male riconosciuti. Sortr poi que’ contrasti del sacerdozio e dell’impero più animosi circa W 1074., diedero l’ultimo crollo a quella potenza straniera, e Gregorio VII. innalzò al colmo l’italiana e papale con Matilde tra vassalli tutti, e feudatari potentissima in queste Provincie.