Ad Elena (Poe-Ragazzoni 1896)

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Edgar Allan Poe 1848 1896 Ernesto Ragazzoni Indice:Garrone-Ragazzoni - Edgar Allan Pöe, Roux Frassati, Torino, 1896.pdf Poesie Ad Elena Intestazione 9 giugno 2023 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Edgar Allan Pöe


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AD ELENA




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Questi delicatissimi, patetici versi «ad Elena» vennero dedicati da Pöe a M.rs Withman, alla quale fu per un momento fidanzato, e la cui amicizia fu una delle poche consolazioni, dei pochi conforti dei suoi desolati ultimi anni.

Le circostanze accennate nel poema sono reali e tutta la fantasmagoria del plenilunio, delle rose, del parco addormentato dipinta dal vero.

Nel 1845 Pöe, una notte, in cammino per Boston, ove era aspettato per una lettura, vide per la cancellata di un giardino una bellissima signora passeggiare solitaria, al chiaro di luna. L’ora, il scenario, i particolari tutti lasciarono in lui un’indelebile impressione quando il caso l’avvicinò a quella donna, un anno, circa, più tardi, egli che aveva già tanto fantasticato su quell’incontro, le indirizzò questa elegia che il Bourget non esita a chiamare una delle più ammirabili che si siano mai scritte.



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Ad Elena.




T’ho veduta una volta, una, una sola,
     anni son, non rammento ben più quanti,
     ma non molti, e quell’ore, quegl’istanti
     non mi sono al pensier più che una fola.

Fu una notte di luglio, e dalla luna
     piena, che, come l’animo tuo anelo,
     si cercava una via traverso il cielo,
     cadea, nel sogno e nel mister, com’una

fascia di seta diafana, d’argento,
     sui volti aperti e attoniti di mille
     e mille rose, in linea, tranquille
     in un giardino magico, ove il vento

non osava passar che sulle punte
     de’ pie’: cadea sul volto delle rose
     che esalavan le loro alme odorose,
     in cambio di que’ rai, quasi consunte

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in una morte estatica; cadea
     sul volto delle rose che spiegate
     aulivano e languivano ammaliate
     dal tuo sguardo, dal tuo sguardo di dea.

Là ti vid’io seduta, tutta in bianco,
     mentre cadea la luna sulle cose
     tutte e sul volto assorto delle rose
     e sovra il tuo, composto in atto stanco!

Oh! a que’ viali, laggiù, in su quella mezza
     notte di luglio non fu già un destino
     arcano che mi trasse al tuo giardino
     a respirare l’intima dolcezza

di quelle rose addormentate? Oh aiuole!
     niun suon! tutto era immerso nel sopore,
     tutto, salvo me e te (ciel, come il cuore
     mi trema ancora a queste due parole:

«salvo me e te»). Ristetti, ti guardai
     e ogni cosa disparve in quel momento
     (certo, qualche divino incantamento
     mi traeva a quel parco), ti guardai,

e i fior, l’acque, le piante gaudiose
     più non furono, e l’erba si fe’ bruna,
     e la luce di perla della luna
     si spense... l’odor stesso delle rose

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morì in grembo dell’aüre tranquille!
     Tutto, tutto svanì, salvo te, salvo
     il tuo sguardo, il tuo spirito nell’alvo
     misterioso delle tue pupille!

Più non vidi che quelle, quelle tue
     pupille, altro non vidi fino a quando
     non tramontò la luna! quale blando
     sogno! quanto incantesimo in quei due

astri e quanto pensier! qualche dolore
     ignoto parea farli anche più buoni,
     quante carezze, quante visïoni
     e quale — oh quale! — oceano d’amore!

· · · · · · · · · · ·

Come la luna si tuffò tra i crocchi
     delle nuvole, lungi, in occidente,
     come una fata tu, soavemente
     dileguasti tra i fiori, ma i tuoi occhi

rimasero! Rimasero! e pur ora
     io li vedo (oh! prodigio senza nome!)
     io li vedo! e ogni dove e sempre come
     due veneri in fulgor, pria dell’aurora.

E. R.