Il guarany/Parte Quarta/Capitolo II

Parte Quarta - II. Il sacrifizio

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Parte Quarta - II. Il sacrifizio
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CAPITOLO II.


IL SACRIFIZIO.

Pery comprese il gesto dell’Indiana, e non fece il menomo movimento per alzarsi.

Affisò in lei il suo occhio sfolgorante e sorrise.

Alla sua volta la fanciulla comprese pure l’espressione di quel sorriso, e la risoluzione ferma e irrevocabile che leggevasi sulla fronte serena del prigioniero.

Insistè per alcun tempo, ma invano. Pery avea gettato da parte l’arco e le freccie, e riappoggiato al tronco dell’albero, serbavasi calmo e impassibile.

D’improvviso l’Indiano trasalì.

Cecilia era comparsa dall’alto dello spianato, e aveagli fatto cenno; la sua manina bianca e dilicata, facendo gesti nell’aria, parea che gli dicesse di sperare. Pery, non ostante la distanza, [p. 14 modifica]giudicò di veder brillare nel visino gentile della sua signora un raggio di felicità.

Nell’atto che cogli occhi fissi in quella graziosa visione sforzavasi d’indovinare la causa di sì subita allegrezza, l’Indiana mise fuori un secondo grido selvaggio, un grido terribile.

Tenendo dietro allo sguardo del prigioniero avea veduto Cecilia sopra lo spianato; si era accorta del gesto della fanciulla, e avea vagamente compreso il motivo per cui Pery ricusava la libertà e il suo amore.

Precipitassi sull’arco che giaceva steso a terra; ma non ostante la rapidità di quel moto, quando ella stese la mano, Pery già avea messo il piè sull’arma, e la teneva salda al suolo.

La selvaggia, cogli occhi infocati, le labbra semiaperte, tremante di gelosia e di vendetta, alzò sopra il petto dell’Indiano il fendente di pietra, con cui avea reciso poc’anzi i suoi lacci; ma l’arma le cadde di mano, e vacillando appoggiossi al seno che avea minacciato.

Pery la prese fra le braccia, la pose a giacere sull’erba, e si assise di nuovo appiè dell’albero, tranquillo a rispetto di Cecilia, che, lasciato lo spianato, si era tolta da quel luogo di pericolo.

Era l’ora in cui l’ombra delle montagne ascende per l’erta, e il caimano uscito dell’acque si assolina ai raggi del giorno.

L’aere rintronò de’ suoni striduli e rochi dell’inubia e del maracà1; al tempo stesso un [p. 15 modifica]canto selvaggio, un canto guerriero degli Aimorè, mischiossi coll’armonia sinistra di quegli strumenti aspri e rimbombanti.

L’Indiana giacente vicino all’albero trasalì; e alzandosi rapidamente, accennò al prigioniero la foresta e lo supplicò di fuggire.

Pery sorrise come la prima volta; prendendo per mano la fanciulla, se la fece sedere da canto, e trasse dal collo la croce d’oro avuta in dono da Cecilia.

Allora cominciò tra lui e la selvaggia una conversazione a cenni, di cui sarebbe difficile dar un’idea.

Pery diceva alla fanciulla che le dava quella croce come una sua memoria, ma che solo allorquando fosse morto dovea levargliela dal collo.

La selvaggia intese o giudicò di intendere ciò che Pery si studiava di esprimere simbolicamente, e gli baciò le mani in segno di riconoscenza.

Il prigioniero l’obbligò a rifare di nuovo i lacci che già lo stringevano, e che ella, nel suo generoso impulso di restituirlo alla libertà, avea disfatto.

In quel momento quattro guerrieri aimorè avviaronsi all’albero, ove si trovava Pery, e assicurando le estremità della corda lo condussero al campo, ove tutto già era preparato pel sacrifizio.

L’Indiano rizzossi e camminò col passo fermo e la fronte alta dinanzi ai quattro nemici, che non si accorsero dell’occhiata rapida, che in quel [p. 16 modifica]punto gettò al lembo della tunica di cotone, attorta in due piccoli nodi.

Il campo, tracciato in forma di elittica frammezzo agli alberi, era circondato da cento e più guerrieri armati di tutto punto, e coperti di fregi di penne azzurre e scarlatte.

Nel fondo le vecchie dipinte a liste nere e giallognole, di aspetto orribile, preparavano un gran fuoco di bragia, lavavano un lastrone che dovea servire di mensa, e affilavano i loro coltelli di osso e falde di pietra2.

Le giovani, aggruppate da un lato, custodivano i vasi pieni di vino e bevande fermentate, che offrivano ai guerrieri nell’atto che passavano loro dinanzi, intuonando il canto di guerra degli Aimorè.

La fanciulla, che avea avuto il carico di servir il prigioniero, e lo avea accompagnato al luogo del sacrifizio, teneasi ad alcuna distanza in disparte, e guardava tristamente tutti quegli apparecchi; per la prima volta il suo istinto naturale parea che le rivelasse l’atrocità di quel costume tradizionale delle sue genti, cui tante volte avea assistito con piacere.

