Il nonno/La medicina

La medicina

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Il Ciclamino

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La medicina.

Il vecchio paesano fermò il suo cavallo davanti a un portoncino corroso, sul cui frontone biancheggiava una croce dipinta con la calce.

Non c’era da sbagliarsi. Il vecchio ricordava le parole del pastore di Burgos, che gli aveva detto:

«La casa di Nanascia sa marghiargia (la fattucchiera) è vicina alla chiesa. Badate, ziu Tòmas, appena arrivato al paese vedrete una straducola solitaria, dove c’è un pozzo ombreggiato da un fico: proprio a fianco del pozzo c’è un portoncino corroso, con una croce bianca sul frontone. È la casa della maga. Non c’è da sbagliarsi. Io ci sono stato parecchie volte, ed ho avuto da Nanascia una medicina con la quale ho fatto innamorare una donna».

No, non c’era da sbagliarsi: tuttavia ziu Tòmas esitava. E se c’era gente, in casa della maga? Egli non voleva esser veduto.

Nel suo paese lontano egli godeva fama d’uomo saggio e timorato di Dio; che avrebbe detto la gente sapendo che egli andava a consultare una fattucchiera, una donna del diavolo? Ma che [p. 186 modifica]volete? La disperazione fa impazzire anche l’uomo saggio.

La straducola, come aveva detto il pastore di Burgos, era solitaria, bianca di sole e di calce. Un silenzio di cimitero regnava sul villaggio tutto bianco, sopra il quale la montagna calcarea innalzava i suoi vertici d’un candore azzurrognolo, qua e là solcati come da vene d’ombra.

Anche il cielo era chiaro, metallico: allo zenit, sopra la testa di ziu Tòmas, il sole velato, senza raggi, pareva una grande luna misteriosa.

Il vecchio stava per smontare, quando un uomo, un borghese alto e grasso, vestito di nero e con una catena d’oro scintillante sul petto sporgente, uscì dal portoncino socchiuso della maga.

Ziu Tòmas lo guardò, e gli parve di aver altra volta veduto quel viso largo, giallognolo e cascante, sul quale gli occhi e i baffi neri, il naso, la bocca, il mento rotondo, si notavano per la loro estrema piccolezza. Sì, altra volta... dove, quando? Ziu Tòmas non ricordava bene; ma gli pareva d’aver altra volta notato quel viso caratteristico, e di averlo trovato ridicolo. E fu contento nel vedere che il borghese si allontanava senza neppure guardarlo.

Smontato, picchiò forte con la mano aperta, ma nessuno apparve, e il rumore dei colpi battuti al portoncino si spense nel silenzio della strada.

Allora il vecchio entrò, tirandosi dietro il cavallo, e si trovò in un cortiletto desolato, che pareva scavato nella pietra calcare. La casetta [p. 187 modifica] in fondo al cortile sembrava disabitata; la porta corrosa, e le due finestruole, simili a feritoje, erano spalancate.

— Bella! Questa è la casa di Mossiù Nemmos1 — pensò il vecchio: poi gridò: — Ohè, gente?

Nessuno.

Ziu Tòmas si guardò attorno, poi, dopo aver cacciato sotto una pietra l'estremità della cordicella del cavallo, entrò nella casetta; e si trovò in una vasta stanza affumicata, il cui mobilio consisteva tutto in una cassa nera scolpita, in una panca e in un recipiente di sughero colmo d'acqua, sulla quale galleggiava una specie di scodellina di sughero.

Una scala a piuoli conduceva, per una botola, alla stanza superiore.

Ziu Tòmas chiamò ancora «ohè, gente», e siccome nessuno rispondeva salì con diffidenza la scaletta e mise la testa entro la botola. Vide un'altra stanzaccia, non meno squallida della prima: dalle pareti, gialle per il fumo, pendevano molti quadretti con la cornice nera; fra due casse, una nera e l'altra rossiccia, scolpite con arte primitiva, sorgeva un letto di legno a baldacchino, privo di tende, e su questo letto, coperto da una coltre di lana gialla, giaceva una donna addormentata.

