XIV - I «fessi» d'Italia

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XIII XV

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Capitolo XIV.

I “fessi„ d’Italia.

Chi entrò era il più bello e ben pasciuto giovane che mai Toscana avesse nutrito. Ed entrò che Beatus, disteso sul canapè, travagliava per certi dolorini di stomaco. Questi dolorini sono sottili, ma dànno grande avvilimento; sì che, nel luglio 1914, se l’Imperatore di Germania ne avesse avuti di così fatti, mai si sarebbe alzato in piedi a sbattere la spada sul pavimento del mondo.

Questo giovane era il segretario della facoltà della quale Beatus era Preside. Riscoteva lo stipendio con regolarità; motteggevole era toscanamente, e quando veniva in ufficio, scriveva novelle. Il quale genere letterario gli aveva procacciato un processo per oltraggio al pudore. Ma fu dimostrato invece che si trattava di morale di avanguardia: onde fu assolto, e ottenne bella rinomanza. Le signorine studentesse lo guardavano con amabile curiosità; e i suoi motteggi molto [p. 110 modifica]piacevano. Ma per questo appunto a Beatus non piaceva, e nel passato tempo, si era provato di sradicare questo bel signore dal suo ufficio.

Ma vedeste mai in un giardino di fiori un filo di gramigna? Si crede sia facile estirparlo. Ma non è così: quel filo è tenace come l’acciaio. Si può recidere con le forbici, ma domani rinascerà. Allora si tira. Si tira, ed accade un fatto sorprendente: sotto terra quel filo è più tenace ancora; non ha fine; smuove tutta l’aiuola; sradica tutti i fiori. E allora si finisce col rispettare la gramigna, tanto più che non si tratta di un filo isolato, ma di una speciale gramigna, detta anche livida, e che cresce molto bene in quello che già fu chiamato giardin dell’Impero.

— Non si incomodi, cavaliere, — disse il bel giovane. — È l’affare di una firma.

Erano i documenti per la esenzione dal servizio militare. Mancava la dichiarazione di Beatus che colui era indispensabile ed insostituibile.

Si vide un no disegnarsi sul volto di Beatus prima ancora che le labbra dicessero: no.

Il volto del giovane si deformò un po’. [p. 111 modifica]

— No? E, perchè?

— Perchè non è la verità.

— O ce l’ha lei in tasca la verità? Allora cel’ho anch’io. Vogliamo ragionare, cavaliere?

E si sedette.

— Punto primo: qui non siamo su la cattedra a fare della morale....

— Appunto, mio caro, quello che dico io: «la morale non si fa dalla cattedra». Ma badi che la distinzione l’ha fatta lei, non io.

Beatus, dopo queste parole, si premette la mano su lo stomaco per un dolorino più caparbio dei precedenti, e parve inteso solo a questo.

— Punto secondo: lei sa bene che questa guerra non mi persuade....

— Anche a me, — rispose Beatus soavemente.

— Punto terzo: a me delle beghe della Francia con la Germania non importa un fico secco.

— Anche, — disse Beatus.

— E crede proprio lei che io per una dozzina di teste pelate con sopra la tuba, che ci hanno fatto entrare in guerra, o per un generale che ha bisogno di un filetto di più [p. 112 modifica]sul berretto, io mi voglia far sbudellare? Lei si sbaglia, caro cavaliere.

— Ma lei chi è? — domandò Beatus.

— Io?

E il bel giovane guardò Beatus con occhi brutti. — Io? Io sono io.

— Cioè? — domandò Beatus con dolce curiosità.

— Io sono un artista.

— Sono morti altri che come lei erano artisti.

— Sarà. Ma per me sono fessi.

Beatus sentì un dolore più acuto dei dolorini all’epigastrio.

— Io ne so di questa guerra quanto ne sa lei; ma per quelli che lei chiama fessi, penso che siano proprio i fessi a tenere in piedi l’Italia.

