Il guarany/Parte Terza/Capitolo IX

Parte Terza - IX. Una speranza

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Parte Terza - IX. Una speranza
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CAPITOLO IX.


UNA SPERANZA.

Sedendo vicino alla giovane, Alvaro sentì vacillare il suo coraggio.

— Che volete, Isabella? domandò egli con voce un po’ tremola.

La fanciulla non rispose; era come rapita in contemplare il giovane; non potea saziarsi di guardarlo, di saperlo accanto a sè, dopo l’angoscia sofferta in veggendo la morte passare e ripassare sul suo capo e minacciarlo nella vita.

È d’uopo amare per comprendere quella voluttà dello sguardo, che si riposa sopra l’oggetto amato; che non si stanca di mirare quello che sta impresso nell’immaginazione, ma che pur tien sempre un nuovo incanto.

— Lasciate ch’io vi guardi! rispose Isabella [p. 86 modifica]supplichevole. Chi lo sa? Potrebbe questa esser l’ultima volta!

— Perchè queste tristi idee? disse Alvaro con dolcezza. La speranza non è ancor del tutto perduta.

— Che importa?... sclamò la giovane. Vi vidi testè da lungi passar sullo spianato, e ad ogni istante pareami che una saetta vi toccasse, vi ferisse, e...

— Come!... Aveste l’imprudenza di aprir la finestra?...

Il giovane voltossi, e raccapricciò vedendo la finestra semiaperta, crivellata all’esterno dalle saette dei selvaggi.

— Dio mio!... sclamò egli; perchè esponete così la vostra vita, Isabella?...

— Che val la mia vita ch’io abbia a conservarla? disse la giovane avvivandosi. Serba ella alcun piacere, alcuna buona ventura, per far che mi ci apprenda? A che servirebbe resistenza, se non fosse per soddisfare un impulso dell’anima nostra? La mia felicità è accompagnarvi cogli occhi e col pensiero. Se questa felicità deve costar la vita, sia pure!...

— Non parlate così, Isabella; che mi straziate l’anima.

— E come volete ch’io parli? Mentire è impossibile; dal dì che tradii il mio secreto, da schiavo ch’egli era, si è fatto signore, signore dispotico e assoluto. So che vi faccio soffrire...

— Non dissi mai una simil cosa! [p. 87 modifica]

— Siate abbastanza generoso per confessarlo; ma udite. Io conosco, io leggo ne’ vostri menomi moti. Voi mi apprezzate forse come sorella, ma fuggite da me, e avete tema che Cecilia non pensi che mi amate; non è così?

— No, sclamò Alvaro insensibilmente; ho tema, ho paura... ma di amarvi!

Isabella provò una commozione tanto violenta, udendo le parole rapide del giovane, che rimase come estatica, senza far motto; i palpiti del suo cuore la soffocavano.

Alvaro non era meno commosso; soggiogato da quell’amore ardente, scosso dall’annegazione della fanciulla, che esponeva la sua vita solo per accompagnarlo da lungi con uno sguardo e proteggerlo colla sua sollecitudine, si era lasciato sfuggire il secreto della lotta che sosteneva dentro di sè.

Ma appena pronunciate quelle parole imprudenti, riuscì a dominarsi, e facendosi di nuovo freddo e riservato, parlò ad Isabella in tuono grave.

— Sapete che amo Cecilia; ma ignorate che promisi a suo padre di essere suo sposo. Finchè egli di sua libera volontà non mi scioglie dalla mia promessa, sono obbligato a compirla. Quanto al mio amore, questo mi appartiene, e solo la morte può sciogliermene. Il giorno che amassi altra donna, che non fosse lei, condannerei me stesso come uomo sleale.

Il giovane si volse verso Isabella con un amaro sorriso. [p. 88 modifica]

— E sapete che cosa fa un uomo sleale, che possiede ancora la coscienza sana per giudicare sè stesso?

Gli occhi della giovane sfavillarono d’un fuoco sinistro:

— Oh! lo comprendo!... Quello stesso che fa una donna che ama senza speranza, e il cui amore è un insulto e una sofferenza per colui che ella adora!

— Isabella!... sclamò Alvaro turbandosi.

— Avete ragione! Solo la morte può slegare da un primo e santo amore cuori come i nostri!