Sopra una cassa stava un cestino di canne colmo di lana nera scardassata: accanto al cestino un piatto di stagno con alcune monete di rame e d'argento. [p. 188 modifica]

Ziu Tòmas esitò ancora, prima di entrare. Era quella Nanascia, la famosa maga? Non sembrava vecchia, come gliel'avevano descritta: era pallidissima in viso, con gli occhi socchiusi, vitrei, la bocca stretta, i capelli grigi arruffati, uscenti da una cuffia nera che circondava come d'un'aureola funebre quel viso cadaverico: ma il suo corpo era quello d'una donna ancor giovane, col petto abbondante, il collo bianco, le mani, abbandonate sulla ruvida coperta gialla, piccole e grasse.

Il vecchio ricordò ch'era venerdi, e che erano circa le tre pomeridiane. Sì, era l'ora della morte di Nostro Signore Gesù. Verso quell'ora, tutti i venerdì, la donna veniva colta da un sonno profondo, durante il quale ella parlava tutte le lingue della terra, e indovinava ogni mistero e prediceva l'avvenire e indicava i rimedi per tutti i mali del corpo e dell'anima.

— Bella! Sono arrivato al momento giusto, — egli pensò avanzandosi in punta di piedi, per non svegliare la donna.

Ella non si mosse: pareva morta.

Egli si guardò ancora attorno: fissò gli occhi sul piatto delle monete e ricordò che il pastore di Burgos gli aveva detto:

«Ella non vuole denari; tuttavia coloro che vanno a consultarla le lasciano qualche moneta, secondo le loro forze».

— Com'è vero Cristo, io le darò un marengo d'oro, se ella mi ajuta, — pensò il vecchio mettendo la mano sulla cintura, ove teneva nascosti i [p. 189 modifica] denari. E subito trasali, perchè la dormente, quasi indovinasse il pensiero di lui, diceva con voce monotona, agitando appena le labbra azzurrognole:

— Uomo mio, io non voglio nulla. Siediti, e dimmi cosa vuoi. Tu vieni di lontano e sarai stanco. Siediti.

— Vengo di lontano, — rispose il vecchio, fissando i suoi occhi maliziosi sul viso della dormente.

— Che lingua vuoi che ti parli?

— Saldu, saldu! E che siamo d'Oriente? — egli esclamò. — Parla sardo. Sono sardo e vecchio anche!

— Lo so. So tutto. Vedo tutto. Ti vedo; però se tu credi che io non dorma pungimi con una spilla. Vedrai: io dormo il sonno profondo di quelli che vanno all'altra vita e ritornano. Pungi, pungi, uomo.

Il vecchio fu tentato di pungerla davvero. Ma poi disse, con la sua voce sarcastica:

— Non ti pungo, non sono venuto per questo. Si pungono i pezzi di sughero e le foglie di fico d'India, per fare le magìe: i cristiani non si pungono. Se non avessi creduto non sarei venuto. Io vengo di lontano. Ho viaggiato due giorni e mezzo e due notti: sono vecchio e sono stanco. Facciamo presto.

— Facciamo presto, — ripetè la donna. — Sì, vedo che sei vecchio. Sei basso, ma sei robusto: hai il viso sbarbato, rosso come un'arancia: hai due riccioli bianchi sulle orecchie. I tuoi occhi [p. 190 modifica] sono maliziosi come quelli d’un giovinetto. Sei vecchio, ma sembri giovane. Sei vedovo: hai avuto molti figli: hai un segreto.

— Oh bella! Indovina, sì, indovina qualche cosa; ma non tutto! — pensò ziu Tòmas. E la donna indovinò il suo pensiero:

— Indovino qualche cosa? Potrei indovinar tutto, ma tu vuoi che io faccia presto. Per sapere, per indovinare, ho bisogno di lottare contro gli Angeli verdi che mi circondano e mi nascondono il libro della verità. Dimmi che cosa vuoi.

