Compendio del trattato teorico e pratico sopra la coltivazione della vite/Parte I/IV

Parte I - Capitolo IV

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CAPITOLO IV.


Dei lavori; de gl'ingrassi, e della qualità del terreno.


L’utile dei lavori è sempre stato riconosciuto in tutte le vigne. Si è sentita da per tutto la necessità di distruggere quella folla di cattive erbe, le quali crescendo rapidamente affogano gli stipiti, e si arricchiscono a loro spese di una grandissima quantità di succhi nutritivi, che si appropriano, e che accrescono la loro vegetazione in maniera pericolosa, moltiplicando maggiormente i modi di nuocere. Come disporre la terra ad assorbire quell’umidità che l’è tanto preziosa? Qual altro modo di far arrivare sino alle radici i raggi pieni di calore, che penetrano la terra, e la riscaldano sì favorevolmente alle diverse operazioni delle vite? Ma se in ogni tempo fu apprezzata l’importanza dei lavori, bisogna credere, che siasi molto studiato a determinare il numero, a farli a proposito, e nella più conveniente stagione. L’ignoranza per ciò è stata sempre tale, [p. 47 modifica]che sonosi veduti quei filamenti preziosi, che vivono quasi sulla superficie della lerra, e che sono tanto utili alla pianta, sonosi, dico, veduti scoperti, rotti, strappati, trattati come piante parassite dai lavori troppo frequenti, e mal estesi, i quali fanno passare una vite, anche giovine e vigorosa, allo stato più languido; stato che si attribuisce ai cattivi venti, agl’insetti, al difetto d’ingrassi, e che si attribuirebbe piuttosto a genj malefici, di quello che confessare la propria inerzia in tali occasioni.

Si è stabilito in qualche vigna l’uso sempre pericoloso di fare alla vite un gran numero di lavori. L’esperienza prova che tre le sono necessarj, e che un qualche caso assai raro obbliga il vignajuolo al quarto. Nei climi caldi il primo lavoro devesi fare dopo il taglio, ed alla fine di autunno per rendere alle radici quell’umido, che i fuochi della canicola gli ànno levato, e ch’è tanto prezioso alla pianta, che conserva con premura per affrettare il suo sviluppo col favore de’ primi bei giorni. Nel centro, e al nord, dove i freddi vietano fare questa operazione alla stessa epoca, il taglio deve avere luogo alla fine d’inverno; ma allora bisogna lavorare subito dopo per dar tempo a quella freschezza ricondotta alla superficie di dissiparsi, perchè altrimenti devesi temere il gelo pei germogli, i quali comparendo in quel momento, si trovano subito distrutti per non avere prontamente effettuato il primo lavoro. La natura della terra sembra indicare la profondità sino a cui dev’essere mossa. Nelle terre forti, e al basso delle montagne, bisogna penetrare sino a sei, sette pollici, e tutto al più alla metà nelle terre leggere, e sulla sommità delle [p. 48 modifica]costiere. Non bisogna lavorare vicino alle radici per il pericolo di toccarle, o scoprirle; là solamente lo strumento non deve rischiare che la superficie, che bisogna sempre disporre in maniera piana per evitare i bucchi moltiplicati, i quali ritenendo più o meno la pioggia e l’umido sembrano con ciò provocare il gelo.

Gli strumenti che si usano sono la vanga, la forca, e l’uncino: ma quelli che s’impiegano con maggior vantaggio sono la zappa pesante con manico corto, e la marra di diversa forma, che dà tre, quattro stumenti; cioè la marra comune, triangolare, biforcata, e quella a tre rami. ’O veduto molti eccellenti vignajuoli, che per i diversi terreni ghiajosi, o leggeri non si servivano che della marra triangolare, il cui manico è lunghissimo, più o meno curvo, per impedire all’operajo di essere in una posizione incomoda, che lo sforzerebbe avvicinarsi troppo alla terra.

Il lavoro in cambio di farsi dall’alto al basso delle pergole, e così riprendendole tutte isolate, si può eseguirlo per traverso con solchi più, o meno leggeri paralelli tra essi, ed alla parte inferiore della vite. Il secondo lavoro, che si è nominato mal a proposito in qualche paese raschiare, e zappare, deve farsi con altrettanta cura che il primo. Solamente il vignajuolo dev’eseguire i solchi, mettendosi all’altra estremità della parte superiore della vite, ed in maniera opposta alla prima operazione. Si fa questo secondo lavoro subito dopo, che il frutto è annodato.

L’oggetto del terzo dev’essere di eguagliare la superficie della terra, levare intieramente quella [p. 49 modifica]folla di piante, che assorbe a pura perdita i succhi nutritivi, che devono esserle conservati, e che ritenendo l’umido, danno luogo a geli, che sebbene in autunno non sono niente meno a temersi, che quelli di primavera; perchè i primi impediscono al frutto di maturare, malgrado l’annunzio di un buon anno.

Non si raccomanda mai abbastanza ai coltivatori vignajuoli di non fare il terzo lavoro, se non che dopo che l’uva è decisa, e in seguito a quelle, dolci piogge, che riscaldano l’atmosfera, fanno ingrossare il grano rapidamente, e sono il felice presagio di un’abbondante raccolta.

Ecco il consiglio, che Olivier de Serres dava dugento anni fa ai suoi vignajuoli. «Li consigliava a visitare sovente le loro viti, per prevenire il danno, che potevano ricevere dai ladri, dalle bestie, dai venti, dal giacere dell’uva per terra, dall’incremento dell’erbe, ed altri eventi, ajutandola secondo le occorrenze, sino alla vendemmia.»

