I Mille/Capitolo XXXV

Capitolo XXXV. La Conversione

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Capitolo XXXV. La Conversione
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CAPITOLO XXXV.

LA CONVERSIONE

Non v'accorgete voi che noi siam vermi,
Nati a formar l'angelica farfalla
Che vola al suo Fattore senza schermi.
(Dante).


La conversione! La conversione di due ebrei che dalla stupida fede d’Israele passano alla non meno del cattolicesimo. Che trionfo per la Santa Stalla!1

Potete rallegrarvi, cattolici, massime quelli che i preti hanno venduto allo straniero, settantasette volte; ed oggi, non avendo compratori tra i potenti cattolici, si raccomandano a Lutero, e mancando Lutero, a Maometto, per tener loro bordone alle insaziabili libidini di potere e di lussurie.

Una conversione solennissima, sì! per la maggior gloria di Dio (sacrileghi!). Ed i quiriti ed i discendenti di Scipione, vestiti a festa, preparansi ad assistere degnamente a cotesto trionfo! Che differenza tra gli antichi che trascinavano i [p. 171 modifica] monarchi ai loro carri trionfatori e questi moderni Romani affittatori di stanze e mercanti di corone, di scapulari, d’Agnus-Dei, pezzi della vera croce, di prepuzii e di santissime matrici, tutta roba che puzza come l’abito sudicio di cotesti buffoni, ciarlatani che la danno ad intendere alle abbrutite popolazioni!

Ma ve ne saranno molti in Roma, veri discendenti del popolo gigante? Tra questi servi di preti, cuochi di preti, lacchè di preti, figli di serve di preti, artisti ed operai di preti e figli infine di monache e di Perpetue di preti!

Qui mi passano per l’insofferente mio pensiero tanti altri epiteti, per lo più diffamatori, e siccome amo il popolo romano, non vorrei amareggiarlo vergando delle infamie, e mi contenterò di maledire i chercuti corruttori d’ogni bellezza! d’ogni grandezza umana!

Nullo, dunque, con P...., Lina ed il loro servo Torquato (nome assunto da Talarico), riunitisi a Reggio dopo la resa di quella città all’esercito meridionale, profittarono del passaggio nello stretto d’un vapore inglese per recarsi a Civitavecchia e di là a Roma onde vigilare sulla sorte della Marzia, e sottrarla, se possibile, dalle ugne dei preti. — Noi li lasciammo al termine del colloquio con Muzio; — P... e Lina soli rimasero insieme. Nullo e Torquato erano convenuti di stare alla vista dei suddetti, ma a qualche distanza per non destare colla riunione di quattro i sospetti della vigilantissima polizia papalina. [p. 172 modifica]

Eppur i ministri di Dio di che dovrebbero aver paura, col loro amore del prossimo, la loro mansuetudine, infallibilità, carità e tante altre doti che devono distinguerli e farli rispettare ed amare dal loro gregge?

Ah vipere! emanazione dell’inferno! verrà quel giorno in cui i popoli vi conosceranno e di voi purgheranno la terra!

La folla aumentava sempre e l’immensa piazza di San Pietro n’era colma siccome le due grandi vie della Lungara e di Castel Sant’Angelo. Il calore era soffocante, ragazzi e fanciulle che non si trovassero sollevati dai parenti od amici, rischiavano di restare schiacciati.

Quante tisichezze produrranno queste solennissime feste cattoliche e quanti tifi prodotti dalla agglomerazione di fiati, massime nelle sante stalle! — Ma che importa agl’Italiani d’andar curvi col gobbo dai baciamani e dalle genuflessioni cui li assoggettano i preti! Che importa la razza deteriorata e le paure suscitate dagli stessi, e che impiccioliscono ed avviliscono l’individuo! Quello che importa son le feste, coi loro apparati, organi, musiche, i loro canti da eunuchi. — Eppoi son così splendidi negli adornamenti, così incensati tutti quanti quei graziosi ministri del Carpentiere di Galilea, dal sagristano al papa! Ed il paradiso apertissimo a tutta cotesta canaglia lo contate per nulla? Il paradiso, veh! ove eternamente cantano gli angioli (non ridete, vi prego), ed ove eternamente vi bea il sorriso di [p. 173 modifica] Dio senza bisogno nè di mangiare nè di bere — ed ove per tali ragioni devono trovarsi pochi preti, unica fortuna del beatissimo soggiorno!

