Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli sopra la prima Deca di Tito Livio/Libro secondo/Capitolo XII

Capitolo XII

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CAPITOLO XII

[S’egli è meglio, temendo di essere assaltato, inferire o aspettare la guerra.]

Se nel presente Discorso si trovano esempli assai nell’una e l’altra opinione, ci sono anche ragione assai che fanno el caso sí dubio, che non è di facile resoluzione, ed a volerlo bene deliberare ha bisogno di molte considerazione che sono state pretermesse dallo autore. Perché non basta sola quella distinzione: o io ho e’ sudditi armati o e’ sono disarmati; ma è necessario pensare piú oltre: o e’ popoli miei sono fedeli o e’ sono inclinati alle ribellione; o le terre sono forte o le sono debole; o io posso, ancora che io abbia la guerra in casa che mi consumi le entrate, in quanto al danaio sostenerla lungamente, o io non potrei reggerla. S’ha ancora a considerare le condizione dello inimico, cioè che milizia ha, che paesi, che entrate, che modo a sostenere la guerra in casa, che modo a farla fuora di casa; perché el governo e tutte le azione della guerra s’hanno sempre a regolare secondo le qualitá e progressi dello inimico. È ancora differenzia, quando io aspetto guerra da altri, el dire: io la porto a casa sua; el dire: io esco del mio paese e rincontro lo inimico fuori del paese suo (e questo è lo esemplo del re Ferrando). È differenzia el dire: io comincio la guerra in sul suo innanzi che lui l’abbia cominciata a me; a dire: io ho giá la guerra in casa, ma per constrignere lo inimico a partirsene io la comincio anche in sul suo; come fe’ Scipione quando Annibale era in Italia, come fece Agatocle assediato da’ cartaginesi, come e’ fiorentini tante volte nelle guerre fatte loro da’ Visconti. E quanto a questo ultimo caso io giudicherò sempre che chi ha la guerra in casa, se ha opportunitá nel tempo medesimo di cominciarla in quello dello inimico, lo [p. 52 modifica] debba fare; perché essendo cosa inaspettata, disordina tutti e’ disegni dello inimico, ed ogni piccolo successo che vi abbia, lo constrigne a ritirarsi con tutte o con parte delle forze sue a difendere casa sua; ed interviene come de’ remedi che usano questi fisici a curare le infermitá, tra’ quali sempre la diversione è giudicata remedio potente e molto approvato.

Resta la resoluzione degli altri casi, ne’ quali procedendo per distinzione, dico che quando lo inimico da chi tu temi la guerra ha piú esercito e piú potenzia di te, che tu non puoi pensare di fargli la guerra in casa, perché bisognano molte forze e molte opportunitá a portare la guerra a casa di altri, le quali non sono cosí necessarie a chi fa la guerra in casa sua, perché si serve del favore del paese, de’ sudditi e delle difficultá degli inimici, co’ quali rimedi può andarsi temporeggiando; ed in questo grado era el re Ferrando, el quale non poteva mettere in campagna esercito pare a quello delli inimici. Ma quando tu ti senti e di gente e di danari e dell’altre opportunitá della guerra pari allo inimico, ed ordinato di quelle forze che sono necessarie a fare guerra in casa sua, io sarei inclinato a consigliare di non aspettare la guerra a casa propria, perché, vincendo, el premio è maggiore, potendoti portare quella vittoria facilmente lo acquisto del regno di altri; dove la vittoria in casa tua non ti porta altro che la liberazione del tuo stato; perdendo, el danno è minore, perché non perdi altro che quello esercito, ed hai piú tempo a rifarti; dove, perdendo in casa, se lo inimico accelera la vittoria, come potette fare Annibale a Canne, come a’ tempi moderni Paolo Orsino a Ladislao, el duca Giovanni al re Ferrando, una giornata è bastante a farti perdere lo stato.

Portando la guerra a casa lo inimico, hai giá disturbato el disegno suo di fare la guerra in casa tua, hai impedito le preparazione necessarie a questo effetto, in modo che, etiam vincendoti, ha bisogno di tempo e di nuovi ordini a venire a guerreggiarti in casa, il che ti dá spazio a riordinarti e rifarti. E tanto piú facilmente aderirei a questa conclusione, quanto io vedessi lo inimico non avere paese forte, o non avere sudditi fedeli, o [p. 53 modifica] condizionato lo stato in modo che facilmente si potessi disordinargli le entrate, o essergli difficile, se avessi una rotta, a rifarsi in breve spazio di tempo. Veggo che sempre e’ romani quando potettono prevennono le guerre a casa altri, contro a Filippo re di Macedonia, contro a Antioco, contro a’ cartaginesi; e quando non lo feciono furono malcontenti di non l’avere fatto. Né mi muove quello che dice lo scrittore, che se e’ romani avessino avuto in tanto spazio di tempo quelle tre rotte in Francia che gli ebbono in Italia da Annibale, sarebbono sanza dubio stati spacciati; perché si pone uno caso impossibile, che chi ha una rotta in casa di altri, massime in luogo lontano, possi cosí subitamente doppo la prima rotta avervi rimandato l’uno doppo l’altro dua nuovi eserciti. E chi risolve bene el partito di fuggire la guerra in casa col portarla a casa di altri, vi va con tale fondamento che può cosí sperare di rompere lo inimico, come temere di essere rotto; altrimenti la aspetta in casa, come feciono e’ romani da Annibale; e’ quali essendo giá molti anni, come dice Livio, inesperti alla guerra, ed avendo la guerra con capitano e con soldati espertissimi, se furono rotti in casa, sarebbono forse molto piú facilmente stati nel principio della guerra rotti da lui in Spagna o in Africa.