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II IV
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III.


     Di te, Religïon, nobile è ufficio,
L’affrontare imperterrita coll’arme
510Delle temute verità i superbi,
Pur con periglio d’onta e di martirio!
E quell’uficio, oh quante volte i veri
Sacerdoti di Dio forti adempièro!
Talor sotto l’acciar de’ vïolenti
515Perìan que’ venerandi, e talor rotti
E insanguinati, e carichi di ferro
Venìan sepolti in erma, orrida torre:
Nè dai tremendi esempi sbigottito
Era il cor d’altri santi. E se la voce
520D’un’alma pura e consecrata all’are
Da iniqui prodi spesso iva schernita,
Pur non inutil pienamente ell’era:
Schernita andava, ma ponea ne’ petti
Di que’ feroci inverecondi un germe
525Che forse un dì fruttava; ed era un germe
Religïoso di terrore. E in mezzo
A tai feroci petti, alcun pur sempre
Te n’avea di men guasto, a cui l’ardita
Sacerdotal, magnanima parola
530Or di cospicui presuli, or d’umìli

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Fraticelli o romiti in patrocinio
Degl’innocenti, era parola invitta
Che con pronti rimorsi il tormentava,
Sì che riedesse a carità ed onore.
     535Compagno fessi al vecchio Ugo per molti
Passi Eleardo oltre al terren coperto
Da quelle schiere di crudeli armati,
Indi, con grave d’ambidue cordoglio,
Il nipote strappossi dalle invano
540Tenaci braccia dell’amato antico.
     Ahi! senza pro sclamava questi: — Oh figlio!
Qui non m’abbandonar! Più fra quell’empie
Insegne che il Signore ha maledette
Pel labbro mio, deh non ritrarre il piede!
545Te ne scongiuro per la sacra polve
Della mia suora, a te sì dolce madre!
Te ne scongiuro per la polve illustre
Del tuo buon genitore e de’ nostr’avi,
Che fidi cavalieri ed incolpati
550Furon sostegni tutti a chi in Saluzzo
Stringea con dritto il signorile acciaro!
Esci dal laccio che al tuo core han teso
I rapaci stranieri! A me, alla patria,
Al tuo prence ritorna. Infamia e lutto
555Sta con Manfredo, con Tommaso il cielo!

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     Udìa Eleardo il prolungato grido
Del supplice canuto, ed il veloce
Corso intanto seguìa. Ma benchè sordo
Paresse e irreverente, a lui que’ detti
560Eran quai dardi all’anima commossa,
E vïolenza a sè medesmo ei fea
Non fermando il suo corso, e non volgendo
Il piè per rigittarsi alle ginocchia
Del caro supplicante. Il pro’ Eleardo
565S’ostinava per varii ignoti impulsi
A ritornar fra i collegati duci,
Cercando creder ch’ei virtù seguisse,
Ed Ugo fosse un tentatore, un cieco
D’errori amico. Intende il cavaliero
570Ad ogni vil tentazïon lo spirto
Incolume serbare: idolo intende
Virtù, virtù, non larva farsi alcuna!
Virtù vuol ravvisar, virtù secura
Nelle giurate splendide fortune,
575Che il re Angioìno ai Saluzzesi e a tutta
La penisola appresta. Ei quel monarca
Ed i suoi capitani, e più Manfredo
Vuol reputar veraci eroi. Ma pure . . . .
Ad onta del proposto, il sen gli rode
580Nascente dubbio irresistibil. Cela

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Questo dubbio, ma il porta, e così giunge
Turbato, afflitto ai Manfredeschi brandi.
A molti il cela, sì, non a sè stesso;
E ondeggia alquanto, indi neppur celarlo
585Può al genitor della donzella amata,
Guerrier, cui lo stringea più che ad ogn’altro
Pia reverenza. E sì gli parla:
                                                            — Oh Arrigo!
Appartiamci, m’ascolta: allevïarmi
D’occulta angoscia non poss’io, se teco
590Non ne ragiono come a padre.
                                                                Il fero
Barone attento il mira, e con presaga
Severità: — Vacilleresti?
                                                  — Lievi
Estimar bramerei del venerando
Ugo le voci, e non so dirti quale
595In siffatte or benigne or fulminanti
Parole di tant’uom, che onoro ed amo,
Splender raggio tremendo oggi mi paia!
     Aggrotta il ciglio Arrigo, e l’interrompe:
     — Bada, Eleardo, che al rischioso passo
600Dopo lungo pensar ci risolvemmo;
Or paventar nel cominciato calle
Obbrobrio fora.

