Il cavallarizzo/Libro 2/Capitolo 1


Libro secondo Capitolo 2
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IL SECONDO LIBRO


DEL CAVALLARIZZO

DI CLAUDIO CORTE

DI PAVIA.

NEL QUAL SI TRATTA DEL MODO DEL
cavalcare, di frenare, e di molt’altre cose

al cavalliere appartenenti.

Cap. I. Come si ha da cavalcare il poledro dipoi la farraina.


LA Musica è di tanta eccellenza, & sì conforme à gli animi humani, che ben spesso ci rapisce, & ci cava fuor de’ sensi; facendoci anco fare alcune cose fuor d’ordine, & di proposito, le quali molte volte non stan bene; Come anticamente era la Frigia, la quale accendeva mirabilmente gl’animi all’arme. Et la Lidia per il contrario gli revocava à religione, à dolcezze, & benignità grande. Come hoggi dì ancora fanno gl’instromenti bellici, li quali accendeno grandemente gl’animi de’ soldati, & provocano alle arme, & all’incontro gl’organi, & alcuni altri suoni, & canti Ecclesiastici rimuoveno gl’animi da furore, & li sulleva in Dio provocandoli anco alle lacrima, & à religione. Un Musico dice haver havuto Alessandro Magno chiamato Timoteo, il quale era di tanta eccellenza che nel sonare l’accendeva in modo & lo levava fuor di se, che facendoli lasciar i cibi à tavola lo sforzava con furia a prender l’arme. Et subito anco dipoi mutato il suono glie le faceva deporre, & divenire tutto mansueto & piatoso incitandolo anco alle lacrime. La Musica che fin qui io vi ho detto fatta nel libro superiore; non so che effetti havrà partorito in voi magnanimo Alessandro Farnese, havend’io usato non la Frigia, ne la Lidia, particolarmente alcuna delle altre tre che dicono, ma quella il modo della quale sempre mi piacque del nostro Siciliano, nuovo Timoteo nella Lira, & quell’altra pur del vostro Giambatista del Prencipe, celebratissimo & eccellentissimo Musico, che è di non seguir sempre la soavità delle consonantie, & continuationi delle dolcezze musicali, ma di toccarle & fuggir via; tenendo per questo sempre più intenti, gl’animi de gli ascoltatori, & accesi di desiderio, & pieni di spirito. Io cominciai à dire del modo di cavalcare il poledro (se ben vi raccorda) per alquante fiate prima che fosse posto alla farraina, & lo ridussi à un certo termine; dipoi passando d’una cosa in un’altra secondo l’ordine richiedeva, vi lassai là. Hor per non tenervi più sospeso, ripigliado il parlar dico che dipoi che lo havrete fatto scapezzare, et cavalcare [p. 59v modifica]quelle poche volte, & in quel modo, ch’io vi dissi, di nuovo, che sarà poi la farraina, lo devete cavalcare nel luogo medesimo prima solito, per dieci dì continui, con la guida ancora se di bisogno sarà per alcune fiate di cavallo piacevolissimo per la città, & anco per la campagna; trattandolo in qua, & in là, per dritto, & per traverso senz’ordine alcuno. Solo alcuna volta lo trottarete per lo dritto d’un solco, over d’una strada dritta, & dipoi lo pararete pian piano. Ma deve il cavalcatore in questo star di bardella con le gambe distese, ma non tirate, ne meno attaccate al ventre del cavallo, che l’uno & l’altro saria diffetto, & vitio, con i ginocchi e coscie stretti, & con il resto del corpo dritto & sciolto; in modo tale come s’egli stesse in piedi in terra: con le corde del capezzone aggiustate in mano tirate à segno conveniente, che già si possono tirare da che il poledro vada per se solo. Il che si deve fare nel luogo dove si cavalca; nel quale si deve continuare à cavalcarlo fin che sia bene assicurato à lasciarsi cavalcare, e discavalcare. Et facilmente di assicurerà se gli sia usato quel che più colte delle piacevolezze & carezze v’è stato detto: & che vuole Xenofonte & fece Allessandro Magno al suo Bucefalo. Veramente saria cosa non men commoda, & utile, che bella & maravigliosa, se il cavallo da poledro si potesse ammaestrare in quel costume Persiano di sapersi da per se stesso abbassare sotto la soma del cavalliere; come i camelli fanno sotto il peso. Hor essendosi aggiustato & ben acconcio su la bardella, si deve aviare di passo