Or che dovea comparire come l’eroina di quel dramma terribile, e che come sposa del [p. 17 modifica]prigioniero dovea accompagnarlo fino al momento supremo, insultando al suo dolore e alla sua sciagura, il cuore le si spezzava: perchè amava realmente Pery, quanto era possibile amare ad una natura come la sua.

Giunti sul campo, i selvaggi che conducevano il prigioniero, passarono le estremità della corda al tronco di due alberi, e stringendo il laccio lo obbligarono a rimaner immobile nel mezzo del cerchio.

I guerrieri sfilarono in ruota intuonando il canto di vendetta; le inubie rintronarono di nuovo; le grida si confusero col suono dei maracà, facendo insieme una gazzarra orribile, mostruosa, infernale.

A misura che entravano in ardenza, quel metro rendeasi viepiù concitato; in guisa che la marcia trionfale dei guerrieri si convertiva in una danza da baccanti, in una corsa veloce, in un valzer fantastico, ove tutte quelle figure orrende, coperte di penne scintillanti alla luce del sole, passavano come spiriti satanici avvolti nelle fiamme eterne.

Ogni volta che si compiva questa tregenda, uno dei guerrieri staccavasi dal cerchio, e appresentandosi al prigioniero lo sfidava alla pugna, e scongiuravalo a dar prove del suo coraggio, della sua forza e del suo valore.

Pery, sereno e altiero, ricevea con superbo disdegno la minaccia e l’insulto, e sentiva un certo orgoglio pensando che nel mezzo di tutti quei [p. 18 modifica]guerrieri forti e armati, egli, il prigioniero, il nemico che andava ad essere immolato, era il vero e l’unico vincitore.

Forse ciò parrà incomprensibile; ma il fatto si è che Pery pensava a questo, e che solo il secreto che custodiva nel fondo dell’animo poteva render ragione di tal pensiero, e della calma con cui aspettava il supplizio.

La danza continuava nel mezzo dei canti, degli strepiti e delle continue libazioni; quando ad un tratto ogni cosa ammutolì, e il più profondo silenzio regnò nel campo degli Aimorè.

Tutti gli occhi si volsero; dalla parte di un frascato, che ascondeva una specie di capanna selvaggia, eretta da un lato del campo in faccia al prigioniero.

I guerrieri si appartarono, le frondi si aprirono, e dal mezzo di quelle cascate di verzura apparve il corpo gigantèo del vecchio cacico. Due pelli di tapir, legate sopra gli omeri con un gruppo, gli coprivano la persona a guisa di manto; un gran cocar di penne scarlatte gli ondeggiava sul capo e ne rialzava ancor più l’enorme statura.

Avea il volto dipinto d’un color verdognolo e olivigno, e attorno alla gola una collana fatta colle penne brillanti del tucano; fra quell’orrendo aspetto i suoi occhi scintillavano come due fuochi vulcanici in mezzo alle tenebre.

Recava nella mano sinistra una clava coperta di piume risplendenti, e legata all’avambraccio [p. 19 modifica]destro una specie di buccina formata d’un femore enorme di qualche nemico morto in battaglia.

Giunto all’entrata del campo, il vecchio selvaggio applicò la bocca a quel barbaro strumento, e ne trasse un suono strepitoso: gli Aimorè salutarono con grida di allegrezza e di entusiasmo la comparsa del vincitore.

Al cacico toccava l’onore di essere il carnefice della vittima, l’uccisore del prigioniero; il suo braccio dovea consumare la grand’opera della vendetta, di quel sentimento che costituiva per quelle popolazioni fanatiche la vera gloria.

Appena cessarono le grida, con cui fu accolto l’arrivo del vincitore, uno dei guerrieri che lo accompagnava si fece innanzi e piantò nel mezzo del campo un palo destinato a ricevere il capo della vittima, tosto che fosse spiccato dal busto.

Al tempo stesso la giovane indiana, che serviva di sposa al prigioniero, staccò il tacape3 pendente dall’omero di suo padre, e accostatasi a Pery, gli slegò le braccia e gli offerse l’arme, figgendo in lui un’occhiata triste, infocata e piena di amaro rimprovero.

Con quell’occhiata gli diceva che se avesse accettato l’amore che gli avea offerto, e coll’amore la vita e la libertà, ella non sarebbe obbligata pel costume tradizionale della sua nazione a farsi scherno in tal modo della sua morte. [p. 20 modifica]

In fatti quell’offerta, che i selvaggi faceano al prigioniero di un’arme per difendersi, era una derisione crudele; stretto dal laccio, che lo legava, immobile per la tensione della corda, il di più che potesse fare il suo braccio era ruotare il tacape nell’aria, senza poter toccare i suoi nemici.

Pery prese l’arma che gli recò la fanciulla, e calcandola a’ piedi incrociò le braccia, e aspettò il cacico che si avanzava lentamente, terribile e minaccioso.

