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I III
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II.


     All’ombra delle chiese oh fortunata
255Pace, in secoli d’odii e tradimenti!
Ivi mentre ne’ campi arse talora
Venìan le messi, e al villanello afflitto
Il guerriero aggiugnea scherni e percosse,
E mentre in borghi ed in città i fratelli
260Trucidavan fratelli, e mentre noto
Andava questo e quel castel per nappi
Di velen ministrati, e per pugnali
Vibrati nelle tenebre, e per donne,

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Che il geloso, implacabile barone
265Seppellìa vive delle torri in fondo,
Il monaco espïava or sue passate
Colpe, or le colpe delle stirpi inique:
E non di rado quelle sacre lane
Coprìano ingegni sapïenti e miti,
270Stranieri al secol lor, com’è straniero
Fra malefici sterpi il fior gentile,
E fra cocenti arene il zampillìo
Ospital d’una fonte, e fra selvagge
Masnade un cor che sopra i vinti gema.
     275Intanto che a Staffarda i coccollati
Salmeggiavano in coro, e che l’antico
Ugo sul palafreno i pantanosi
Sentieri e le boscaglie attraversava,
Mossa da Moncalier, tragge a Saluzzo
280Moltitudine varia e spaventosa
Di regie insegne e d’alleati, e insieme
Co’ guerrieri diversi orrende bande
Di comprati ladroni. Il sommo duce
È Bertrando del Balzo, altero e prode
285Siniscalco del rege, e di Bertrando
Primo seguace è il traditor Manfredo,
Ch’entrambo i suoi fratelli sconsigliati
Seco strascina alla malvagia impresa.

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     Giunger vonno di notte appo le mura
290Insidïate, e lor sorride speme
Ch’a suon di trombe s’apra ivi la porta.
Ma precorsa è la fama, e quando arriva
L’oste a’ piè di Saluzzo, e dagli araldi
Si suonano le trombe, al suono audace
295Interna intelligenza non risponde,
E nessun ponte levatoio scende
Degl’invasori al passo. Irte le mura
Stan di lance fedeli, scintillanti
Al raggio della luna, e dal lor grembo
300Piovon sull’oste urli di rabbia, e dardi;
Ed a quegli urli universal succede
Il grido popolar: — « Viva Tommaso! ».
Sì che Manfredo per livor si morde
Ambe le labbra, e al baldanzoso volgo
305Giura dar pena d’infinite stragi.
     Il Provenzal Bertrando, alma beffarda,
Dell’amistà del rege insuperbita,
Quasi rege teneasi, e agevolmente
Sovr’ogn’italo sir vibrava scherni.
310Prorompe ei quindi in tracotante riso,
E voltosi a Manfredo: ― Ecco, gli dice,
Quel che ne promettesti universale
Amor per te de’ Saluzzesi spirti!

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     Poi dopo il riso atteggiasi a disdegno:
315— Tutti siete così! Promesse, vanti,
Folli speranze! ed ardui indi i perigli,
Lunghe le imprese, ed il mio re frattanto
Per vantaggi non suoi perde i suoi prodi!
     — T’acqueta, dice con infinta calma
320Il fremente Manfredo; oltre poch’ore
Non dureran gl’inciampi: un solo basta
Gagliardo assalto, e il disporrem veloci.
     Mentre a dispor l’assalto ardimentosi
Coopran gl’intelletti de’ supremi
325E l’obbedir delle volgari turbe,
Congegnando, apprestando armi, brocchieri,
Ferrate travi e macchine scaglianti,
E tutta la pianura è voce e moto
E cigolìo di carri, e picchiamento
330Di mannaie che atterrano le piante,
E stridere di pietre agglomerate,
E in mezzo alle fatiche or la bestemmia
E l’impudente ghigno, ed ora il canto —
Dentro Saluzzo non minor s’avviva
335Il poter delle menti e delle braccia
Per la sacra difesa. Ignoti e pochi
Sono gl’interni traditori, e a mille
Ardono i cuori allo stendardo uniti