innanzi due canne, & ivi fermatosi un poco, & accarezzato il poledro nel guidaresco con la man dritta, non lasciando però la corda del capezzone, di passo pur si deve aviare, & inanimando il poledro al trotto deve andarsene alla campagna, over in una strada lunga & larga convenevolmente, dove per alcuni giorni non farà altro che trottare per il dritto, & pararlo pian piano; accioche venghi bene à fermarsi di testa & indurir di collo; & fermato, che così sarà alquanto deve farlo caminare avanti un poco & pigliandosi la volta, girarlo largo largo, & pian piano: accioche il collo in questo principio non si storci & diventi molle: cosa che ben spesso accade per ignoranza, & poca cura de’ cavalcatori di bardella. Il che fatto per alquante volte, & per alcuni giorni, di poi si può mettere alla maesa, nella quale siano stampate tre rote da altri cavalli fatti, con il suo luogo da parare, e da roteggiare, & entrato in quelle con un caval fatto innanzi, accio che il poledro piu volentieri si avij, & se assicuri in questi giri, ne habbi causa il cavalcatore di torcergli il collo nel girare, sulla man destra prima farà tre volte, & poi altre tre nella rota di sopra alla sinistra, & ritornando all’altra rota di basso ne farà tre altre pur sulla man dritta. Et cosi continuando quando sull’una & quando sull’altra mano, & quando nelle rote di sotto, & quando in quella di sopra lo esserciterà tanto che li paia convenevole: non molestando molto in questo principio [p. 60r modifica]Nel quale non vedo altra regola se non che nel principio ogni poledro dev’esser molestato poco, & massime nelle rote. Ma pian piano, & à poco à poco di se deve accrescere lena, & prestezza fin tanto che si venghi ad honeste termine dell’uno, e dell’altro. Et notate che generalmente tutti i cavalli girano volentieri per natura più dalla man sinistra, che dalla destra. Si perche quella è lor più facile, alla quale la natura gli ha spenti, & insegnati, facendoli nel lor nascimento venire col capo inclinato sulla sinistra. Si perche il movimento da destro nel sinistro è naturalissimo, à gl’animati; come anco perche con la mano sinistra noi teniamo la redine in mano, la corda del capezzone tirata più a segno, & i garzoni istessi che li governano l’inducano à questo col menarli con la man dritta sempre, & con voltarli in stalla nelle lor poste con la medesima mano, più che con l’altra. Et noi anco per questo li possiamo agitare più facilmente su questa mano che sull’altra. Havendo dunque questo il cavallo dalla natura, dal moto, e dalla mano dell’homo, sarà bene, che sempre, ò quasi sempre si cominci il girare, & si finischi sulla man dritta. Et notate, che essendo il moto sempre più violento nel fine, che nel principio, & mezzo, parlando de’ moti naturali, come saria à dire per dar essempio, s’io tiro un sasso in giù, il quale per essere cosa grave naturalmente tende al basso, chiaro è che di più furia andarà quanto più andarà verso il suo fine, che è andare al basso, così pare anco, che il cavallo finischi con più furia volteggiare sull’una, che sull’altra mano, come à quella, che gl’è più naturale, ma quanto questo accade, si deve in quel finire girsene più trattenuto assai. Vi averto ancora, che se vedere il cavallo ò sia poledro principiante, ò mezzo fatto, over fatto del tutto, che inchini piu dall’una, che dall’altra mano, over pieghi più il collo a questa, che à quella: il che può ben stare, & sta molte volte, che naturalmente alcuni cavalli nasceno, al contrari o di quelli, che havemo detti, col muso, & collo volto sulla man dritta più che sulla stanca; à cavallo dico che piegherà più sull’una mano che sull’altra mano, devete usar sempre il giro à lui contrario, se nel cominciar de i giri, come anco nel finire. Come saria se piega, & storce il collo alla sinistra, cominciar il roteggiare, & anco i maneggi sempre sulla destra. Et al contrario, se piega sulla destra cominciar sulla sinistra, et in quelle finire, che gli sono più dificili, et nelle quali havete cominciato