XIII - Beatus allontana da sè Scolastica

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XIII - Beatus allontana da sè Scolastica
XII XIV

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Capitolo XIII.

Beatus allontana da sè Scolastica.

Senonchè recandosi nella sua camera, vide cosa che non avrebbe voluto vedere.

Il suo letto era stato abitato, ma non da lui.

Era un bel letto di noce nello stile di un secolo fa, filettato d’ottone, e aveva seguito Beatus in molte sue peregrinazioni. Esso gli ricordava che anche lui, da bambino, aveva avuto una casa, dove c’erano un padre, una madre e una antica benedizione. Inoltre, se avesse avuto sonno, ci avrebbe potuto dormire buoni sonni perchè al vecchio pagliericcio Beatus aveva sostituito un elastico molto soffice. Poi il letto aveva due materassi: uno di lana che tiene caldo, per l’inverno; e l’altro di crine che tiene fresco, per l’estate. Aveva anche lenzuola di lino antico, che gli ricordavano i tempi in cui era vanto alle donne possedere arche di pannilini. Nelle notti [p. 103 modifica]d’insonnia, poteva anche rotolarsi comodamente per il letto giacchè esso, pur non essendo quello che si dice matrimoniale, era di tale ampiezza che sarebbe stato abitabile anche da due. Ma Beatus lo aveva sempre abitato da solo.

Ora Beatus si accorse che il suo letto era stato abitato da due, ma uno non era stato lui. Oltre a ciò, sollevando le coltri, s’accorse che il letto era stato contaminato.

Parve a Beatus cosa doverosa sdegnarsi; e si recò di là e: — Scolastica, — disse dolcemente — quando crederete, e prendendo quel tempo che meglio vi pare, io dico che ve ne potete andare.

— Ah, Maria Vergine, finalmente! — esclamò Scolastica. — Così sarò libera, tornerò alla mia Verona, in Piazza delle Erbe. Mègio le bombe dei tedeschi che star con un omo così rustego, così stravagante, così mato. I lo dixe tuti che l’è mato; lo dixe la portinara, lo dixe el spazzin, lo dixe tuti queli che vien.

Nei momenti di concitazione, Scolastica era ripresa dal dialetto natio.

Chi avrebbe mai sospettato — si chiedeva [p. 104 modifica]Beatus — una cosa simile in Scolastica? Non per l’età che era di difficile determinazione, ma per la configurazione fisica. Se Scolastica avesse dovuto essere tradotta in un animale equivalente, il camello o il canguro sarebbero stati i termini di comparazione più adatti.

Beatus anzi ricordava che una mattina, essendo per distrazione entrato nella camera di lei, che si alzava allora, era fuggito esclamando: Mio Dio! Questa donna è un antidoto!

Pareva proprio negata da natura alla ginnastica di Amore. Eppure!

Ora Scolastica non si era acquetata, ma dietro la porta continuava: — L’è mato, i lo dixe tuti che l’è mato. Son stada in tante case; mai trovà un omo così stravagante che nol capisse mai gnente. Perchè i ga riguardo de vegnirlo a dir sul muso al signor professor, al signor cavalier che l’è mato: ma i ghe lo dixe ben drio le spale. Anche quel signor che parla toscano el dixe: dai retta, il tuo padrone gli è un bischero. Se non fosse un bischero, il Governo non gli darebbe certi incarichi.

Questa specie di plebiscito proclamato dietro la porta, durò molto tempo, più di quello che [p. 105 modifica]non può sospettare chi non sa come la donna, possedendo un’idea sola, ha bisogno di insistervi sino all’esaurimento. Tanto valeva allora che Beatus avesse preso moglie.

Potrà sembrare anche eccessiva questa libertà di contatti verbali, come oggi si chiamano gli insulti, tra la serva e il padrone; ma è che veramente Beatus ci aveva dato un po’ motivo nel passato tempo.

Quando egli era in possesso di tutto il suo onesto giudizio, e reputava che nel suo cervello abitassero gli Dei, si divertiva talvolta alle spese di Scolastica. Essendo egli abituato a trattare quell’esplosivo che è il pensiero, diceva a Scolastica: «Sospendete! Non fate rumore col vasellame. Basta una piccola vibrazione per far andare a male certe operazioni delicate».

Naturalmente Scolastica non sospendeva se non quando aveva finito.

«Non entrate nel mio studio se non quando vi chiamo,» diceva Beatus.

Ma Scolastica entrava lo stesso, o per la spesa, o per annunciare che l’olio era finito, o che il rubinetto dell’acqua si era guastato.

Beatus diceva anche: «Non toccate. No, è [p. 106 modifica]pericoloso, credete: non toccate le carte, i libri. Vi possono far male».

Con ciò egli voleva significare che il suo studio era come una centrale elettrica, dove si incrociano fili di idee ad alto potenziale, che possono dare anche la morte. Naturalmente Scolastica toccava, e non ne risentiva alcun danno.

Si capisce: «voi siete come il porco che può impunemente mangiare il serpente a sonagli. Però i libri lasciateli stare. Voi non li sapete prendere. Disilludetevi: non è facile saper prendere un libro. Posso concedere che sappiate prendere gli attrezzi della cucina, ma i libri, no! Non imparerete mai a prendere un libro, a collocarlo al suo posto».

Nei momenti poi di buon umore, quando Beatus aveva formulato un suo sillogismo che a lui parea molto bello, chiamava Scolastica e le diceva: «Sentite!»

Scolastica reagiva con insolenza; e: «Io, certamente devo aver detto una verità molto forte,» arguiva allora Beatus Renatus. [p. 107 modifica]

Ma ora quel plebiscito esposto con tanta sicurezza dietro alla porta, dava tristezza a Beatus.

«Per gli occhi di Scolastica tu, o Beatus, sei un deforme, come uno che abbia una gran gobba».

Dispiacque molto a Beatus Renatus quella sua deliberazione di avere licenziato Scolastica, perchè essendo egli di salute cagionevole, ella ormai sapeva tutte le sue necessità corporali.

Un giorno guardò nel suo comò e vi trovò intatto certo oro, trovò intatti certi fazzoletti antichi, trovò intatto un libretto al portatore. «Via, Beatus! — disse con se stesso — Scolastica è una donna onesta. Volendo, avrebbe potuto rubare anche queste cose. E chi va più oggi a denunziare un furto?»

Naturalmente dal giorno in cui Beatus aveva licenziato Scolastica, si guardò dal rivolgerle [p. 108 modifica]un solo comando. Ella avrebbe potuto rispondere: «Sono forse la sua serva, io?».

Scolastica però non se ne era andata: c’era, non c’era, entrava, usciva, lasciava la porta aperta, faceva, insomma, la sua libertà.

Un giorno, Beatus udì una voce che diceva: «Si può? è permesso?». Si sentì Ruggero Bonghi che abbaiava furiosamente.

Doveva esservi un letterato alla porta.

Disse la voce:

«Ti dò un calcio che ti spiaccico nel muro».

Beatus riconobbe il visitatore. Era quel signore che parlava toscano. La porta era aperta. Scolastica era di là, ma non si era mossa. Beatus sentì domandare: «C’è il cavaliere?»

Sentì rispondere:

«Di là, nel suo studio».

Il visitatore entrò.

— Ah finalmente la trovo, cavaliere. La prego, stia comodo.

Perchè Beatus un bel giorno si era trovato appiccicato anche questo titolo.