— Voglio una medicina, — disse ziu Tòmas, chinando tristemente il capo. — Voglio una medicina per una persona che da parecchi anni soffre orribilmente. Ho consultato per lei tutti i medici della Sardegna. Nessuno ha potuto guarirla. Ho consultato tutte le persone sapienti, tutti i sacerdoti, tutti i maghi e le fattucchiere dei nostri paesi. Nulla! Ora sono venuto da te. Ajutami, in nome di Nostro Signore, morto in quest’ ora sulla croce! Ajutami, donna, farai un’opera meritoria. Non vengo a domandarti quello che ti domandano gli altri: non voglio dar filtri alle donne, non voglio far morire lentamente il mio nemico, non voglio ritrovare un tesoro o vincere una lite facendo la magia ai giudici. Voglio soltanto che una persona a me cara, la più buona e la più bella della terra, finisca di soffrire! Ajutami. Sono ricco, ti darò quello che mi domanderai.

Parlando, egli s’era animato. Il suo viso roseo, sulle cui guancie i due riccioli argentei segnavano [p. 191 modifica] come due fedine, diventava livido: gli occhi maliziosi si velavano di lagrime.

— Puoi dirmi almeno la malattia? — domandò la donna. — Potrei indovinarla, ma tu hai fretta. Che malattia è?

— Non lo so! Non lo so! — disse il vecchio desolato. — Se l’avessi saputo non sarei venuto da te. È un male cattivo, un male orribile. Non venga neppure al nostro peggiore nemico!

— Bene, lasciami un po’ vedere: lascia che io legga un momento nel libro della verità.

Passarono alcuni momenti. La donna sollevò tre volte le braccia, le protese in avanti con forza, quasi per respingere un ostacolo invisibile, poi le lasciò ricadere pesantemente sulla coltre gialla.

Il vecchio guardava e, nonostante il suo dolore e la sua fede, provava un senso di diffidenza: sentiva che la donna fingeva.

— Ritorna fra settantasette ore: ti darò la medicina. Va, ritorna.

— Sant’Eusebio mi ajuti! Che farò io in questi tre giorni? — esclamò ziu Tòmas, ed i suoi occhi maliziosi sorridevano ed il suo viso ritornava roseo e sarcastico.

Ma la donna non rispose oltre. [p. 192 modifica]

Che fare? Dove andare? Per un momento ziu Tòmas pensò di recarsi a Nuoro; ma poi ricordò che un viandante, incontrato quella mattina e col quale aveva fatto un buon tratto di strada, gli aveva detto:

— Vado alla festa della Madonna del Buon Cammino, che dura tre giorni: e conto di spassarmi molto.

E ziu Tòmas decise di recarsi alla festa del Buon Cammino. Egli non aveva una gran voglia di divertirsi, ma non sapeva come passare quelle settantasette ore. Dopo aver chiesto qualche indicazione, si diresse verso la costa, fra Orosei e Durgali.

La chiesetta della Madonna del Buon Cammino sorgeva in mezzo ad una brughiera, fra i cisti e i lentischi, il cui verde profilo si disegnava sullo sfondo turchino del mare.

Oltre moltissimi paesani e pastori di Durgali e d’Oliana, ziu Tòmas vide intorno alla chiesetta una vera folla di mendicanti. I mendicanti sardi camminano assai, recandosi dall’una all’altra festa campestre: sono quindi molto devoti alla Madonna del Buon Cammino, che può dirsi la loro patrona.

E fra la turba di mendicanti il vecchio riconobbe con meraviglia una sua compaesana, una donna che nella sua infanzia aveva domandato l’elemosina, ma cresciuta poi e fattasi una bella giovane era [p. 193 modifica] riuscita a farsi sposare da un uomo benestante, del quale era vedova.

— E cosa facciamo qui, Liè? Sei ricaduta in miseria? — le domandò meravigliato.

— State zitto, — disse Liedda, vergognosa e supplichevole. — Sono venuta per voto! Non lo dite a nessuno: non dite chi sono.

— Bella! — egli esclamò, e promise di star zitto.

E non sapendo che fare, sedette su una pietra, all’ombra delle macchie fra le quali si apriva il sentiero, e si diverti a veder con che disinvoltura la finta mendicante chiedeva l’elemosina a tutti i passanti.