— Mettete da parte questi pensieri, Isabella! Credetemi; una sola ragione può giustificare una tale follìa.

— Quale? dimandò Isabella.

— Il disonore.

— Ve n’ha anche un’altra, rispose la giovane con vivacità; un’altra meno interessata, ma nobile al pari di questa; la felicità di colui che si ama.

— Non vi comprendo.

— Quando alcun sa che può esser cagione di sventura a quello che stima, meglio è recidere l’unico laccio che ci lega alla vita, che vederlo a lacerarsi. Non dite che avete tema di amarmi? Adesso son io che ho tema d’esser amata.

Alvaro non sapea che rispondere; era in una terribile agitazione: conosceva Isabella, e sapea di qual valore fossero quelle parole ardenti che le sfuggivano dalle labbra. [p. 89 modifica]

— Isabella! diss’egli prendendo le sue mani. Se avete per me alcuna affezione, non mi ricusate la grazia che sto per chiedervi. Cacciate questi pensieri! Ve ne supplico!

La giovane sorrise mestamente.

— Me ne supplicate?... Mi chiedete ch’io conservi una vita, di cui non ho bisogno, e che ricusaste?... Non è ella vostra? Se volete, accettatela; e allora non avete di che supplicare; non vi resta che di comandare!

Lo sguardo ardente d’Isabella fascinava; Alvaro non potè più contenersi; alzossi, e chinandosi all’orecchio della giovane, balbettò:

— Lo voglio!...

Nell’atto che Isabella, pallida di emozione e di felicità, dubitava ancora della voce che risuonavale all’orecchio, il giovane era uscito della sala.

Mentre Alvaro e Isabella conversavano sottovoce, Pery continuava a contemplare la sua signora.

L’Indiano stava pensieroso: scorgeasi che un’idea lo preoccupava e assorbiva tutta la sua attenzione.

Alla fine si alzò, e gettando un ultimo sguardo di tristezza sopra Cecilia, avviossi lentamente alla porta della sala.

La fanciulla fece un leggier movimento e rizzò il capo:

— Pery!...

Trasalì egli, e volgendosi, andò di nuovo a inginocchiarsi da presso al sofà. [p. 90 modifica]

— Mi promettesti di non lasciar la tua signora! disse Cecilia con dolce rimprovero.

— Pery vuol salvarti.

— In che modo?

— Lo saprai. Lascia che Pery faccia quello che ha in pensiero.

— Ma non correrai alcun pericolo?

— Perchè dimandi ciò, signora? disse l’Indiano timidamente.

— Perchè?... sclamò Cecilia sorgendo con vivacità. Perchè se per salvarmi è d’uopo che tu muoia, io rigetto il tuo sacrifizio; lo rigetto in nome mio e in quello di mio padre.

— Acquetati, signora; Pery non teme il nemico; conosce il modo di vincerlo.

La fanciulla scosse il capo con aria incredula.

— Essi son tanti!...

L’Indiano sorrise con orgoglio.

— Sieno mille; Pery vincerà tutti; e Indiani e Bianchi.

Egli pronunziò queste parole coll’espressione di naturalezza e insieme di fermezza, che vien dalla coscienza della forza e del potere.

Contuttociò Cecilia non poteva prestar fede a quanto udiva; e pareale impossibile che un uomo solo, ancorchè della devozione e dell’eroismo dell’Indiano, potesse vincere non tanto gli avventurieri in rivolta, quanto i dugento guerrieri Aimorè che assaltavano la casa.

Ma ella non contava sui mezzi straordinari di cui disponeva quella vigorosa intelligenza, che [p. 91 modifica]poteva giovarsi di un braccio forte, di un corpo agile e di una destrezza ammirabile; non sapeva che il pensiero è l’arma più potente data da Dio agli uomini, e che con questa si abbattono nemici, si spezza il ferro, si doma il fuoco; e si vince in virtù di quella forza irresistibile e providenziale che comanda allo spirito di dominar la materia.

— Non illuderti; vai a fare un sacrifizio inutile. Non è fattibile che un uomo solo vinca tanti nemici, ancorchè quest’uomo sia Pery.

— Lo vedrai! rispose l’Indiano con asseveranza.

— E chi ti darà la possa per lottare contro forze sì smisurate?...

