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L’età della crisi


Una questione senza dubbio singolare e forse nuova occupa e preoccupa i casisti contemporanei di psicologia, tradotta sopratutto in argomento di letteratura: entro quali termini di tempo deve essere chiuso il diritto all’amore? fin dove possono, le labbra, tradurre in un bacio il desiderio o le nostalgie del cuore senza diventare grottesche?

La questione riguarda soltanto la parte femminile del genere umano. È convenuto che gli uomini possono protrarre indefinitivamente l’esercizio della galanteria intraprendente con diversa fortuna, sì, ma senza cadere mai nel ridicolo. Di fronte ai numerosi autori che hanno trattato la questione dal punto di vista femminile — Maurice Donnay nell’Autre danger, [p. 74 modifica]Pierre Wolff nell’Age d’aimer; Marcel Prévost nell’Automne d’une femme; e prima di tutti costoro Gerolamo Rovetta in Mater dolorosa e Guy de Maupassant in Fort comme la Mort — un solo scrittore ha esposto il dramma del tramonto maschile ancora intenso d’ardori in contrasto colla fresca giovinezza dal fascino irresistibile: Max Dreyer nell’Età critica e ancora, il dramma, letterariamente magnifico e umanamente profondo, non aveva la tristezza mortale di tutti i drammi femminili corrispondenti per il fatto essenziale che il tramonto dell’uomo, se può nei singoli casi complicarsi di contrasti sentimentali magari tragici, non ha mai in sè il carattere d’irrevocabilità che accompagna sempre il tramonto della donna e la fa un poco premorire.

La questione è stata ripresa adesso, sotto un altro aspetto, da una scrittrice nordica, Karin Michaelis, in un romanzo recentemente pubblicato e intitolato: Das gefährliche Alter: L’età pericolosa.

Secondo questa autrice, l’età pericolosa per la donna è fra i quarantacinque e i cinquanta anni. Quello che s’è convenuto di chiamare il temperamento — febbri, nostalgie, desiderî, bisogni — si sveglierebbe quando appunto le [p. 75 modifica]attrattive femminili sono tramontate o stanno tramontando per sempre. Dramma terribile se davvero rispondesse a una realtà generalizzata.

Il romanzo dell’autrice nordica tende appunto a questa dimostrazione generalizzatrice. La favola che vi è narrata — la storia d’una povera donna che è stata per vent’anni sposa e madre fedele, devota, serena e che a un tratto, suonati i quarantott’anni, s’innamora di un ragazzo e lo segue abbandonando per la febbre nuova marito, casa, figli, abdicando il passato, perdendosi per sempre — non avrebbe in sè che il valore d’un caso singolare che potrebbe anche rilevare dalla crisi fisiologica e interessare, in questa ipotesi, più il ginecologo che non lo psicologo.

Ma la protagonista del dramma che è narrato nel romanzo si diffonde in esposizione di teorie che vogliono essere dimostrative ed estendere a miseria pietosissima e legittimare la sua tarda rivolta pazzesca in un comune diritto alla follia. Ne deriva, al libro, un carattere polemico che ha suscitato in Germania e nei paesi Scandinavi discussioni infinite e procurato alla sua autrice una improvvisa fama fortunata.

In realtà, l’arrischiato soggetto trattato dalla [p. 76 modifica]Michaelis non è suscettibile di venire assurto a teoria. Fortunatamente, noi ci permettiamo di soggiungere, perchè sarebbe davvero troppo triste che ogni donna dovesse paventare, per l’ora del suo crepuscolo, l’insidia ineluttabile capace di travolgere tutto un passato di serenità e di onestà.

La realtà è meno desolante e meno romantica: potrebbe venir tradotta presso a poco in questa norma: ogni donna ha il tramonto della sua giornata. Se la giornata fu pacata e serena e trovò la luce chiara della tenerezza al suo inizio e al meriggio l’ardore del sole che maturò pel suo tramonto i frutti — se una donna compì intero il suo destino di sposa amante e riamata, di moglie, di madre — tranquillo e rassegnato è il suo tramonto che un naturale bisogno di riposo accompagna.