— Organizzatevi allora, — disse il bel giovane, — e formate il sindacato dei fessi.

— Non si può, caro, — disse Beatus sorridendo.

— E perchè?

— Appunto perchè siamo fessi.

— Senta: non mi faccia perdere tempo: firma o non firma? [p. 113 modifica]

Beatus fece no, con la testa.

Poi lentamente aggiunse, levando la piccola mano:

— I fessi d’Italia, vivi e morti, non lo permettono.

— Ma non dica sciocchezze!

E il volto del giovane si sconvolse e apparve brutto.

— Senta, caro, — disse Beatus sollevandosi alquanto sul canapè, — senza che lei dica altre sue laide parole che mi disgustano, lei è più robusto di me, mi prende, lì c’è la finestra. Lei mi butta giù; ma io non firmo.

Il giovane si contorse e Beatus si rimise sul canapè.

— Per Dio, — disse il giovane, — le tira lei le parole.... Ma parli franco: dica che si vuol cavare una vendetta personale.

— Oh oh! — fece Beatus levandosi ancora.

— Ma sì, sì. Lei vede il giovane che sorge, che si afferma, che si fa un nome....

— E io ho invidia! — interruppe allora Beatus. — Ah, io ho invidia di lei.... Oh, infelice! Io invidio il suo nome! Lei vuol dire [p. 114 modifica]che lei avrà un nome, e io, no! Ma sa lei.... Sa lei la pietà che provo quando passo per quello stanzone del gabinetto di storia naturale dove sono gli insetti? Infelici! Invece di disperdersi nel pulviscolo dell’atmosfera, stanno lì in vetrina, col cartellino ed il nome. Tale è la gloria, tale è il nome!

— La pensi come vuole — disse il giovane —; ma allora se non è per vendetta, mi salvi dalla trincea.

— In questo momento, veda, — disse Beatus, — lei ha detto una ragione che fa pensare; lei ha detto, mi pare: «mi salvi dalla trincea». Veda, veda! Lei artista, lei assertore delle maggiori audacie, ha adoperato adesso una parola della vecchia retorica. Caro lei è proprio una condanna! Con tutte le nostre ribellioni, noi parliamo sempre per sineddoche, per litote, per antonomasie, e altre fraudi del pensiero. Lei ha adoperato adesso una metonimia, mi salvi dalla trincea, cioè la causa per l’effetto: mi salvi dalla morte. Così che lei è vile.

— Se le fa piacere, sì.

— Piacere no: mi è indifferente. Ma ogni opinione, nettamente espressa, mi fa piacere. [p. 115 modifica]

— Non vorrà credere però che io me ne offenda.

— Oh, lo credo.

— La mia morale non è la sua morale.

— Senta, caro, questa questione proprio non mi interessa. Piuttosto mi dica una cosa: lei ama molto la vita?

— Se l’amo? È la mia sola, vera, unica proprietà. Non sa lei che io ho tutti i miei sensi?

— Lei vuol dire con questo, — disse Beatus — che io ho perduto i miei sensi, e perciò non posso comprendere lei. Può darsi che sia così; ma mi dica: lei la gode la vita?

— Io la mangio la vita. Mangio tutto! Vile sì, ma mi vengano a prender la vita!...

E l’elegante sua mano si atteggiò a rostro.

— In questo momento — disse Beatus — lei mi ricorda l’uomo preistorico delle caverne.

— Può anche darsi — rispose il giovane, — ma con tutte le raffinatezze della vita moderna. Del resto cosa crede lei di avere progredito con la sua morale del sacrificio?

— Anche questa è una buona ragione. Favorisca la penna. — La tenne per un [p. 116 modifica]istante sospesa, come perplesso, e domandò: — Lei non ha mai sofferto di mal di stomaco?

— Io? Io digerisco tutto.

E Beatus sottoscrisse il foglio che dichiarava come quel giovane era veramente indispensabile e insostituibile.