— Chi?... Tu, signora, tu sola! rispose l’Indiano, affisando in lei il suo sguardo di fuoco.

Cecilia sorrise in quel modo che sorridono gli angeli.

— Va, diss’ella, va a salvarci. Ma ricordati che se tu morissi, Cecilia non accetterebbe la vita che tu le doni.

Pery si alzò.

— Il sole che sorgerà domani, sarà l’ultimo per tutti i tuoi nemici; Cecy potrà sorridere come prima, e starsi lieta e contenta.

La voce dell’Indiano si fece tremola; accorgendosi che non potea vincere la sua emozione, attraversò rapidamente la sala e uscì.

Arrivando allo spianato, Pery guardò le stelle, che cominciavano a spegnersi, e vide che il [p. 92 modifica]giorno poco tarderebbe a spuntare: non ci era tempo da perdere.

Qual era il progetto che avea concepito, e che gli dava una certezza e una convinzione a tutta prova quanto alla riuscita? Qual mezzo ardimentoso possedea egli per far assegnamento sulla distruzione dei nemici, e la salvezza della sua signora?

Era difficile indovinarlo; custodiva egli nel profondo del cuore quel secreto impenetrabile; neanco a sè stesso dicealo per tema di tradirsi e di annientare l’effetto che si attendeva con una fiducia incrollabile.

Avea in sua mano tutti i nemici; nè occorrevagli che un poco di prudenza per isterminarli tutti, quasi fossero percossi dal fulmine o dall’ira del cielo.

Pery avviossi al giardino ed entrò nella stanza di Cecilia, allora abbandonata dalla sua signora, per cagione della vicinanza al pianterreno della casa, occupato dagli avventurieri in rivolta.

La stanza era all’oscuro; ma la poca luce che entrava per la finestra, bastava all’Indiano per iscernere gli oggetti distintamente; la perfezione dei sensi era un dono che gli Indiani possedevano al maggior grado.

Prese le sue armi una per una, baciò le pistole ricevute da Cecilia, e le stese in terra nel mezzo della camera; trasse i suoi ornamenti di penne, la fascia da guerriero, la penna brillante [p. 93 modifica]del suo cocar1, e li gettò come un trofeo sulle sue armi.

Dipoi afferrò il suo grande arco di guerra, lo strinse al seno e curvandolo poco dopo contro al ginocchio lo spezzò in due parti, che aggiunse alle armi e agli ornamenti.

Per alcun tempo Pery contemplò con un senso di profondo dolore quelle spoglie della sua vita selvaggia; quegli emblemi della sua sublime devozione per Cecilia e del suo mirabile eroismo.

In lotta con quella potente emozione, mormorò insensibilmente nel suo linguaggio alcune di quelle parole, che l’anima manda alle labbra nei momenti supremi:

— Armi di Pery, compagne ed amiche, addio!

Il vostro signore vi abbandona e vi lascia per sempre: con voi egli vincerebbe; con voi nissuno potrebbe vincerlo. Ed egli vuol esser vinto...

L’Indiano levò la mano al cuore:

— Sì!... Pery, figlio di Arare, primo della sua tribù, forte tra i forti, guerriero goitacaz, giammai vinto, va a soccombere in guerra. Le armi di Pery non patirebbero veder il suo signore chieder la vita al nemico; l’arco di Arare, già spezzato, non salverà il figlio.

Il suo capo altiero e orgoglioso nell’atto che pronunciava queste parole, gli cadde sul seno; alla fine vinse quell’emozione, e circondando colle [p. 94 modifica]braccia quel trofeo delle sue armi e de’ suoi distintivi di guerra, lo strinse al petto in un ultimo abbraccio di dipartita.

Un aroma agreste delle piante, che cominciavano ad aprirsi per l’approssimarsi del giorno, lo avvertì che la notte stava per terminare.

Spezzò la resta di frutti, che come tutti i selvaggi portava al collo della gamba: questo fregio era formato di piccoli cocchi passati in un filo e tinti di giallo.

Pery prese due di questi frutti, e li partì col pugnale, senza però separarne la scorza; stringendoli allora nella sua mano, alzò il braccio come in segno di sfida o di terribil minaccia, e lanciossi fuori della camera.







Note

  1. Il cocar è quella fascia di penne, somigliante a un diadema, di cui i selvaggi si cingono la fronte.