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Del marchese Tommaso. Ei di que’ prenci
340Magnanimi era, ch’ove rischio appaia,
Brillan di nova luce, e più sublime
Han la parola, e più sublime il guardo,
E quasi per magìa destan ne’ petti
Della poc’anzi malignante plebe
345Amor, concordia, ambizïon gentile.
     Pressochè in tutte l’alme ivi obblïato
È questo o quell’error che, apposto o vero,
Jer gran macchia parea sovra Tommaso:
Più non vedesi in lui che un assalito
350Posseditore di paterni dritti,
Un amato signor, una man pia
Che premiava e puniva e sorreggeva,
E ch’uopo è conservar. Sì che la stessa
Bellissima Riccarda, onde cotanto
355A’ Saluzzesi dispiacea la stirpe,
Più d’abborrita origine non sembra,
Or che il popol la vede paventosa,
Ma non già vil, dividere i perigli
E le cure del sir. La sua bellezza
360Molce i fedeli armati; il suo linguaggio
Più non suona stranier, benchè lombardo.
E quand’ella e Tommaso, a destra, a manca,
Parlan di speme nell’accorrer pronto

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Dell’armi de’ Visconti a lor salvezza,
365Esultan gli ascoltanti e mandan plauso.
     Al declinar di quell’orribil notte
Ugo nella invadente oste arrivava
Con Eleardo, e trassero al cospetto
Del regio siniscalco e di Manfredo.
370Alzò Manfredo un grido di contento
All’apparir del vecchio, ed a Bertrando
Lo presentò dicendo: — O sir del Balzo,
Eccoti di Staffarda il presul santo,
Colui, che per bell’opre onnipossente
375Fama sul popol di Saluzzo ottenne!
Il cor certo gli splende a questa aurora
D’un avvenir pe’ nostri patrii lidi
Più glorïoso e fortunato e giusto.
     Avvicinossi ad Ugo il siniscalco,
380E celando nell’alma dispettosa
Il disamore e il tedio, un reverente
Foggiò sorriso, e disse: — Anco il monarca
Serba di te memoria, o illustre padre,
E qui trionfo, non dall’arme tanto,
385Che ben darglielo ponno, egli desìa,
Quanto dall’opra del tuo amico senno.
     Indi Manfredo ripigliò i motivi
A spiegar della guerra, annoverando

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Frodi e stoltezze e ineluttabili onte
390Sul nome di Tommaso accumulate,
Perchè ligio all’astuta Insubre possa,
Ed uopi urgenti di riparo, e prove
Che il maggior uopo a’ Saluzzesi fosse
E a tutta Italia l’unità d’omaggio
395Di quanti erano feudi al re Roberto.
     Ed Ugo ai cavalieri: — Il mio suffragio
Certo sarìa per la comun concordia
Sotto uno scettro o ghibellino o guelfo,
Ma non basta d’afflitti animi il voto
400Perchè cessi il poter dell’ire antiche
In un popol di stirpi concitate
Ad aneliti varii e a varii lucri;
E ragioni si schierano possenti
Al mio intelletto, sì ch’io neghi al regno
405D’uno straniero in Puglia incoronato
Il giunger con sua fama e co’ suoi brandi
A collegarci a reverenza e pace.
     — Pensa, o canuto, ch’alto assunto è il nostro:
Degna è di te l’aïta.
                                   — Aïta bramo
410Recarvi, sì: guisa sol una io scorgo.
     — Qual?
                 — Del popolo agli occhi e degli armati