Quando si pensa a tutta quella massa di menzogne che sì spudoratamente spiattellano ai gonzi i sacerdoti dell’impostura, vien proprio voglia di rinnegare gli uomini di questa razza che non accolgono il prete a sputi, pugni o, meglio, anche a bastonate.

Era circa il meriggio quando le artiglierie di Castel Sant’Angelo annunziavano alle fedeli pecore esser la gran processione in procinto di muovere da Porta Pia per Borgovecchio verso la massima basilica.

Uno squadrone di dragoni, truppa scelta, bellissima gente, formava l’avanguardia, e mentre difilava il lunghissimo seguito di sacerdoti, di confraternite, di beghine, di graduati pontificii, ecc., lo stesso squadrone staccava dei singoli militi sui fianchi che coadiuvavano gli alabardieri in livrea a mantenere la moltitudine accalcata a destra e a sinistra e ad impedirle d’invadere lo spazio della strada che dovea percorrere la processione.

Il centro della lunga fila di ceri era occupato da due battaglioni di fanteria ordinati in colonna colle loro musiche in testa, e tra un battaglione e l’altro marciava un carro di trionfo riccamente addobbato e tirato da sei bianchi cavalli adorni di superbi arnesi. Il superbo padiglione che copriva il carro era sostenuto da quattro colonne [p. 174 modifica] inghirlandate con squisite dorature, ed i sedili dello stesso ricoperti di finissima e candida seta, abbarbagliavano nel fissarli. E su quei sedili? sedevano a destra e a sinistra due preti, ambi conosciuti da noi; a destra il generale dei gesuiti, ed a sinistra il più astuto di quella setta — monsignor Corvo — sul davanti un vecchio a bianca capigliatura sul volto del quale scorgevansi i segni dell’atroce tortura. Al posto d’onore stavan due donne coperte da bianco velo, e candidissimo era tutto il resto dell’abbigliamento. Dalla statura, dal portamento della persona e dalla corvina capigliatura, esse parevan sorelle; gli occhi e l’impronta degli anni era difficile discernere da lungi sotto il velo sottile. Ma da vicino, anche attraverso le maglie del mussolino, chi avrebbe potuto sostener la scintilla che sfavillava dagli occhi nerissimi delle due giovani trionfatrici? Chi eran desse? Lo sapremo presto.

La processione procedeva maestosa, solenne, com’al solito si eseguiscono le pompose mascherate della negromanzia, e siccome credo gl’impostori sian sempre stati gli stessi e colle stesse propensioni in tutti i tempi, mi figuro essere stato il mondo composto sempre di cretini e di furbi, dagli oracoli dei Greci agli aruspici dei Romani e sino ai roghi degli odierni chercuti. Diviso il mondo, dico, tra carogne e birbanti.

Ma che diavoleria è succeduta nell’ordinata, solenne maestosa processione dei preti! Che baccano nella moltitudine! baccano tale che nella [p. 175 modifica] folla, come energumeni, si precipitavan gli uni sugli altri, dimodochè, grandissima essendo la calca, i primi verso i processionanti spinti da quei di dietro si rovesciavan sui ceri, ed i ceri gli uni sugli altri, e questi sulle beghine, delle quali alcune accesero le gonne, altre le cuffie, infine un finimondo!

I preti poi, che per le beghine hanno la calamita, massime se giovani e belle, si lanciavan al soccorso delle loro predilette con un eroismo veramente degno dei tempi antichi di Roma. — E si raccontarono poi dei fatti di coraggio non mai intesi nelle storie sacre dai Maccabei a Ignazio di Loiola e Domenico di Guzman.

