Dodici monologhi/Sul marciapiede di Aragno

Sul marciapiede di Aragno

../L'arte di farsi fotografare ../La voce IncludiIntestazione 3 gennaio 2013 100% Letteratura

L'arte di farsi fotografare La voce
[p. 115 modifica]

SUL MARCIAPIEDE DI ARAGNO.


[p. 117 modifica]
(Viene al proscenio in abito da passeggio. Guarda qua e là, curiosando. Poi s’avvicina a un tavolino di ferro, contornato da cinque sedie. Si mette a sedere: scansa una sedia su cui depone il cappello di paglia. Si tira due sedie sotto le ascelle e sulla quinta, davanti, poggia i piedi, battendo col pomo della mazza sul tavolino. Poi fingendo parlare a un vicino, dalla parte delle poltrone d’orchestra):


— Anche lei aspetta il cameriere?... da quando?... Appena da dieci minuti? Calcoli almeno altri venti e si chiami fortunato. Qui, sa, non bisogna aver furia. Già! son troppo signori. A momenti, non si sa neanche come chiamarli. Nè garçon, perchè è un francesismo, nè tavoleggiante, perchè puzza di osteria, nè ministro, come s’usa in Toscana, perchè fa ridere. Come si fa a dire: Ministro! portami un panino [p. 118 modifica]gravido? Un ministro non porta da mangiare: mangia lui. Neanche cameriere è appropriato: qui camera non c’è, e così non ci fosse neanche.... altrove. Come vuol chiamarlo, dunque? Adesso han fatto anche le leghe e si chiamano: i lavoratori della mensa.

Bello, ma lungo. Ehi, lavoratore della mensa! è un chilometro. E poi, chi lavora alla mensa, siamo giusti, non è mica lui: è quello che mangia: tanto più se gli dànno, come stamane a me, un arrostino di vitella, che pareva giusto un pezzo di mogano da lavorarselo a scalpello.

Dia retta, non si scalmani: è inutile svociarsi: tanto, non viene. Il caffè, la granita qui, creda, è un di più, un pretesto. Si viene a passare un paio d’orette, a dir bene del prossimo, ecco tutto. Lo so! vi sono degli stupidi che si stancano come asini, per veder Roma, e non vedono nulla: mentre qui, invece, si sta seduti, comodi, e tutta Roma passa davanti, come un cinematografo.

Ah, lei è nuovo di Roma? Non importa: qui passano tipi mondiali che, visti una volta, non si scordano più.

[p. 119 modifica] Vede quello con la barba sempre da fare? È il professore Labriola; uno dei più dotti, dei più eloquenti sopratutto, della nostra Università. Non gli manca che una cosina da nulla: la voce. È come una chitarra senza corde.

Quello accanto, dice? con gli occhiali d’oro? È un ex-ministro: ora di opposizione feroce come sempre, quando non è al potere. Non che sia ambizioso, tutt’altro: ma pare che la moglie, quando egli è senza potere, gli faccia passare una vitaccia da cani. Guardi, guardi, giusto adesso passa la signora in carrozza: eccola, vede, con quella massa di ricci biondi. Tutti suoi? Lo credo bene: e chi sa quanto li ha pagati. Signora di grande ingegno, capace di tutto. L’altr’anno, ha voluto fare un libro di bruttissimi versi e c’è riescita.

Quella ch’è insieme somiglia, sì; ma non è sua sorella: è la vedova d’un banchiere proprio fenomenale, che non era onesto, eppure è morto povero. I maligni dicono abbia messo tutto in testa a lei. Dopo tutto, era una restituzione: perchè anche lei metteva in testa a lui.

Vede quell’omaccione grasso e tondo [p. 120 modifica]che le saluta con una grande scappellata? Quello è un deplorato. Con quella salute scandalosa, era pieno di sofferenze. Ma lui è un gran filosofo. Quando scoppiò la burrasca, andò a fare un bel viaggio all’estero.

Tornò contento come un papa, e a un amico che gli chiese della sua scomparsa, rispondeva:

— Sono stato fuori.

— Toh! io ti credevo.... dentro.

Adesso ha fatto una società con un riccone.

— Lui mette il denaro, — dice, — io l’esperienza. A faccende finite, resterà a lui l’esperienza e i quattrini a me.

Guardi quell’altro, che gli stringe la mano.... sì, sì.... quel magro, segaligno: è un avvocato che aspira alla vita politica: scrive gratis nei giornali, per farsi un none. Intanto vive da signore. Ha una moglie belloccia, spiritosa, che riceve tutti i giorni dispari. Ma quando lei riceve, lui se ne va. Ah! la moglie sta bene: è ricca: vive d’entrate. E anche lui vive.... di uscite.

Le piacerebbe di vederla? Presto fatto: tutti i giorni, verso le quattro, va a [p. 121 modifica]villa Borghese, in un legnetto suo, con livrea e stemma sopra lo sportello. Già!... ma non ricordo bene: mi pare che ci sia una mano.... rampante in campo d’oro. Certo è stemma di famiglia, perchè anche la mamma era così.

Ma aveva più giudizio. Donna positiva, senza grilli nel cervello.

