Vita di Dante/Libro II/Note di Emanuele Rocco
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Pag.4, verso 18. - l’autor del Veltro.
L’autore del Veltro è il nostro chiarissimo concittadino Carlo Troya. Ma, con buona pace del Balbo, noteremo che il signor Troya ebbe sì in pensiero di scrivere per gli eruditi; ma non pose poi in atto il suo laudevole pensiero. Di fatti, nella Prefazione del suo libro Del Veltro allegorico di Dante pubblicato nel 1826 in Firenze, prometteva di pubblicare i documenti quali si fondano i suoi racconti, e il novero degli scrittori coetanei che gli furono scorta; con un brevissimo ragguaglio di ciascuno per intendere qual fede si meriti egli, e a quale appartenne delle identiche fazioni. Vi saranno (soggiugnea) indici abbondanti, e, spero, una carta dei viaggi di Dante. Ma oggi, nel 1840, una tal preziosa pubblicazione è ancora un desiderio; sì che non puossi a buon diritto affermare che abbia scritto per gli eruditi chi quanto assevera non conferma con istoriche pruove. A miglior dritto potrassi dire questo aver fatto Ferdinando Arrivabene nell’opera intitolata Il Secolo di Dante; opera che di molto ha dovuto agevolare al Balbo il suo lavoro, benchè egli sel taccia. Noi, citando quest’opera per entro queste note, ci serviamo della originale edizione che fa parte del volume III della Divina Commedia, giusta la lezione del Codice Bartoliniano impressa in Udine nel 1827, anzichè della mutilata edizione fatta in Firenze per Ricordi nel 1830.
Pag.4, v.35. - il quale ... salì già dallo studio de’ tempi di Dante alla storia generale d’Italia.
Si allude qui allo stesso signor Troya, il quale, pubblicando il suo Veltro, il dicea tratto dalle istorie ch’egli scriveva de’ tempi dell’Alighieri, mentre ora sta dando opera ad una Storia d’Italia, della quale han veduto due volumi di già la luce. Contraria via tenne il Balbo, che dopo la pubblicazione di un primo volume della Storia d’Italia, si tacque, ed ora è venuto pubblicando questa Vita di Dante.
Pag.5, v.3. - l’Italia più infelice che non le sue provincie.
Intendi per sue provincie le provincie dell’Imperio Romano, ch’eran pure provincie dell’Italia. Notiamo queste picciolezze perchè altri non intenda che l’Italia fosse più infelice delle sue stesse provincie in che si divide.
Pag,6, v.17. - Ildebrando tanto solitamente vituperato.
L’accusa data al rapace audacissimo Ildebrando si fonda sui mezzi di cui si servì, e non già sul fine ch’egli volea conseguire. Lo stesso Alighieri scriveva:Soleva Roma, che 'l buon mondo feo,
Duo soli aver, che l'una e l'altra strada
Facean vedere e del mondo e di Deo.
L'un l'altro ha spento, ed è giunta la spada
Col pasturale, e l'un coll'altro insieme
Per viva forza mal convien che vada.
Purg. XVI, 106-111.
Del resto, la storia d’Ildebrando è stata a questi giorni messa in molta luce, per opera specialmente del Voigt, e di altri valenti scrittori tedeschi.
Pag.7, v.8. - Dicevasi lingua volgare, ed era la lingua italiana.
I dialetti non erano certo nè la lingua volgare nè la lingua italiana; nè questa surse dalla mescolanza de’ dialetti, come ad alcuni parve. La lingua italiana non fu mai la lingua parlata dal popolo, ma sì adoperata dagli scrittori e dalle persone colte. Nè ci si opponga che niuna lingua può essere scritta che prima non sia stata parlata. Imperocchè tuttodì vediamo che in niun luogo la lingua scritta d’Italia è parlata, nè anche nella atticissima Firenze o nella sguajatissima Roma.
Pag.8, v.34. - Manfredi, bastardo di Federigo II ed usurpator del regno di Puglia.
Che Manfredi, figiuolo bastardo di Federigo, venisse per susseguente matrimonio legittimato, e ch’egli non fosse altrimenti usurpatore del regno di Puglia, abbastanza è dimostrato dal cavalier Giuseppe Di Cesare nella sua opera intorno a Manfredi.
Pag.12, v.28. - vano lamento dell’età peggiorate.
La Rivista Europea, in un suo articolo intorno a questa Vita di Dante di Cesare Balbo, nota e riporta un luogo d’Innocenzio III nel libro De contemptu mundi, ove appunto si maledice de’ tempi che Dante qui leva a cielo. Non c’illudiamo: ciascuna età ha i suoi vizii e le sue virtù, e quell’ invecchia il mondo e peggiorando invetera è un’ingiustissimo epifonema che troppo sepsso suona sulla bocca dei poeti.
Pag.18, v.16. - una lombarda, secondo alcuni di Parma, ma più probabilmente degli Aldigeri, potenti allore e poi in Ferrara.
Di questa opinione è pure, col Boccaccio, il Manetti. Illic igitur nobilis Cacciaguida ... virginem quamdam forma viribusque prestantem, et clara quadam Aldigerorum familia Ferrariensium, in matrimonium accepit. Avvertiamo qui per sempre, che citando spesso questa Vita di Dante scritta da Giannozzo Manetti, ci serviamo della lezione pubblicata dal cassinese Don Mauro Granata in Palermo nel 1836. Intorno a Cacciaguida e alla famiglia di Dante, vedi pure Arrivabene, Secolo di Dante, pag.544.