La catastrofe era stata cagionata dal grido di una delle due donne nel carro trionfale, e la voce che come un fulmine colpì la moltitudine, fu «Lina! Lina!» e questa voce era stata contraccambiata nella folla con quella di: «Marzia!»

E veramente, povera Marzia, essa avea riconosciuto l’amica quasi sorella ed accanto a questa il diletto del suo cuore, unica speranza nell’esistenza sua sventurata, non nominato da lei, ma compreso nel nome della bella alpigiana.

Lo arrovesciarsi poi della calca sugl’incappucciati e le povere beghine, aveva avuto origine dallo slanciarsi della Lina verso il carro, movimento che, seguìto dal robustissimo P..., avea spinto la moltitudine sulla processione.

Per colmo di disordine, vedevansi altri individui, all’apparenza ben maneschi, che cercavano [p. 176 modifica] di avvicinare il nostro P... colla sorella e probabilmente per aiutarli a menar le mani ove occorresse; questi altri non erano se non quella bagatella di Nullo e Torquato, da cui non lontano trovavansi Muzio con non pochi Romani; di quella gente che i fogli ufficiosi ed ufficiali chiamano amanti del disordine e che non sono in sostanza che insofferenti del privilegio e delle lussurie dei sedicenti grandi o ministri di Dio.

E guai! se quel movimento dei nostri fosse stato preparato preventivamente. Ne sarebbe risultato almeno un’insalata di chercuti, di beghinume, di sgherri che procedevano al sacrificio di due sventurate creature per la maggior gloria di Dio.

Maggior gloria di Dio! assassini del genere umano — e peggio che assassini, pervertitori e corruttori!

E le monarchie che sorreggono cotesti scarafaggi perchè li sorreggono? Non è forse per esser i preti gl’istromenti più idonei per lo spionaggio e la corruzione delle genti? E voi salariati lodatori e millantatori del consorzio monarchico-chercuto — ben lo sapete essere quelle le due lebbre dell’umanità. Ma quando la miserabile vostra coscienza, se mai ne avete una, vi accenna il servilismo schifoso degli atti vostri, voi allora posate la brutta di fango vostra penna sul ventre ed abbandonate l’anima al suo appetito.

L’avvenimento dell’entusiasmo mutuo delle due fanciulle, e la loro santa manifestazione d’affetto non ebbe altro seguito, tranne il grido disperato [p. 177 modifica] d’un prete francese, che, per motivo d’essersi un po’ indecentemente calcato sulla Lina, ebbe da Torquato tale un pugno sui fianchi che si lasciò cader svenuto dopo un «ahi!» dei più commoventi.

In altra circostanza sarebbe stato fresco il monarca della montagna, poichè oltre ad esser prete, la sua vittima apparteneva a quel clero insolente ultramontano, artefice della sventura della Francia ed onnipotente in Roma nell’epoca in cui scriviamo.

Però Torquato aveagli amministrato il pugno con tanta destrezza, e la folla era tanto folta che nessuno s’accorse del colpo, o se qualcuno, non bisogna poi credere che tutti sieno amici dei preti in Roma. Comunque, l’ex-brigante con alcune spinte di gomiti, ebbe presto il suo corpo non molto distante, ma fuori almeno dal campo di battaglia.

Birri a piedi, a cavallo, in militare, in borghese, spie nella stessa foggia, e agenti di polizia, preti-sagrestani, frati e simile canaglia, ebbero presto ricondotto l’ordine dopo una gran dose di paura.