— Vedete, — ella diceva, — tutti i soldi che ricevo, li dò poi alla Madonna del Buon Cammino, benedetta Ella sia. I miei parenti credono ch’io sia andata a Nuoro per affari. Chi mai poteva credere che voi sareste venuto da così lontano, ziu Tòmas? Ah, voi non mi tradirete, vero? Come sta vostra nipote Maria? Senza dubbio anche voi siete venuto per un voto… per lei…

Il vecchio non rispose: al ricordo della malata il suo viso si oscurò. Ma dopo un momento egli riprese a ridere ed a scherzare; e diceva di volersi mettere anche lui a chiedere l’elemosina, quando a un tratto balzò in piedi, sorpreso, senza accorgersi che anche Liedda si turbava.

Un uomo vestito di nero, dal viso giallognolo, s’avanzava a cavallo per il sentiero. Sì, era il borghese che ziu Tòmas aveva veduto uscir dalla casa della maga: ed ora il vecchio lo riconosceva, [p. 194 modifica] ora si ricordava benissimo di averlo veduto un'altra volta, in una triste circostanza. Liedda non domandò l'elemosina al nuovo arrivato, e questi passò oltre, sul suo cavallo nero, senza guardare il vecchio e la finta mendicante.

Ziu Tòmas tornò a sedersi.

— Mi sembra di conoscer quell'uomo — disse piano, quasi parlando fra sè. — È un medico, sì, un bravo dottore. Una volta egli venne nel nostro paese ed io gli feci veder Maria.

— Sì, sì, e mi conosce! — disse l'altra, spaventata, — Dio, Dio, che vergogna! Voglio nascondermi. Dovevano capitare tutte a me quest'oggi.

— Ma se sei venuta per voto! Oh bella, e che, una persona non può fare il voto che le pare e piace?

— Oh no, oh no! — esclamava la finta mendicante, raccogliendo la sua bisaccia. — Andiamocene, andiamocene, ziu Tòmas. Partiamo. Non voglio più restare.

— Figlia del cuor mio, io non posso partire: ho un affare…

Ella insistè, ma egli non volle muoversi.

— D'altronde, chi sa se egli ti ha riconosciuto? Per una volta che t'ha veduto!

— Ebbene, no, sentite, — confessò Liedda, — egli mi conosce molto bene. Egli si chiama dottor Suelzu: era amico di mio marito e conosce tutti i miei parenti. Se loro sapessero quello che io faccio, ora, mi lapiderebbero! Ed egli andrà certamente ad accusarmi: è uomo di farlo: è un mezzo matto. [p. 195 modifica]

— Ma no, cristiana! Ti dico che, trattandosi di un voto, è anzi cosa meritoria. Senti, una volta ho sentito raccontare da un militare che è stato in continente, che le signore di là, le più ricche, fanno certe feste, dove va molta gente: e loro, quelle riccone, domandano l'elemosina, e poi, con quel denaro, fanno molte opere buone. È la stessa cosa.

— Oh no, oh no! È altro, è altro! — borbottava Liedda.

Ma infine si calmò e cominciò a parlar male del misterioso dottore.

— È matto, sapete. È stato medico condotto in parecchi paesi e dappertutto lo hanno cacciato via. È stato anche sotto processo perchè diede il veleno a un uomo che aveva un cancro inguaribile, e lo fece morire prima dell'ora. Così il dottor Suelzu è caduto in miseria, ed ora ha una lite con un suo fratellastro, col quale si odiano a morte.

— Ah, egli ha una lite? — domandò ziu Tòmas, pensieroso, spiegandosi la visita del medico alla maga.

— Sì, ha una lite. Pare che il fratellastro si sia impossessato di tutti i beni del dottor Suelzu: dicono che, dopo questo fatto, il dottore sia diventato più matto di prima. Quando parla dice sempre cose stravaganti: non bisogna credere a quello che dice…

— Oh bella! oh bella! — mormorava ziu Tòmas. E ridiventò triste. [p. 196 modifica]

Verso mezzogiorno Liedda contò i soldi che i passanti avevano gettato nella sua bisaccia.

— Mezzo scudo, — disse, raccogliendoli in un fazzolettino bianco. — Non c'è male per mezza giornata.

— Eh, ti vedono vestita decentemente, giovane ancora: tutti credono che tu sii una vedova decaduta e tutti ti dánno il loro obolo! Ecco tutto, cristiana! Quasi quasi mi metto a chiedere anch'io, ripeto!