La figlia, invece, ogni tanto fa una passione, piglia una cotta tremenda per qualche personaggio in vista, e poi volta le cose in tragico, con tendenza al suicidio. Ogni tanto s’avvelena, per fortuna con sostanze innocue: magnesia, bicarbonato, sale di cucina. Tutto è buono. Giusto l’altro anno si avvelenò per quel signore laggiù, appoggiato al fanale.... Sì! quello con la caramella nell’occhio e il crisantemo all’occhiello. È un esteta di mestiere. Dicono che sia un mostro d’ingegno. Fa dei versi, dei romanzi con parole difficili e molte iniziali maiuscole. Ogni tanto fa delle conferenze gratuite con molti applausi, o rappresenta dei drammi fischiatissimi. Anche quello è un bel tipo. Vi sono dei fortunati al mondo che hanno molte buone avventure e se la godono, senza raccontarle [p. 122 modifica]a nessuno. Egli, invece, quando non ne ha, ne racconta una e se la gode lo stesso.

A proposito d’avventure, la vede, sopra l’altro marciapiede, quella signora alta alta, bionda, con due dita di cipria sulla faccia? Sì... quella vestita di chiaro, che entra adesso nel negozio di musica. Con quella lì, me n’è successa una veramente classica.

Me n’ero mezzo incapricciato, e confesso, via, che ne valeva la pena. La seguivo dappertutto, come l’ombra sua: alle passeggiate, ai concerti, al teatro, persino in chiesa. Finalmente, una domenica, verso sera, mentre la pedinavo al Pincio, con aspetto assai sentimentale, vedo che lei si ferma, si volta, mi guarda e con viso gentile mi fa cenno di avvicinarmi. Si figuri, con che palpitazione!... Mi accosto, balbetto non so che, e lei mi dice placidamente:

— Senta: lei mi assedia da un pezzo e tal situazione non deve prolungarsi all’infinito. Bisogna venire a una spiegazione.

— Non domando di meglio! — rispondo io, rinfrancato.

[p. 123 modifica] — Va bene: capirà dunque che conviene ch’io sappia che intenzioni ha.

— Oh! non dubiti: le mie intenzioni sono eccellenti.

— In tal caso, — dice lei, — mi parrebbe meglio smettere tutte queste manovre di strada o di altrove. Venga a casa mia.

— Ma posso?...

— Quando crede: venga pure domani alle quattordici, via tale, numero tale, eccetera. E ora a rivederla.

Non le dico in che condizioni emotive aspettassi l’ora del beato convegno. Mi aggiustai come il più abile dei bellimbusti: puzzavo di profumeria dalla testa ai piedi.... Dio mi perdoni, credo persino d’avermi dato un po’ di rosso sulle labbra, perchè l’ansia dell’aspettativa me le faceva scolorire. Insomma, ero una bellezza. All’ora indicata, salgo le scale, con un batticuore che lei può figurarselo. Suono: mi apre una cameriera, do il mio nome e mi introduce subito in un gran salotto, dove mi appare, sorridente e in piedi, la mia diva. Ma intorno a lei stanno seduti un vecchio e gagliardo signore con tanto di [p. 124 modifica]baffi bianchi, una signora veneranda con una cuffietta di merletti, un giovanotto bruno e alto, e un capitano di cavalleria. Pareva un tribunale.

Io resto tutto lì impacciato, ma lei dice disinvolta, presentandomi:

— La mia mamma, il mio papà, i miei fratelli: lei ora conosce tutta la mia famiglia, che è ben lieta di accoglierlo, perchè manifesti le sue intenzioni a mio riguardo.

Si figuri lei come rimasi. Non poteva mica dire a un capitano di cavalleria: — Sa, io avevo l’intenzione di.... chiacchierare un po’ con sua sorella!

Che cosa abbia cianfrugliato, lì per lì, non saprei più riferirlo. Ricordo solo che parlavo ogni momento della mia posizione poco sicura: che ci voleva un po’ di tempo.... che avrei fatto certi passi....

Nespole! pensavo che di passo in passo, sarei arrivato Dio sa dove.... Eh! sì lei ha un bel dire: — prudenza. — Si sa, l’uomo è cacciatore. Il guaio è che spesso, casca lui nel paretaio. Fatto sta, che, sudando freddo e caldo, dopo circa un’ora di supplizio, trovai la via dell’uscio. [p. 125 modifica]Quando fui all’aperto, meditai la soluzione. Scrissi una lettera, il giorno appresso, in cui dicevo che la mia sorte dipendeva tutta da un viaggio all’estero. E lo feci difatti; andai a Parigi per un po’ di tempo, ne diedi una calda e una fredda; in ultimo, scrissi che le mie speranze erano fallite, che il mio sogno era distrutto, che sarei finito non so dove, per la disperazione.

Tornai, ma rimasi un pezzo a Firenze. Finalmente, un amico, a giorno della cosa, mi scrisse che potevo rimpatriare liberamente: la signora bionda aveva preso marito.

E sa chi ha sposato? Un fabbricante di automobili: per cui la mia tranquillità è tutt’altro che perfetta. Quello lì, per far piacere a lei, un giorno o l’altro mi mette sotto.

Guardi giusto quei due automobilisti che gareggiano, in pieno Corso. È un’infamia che non si dovrebbe permettere.... Ah! lo dicevo io.... Hanno messo sotto qualcheduno.... Ecco le guardie, i carabinieri, mancomale! (alzandosi in punta di piedi e poi salendo sopra una sedia, per guardare in fondo). Guardi la gente come [p. 126 modifica]si accalca. Ah! pare non sia gran cosa. È un giornalaio.... vedo che si pulisce la giacca.... un ruzzolone e null’altro. Adesso vado a informarmi. Con permesso (va e torna).

Senta: se venisse il cameriere, abbia la bontà di ordinare anche per me.

Lei che cosa prende?... Ah no, il medico mi ha proibito la birra.... e anche liquori e caffè.

Mi ordini un bel bicchiere d’acqua.... (va via di furia; poi retrocede).

Fresca! (via).