L’ordine! — Un milione d’uomini scaraventati al macello nella guerra franco-germanica, per la gloire e l’equilibrio europeo, non l’han turbato l’ordine! — I loro scheletri, biancheggianti sul suolo della Francia, sono in ordine. — Cinque o sei milioni di famiglie precipitate nella miseria, nel lutto e nella prostituzione non turbano l’ordine! [p. 178 modifica]

Chi turba l’ordine, e lo gridan tutta la sequela dei gaudenti a squarciagola — sono pochi parigini mal intenzionati che rovesciano nella Senna una spia riconosciuta. — Gli operai di Londra che vogliono far prendere un bagno nel Tamigi a Haynau, il carnefice di Brescia e dell’Ungheria. — Chi turba l’ordine sono alcuni romani, che resa Roma all’Italia dopo diciotto secoli di abbominazione, chiedono che sia vietato ad uno scarafaggio di maledire l’Italia redenta. — Chi turba l’ordine è la società internazionale che ha l’audacia di voler la fratellanza di tutti gli uomini a qualunque nazione essi appartengano, che non vuole preti, non eserciti permanenti, non caste privilegiate!

E la processione proseguiva in ordine verso il maggior tempio dell’orbe — ed il popolo, come l’onda del mare affollavasi per accostarvisi — molti per curiosità e forse i più, e tanti per partecipare alla benedizione del Massimo degli impostori.

Non ostante l’immensa folla, a P... e a Lina che servivano come punto centrale ai nostri amici in quella tempesta umana, poterono questi avvicinarsi. Ciò però non servì che a sistemare alcune intelligenze sul da farsi nella notte, essendo di tutta impossibilità operare in tale giornata.

«Al Foro! al Foro!» fu la parola di convegno dei prodi campioni della libertà italiana, «al Foro, a due ore di notte», e con tali concerti presi si divisero nuovamente, essendo sui dintorni [p. 179 modifica] strabocchevole il numero di birri vigilantissimi sui disturbatori dell’ordine, ch’essi adocchiavano e che avrebbero arrestati in circostanza meno pericolosa.

Le superbe porte egizie del grandissimo tempio erano spalancate, come suolsi nelle feste solenni e dall’immenso colonnato perittero, si poteva scorgere il modesto erede del povero pescatore di Palestina, assiso sul suo trono d’ebano, tempestato di diamanti e d’oro, e vestito con tanto lusso, quanto ne potè inventare l’orientale magnificenza.

Civettara, il massimo dei sacerdoti, squadrandosi nella ricchissima sua tenuta con donnesca compiacenza, sorrideva alla stupida moltitudine, massime quando lo sguardo lascivo posavasi su qualche bella figura.

Polpute eminenze e monsignori formavano la destra e sinistra, su tre di fondo e seduti pure su banchi riccamente adorni in anfiteatro.

All’aria compunta e solenne di tutti questi magnati della malizia, avresti creduto esser eglino nell’atto di decidere qualche opera benefica a profitto dell’umanità sofferente — quando invece quei perversi eran lì riuniti per consacrare nuove menzogne, ed insidiare nuove sventurate creature, nell’intelligenza di far male, e beffandosi della vile canaglia che non li prende a sassate.

La processione procedeva verso il maggior altare, e verso il maggiore dei furbi. — I dragoni schieravansi in ala all’entrata del tempio, e gli alabardieri facean lo stesso nell’interno, [p. 180 modifica] dimodochè i servi di Dio, ministri dell’Onnipotente, sono sempre sotto l’egida di una provvidenza di ferro, sia essa nostrana o straniera. — Sarà anche per la maggior gloria di Dio, che i preti hanno tanta paura della pelle? E le legioni d’arcangeli colle loro spade di fuoco, pare preferiscano star lontani da questi puzzolenti chercuti.

Nell’emiciclo, alla sommità di cui stava il Papa, e proprio appiedi del suo trono, scorgevasi un inginocchiatoio con ricchi cuscini coperti da raso bianco, e questo inginocchiatoio, si capisce, era destinato per le due vittime — che al canto d’un Veni Creator e alla sinfonia d’un organo che faceva rimbombar i sette colli, discese dal carro trionfale, avanzavasi verso lo stesso, con in mezzo la contessa N. N. ed ai lati il generale dei gesuiti e Corvo.

Lo sventurato vecchio portava sulla sua canizie tracce incontestabili di terribili patimenti sofferti nelle torture, per avviar anche lui, povero diavolo, alla gloria del paradiso, e strapparlo al fuoco eterno dell’inferno, ove tutti gli ebrei e tutti i nati fuori del cattolicismo, devono piombar senza che ne possa scappar uno solo.

