Viaggio al centro della Terra/XXXIII

XXXIII

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Jules Verne - Viaggio al centro della Terra (1864)
Traduzione dal francese di Anonimo (1874)
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XXXIII.

Sabato, 15 agosto. — Il mare conserva la suo monotona uniformità; non abbiamo alcuna terra in vista. L’orizzonte pare immensamente lontano.

Ho la testa tuttavia sbalordita dal mio sogno.

Quanto a mio zio, egli non ha sognato, ma è di malumore. Percorre tutti i punti dello spazio col cannocchiale e incrocia dispettosamente le braccia. Osservo che il professore Lidenbrock tende a ridiventare l’uomo impaziente d’una volta, e segno il fatto nel mio giornale. Ci vollero i miei pericoli e i miei dolori per strappargli qualche scintilla d’umanità; ma dopo la mia guarigione la natura ha ripreso il sopravvento. E poi, perchè adirarsi? forse che il viaggio non si compie nelle condizioni più favorevoli? forse che la zattera non naviga con meravigliosa rapidità?

«Mi sembrate inquieto, diss’io vedendolo spesso accostare il cannocchiale agli occhi.

— Inquieto? no.

— Impaziente, allora?

— Ne avrei ben donde.

— Nondimeno noi camminiamo con una velocità...

— Che m’importa? non è già che la velocità sia piccola, è il mare che è troppo grande!»

Mi sovvenni allora che il professore, prima della nostra partenza, aveva stimato la lunghezza di quest’oceano sotterraneo una trentina di leghe; ora avevamo [p. 141 modifica]percorso una strada tre volte più lunga, e le spiaggie del sud non apparivano ancora.

«Noi non discendiamo! ripigliò a dire il professore, tutto questo è tempo perduto, ed io non sono già venuto così lontano per fare una gita di piacere sopra uno stagno.»

Egli chiama questa traversata una gita di piacere, e questo mare uno stagno!

«Ma, diss’io, poichè abbiam seguito la strada indicata da Saknussemm...

— Quest’è il quesito: abbiam noi seguito la sua strada? Saknussemm ha egli incontrato questa distesa d’acqua, e l’ha egli attraversata? Il ruscello che abbiamo preso per guida, non ci ha forse sviati del tutto?

— In ogni caso non possiamo dolerci d’esser venuti fin qui: lo spettacolo è magnifico e...

— Non si tratta già di vedere; io mi sono proposto uno scopo e voglio raggiungerlo; non mi parlare d’ammirazione.»

Me l’ho per detto, e lascio che il professore si morda le labbra d’impazienza; alle sei pomeridiane Hans vuole la sua paga, ed i tre risdalleri gli sono contati.

Domenica, 16 agosto. — Nulla di nuovo, tempo uguale, il vento tende lievemente a frescare; nel ridestarmi mia prima cura è di accertare l’intensità della luce; temo sempre che il fenomeno elettrico non si oscuri e si spenga. Ma non è così. L’ombra della zattera si disegna nettamente alla superficie dei flutti. Davvero questo mare è senza confini! deve avere la larghezza del Mediterraneo, se pure non ha quella dell’Atlantico: e perchè no? Mio zio getta lo scandaglio più volte; attacca uno dei picconi più pesanti all’estremità di una corda che lascia scorrere per dugento braccia; non tocca fondo, e duriamo gran fatica a ritrarre lo scandaglio.

Quando il piccone è risalito a bordo, Hans mi fa notare sulla sua superficie alcune impronte profonde; si direbbe che il pezzo d: ferro sia stato stretto vigorosamente fra due corpi duri. Guardo il volto del cacciatore.

«Tänder!» dice egli.

Io non capisco e mi volto verso mio zio, il quale è tutto assorto nelle sue riflessioni. Non vo’ disturbarlo, e ritorno verso l’Islandese; costui aprendo e chiudendo più volte la bocca mi fa comprendere il suo pensiero.

«Denti!» dico con stupore esaminando più attento la sbarra di ferro. [p. 142 modifica]

Sì, sono proprio denti, la cui impronta s’è incavata nel metallo. Le mascelle che essi guerniscono devono possedere una forza prodigiosa. Che sia un mostro delle specie perdute, il quale sì agiti sotto il profondo strato delle acque, più vorace del pesce cane, più spaventevole della balena? Non posso staccare gli occhi dalla sbarra mezzo rosicchiata. Il mio sogno della notte passata sta forse per avverarsi.

