Dodici monologhi/La paura del coraggio

La paura del coraggio

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Dodici monologhi La mano dell'uomo


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LA PAURA DEL CORAGGIO.


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(Entra sulla scena a precipizio, con tutti i segni del panico. Fa cenno agli spettatori di conservare un silenzio assoluto. Guarda, cauto, dalla parte dove è sbucato e con la mimica sembra accennare che due brutti ceffi gli avevano teso un agguato, ma che ora si allontanano.... sono scomparsi.... respira!... No, ritornano!... Altro spavento. Ah no! è un falso allarme. Altro respiro di sollievo.)


— Ora, ora, un momento e poi vi conto tutto. (guarda ancora di dentro) Si sono squagliati.... Dio, che cosa! sembravo un velocipede: il guaio si è che mi sento (si tasta i ginocchi) sgonfiare i pneumatici. Che cosa facevo? Scappavo a rotta di collo. Per paura? Oh come vi sbagliate! Scappavo per troppo coraggio. Tremo tutto? Sfido! tremo per troppo coraggio. (guarda c. s.) Oh Dio, ritornano!... No: è uno spazzino. Ma guardate che fatalità! Alla distanza di un [p. 4 modifica]anno preciso, lo stesso giorno, la stessa ora, nello stesso punto, identico, trovo due faccie da galera; sto per dire gli stessi grugni. Che cosa avreste fatto al mio posto? Affrontarli? affrontarli, dopo quello che mi è successo un anno fa?... Ma siete matti o non sapete nulla. Ah! non sapete?... E allora vi dico tutto, perchè impariate, cari miei, che a questo mondo non si scappa mai abbastanza.

Ecco: era una notte, proprio come questa: e alla stessa ora uscivo di casa per andare al caffè del Centro, dove tutte le sante sere perdo due lire a scopa. Alla svoltata dei Cappuccini, punto sempre deserto e piuttosto buio, travedo due di quelle figure che poco piacciono, a certe ore di notte. Cambio di marciapiedi, tenendoli d’occhio e cambiano anche loro. Rivò dall’altra parte e fanno lo stesso gioco. Ohi! qui ce l’hanno proprio con me? E allora cavo un revolverino americano, un cosino così, che pare un astuccio di pipa, e vado avanti: perchè io non ho mai avuto paura di nessuno.

Quei due briganti fingono di scansarsi e invece, quando sono a tiro, mi [p. 5 modifica]mettono in mezzo e mi piantano davanti due coltellacci lunghi così. Il sangue mi va alla testa, alzo il braccio e sparo. Mica volevo ammazzare nessuno: soltanto spaventarli. Invece, che volete! uno cade, urlando; l’altro scappa a precipizio.

Resto lì un momento sbalordito, e poi dàgli anch’io a scappare. Perchè? non saprei dirvelo: fatto è che piglio giù di corsa verso il Politeama.

Finiva giusto il secondo atto. La gente che usciva sente lo sparo, vede uno che scappa col revolver in mano, mi si butta addosso, mi blocca, mi afferra, io casco, mi trascina, mi strappa le vesti, mi tempesta di calci....

C’era, mi ricordo, un gobbaccio maledetto che strillava come una papera: Boia d’un assassino, infame!

Arrivano due carabinieri e la massa urlava: Lassù c’è un morto e l’assassino l’abbiamo agguantato noi.

E intanto il gobbo vigliacco mi dà un pugno sul cappello a cilindro e me lo fa scendere sin qua; sicchè a un tratto divento cieco, muto e sordo; tanto sordo che ho sentito appena una pedata [p. 6 modifica]proprio nel.... momento che tentavo di rimettermi in gamba.

Finalmente non so chi mi leva la visiera e mi trovo in una mucchia di gente, afferrato per i polsi dal maresciallo.

— Come vi chiamate? chi siete?

Parola d’onore mi avevano ridotto in uno stato tale che neanch’io sapevo più chi fossi. Pure, raccolsi fiato e memoria e risposi:

— Sono il commendatore Tal dei tali, professore di diritto all’Università.

— Ah, date anche un nome falso?

— Ma no, — gridò una voce, — è proprio lui!

Era, per fortuna, il proprietario del Politeama, bravissima persona, che mi conosce di vista.

— Ma come, — fece il maresciallo, — un professore che fa l’assassino?

— Ma no, santo Dio! mi lascino spiegare. Io venivo giù da casa mia, quando alla svoltata.... E racconto alla meglio. Sembravo, in mezzo alla folla, il cantastorie che narra le gesta di Mastrilli. Intanto un brigadiere di pubblica sicurezza tornava dal luogo del delitto, chiamiamolo così, e diceva:

[p. 7 modifica] — Il ferito è quella canaglia del Marengoni, detto il Barudda.

— Ma allora è proprio vero quel che dice il professore! Come! lei ha messo a terra il Barudda? un vero brigante! È morto almeno?

— Non pare, — dice il brigadiere, — eh sì! hanno la pelle dura!