— Ora vado e getto i soldi nella cassetta della Madonna: poi mi farò dar da mangiare, anche! Speriamo non mi veda il dottor Suelzu! — disse la vedova, alzandosi ed accomodandosi la benda nera intorno al viso, in modo che si vedevano appena gli occhi e il naso. — Voi state qui?

— Vado in cerca del mio cavallo: ho fatto colazione tardi, ed ora ho più sonno che appetito.

Egli si alzò e cercò un posto per coricarsi, ma gira e rigira ritornò verso il sentiero, dietro la macchia di lentischio alla cui ombra poco prima stava seduto. E si gettò fra l'erba alta e folta, che quasi lo coprì interamente. Le mosche ronzavano fra gli ultimi papaveri, il cielo era chiaro, dolce, lontano. Scostando i ciuffi dell'erba il vecchio poteva vedere il suo cavallo a pascolare, e fra le gambe rossastre del cavallo, come in una bizzarra cornice, il quadro luminoso e melanconico del [p. 197 modifica] paesaggio, la linea verde della brughiera sulla linea violetta del mare tranquillo.

Dalla spianata davanti alla chiesetta, al di là del sentiero, arrivava il lamento di una fisarmonica, e una voce che cantava con infinita tristezza una canzone giocosa:

Da chi su mustaròlu appotoccadu,
Tenzo a muzère mea filonzana…
Issa non biet abba'e funtana
Si non binu nieddu isseperadu.2

Il vecchio aveva sonno, era stanco e triste. Quella musica monotona gli diede un senso di nostalgia, gli ricordò la casa lontana, melanconica, la sua cara malata.

E gli vennero le lagrime agli occhi al pensare che egli così vecchio, così sventurato, egli che era partito dalla sua casa con tanta tristezza e spinto dalla disperazione, era capitato in quella festa come uno che vuole divertirsi. Così si addormentò con due lagrime tremolanti negli angoli degli occhi. [p. 198 modifica]

...Sognava? No, era proprio la voce di Liedda, la finta mendicante.

— Dottore mio, per l'anima de' suoi morti, non dica niente. Missignoria3, non mi rovini: se lo sanno loro mi sotterrano viva come una morsicata dalla tarantola. È stato proprio un voto, le dico: vada a vedere se ho portato i soldi a Nostra Signora, benedetta sia.

— Liè, è la terza volta che ti vedo a mendicare! — disse una voce rauca e triste, una voce che rimproverava e compativa. — Liedda! Liedda! È stato sempre per voto?

— Sempre, dottore mio bello, sempre!

Ed io ti dico invece che non è per voto. Raccontalo alle galline il tuo voto, non a me! È una malattia la tua; tu sei stata mendicante da bambina, ed ora ritorni al tuo vizio, come altri ritornano al vizio del vino, al vizio del giuoco e delle donne. Vergognati; vergognati.

È un voto, — insisteva la donna, con voce incerta. — Le dico, è un voto!

— No, bella mia, i denari te li porti a casa! Questo è il voto. Del resto, non m'importa nulla. Hai veduto, stamattina ho finto di non vederti. È una malattia la tua, ma non è dannosa per gli altri; così fossero tutte le altre malattie! [p. 199 modifica]

Per un momento le due voci tacquero; poi la voce rauca riprese:

— E quel vecchio, quel tuo compaesano, che ha?

— Lui, niente! E sano come un pesce. È una sua nipote che è malata, l’unica sua nipote, Maria Comita. Quella sì, è malata! È pazza inguaribile, e soffre anche del mal caduco, Dio ce ne scampi e liberi!

— Ah, sì, mi ricordo: una volta la visitai. È ricco, quel vecchio?

— Ricco, sì, ricco come il mare. Ma a che gli serve? Tutti i suoi figli sono morti. Maria Comita è la sua unica, la sua ultima nipote, ed egli ha paura di morire prima di lei, perchè dopo, Dio sa che accadrà della disgraziata.

— Ma perchè non la manda al manicomio? Quelle sono malattie delle quali non si muore e non si guarisce!

— Dottore mio bello, se ziu Tòmas la sentisse! Le salterebbe addosso! Egli ama la nipotina di un amore sconfinato: preferirebbe ucciderla, piuttosto che mandarla al manicomio.