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Intercessor presenterommi a voi,
E per religïone ambi e clemenza
415Sospenderete le battaglie, e intanto
A Napoli n’andrò. Placherò, spero,
L’augusto re; lo distorrò da impresa
Onde gli torneria danno ed obbrobrio;
E se leso alcun dritto era a Manfredo,
420Per saldi patti ei risarcito andranne.
     — Proporne indugio alle battaglie è vano:
Impermutabil di Roberto è il cenno;
E mal vai profetando obbroobrio e danno
A chi certezza piena ha di vittoria.
425Solo uno sguardo a nostre schiere volgi,
E vedrai che Saluzzo oggi s’espugna.
     — Espugnarla potrete, ed il ricovro
Forse tor del castello al vinto sire,
E prigion trascinarlo, e dalle chiome
430L’avito serto marchional strappargli,
E tu, Manfredo, ornartene la fronte.
Io non ciò vi contendo; io, per l’antico
Conoscimento mio di questa terra
E degli animi suoi, sol vi dichiaro,
435Che al crollar di Tommaso, ardua e non ferma
Vittoria avreste. In cor de’ più, gagliarde
Son le eredate ghibelline fiamme,

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Gagliarda quindi l’amistà a’ Visconti,
Gagliardo l’odio per le guelfe insegne.
440Picciol popolo siam, ma ci dan forza
E l’arme de’ Visconti e il nostro ardire,
E l’indol Saluzzese, aspra, selvaggia,
Che paure non piegan ne’ supplizi.
     — Obblii ch’io pur son Saluzzese, e mai
445Non mi piegan paure.
                                             — In te, Manfredo,
Splenda il miglior degli ardimenti: quello
D’anteporre alle gioie empie del brando
Una gloria più pia, l’amabil gloria
D’allontanar dalle tue patrie rive
450Una guerra funesta!
                                          — Altra favella
Assumi, o vecchio. Se t’è caro ufizio
Scemar l’orror d’inevitata guerra,
Sposa il vessillo mio, movi alle mura
Assedïate, i cittadini arringa,
455Traggili a sottopormisi.
                                                — Non posso!
Nol debbo! Ufizio mio giovevol solo
Esser ponno le supplici parole,
E l’aprirvi, quai Dio me li palesa,
I forti avvisi. Trattenete i brandi,

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E se ingiustizia fu in Tommaso, al dritto
Basteran le ragioni a richiamarlo,
Ed indi a pochi dì voi satisfatti
E glorïosi e senza ira di sangue,
465Benedetti dai popoli e dal cielo,
Trarrete a vostre sedi. Ove sospinto
Da ambizïone e da rancori antichi
Tu inesorabilmente alla corona
Di Saluzzo, o Manfredo, oggi agognassi,
470E afferrarla potessi, in odio fora
Il nome tuo a’ soggetti, e, pur volendo,
Felici farli non potresti. Iniqua
Necessità di gelosie e vendette
Nasce da civil guerra, e l’usurpante
475Non si sostien fuorchè a perpetuo patto
Di timori e carnefici. E si ponga
Che dianzi mal reggesse il prence vinto,
L’esser vinto o fuggiasco ovver sotterra
Amicherà al suo nome i cuori molti
480Che offeso avrai; s’obblïeranno i torti
Del perduto signor; s’abbelliranno
Le ricordate sue virtù. Lui spento,
Sorgeran prenci astuti o generosi
Per vendicarlo, e s’anco astuti ed empi
485Fossero in cor, venereralli il volgo,

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Giocondo sempre d’abborrire un forte,
Che per ingegno e vïolenza regni.
E a cotal colleganza d’assalenti
Quai son le forze che opporrìa Manfredo?
     490— Le regie forze! esclama furibondo
Il Provenzal barone.
                                           — In molte guerre
Il vostro re s’avvolge, Ugo ripiglia,
E ove sia con gagliarde armi assalito
Per altri lidi, a propugnarli io veggo
495Receder queste schiere, e te, Manfredo,
Veggo fremente e povero d’acciari,
E tradito da’ tuoi! . . .
                                              Qui del profeta
Interrompon la voce i capitani.
Egli alza il Crocefisso, ed umilmente
500Prega i superbi, e pregali pel nome
Del Redentor. Respinto viene, e sorge
Più d’un ferro dell’oste a minacciarlo.
     Scudo al monaco feansi alcuni prodi,
E fra questi Eleardo. Il santo vecchio
505Di scherni non tremò, nè di minacce,
E più fïate ripetè ai felloni:
— L’impresa vostra maledice Iddio!