Nel fuoco eterno! mi capite, lettori — Eterno! eterno! sì! ed a cotesti inventori del purgantissimo ritrovato, se voi presentate un zolfanello acceso sotto la pulita del naso, essi vi staranno con quell’aria sorridente, con cui si contengono al cospetto d’un fiasco d’Orvieto, ed a lato delle loro amabili Perpetue — provatelo e vedrete. — [p. 181 modifica]I bianchi capelli del canuto, benchè fossero stati pettinati con cura, s’eran sconvolti al punto di sembrar l’anguicrinita testa di Medusa, in agitazione perenne. La fronte sua rugata come non si vide mai in creatura umana, era plumbea, e plumbee le sue guancie e smorte. Le labbra livide, e l’occhio, chi avesse potuto fissarlo da vicino, vi avrebbe trovato un miscuglio d’idiotismo e di disperazione.

E Marzia? povera Marzia! sì buona, sì bella, sì valorosa! costretta a mantenersi quieta in mezzo a quel branco di scellerati ch’eran pervenuti ad impadronirsi di lei!

Chi considerava attentamente il padre e la figlia, non poteva a meno di dire tra sè: Pare impossibile ch’esso possa esserle padre. — Saranno i patimenti, la prigionia, che tanto hanno contraffatto i lineamenti del povero vecchio. Ma essa, la giovane conversa, ha pochissima somiglianza col genitore. — Piuttosto essa sembra esser stata modellata dalla natura su quel bellissimo originale di donna che le sta accanto e che tanta cura si prende di lei, di cui sembra maggior sorella. E qui il lettore deve sapere che causa principale della quiete della nostra eroina, era una catenella, anche questa adorna dagli stessi colori del vestiario della fanciulla, e che la malizia dei suoi persecutori avea fatto maestrevolmente adattare alla cintura nella parte posteriore per mezzo d’un fermaglio. [p. 182 modifica]

Ora, quando successe l’inconveniente del riconoscimento delle due amiche, Marzia avendo promesso alla contessa che sarebbe stata savia, che non avrebbe cioè dato sfogo al ribrezzo ed allo sdegno che cagionavale l’atroce condotta de’ suoi carnefici: — Marzia, dico, era stata lasciata libera, e perciò avea potuto innalzarsi sulla bella persona scoprendo la Lina.

Dopo tal fatto fu affibbiata la catenella, e sino alla discesa nel tempio, l'infelice non potè più muoversi liberamente. — Ella mordevasi le labbra dal dispetto, e l’anima sua trovavasi in una situazione d’inferno. Le sue sofferenze, essa le avrebbe sopportate con quella fortitudine che corrispondeva al suo coraggio, ma la sorte del genitore, l’idea dei patimenti sofferti nei sotterranei dell’inquisizione, e lo stato di demenza e di disperazione in cui l’avean precipitato coteste iene chercute, ah! ciò dilaniava il suo cuore buono e generoso!

Si scese dal carro trionfale, ed i due futuri conversi furon trascinati verso il maggior degli scarafaggi, tra due lunghe file d’alabardieri e preti schierati a’ piedi dei magnati della bottega.

Qui mi fermo. Del racconto di quanto successe nella chiesa di S. Pietro alla conversione di Marzia e di suo padre, i devoti di tali stomachevoli cerimonie avran veduto un campione nella conversione del fanciullo Mortara, rubato dai preti ai parenti ebrei per farne un cattolico. [p. 183 modifica]

Usciamo dunque da questo fango dell’umana famiglia, e torniamo sul campo glorioso, e sul sentiero tracciato dai Mille coll’impronta della vittoria, ove la tirannide poteva contemplare que’ suoi indorati, pistagnati e piumati sgherri, fuggendo davanti a un pugno di prodi figli della Libertà italiana.



Note

  1. Ho pensato bene di adottare stalla in luogo di bottega dei preti, perchè significantissimo e di più suggeritomi da un contadino.