Mi fa il maresciallo quasi abbracciandomi:

— Ma lei ha fatto un’opera santa! Se tutti i cittadini fossero come lei! ma lo sa che merita una medaglia d’oro?

E quella vigliacca di folla, compreso il gobbo:

— Bravo professore, le faremo un busto in municipio.

E io, — anche l’uomo più coraggioso ha dei momenti di vigliaccheria, — facevo inchini di modestia, come a dire:

— Eh! si fa quella revolverata che si può.

Intanto cercavo di aprirmi un varco per andare al caffè, quando il brigadiere mi attraversa il cammino:

— Perdoni, professore! ma capirà.... c’è un ferito.... bisogna, che lei arrivi un momento in questura.... Sa, per mio discarico; ma è affare di cinque minuti.

[p. 8 modifica] E lì si forma una specie di processione, e si attraversa mezza città. Sentivo dire dai bottegai, con mia grande vergogna:

— Dev’essere uno di quelli che spacciano biglietti falsi! Possa finire sulla forca.

Finalmente si arriva in questura; manca giusto.... l’ispettore di servizio.

— Ma guardi combinazione! è proprio l’ora che di solito è in ufficio. Ci sarà qualche affare di premura, ma, certo, arriva a momenti. Intanto, abbia la bontà, entri in camera di sicurezza. Perdoni, sa; ma è una formalità.

E mi chiudono a chiave in un camerotto buio, dove sento un odorino acuto di.... acqua di Colonia.

— A momenti arriva! Ma intanto rimango lì un paio d’orette. Finalmente un usciere, o secondino che sia, spalanca l’uscio e mi porta dall’ispettore. Lì, devo dare nome, casato, paternità e ricominciare la storia:

— Erano le dieci quando io uscivo di casa per andare, ecc.

Finita la litania, l’ispettore alza gli occhi e mi domanda a bruciapelo:

[p. 9 modifica] — Tutto va bene, ma dica: può produrre testimoni?

— Ma se non c’ero che io solo, solo!

— Non metto in dubbio le sue parole, ma se si procurava almeno un paio di testimoni, creda era meglio. Del resto il Barudda è uno dei grassatori più pericolosi. Se tutti fossero come lei! Ma lo sa, che meriterebbe una statua?

— Non domando tanto: vorrei solo tornare a casa perchè, capirà, la famiglia starà in pena.

— Lei ha ragione, ma dica: ha il suo porto d’arme?

— L’ho a casa.

— Male! e poi vede? il revolver è di corta misura. Sa: io non posso assumere responsabilità. Se no, poi ha da sentire i giornali! Arbitrio di là, arbitrio di qua!... Insomma bisogna che io la deferisca all’autorità giudiziaria: ma non si alteri, è questione di ore.

— Non posso dunque tornarmene a casa?

— No! purtroppo: ma domattina, appena arriva il giudice istruttore.... creda, questione di minuti.

[p. 10 modifica] — Ma potrei almeno avvertire la famiglia?

— Che ci posso fare io? è procedura: non può comunicare con nessuno. Ma m’impegno io.... Non dubiti.... dorma pure tranquillo....

E intanto a forza di gentilezze, dà ordine che mi chiudano in torre. Sì, o signori! Io professore, io commendatore, io meritevole di una medaglia d’oro, di un busto, di una statua, per aver quasi liberato la società dal famigerato Barudda, io che ho scritto dei libri tradotti in tedesco, sono a mia volta tradotto.... in camera di custodia! Dio, se ci penso mi vien la pelle d’oca! Figuratevi uno stanzone fetido, con un tavolaccio, già occupato da tre animalacci troppo visibili e da non so quanti animaletti invisibili di più vario genere.... (si gratta in testa e altrove) Sbarrato l’uscio, quei tre animaloni si svegliano e sento certe vociaccie di cichettaro:

— Oh abbiamo un collega! ci hai portato del tabacco?... chi sei?... come ti chiami?... Parrebbe un novizio!

Io raccolgo tutta la mia dignità di [p. 11 modifica]professore, di commendatore, e ribatto con fierezza:

— Non permetto simili confidenze! Sono un signore e sono un galantuomo. Mi trovo qui, per un.... non so neanche io come chiamarlo. Alle dieci.... ecc., alla svoltata dei Cappuccini, eccetera.... bum! e ferisco uno che si chiama pare il Barudda.

Che vi ho da dire? Parevano tre iene.

— Ah! brutto maialone! Sei dunque uno di quei cani che dànno fastidio alla brava gente? Mò ti aggiustiamo noi!

Credete che avessi paura?.... Ma che, mi sentivo di strozzarli tutti e tre. Ma pensai: Se tanto mi dà tanto, finisco all’ergastolo.

E allora facendo una faccia da ridere, ebbi la codardia di raccontare che invece mi avevano arrestato perchè avevo tentato di strappare l’orologio a uno di quei furfanti di signori che si permettono di portare una catenella. Quelle tre faccie da galera si spianarono: uno di essi mi pose la sua manaccia qui, sulla spalla, mugolando:

— Lo dicevo io che era un novizio! [p. 12 modifica]Adesso ti insegno io, come si fa. Sta bene attento.