Arrivato in faccia del prigioniero, la fisonomia del vecchio rischiarossi d’un sorriso feroce, d’un riflesso di quell’ebrietà sanguinaria, che dilata le nari del jaguar presto a lanciarsi sulla preda.

— Sono tuo uccisore! diss’egli in guarany.

Pery non si commosse, udendo la sua bella lingua adulterata dai suoni rauchi e gutturali, che uscivano dalle labbra del selvaggio.

— Pery non ti teme!

— Sei Goytacaz?

— Son tuo nemico!

— Difendili!

L’Indiano sorrise.

— Tu nol meriti.

Gli occhi del vecchio mandarono faville di rabbia, e la sua mano strinse l’impugnatura della clava; ma egli represse quell’accesso di collera.

La sposa del prigioniero attraversò il campo e offerse al vincitore un gran vaso di argilla [p. 21 modifica]vetrificata, pieno di vino di ananaz ancora spumante.

Il selvaggio vuotò d’un fiato l’aromatica bevanda, e addirizzando la sua alta corporatura gettò sopra il prigioniero un’occhiata superba:

— Guerriero goytacaz, tu sei forte e valente; la tua nazione è temuta in guerra. La nazione aimorè è forte tra le più forti, valente tra le più valenti. Tu vai a morire.

Il coro dei selvaggi rispose a questa specie di canto guerriero, che preludeva al tremendo sacrifizio.

Il vecchio continuò:

— Guerriero goytacaz, tu sei prigianiero; il tuo capo appartiene al guerriero aimorè; il tuo corpo ai figli della sua tribù; le tue viscere serviranno al banchetto della vendetta. Tu vai a morire.

Le grida dei selvaggi risposero di nuovo a questo cantico, che si prolungò per molto tempo, memorando i fatti gloriosi della gente aimorè, e le geste di valore del loro capo.

Nell’atto che il vecchio parlava, Pery lo ascoltava colla stessa calma e impassibilità; neppur uno dei muscoli del suo volto palesava la menoma emozione; il suo occhio limpido e sereno ora fissavasi sul volto del cacico, ora volgevasi pel campo esaminando gli apparecchi del sacrifizio.

Appena, chi lo avesse osservato, si sarebbe accorto che colle braccia incrociate, come stava, [p. 22 modifica]una mano disfaceva impercettibilmente uno dei groppi alla punta della sua tunica di cotone.

Quando il vecchio ebbe finito di parlare, squadrò da capo a piedi il prigioniero, e arretrando di due passi alzò lentamente la pesante clava, che impugnava colla sinistra.

Gli Aimorè, ansiosi, attendevano; le vecchie coi loro coltellacci di pietra trasalivano d’impazienza; le giovani indiane sorridevano, nell’atto che la sposa del prigioniero volgeva altrove lo sguardo, per non mirare lo spettacolo orribile che stava per appresentarsi.

In quell’istante Pery levando le due mani agli occhi si coperse il viso, e chinando il capo rimase alcun tempo in quella posizione, senza far un moto che rivelasse il menomo turbamento.

Il vecchio sorrise.

— Hai paura!

Udendo queste parole, Pery rizzò il capo con orgoglio. Un’espressione di giubilo e di serenità raggiava dal suo volto; si sarebbe detta l’estasi di quei martiri di religione, che nell’ultim’ora, a traverso la tomba, travedono la felicità superna.

L’anima nobile dell’Indiano, presta a separarsi dal corpo, parea che già si sciogliesse dal suo involucro; e posandosi sulle labbra, negli occhi, sulla fronte, attendesse il momento di lanciarsi nello spazio e riparare in seno del Creatore.

Levando il capo, fissò gli occhi nel firmamento; [p. 23 modifica]come se la morte che stava per colpirlo fosse una visione incantevole, che discendesse dalle nuvole sorridendogli.

Ma era perchè in quell’ultimo sogno dell’esistenza vedea la bella immagine di Cecilia, felice, lieta e contenta; scorgeva la sua signora salva.

— Ferisci!... disse Pery al vecchio cacico.

Gli strumenti rintronarono di nuovo; le grida e i canti si confusero con que’ suoni rauchi, e rimbombarono per la foresta come il tuono che romoreggia per gli spazii del cielo.

La clava, coperta di penne, aggirossi nell’aria scintillando ai raggi del sole, che saettava quei fulgidi colori.

Nel mezzo di quella scena si udì un fracasso, un ansia d’agonizzante e il tonfo d’un corpo: tutto ciò confusamente, senza che nel primo istante si potesse comprendere quello che era accaduto.





Note

  1. Strumenti bellici da suono in uso fra i selvaggi.
  2. Non conoscendo i selvaggi l’arte di cavare e lavorare il ferro, suppliscono a questo preziosissimo strumento di civiltà con ossa di pesce, lamine di pietra od altre materie durissime.
  3. Specie di spada di legno durissimo, che taglia come il ferro.