Le piante, ed erbe che nascono nelle nostre vigne sono pericolose, non solo per la proprietà, che ànno di ritenere l’umido, nutrirsi a spese degli stipiti: ma eziandio per l’emanazioni che alcune tra esse tramandano continuamente, dando al vino quel gusto disaggradevole, e qualche volta nauseatile, che la dimora nella tina, e il tempo non possono distruggere, e che si attribuisce sempre alla qualità del terreno. Queste piante sono le mar-corelle, l’atrepice, il dente di cane, l’orecchia di sorcio, l’anagallide, il fumosterno, la parietaria, la chelidonia, la latiri, il souco, la vermicularia, [p. 50 modifica]l’arsenico, o semprevivo delle vigne, il centone, la portulacca, il porro, la scabbiosa, il solatro, il macerone, la pilosella, il girasole, il cardo, la mache, l’elitropio, la rucchetta, la rapa, l’unghia di porco, ec.

Dopo aver cavato accuratamente colle radici queste piante, specialmente i cardi, e le campanelle (perchè la più piccola parte di queste in pochi giorni ossigena un nuovo individuo) si portano fuori della vigna per abbrucciarle, seccate che siano, e si spargono allora le ceneri nelle fosse delle piante giovani. S’esiste qualche contrada, dove per una malintesa economia si lavori coll’aratro, non si può che compiangere lavoratori tanto ignoranti, i quali trascurano così i loro veri interessi, e bisogna guardarsi dall’imitarli.

Nel Nord, dove l’equilibrio tra i principj del succo, e le proporzioni del calore è già naturalmente rotto per la poca elevazione della temperatura, si à la perniciosa abitudine di far predominare il succo con quei letami spesso ripetuti, che soministrano, è vero, raccolti abbondanti, ma che danno un vino senza sapore, e disaggradevole, che non si può conservare molti anni, senza che si converta tutto in cattivo aceto.

Le sostanze che si potrebbero impiegare in qualità di concime sarebbero i fusti fondamentali in gran masse di alberi, foglie, e cespi. Ma queste sorte d’ingrassi, sendo spesso rari, si rimpiazzano con terra di fiume, di stagni, di fosse, colle immondezze delle strade, che si dispongono in strati alterni collo sterco ben marcito di diversi animali. Passati uno o due inverni, questo composto si trasporta alla vigna. [p. 51 modifica]Lo sterco ridotto in polvere (poudrette) può nei paesi, ove sono le fabbriche, servire a questo uso. Devesi spargere a pugni, e con molta attenzione: ma bisogna allontanare tutte le sostanze animali, che non essendo ridotte in letame, quasi secche, comunicano al vino una porzione dell’odore infetto che spargono. Nelle migliori vigne, le viti non s’ingrassano mai: si teme la troppa feconda influenza di quei letami che ànno distrutto la riputazione de’ terreni più rinomati. Si correggono le terre forti meschiandole la sabbia di acquazzoni, i rottami di conchiglie, le sostanze calcaree. Nelle vecchie vigne, in quelle che la magrezza del terreno à fatte perire, si arriva a darle nuova vita, a rianimare interamente la loro vegetazione, spargendovi della terra vegetabile.

Due ragioni importanti decidono del tempo, che si deve scegliere per trasportare gl’ingrassi, e fanno preferire ad ogni altro quello di autunno. La prima è, ch’essendo quella l’epoca quasi sola, in cui il coltivatore può disporre del suo tempo, sacrifica tutti gl’istanti, che crede necessarj a scegliere il concime, dargli la preparazione conveniente; e la seconda per le piogge, ed umido, che non avendolo ancora penetrato, è meno pesante, e il trasporto più facile.

È impossibile prescrivere un metodo generale per questo trasporto, ch’è sempre in rapporto costarne colla fortuna dei coltivatori, e con una quantità di circostanze locali, che non si possono valutare. Ma si può quasi sempre effettuarlo presso la piantagione stessa con vetture, carri traboccanti, sul dorso degli asini, dei cavalli, e dei muli.


[p. 52 modifica]Dopo il taglio, donne e fanciulli, muniti di cesti, bigonzi, o panieri, spargono questo concime, secondo i bisogni della vite, a cui sono necessarj per i lavori, che devono seguire immediatamente questa operazione. Bisogna disapprovare egualmente i metodi di spargere molto letame alla volta, e di non adoperare questi modi di migliorazione, se non che ogni dieci anni, come si pratica in alcune contrade; perchè la natura degli stipiti, la loro situazione, non essendo le stesse per tutte le vigne, questa disposizione esige per la coltura differenti cure. Quanto alla qualità del concime, può provenire non solamente dagli ingrassi, dagli escrementi, ma ancora dalla natura del suolo, dalle piante che lo cuoprono, l’avvicinano, e dalla prossimità di quegli stabilimenti, i quali caricano l’atmosfera di vapori forti, che la pianta assorbe coll’aria, e che modifica col succo, dando al vino un gusto particolare.

La divisione della qualità del concime in naturale, e artificiale, pare indicare al vignajuolo, che se non può cambiare la natura del suolo, e diminuire quel sapore, che piace in qualche vino, è però il padrone di allontanare le piante, che spargono emanazioni spiacevoli, le quali sono tanto più assorbite dall’uva, quanto più si avvicina dessa alla maturità; perchè la vite può far ammeno di quei concimi, i cui effetti nocivi non sono mai compensati dai deboli vantaggi, che le procurano.