— È meglio che ella muoia, sì, — disse la voce rauca. — Tutti i pazzi, tutti i malati inguaribili come Maria Comita dovrebbero morire; l’opera più pietosa che uno possa fare è di ucciderli.

— Se tutti i pazzi morissero, — esclamò la donna con ironia, — pochi uomini resterebbero vivi!

L’altro non rispose. La donna sospirò.

— Che vita, che vita, la nostra! [p. 200 modifica]

Nell'ombra della macchia ziu Tòmas piangeva come un bambino, mettendosi un ciuffo d'erba in bocca per soffocare i suoi singhiozzi.

Il dottore e la donna continuavano a discorrere. Lia domandava al dottore della sua lite: e l'uomo si lamentava, dicendo che la sua lite andava male. E imprecava come un paesano, contro il fratellastro che lo aveva rovinato.

Ma ziu Tòmas non ascoltava più: ne aveva abbastanza de' suoi guai per potersi interessare a quelli degli altri.

Più tardi però rivide il dottor Suelzu, nella spianata della chiesa, dove i pastori ed i paesani ballavano il ballo sardo.

I due uomini si guardarono con diffidenza: ma poi ziu Tòmas s'avvicinò al borghese e lo salutò.

— Salute, signor dottore. Lei non mi riconosce, ma io mi ricordo bene di lei.

Il dottore lo guardava, coi suoi piccoli occhi timidi e quasi spaventati. Il vecchio lo pregò di accettare un «invito» al banco del liquorista lì vicino: il dottore accettò, e bevette molto. Anche il vechio bevette e cominciò a parlare di sua nipote, raccontandone con frasi pietose le atroci sofferenze. [p. 201 modifica]

— Perchè siamo nati? — domandava, prendendo fra le dita il lembo della giacca del dottore e scuotendolo. — Dica lei, che è dottore: perchè siamo nati? Per soffrire così? C’è Dio?

Il dottore sollevò un dito e fece cenno di no. E mentre ziu Tòmas continuava ad inveire contro Dio e contro la natura, il Suelzu lo guardava dall’alto e non parlava, e pareva triste e imbarazzato, quasi mortificato che Dio e la natura fossero così ingiusti e crudeli.

— Io sono stato sempre un uomo serio, — continuò il vecchio. — Allegro sì, ma non sciocco: il dolore mi ha ridotto come un bambino, ora. Non credo più a nulla e credo a tutto! Credo persino alle cose che un tempo mi facevano ridere. Sì, lei ha veduto… sono andato dalla fattucchiera… sono andato per chiederle una medicina…

— Quella donna è furba! — disse allora il dottor Suelzu, animandosi. — Anch’io sono capitato da queste parti per un affare, e sono andato a vederla… per curiosità: è furba, sì, è furba!

— Ma indovina, vero, qualche volta? — me lo dica, dottore mio, me lo dica in sua coscienza; lei ci crede?

Il vecchio era diventato ansioso: aveva bisogno di credere. Il dottore lo guardò. Ebbe pietà di lui?

— Qualche volta sì, — disse sottovoce. — Ciò si spiega col fenomeno detto suggestione.

— Oh, bella! — sospirò ziu Tòmas, mentre il dottore gli spiegava alla meglio in che consisteva il fenomeno detto suggestione. [p. 202 modifica]

La domenica mattina i due uomini si rividero ancora, o meglio ziu Tòmas si riattaccò al dottor Suelzu e non lo lasciò più. E finì di raccontargli i suoi guai.

Il dottore l'ascoltava volontieri, ma parlava poco. Qualche volta diceva cose stravaganti, come Lia affermava, ma pareva un uomo timido, o peggio ancora uno scemo, e ziu Tòmas si domandava come mai un uomo simile s'era rimbambito innanzi tempo. Ma poi il vecchio ricordava le parole di Liedda. Le persecuzioni, i vizi, i dolori, fanno perdere la ragione anche ai più saggi: sì, egli purtroppo lo sapeva!

Poi il dottore partì: ziu Tòmas, che non poteva vivere senza chiacchierare, tornò da Lia, ed attese che le settantasette ore passassero.