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                               Ma sebbene Arrigo
Al giovin cavalier biasmo gettasse,
Non men del giovin si sentìa colui
605Perturbato nel cor, per l’ardimento
Del fatidico abate, e nel futuro
Nubi scorger pareagli atre e sinistre.
Dissimulava non pertanto, e saldo
Stava come mortal che da gran tempo
610Il proprio senno e i proprii fatti adora.
Tal era il truce Arrigo: ei mille volte
Morto sarìa, pria che mostrarsi in gravi
Opre dapprima certo, indi esitante.
     Il ferreo vecchio avea ne’ precedenti
615Anni, coll’inquïeta ed iraconda
Sua desïanza di giustizia e gloria,
E col non mai pieghevole intelletto,
Molti alla corte di Tommaso offesi.
L’esacerbaron quelli, ed egli volse
620L’animo suo secretamente a’ guelfi
Ed a Manfredo, ivi lor duce occulto.
     Parve a Manfredo egregio essere acquisto
L’amistà di tal forte, incanutito
In severi costumi; e scaltramente
625Il seppe avvincolar con dimostranze
Di sommo ossequio, affinchè il guelfo volgo,

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Affidato d’Arrigo alla canizie,
Argomentasse tutti esser maturi,
Tutti esser giusti gli audacissimi atti
630Cui Manfredo appigliavasi. Ahi! d’Arrigo
La canizie coprìa pochi pensieri,
Benchè gagliardi, e quell’ardito prence
Consigli non chiedea, ma obbedïenza.
     Arrigo sè medesmo in alto pregio
635Reputa nella mente di Manfredo:
A lui si crede necessario, e spesso
Immagina que’ dì, quando in Saluzzo
Dominerà quel novo sire, ed ivi
Migliorate n’andran tutte le leggi.
640Giubila e fra sè dice: — A tanto bene
Della mia patria io dato avrò l’impulso!
Io sono il genio di Manfredo! Io lui
Illuminato avrò! Tener lontana
Saprò da lui l’adulatrice turba,
645E gli ottimi innalzar! Beneficate
L’adoreran le Saluzzesi terre,
Ma unito al nome suo splenderà il mio!
     Sì grande speme ad Eleardo egli apre,
Voglioso d’infiammarlo. Il giovin ode,
650Ma sta sospeso e mesto, indi ripiglia:
     — Rimaner con Manfredo obbligo è nostro,

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S’egli, mantenitor delle più sacre
Fra le promesse, non vendetta anela,
Ma podestà di padre, e di supremo
655Difenditor de’ nostri antichi dritti.
Chè s’egli, come d’Ugo oggi è temenza,
Sol esca avesse ambizïone ed ira,
E gettasse la larva, e m’apparisse
Malefico signor, oh! apertamente
660Gli disdirei servigio, e a cielo e terra
Confesserei ch’io per error lo amava!
     Del magnanimo detto d’Eleardo
Stupisce Arrigo, e corrucciato esclama:
     — Supposto indegno è il tuo! Pensa che solo
665A impermutabil, vero animo guelfo
Sposa n’andrà dell’inconcusso Arrigo
L’obbedïente figlia!
                                          Il disdegnoso
Vecchio si scosta, e resta ivi solingo
Col suo dolore, e colla sua turbata
670Ma non corrotta coscïenza il prode
Amante cavalier.
                                   — Volli del giusto
Seguir la insegna, e voglio: in me desìo
Altro capir non potrà mai! Sospetti
Sol mi ponno assalir che non qui sorga,

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Non qui del giusto la bramata insegna.
E se ingannato mi foss’io? Se falsi
Scorgessi i dritti di Manfredo? Ligio
Ad armi inique ratterriami forse
680Perfido orgoglio? O ad armi inique ligio
Mi ratterrìa questa laudevol fiamma
Che in petto chiudo per Maria, per tale,
Che tutte illustri damigelle avanza
In bellezza e virtù? Mi farei vile
685Per ottener la mano sua? Non mai!
Amarti debbo degnamente, o donna
Di tutti i miei pensier; debbo onorarti
Ogni virtù seguendo e suscitando,
S’anco per onorarti, ah! il più crudele
690Mi colpisse infortunio, e te perdessi!
     Del maggior tempio di Saluzzo all’alto
Vertice non lontano erge le ciglia,
E curvando ei lo spirto anzi alla croce
Che colassù sfavilla, al Signor chiede
695Lume a scernere il vero e a praticarlo.
     Il divin lume balenogli e crebbe
Al guardo suo ne’ dì seguenti, alcuna
Non vedendo in Manfredo esser pietosa,
Verace cura nel funesto assedio
700Di tutelar gli oppressi e vendicarli,

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Mentre la invaditrice oste pe’ campi
S’andava ad ogni infamia iscatenando.
     A tutelare o vendicar gli oppressi
Bensì Eleardo qua e là accorreva,
705Ma non di lui bastanti eran gli sforzi,
Nè bastanti gli sforzi erano d’altri
D’animo pari al suo cavalleresco,
Che insiem con esso or s’avvedean fremendo
Quanta in Manfredo, e ne’ fratelli suoi
710Ed in Bertrando e nelle rie caterve
Indol, non già d’amici eroi si fosse,
Ma d’impudenti ladri e di nemici.
     Insin dal primo giorno i brandi iniqui
Della straniera turba entro innocenti
715Tugurii sparser miserando affanno.
Qui sgozzarono vergini inseguìte,
Là genitori che alle amate figlie
Difensori si fean. Volge ma indarno
La sua voce imperterrita Eleardo
720Or a questo or a quel de’ condottieri.
Il siniscalco move il capo e ride,
E Manfredo le accuse ode in silenzio,
Guarda le torri di Saluzzo, e sembra
Dir: — Che mi cal d’iniquità e di pianto,
725Purchè in breve là entro io signoreggi?