E lì dovetti imparare come si ruba un orologio senza dar sospetto. Un professore di diritto che prende una lezione di rovescio!

Non vi dico come passai la notte. Ai primi albori bussai all’uscio come un disperato. Venne il guardiano a darmi la bella notizia che i giudici istruttori vanno all’ufficio soltanto alle dieci, ma non mai prima di quelle undici che per solito battono a mezzogiorno. E fu proprio alle dodici che venni accompagnato davanti a un signore arcigno, che non mi guardò neppure in faccia e disse a uno scriba:

— Prendete il processo a carico del professore commendator Tal de’ tali.

Poi a me con voce severa:

— Dica un poco: che cosa faceva lei alle dieci di notte nella discesa dei Cappuccini?

— Niente: uscivo di casa al solito per andare al caffè, eccetera.... due lire a scopa.... cambio marciapiede, eccetera.... due coltellacci lunghi così.... bum! e giù tutta la storia!

[p. 13 modifica] Il giudice rimane zitto, si gratta la fronte e poi:

— Uhm! la cosa, vede, non è tanto chiara. Vi sono delle contradizioni. Lei dice: «Mi vennero di fianco». E poi: «Me li ho trovati a faccia a faccia». La faccia non è il fianco! Prima dice che l’intenzione era di sparare in aria. Poi afferma che il revolver era a bocca giù. Bocca giù, o bocca su?

E io con una pazienza di santo:

— Erano di fianco, ma poi si portarono di fronte, uno di qua, l’altro di là. E poi che vuol che sappia di bocca giù o bocca su; se ho sparato a caso!

E lui:

— Mi pare un po’ strano che un uomo come lei spari a casaccio....

A tal punto, francamente la pazienza mi scappa:

— Ma allora, secondo lei, io avrei aggredito questo Barudda per prendergli borsa e orologio? lo dica apertamente senza reticenze!

— Via, via non si alteri; anzi io riconosco che lei ha fatto un’opera di cittadino valoroso e che meriterebbe....

[p. 14 modifica] — Me lo aspettavo: un monumento equestre!

— Ma intanto il processo per l’arma proibita, caro lei, non si scappa; quindi lo rilascerò in libertà provvisoria; purchè sia sempre a disposizione della giustizia, anche perchè bisognerà identificare il compagno di Barudda. Per ora, vada pure.

Ma questo vada pure me ne ha fatto fare dei passi!

Prima di tutto, la famiglia in orgasmo e la moglie con le convulsioni. La cura m’è costata un patrimonio. Poi, con quel contatto su i tavolacci, mi era uscito uno sfogo che pareva proprio quella faccenda.... che si gratta: e non se n’è andata che a furia di petrolio. Tra esami e confronti, sarò salito al palazzo un centinaio di volte. Non si arrestava un mascalzone, che non mi chiamassero a dire se era o non era il compagno di Barudda. Poi, processo, avvocati e multa per l’arma proibita; insomma ci ho rimesso di salute e di saccoccia, perchè? Per aver avuto la disgrazia di compiere un’azione di coraggio che doveva procurarmi una medaglia d’oro, un busto [p. 15 modifica]in municipio, una statua e forse un monumento equestre.

D’allora in poi, se due ladri mi fermassero, direi loro:

— Signori belli! ecco qua tutto quanto ho indosso, ma se vogliono favorire in casa c’è anche di meglio.

Anzi a questo proposito me ne è successa una.... (ogni tanto, gli scappa, parlando, uno scoppio progressivo e convulso di risa) Una notte, tardi assai, con un tempaccio da lupi, con la testa sempre piena di Barudda, svolto il cantone di via dell’Arancio, e piglio di petto un uomo il quale borbotta non so che. Io eccitato, a scanso di malanni, metto la mano nel taschino dicendo:

— Fermo e zitto, chè qui c’è l’orologio!

Allora egli, con moto convulso, mi mette in mano qualche cosa e scappa come il vento. Guardo: è un orologio con catena d’oro.

Il ladro ero io!

Gli corro appresso, urlando:

— Senta una parola!

Quello si volta e mi scaraventa sul naso un oggetto che afferro al volo. [p. 16 modifica]Era.... un portafoglio. Basta, a furia di gridare: — Lei si sbaglia!... ripigli la sua roba! — l’ho fermato vicino all’uscio di casa sua.

Mi ringraziò, mi abbracciò, e conchiuse:

— Se ne incontrano di rado dei ladri così galantuomini!

E ha ragione! tanto vero che, di notte, quando vedo due ignoti e fermi sul marciapiedi, io me la batto. Ma che dico «vedere!» Mi basta soltanto di sentire uno scalpiccio di quattro piedi.... (con espressione di panico) pssst.... non sentite anche voi?... (Si mette ad origliare, sempre con smorfie di paura come da principio) Non c’è dubbio!... proprio due.... che vengono in giù.... Barudda e compagno! (Fa cenno come a dire: Io qui non ci sto! vi saluto di premura e scappo di furia).