E passarono. Il lunedì verso sera egli era di nuovo in casa della maga.

Questa volta la donna non dormiva: riconobbe subito il vecchio, e pareva lo aspettasse.

— Ecco la medicina — gli disse. — È una cartina di polvere bianca. La darai alla malata a mezzanotte precisa: altrimenti non farà l'effetto. Bada bene; e dirai un Credo nel dargliela. [p. 203 modifica]

— Le farà bene? — domandò ziu Tòmas, avvolgendo la cartina nel suo fazzoletto e cacciandosi in seno il prezioso involtino. — Non è polvere di erba sardonica?

— Tutti i mali le passeranno! Va! — rispose la donna con enfasi. — Ti occorre altro?

— Oh, bella; vorrei ora una medicina per ringiovanire!…

— Anche quella si potrebbe trovare — disse l'altra con serietà.

E pareva che nulla fosse per lei difficile: sapeva tutte le arti del diavolo.

— Allora arrivederci: tornerò quando sarò più vecchio: ora son giovane ancora: ho settantaquattro anni e nove mesi.

— Dio ti faccia arrivare a cento anni! Addio.

Ziu Tòmas si alzò, depose sul piatto di stagno una moneta e disse:

— Se la cosa riesce, li porterò cento scudi. Addio.

Ma la donna finse di non veder la moneta e di non sentire la promessa.

Ed egli ritornò. Nanascia stava seduta sul gradino della porta e mangiava tranquillamente un pezzo di pane d'orzo, quando vide entrare il vecchio dai riccioli bianchi sulle guancie. Sulle prime ella non lo riconobbe, tanto egli era mutato ed [p. 204 modifica] invecchiato. Eppure solo tre settimane eran passate, dopo la sua ultima visita.

— Salute, lo straniero. Salute e benvenuto, — ella salutò, alzandosi.

Egli non rispose: come l'altra volta, mise sotto una pietra l'estremità della cordicella del cavallo, si volse, si avanzò. Nanascia allora lo riconobbe, e ricordò con gioia la promessa dei cento scudi; ma guardandolo meglio, vide negli occhi infossati di lui tale un'espressione di angoscia disperata e minacciosa che lo credette impazzito.

— Salute, lo straniero, — ripetè, fingendo di non riconoscerlo. — Qual buon vento ti porta da queste parti? Vuoi entrare?

— Sicuro che voglio entrare! Abbiamo da aggiustare un conto! — egli disse, minaccioso, penetrando nella cucina desolata.

La donna, scalza ed in cuffia, depose il pane sulla panca, bevette rapidamente un sorso d'acqua dalla scodellina di sughero, e si aggiustò i capelli attortigliati intorno alle orecchie.

— Siediti, siediti, — diceva, con la voce monotona. — Buon uomo mio, che cosa vuoi?

— Che cosa voglio? Ora te lo dirò. Andiamo là sopra.

Egli mise un piede sulla scaletta, ma la maga ritornò verso la porta, e disse:

— Non posso venir su: c'è gente. Possiamo parlare qui.

— Ah, tu hai paura? C'è gente? Ci sarà il diavolo, il tuo fratello il demonio! Ma senti: ti [p. 205 modifica] strangolerò oggi o un altro giorno. Ti accuserò alla giustizia: ma prima voglio chiederti perchè hai fatto così. Perchè hai fatto questo? Perchè, maledetta? Perchè?

E le andò addosso; ma egli era così debole, così tremante, che la donna, ancora forte e robusta, potè afferrargli le mani e tenerlo fermo.

— Che cosa ho fatto? Sei pazzo, buon uomo mio? Io non so che cosa vuoi dire.

— Perchè mi hai dato quella medicina?

— Ah, ora ricordo! Quella medicina? Quella polvere bianca? Perchè me l'hai domandata! E che, non ha avuto effetto? Forse non l'avrai data a mezzanotte precisa: forse non avrai detto le preghiere. E per questo...

— Taci, taci, diavola! Dimmi perchè me l'hai data! Uno scopo avevi... Parla: dopo vedrò quello che debbo fare.

— Gesù! Che è accaduto? Io ti giuro, uomo, ti giuro che io ti ho dato la medicina per buona!