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     Vengono a tutta la contrada imposte
Inaudite gravezze, e ad ogni adulto
Legge s’intima, sì ch’ei giuri ossequio
Al marchese novel. L’abbominato
730Giuro negavan molti; indi tremende
Carnificine a’ spegnerli, ed i tetti
Diroccati e consunti dalle fiamme,
E borghi interi in cenere ed in sangue!
     Fama nel campo giunge aver Lunello,
735Antico sir di Cervignasco, il giuro
Negato agl’intimanti, e colà sorta
Esser numerosissima una plebe
A difender quel sir. ― Temono i duci
Che di Lunel la resistenza esempio
740Ad altri arditi feudatari avvenga,
Ed invìan fero stuolo a Cervignasco,
Che tutto abbatta, e in ogni dove insegua
Il valoroso sire, e in brani il faccia.
     Consanguineo Lunello è d’Eleardo,
745Ed il giovin l’amava. Ahimè! non puoòte
Questi il cenno arrestar, ma prontamente
Scagliasi dietro all’orme de’ ladroni,
E moderarli spera, o spera almeno
Sottrarre agli omicidi i cari giorni
750Del congiunto barone e de’ suoi figli,

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O almen d’alcun di loro. Ah! dalle spade
Distruggitrici invaso, saccheggiato,
Pieno di strage è il borgo! Il pro’ Lunello
Ferito fugge, e a stento si ricovra
755All’ombre sacre d’una chiesa, e seco
Tragge l’antica moglie e le sue nuore
E i lattanti nepoti. Ecco nel tempio
I sacrileghi brandi! Ecco all’altare
Abbracciate le vittime! Eleardo
760Entra, s’inoltra, grida: i truci colpi
Eran vibrati! A’ pie’ di lui nel sangue
Stramazzando Lunel, queste supreme
Voci mettea: — Se tu Eleardo sei,
Non prestar fede, al rio Manfredo; imìta
765L’esempio mio: pria che avvilirti, muori!
     Dato alla chiesa il guasto, escon gli armati
In cerca d’altre prede, e fra que’ morti,
Appo quell’ara, in disperata angoscia
Resta Eleardo, e piange ed urla, e i crini
770Dalla fronte si strappa. Oh! chi l’afferra
Gagliardamente per un braccio e parla?
Il presul di Staffarda. Il qual veniva
Di Lunel suo cugino ai dolci alberghi,
Ed impensata vi trovò battaglia
775Ed orribile eccidio, e dalla fama

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Venne sospinto ai sanguinosi altari.
     Il braccio afferra del nipote, e dice
Con autorevol grido:
                                           — O sciagurato,
Non di lagrime è d’uopo in queste colpe,
780Ma di nobil rimorso! A me la cura
Lascia di queste miserande spoglie
Di giusti da feroci arme sgozzati,
E volgi ad opre valorose. Espìa
Il breve tuo delirio: appella, aduna,
785Suscita i forti delle valli. Insieme
V’avvincolate con possenti giuri:
Pio ghibellino ridivieni e pugna.
     Abbracciò il giovin cavalier le piante
Del magnanimo zio. Questi con forza
790Lo rïalzo, gli ripetè il comando,
Gli mostrò i consanguinei trucidati
E il rosso altare e le spezzate croci;
Raccapricciò Eleardo, il cor gl’invase
Lampo di speme, si riscosse e sparve.
     795Che avvien di lui, mentre lo zio infelice
Riman nel tempio e fra dolenti voci
D’alcuni inconsolati villanelli
E di pietose donne, a tanti uccisi
D’ultima carità rende gli ufizi?

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     800Strazïato Eleardo dal conflitto
De’ sinistri pensieri, asceso in sella,
Simile a forsennato errò per vie,
Per prati e per arene di torrenti,
Chiedendo a sè medesmo e al ciel chiedendo
805Che fare omai dovesse. Un forte impulso
L’agitava, e diceagli ad ogni istante
D’obbedir senza indugio ai sacri detti
Del morente Lunello e ai detti d’Ugo,
Ridivenendo ghibellin. Ma in core
810L’astuto angiol del mal gli rinnovava
Quel lusinghiero dubbio: — E se agli scempi
Inevitati di que’ giorni atroci,
Che forse gettan falsa ombra maligna
Sul benefico intento di Manfredo,
815Succedesser davvero inclite prove
D’alto senno in Manfredo e di giustizia,
Sì che alla patria giovamento e lustro
Per lunga età tornasse? Impresa egregia
Senza olocausti non compìasi mai,
820Nè per questi dar loco a terror debbe
L’alma del forte, a giusta gloria inteso.
     Così fra le incertezze e le speranze
E i rimbrotti del cor riede Eleardo
Delle masnade assedïanti al campo.