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I. III.

[p. 9 modifica]II. Non appena di Firenze si muove alla volta di Bologna, che il Mugello in mezzo agli Appennini dischiude la sua fertile valle. Da remotissima etá gli Ubaldini signoreggiarono quivi nei loro castelli di Feliccione, di Pila, e di Monte-Accianico. I conti Guidi vi ebbero San Godenzo a pie’ dell’enorme sasso di Falterona; dall’opposto fianco del quale nasce Arno ed irriga il Casentino. Questo fu sottomesso parimenti alle loro leggi; ed essi vi fermarono le sedi lor principali nei castelli di Porciano, Poppi e Romena. Il loro stato si dilatava negli Appennini che toccano la Romagna. Erano i conti Guidi padroni di gran parte del cammino da San Godenzo alle sorgenti del fiume Lamone il quale giunge a Faenza, e sovra cui giace la giá loro Marradi. Ad essi ubbidiva un altro fiume che scaturisce alle spalle di San Godenzo; in prima placido e lento, e però detto Acqua Cheta ovvero dei Romiti: precipitato poscia nella valle della badia oggi pressoché distrutta di San Benedetto in Alpe, si fa cruccioso e minaccia. Cangiata l’indole, perde il nome; né piú chiamasi che Montone: arricchisce le campagne di Dovadola, che appartenne ai conti, e bagna la cittá di Forlì. Da San Godenzo e da Falterona, i medesimi Appennini costeggiando il Casentino si allungano per quindici miglia fino a Montecoronaro: altezza, dalla quale discendono il Tevere nel Tirreno, il Savio e la Marecchia nell’Adriatico. Feconda il [p. 10 modifica] Savio i territori di Bagno e di Montegranelli, vetusto patrimonio dei conti: divide in due il contado vescovile di Sarsina, che giá fu sovrano ed appellossi di Bobbio: dopo lunghi avvolgimenti, per la cittá di Sarsina si affretta il Savio di arrivare a Cesena. La Marecchia è l’Arimino, parallelo a cui scorre il minor Conca o Crustumio: mettono in mare, quello non lungi da Rimini, questo dalla Cattolica. Nelle balze di Montecoronaro, dove i tre fiumi hanno umil principio, nascondeasi fra i boschi la badia Camaldolese di Santa Maria del Trivio; ricca giá di castelli, dei quali non si dee tacer Selvapiana. Se dalle rovine di tal badia t’incammini lungo il Tevere fino alla Pieve di Santo Stefano, e se di qui ti drizzi a levante verso Sestino, l’Isauro ti svelerá le sue fonti: oggi chiamasi Foglia: perviene alla meta vicino a Pesaro. Da esse vedrai pendere sulle rupi l’aerea regione del Monte Feltro. Che se non ti rivolga nuovamente alla Pieve di Santo Stefano e seguendo il Tevere arrivi a Borgo San Sepolcro ed a Cittá di Castello, dall’uno e dall’altro luogo potrá vincere l’erta dei gioghi che sovrastano al fiume. Fra le angustie di questi sono Carda ed Apecchio; alla morte di Federigo II appartenevano a Tano Ubaldini che nacque di Azzo, figliuolo di Ubaldin della Pila. Superate le strette dei monti, ecco la Massa Trabaria, di cui è capo Castel Durante ora Urbania; in questa contrada sgorga il Metauro che finisce a Fano: dal Metauro brevissimo viaggio ti riconduce lá, donde partisti, alle fonti del Foglia ed al Monte Feltro. Non di rado appo gli antichi scrittori fu questo confuso con la Massa Trabaria; e talora malamente attribuito alla Marca di Ancona. Il Savio a borea, i piú scabri Appennini ad occidente lo separano dalla contea bobbiense: la Massa Trabaria e l’Urbinate lo cingono a mezzogiorno: ad oriente lo termina la bella Emilia pianura, cui verso Rimini e Pesaro dolcemente il Monte Feltro accenna e s’inclina. Lo attraversano la Marecchia il Conca e l’Isauro: gli diè il nome l’alpestre scoglio, che si erge sulla Marecchia, e cui preme il dorso la cittá Feltria o Feretrana. Cosi chiamavasi quella che oggi si dice sol di San Leo: l’andarvi è sì malagevole, che a Dante parve l’una delle piú [p. 11 modifica] difficili prove (Purg. IV, 25). Di contro a San Leo, a sinistra della Marecchia, fan mostra di sé Castel d’Elci e Sonatello, fortezze dei Faggiolani: a destra. San Marino libera terra, e Macerata Feltria cui nella metá del secolo tredicesimo proteggeva il comune di Rimini.