la lettione. Hor uscendo fuori da queste tre ruote grandi pur di trotto, & più vivo, & determinato ancora, che in quelle non havete fatto, da dritto in dritto quanto saria un giusto ropolone, ve n’andrete à pararlo per il dritto nel mezzo delle due rote picciole. Et fermatovi alquanto, et accarezzato il poledro nel guidaresco, over nel collo, lo aviarete di passo per la ruota, che vi è à man dritta due ò tre volte, et mutando mano: così come faceste di sopra nelle ruote grandi, farete in queste picciole. Eccetto, che nel finire vi devete [p. 60v modifica]trovare nel medesimo luogo dove paraste, e principiaste il girare. Et avertite, che tanto nelle ruote grandi di sopra, come in quelle picciole di sotto, sempre il vostro cavallo habbi nel fine alquanto più di furia, & prestezza nel girare. Hor fermato, che vi sete un poco, & accarezzato, che havete il vostro poledro, tagliarete per mezzo la ruota piccola, che vi sta innanti, & ve n’andarete pur di trotto à scavalcare al luogo solito; usandosi le solite carezze, & prima che dismontate movendovi alquanto, & inalzandovi sopra la bardella accioche il poledro si assicuri: dismontarete poi destramente, non lo lasciando però partire dal medesimo luogo per un poco di spatio. Usandoli in questo diligenza grande, accioche stia fermo nel montar, & dismontare, che fate da cavallo. Perche importa troppo à mansuefarlo, & usare à questo nel principio da poledro ricordandovi sempre di quel verissimo proverbio, che dice. Quod nova testa capit, inveterata sapit. Quello che haverà imparato il fanciullo dalla sua fanciullezza, ancor che diventi vecchio non lo lascierà così di facile. Et però i costumi, & la creanza, che insegnerete nel principio à poledri devono essere ben fondate, buone, & perfette, perchè l’istesso al fine trovarete, dove all’incontro, se saran cattive, similmente cattive si dimostreranno quasi sempre, & à guisa di ciambellotto, che habbi pigliato piega, mai, over difficilmente la lascia. Et però io vorrei principalmente, che i poledri fosseno ammaestrati fin dal principio piacevolmente, & con patientia: non volendo da sì fatto terreno cavar frutti nella Primavera della lor gioventù, che deveno raccogliere maturi & buoni nell’autunno al tempo suo. Et di quanto danno sia far il contrario lo prov’io hora, che cavalco un cavallo di messer Annibale del Giglio, & insegno il cavalcare ancora à lui, giovine in vero in tutte le sue attioni modestissimo & accorto; il cavallo del qual dico, io trovo sì fattamente disordinato, per non haver havuto quei principij, che noi desideriamo, & pur hora havemo detti, che assai havrò che fare prima che lo riduca. Et certamente intraviene di simili cavalli quello, che de’ scolari musici solea dire Timoteo Milesio da noi citato di sopra, quando gli veniva scollar nuovo, che da altri havesse appreso i principij musicali, Doppia fatiga è certo questa, esser di mestier prima disimparare il male appresso, & di poi insegnare. Per il che questo eccellentissimo Musico da questi tali voleva doppia mercede. Non sarebbe anco male se così si facesse da cavallerizzi hoggi quando gli vengono simili cavalli nelle mani. Et veramente mal fanno quelli, siansi poi Signori ò Cavallieri ò altri che danno lor i poledri à domare ad huomini impatientissimi, li quali non regolandosi, ne sapendosi per aventura regolare, come si deve con la ragione, & ordine del cavalcare, fanno di questi tratti, e di peggiori. Ma credo che il voler spender poco, causa questo in questi tali, & il credere [p. 61r modifica] che i cavalli si faccino più tosto per questa via, da simili cavalcatori, che da quelli, che vanno pianamente con i debiti ordini. Ma non considerano che non chi à buon’hora, ma chi bene, & sano à buon’hora arriva. Lascisi dunque i guasta cavalli & i stroppia mestieri, & elegansi sempre i periti nel cavalcare, & tra i periti anco il più perito à far domare il suo cavallo, non riguardando à spesa, perche in poco spendere di più si schiva il danno, & acquistasi grand’utile, & onore.