— La malata è morta! Tu l'hai uccisa: ed io, anch'io l'ho uccisa. Tu mi hai dato il veleno! Il cuore me lo diceva: tu mi hai dato l'erba sardonica! E i medici han detto che si è avvelenata, povera creatura, piccola anima mia bella! Assassina maghiarja, perchè hai fatto questo?

Egli cercò di percuoterla, ma ella cadde inginocchiata sul gradino, si nascose il viso fra le mani, scosse la testa con disperazione.

— Dio, Dio, Dio, Dio! Che sento, che sento! Che è accaduto? Signore, Signore!... Che io sia [p. 206 modifica]maledetta se sapevo niente! Io ti ho dato il veleno? Io? Che è accaduto!

La sua disperazione era sincera. Zio Tòmas cominciò anch’egli a scuoter la testa, e si calmò alquanto. Che fare? Egli si riteneva il maggior colpevole, egli che si era ridotto a credere alle arti diaboliche della maga. Il Signore lo aveva castigato. Ma egli non riusciva a spiegarsi perchè la donna gli avesse dato il veleno; e questo mistero lo tormentava, acuiva i suoi rimorsi, lo faceva impazzire.

— Perchè? Perchè? — disse, giungendo le mani. — Potevi darmi una medicina innocua! Perchè mi hai dato il veleno? Voglio saperlo, prima di denunziarti alla giustizia. Perchè voglio denunziarti, sai: perirò anch’io, ma tu devi morire nell’ergastolo.

La donna piangeva.

— Senti — disse infine, alzandosi risoluta. — Voglio dirti tutto. Nei giorni in cui tu venivi per domandarmi la medicina, veniva da me un dottore per consultarmi circa una sua lite. Io gli parlai di te. Egli mi disse che ti conosceva e conosceva anche la tua malata. E diceva: «È meglio che quella disgraziata muoia: la sua morte è un bene per lei e per gli altri». Io gli dissi: «Il vecchio vuole una medicina da me: mi indichi lei qualche medicina efficace, così io, se la malata avrà qualche giovamento, anche leggero, io acquisterò prestigio. Quel vecchio mi fa pena. Ajutiamolo». «Fa pena anche a me, disse il dottore. Bene; ti procurerò io una medicina, ma non dirai mai che te l’ho data io». Io promisi: egli mi diede la medicina [p. 207 modifica]che ti ho dato! Ecco tutto: ti giuro, è la verità, come è vero Dio, come è vero il sole, come è vero...»

Egli non l’ascoltava più: cadde a sedere sul gradino della porta, e si strinse la testa fra le mani. Signore, Signore! Ecco, finalmente egli ricordava le parole che il dottor Suelzu aveva detto a Lia:

«Tutti i malati come Maria Comita devono morire; l’opera più pietosa che uno possa fare è di ucciderli».

Ed infatti gliel’aveva uccisa, la sua povera creatura! Egli rivedeva ora la disgraziatissima fanciulla, pallida, con le palpebre azzurre e la bocca sorridente: senza dubbio la medicina data dal dottor Suelzu era la polvere dell’erba sardonica! Maledetto, maledetto! Che fare, ora? Denunziarlo? Denunziare la fattucchiera? Denunziarsi? Andrebbero tutti e tre all’ergastolo od al manicomio. Questa idea lo fece rabbrividire; aprì gli occhi, scosse la testa, gemette.

La donna gli posò una mano sulla spalla.

— Pazienza, vecchio! È stato un errore; ma tutta la nostra vita è un errore!...

— Vattene! — egli urlò.

E chiuse di nuovo gli occhi e si mise a gemere:

— Povera, povera! Tu sorridevi, anima mia bella: ti hanno dato la polvere dell’erba sardonica che fa morire ridendo...

Poi, sembrandogli di vedere la figura strana del dottor Suelzu, gridò, stringendo i pugni:

— E a te, assassino, a te, pazzo, chi te lo dà il veleno?

  1. Il signor Nessuno.
  2. Dopo che ho provato il mosto, — ho mia moglie filatrice, — che non beve più acqua di fonte, — ma solo vino nero scelto.
  3. Mia Signoria.