Il crepuscolo dalle rivolte inutili e dai gesti disperati non è nemmeno quello che un ardore troppo intenso bruciò: la fiamma consuma e anche la passionalità sa la stanchezza derivante dalla sua stessa intensità: hanno tramonti color di viola e d’oro le giornate riarse tutte dalla vampa ardente del sollione, tramonti velati di malinconia suggestiva e illuminati quasi sempre da una luce vivida di bontà — perchè l’amore insegna la bontà. [p. 77 modifica]

I gesti disperati e le rivolte inutili appartengono alle giornate che furono tutte caliginose e che soltanto all'estremo crepuscolo il sole illuminò per un attimo comparendo tra le squarciate nuvole prima di tramontare definitivamente, scomparendo ancora quasi subito seguito da una lunga vibrazione di nostalgie, di desideri, di rimpianti. Appartengono alle esistenze che troppo tardi conobbero l'amore, quando già le rose del volto impallidivano e le forze erano ormai stanche; alle povere vite femminili che ebbero la rivelazione della divina gioia contemporaneamente alla constatazione della propria decadenza inesorabile.

Quando avvengono in queste condizioni, i gesti di rivolta disperata diventano tragedia e ispirano profonda pietà. Anche magnifico soggetto di indagine e materia viva di interessante narrazione essi possono diventare, purché l'autore si accontenti di essere il notomizzatore di un'anima e non pretenda di fare — come la Michaelis ha fatto — di un caso speciale l'esponente di una legge o la dimostrazione di una teoria.

Questa teoria generalizzatrice che vorrebbe porre una crisi inevitabile all’orizzonte [p. 78 modifica]estremo di ogni sistema femminile ha tanto minor ragione di esistere in quanto che la età nostra ha protratto di molto, per la donna, il termine della età di amare.

Una volta, quando la fanciulla andava sposa appena uscita dalla adolescenza ed era madre a sedici anni e nonna a trentaquattro, dopo un seguito ininterrotto di gravidanze e di allattamenti, era diffìcile trovare una donna di quarant’anni che conservasse ancora un fascino di giovinezza e ancora potesse essere la eroina di un romanzo d’amore.

Difficile nella vita, impossibile nella letteratura. Le vedove di Scribe hanno tutte venticinque anni, le innamorate dei romantici anche meno, e parve una rivoluzione l’audacia di Balzac che metteva di moda la donna di trent’anni, inverosomiglianza quella del Bourget che iniziava l’autunno della donna dalla quarantina e a questo autunno dava ancora fascini e seduzioni sovente non meno profonde di quelle suggerite da una giovinezza trionfatrice.

Oggi, di questi protratti limiti concessi alla giovinezza della donna, nessuno si meraviglia più. Tutti sanno che la cifra di un’età è assai spesso in contraddizione colla realtà delle cose [p. 79 modifica]e per stabilire se una creatura va collocata ancora nel meriggio piuttosto che nell’autunno della vita, s’interroga il suo viso anzichè chiedere i suoi anni.

Una donna di cinquant’anni è positivamente vecchia rispetto alla durata media della vita, eppure s’incontrano ogni giorno delle quinquagenarie che sono ancora non soltanto piacenti ma amate e desiderate con ardore di passione. E se essere giovani significa essere desiderabili — e questo appunto significa — chi vorrà negare che codeste quinquagenarie trionfatrici del tempo siano ancora lontane dal definitivo tramonto?

Anche Jean Finot constatava in uno degli ultimi numeri della Revue, questo prolungamento della giovinezza della donna e il conseguente protratto limite dell’età d’amare. Cercare la genesi di questo fatto sarebbe certamente interessante. Noi ci limitiamo a constatarlo e a considerarlo, rispetto alla donna, la rivendicazione di un criterio di giustizia.

Tutte le discussioni intorno all’età d’amare ci sono sempre sembrate almeno superflue. Per questo, che il limite oltre il quale il diritto al completo amore decade, è stato fissato provvidamente dalla natura. [p. 80 modifica]

L’età della crisi fisiologica per la donna, l’età del tramonto della virilità per l’uomo, segnano codesto limite. Più in là, è il dominio dello spirito dove il sentimento può ancora trovar posto ma dove la passione è spenta per sempre.

Oltre quell’ora e quel limite, ogni gesto di rivolta ha sapor di grottesco, ogni sforzo di resistenza diventa ridicolo e vano. Ma oltre quell’ora soltanto. Più in qua, chi oserebbe affermare altrettanto? Fin che natura concede alla donna il diritto alla maternità, chi vorrà negarle quello d’amore?