Questi pensieri mi conturbano per tutto il giorno, la mia immaginazione si calma appena in un sonno di alcune ore.

Lunedì, 17 agosto. — Cerco di ricordarmi gli istinti proprii degli animali antidiluviani dell’epoca secondaria, i quali succedendo ai molluschi, ai crostacei ed ai pesci, precedettero l’apparizione dei mammiferi sulla terra. Il mondo apparteneva allora ai rettili, i quali regnavano da padroni nei mari giurassici1. La natura aveva loro accordato un organismo compiuto. Quale gigantesca struttura, qual forza prodigiosa! I più grossi e spaventevoli dei sauriani d’oggi, alligatori o coccodrilli, non sono che modelli impiccioliti dei loro padri delle prime età. Mi viene un brivido alla evocazione ch’io faccio di siffatti mostri; occhio umano non li vide mai vivi poichè apparvero sulla terra mille secoli prima dell’uomo, ma le loro ossa fossili, ritrovate in quel calcare argilloso che gli Inglesi chiamano lias, hanno permesso di ricostruirli anatomicamente e di conoscerne la colossale conformazione.

Ho visto al museo di Amburgo lo scheletro d’uno di codesti sauriani che misura trenta pedi di lunghezza. Dovrò io abitante della terra trovarmi faccia a faccia con tali rappresentanti d’una famiglia antidiluviana? No, è impossibile, Tuttavia il segno di denti poderosi è inciso sulla sbarra di ferro ed alla loro impronta riconosco che sono conici come quelli del coccodrillo.

I miei occhi si fissano con spavento sul mare. Temo di veder slanciarsi uno di questi abitanti delle caverne sottomarine.

Immagino che il professore Lidenbrock abbia le mie idee, se non i miei timori: poichè dopo aver esaminato il piccone, egli percorre l’oceano collo sguardo. [p. 143 modifica]

«Al diavolo, diss’io dentro di me, codesto pensiero ch’egli ebbe di gettare lo scandaglio! Ha forse turbato qualche animale nel suo covo, e se non siamo assaliti per via!...» Getto uno sguardo sulle armi, e mi assicuro che sono in buono stato. Mio zio mi vede fare, e approva col gesto.

Di già larghe agitazioni prodotte alla superficie dei flutti indicano il turbamento degli strati lontani; il pericolo è vicino, conviene vegliare.

Martedì, 18 agosto. — Giunge la sera, o piuttosto il momento in cui il sonno pesa sulle nostre palpebre, poichè la notte manca in questo oceano, e l’implacabile luce affatica ostinatamente i nostri occhi, come se navigassimo sotto il sole dei mari artici. Hans è al timone, Durante il suo quarto io mi addormento. Due ore dopo sono ridestato da una scossa spaventevole. La zattera è stata sollevata fuor dei flutti con indescrivibile potenza e gettata a venti tese più oltre.

«Che cosa c’è? esclama mio zio; abbiamo urtato?»

Hans mostra col dito, a una distanza di dugento tese, una massa nerastra che si solleva di tanto in tanto. Guardo ed esclamo:

«È un porco-marino colossale!

— Sì, replica mio zio, ed ecco ora una lucertola di mare d’una grossezza poco comune.

— E più oltre un coccodrillo mostruoso! Osservate la sua larga mascella e la fila di denti di cui è armato; ma, egli sparisce!

— Una balena, una balena! esclama allora il professore; vedo le sue enormi pinne, osserva l’aria e l’acqua ch’essa spinge in alto dagli sfiatatoi.» Infatti due colonne liquide si elevano ad un’altezza considerevole sopra il livello del mare.

Rimaniamo sbigottiti, stupefatti, spaventati alla presenza di quel branco di mostri marini: essi hanno una dimensione soprannaturale, ed il più piccolo spezzerebbe la zattera con una dentata. Hans vuol mettere la barra al vento per fuggire il vicinato pericoloso; ma egli vede dall’altra parte altri nemici non meno spaventevoli; una tartaruga larga quaranta piedi e un serpente lungo trenta, che drizza la testa enorme sopra i flutti.

È impossibile fuggire; quei rettili s’accostano, girano intorno alla zattera con tal rapidità che convogli spinti a gran velocità non potrebbero eguagliare, e tracciano [p. 144 modifica]intorno a noi cerchi concentrici; ho preso la mia carabina, ma quale effetto può produrre una palla sulla scaglie onde i corpi di quegli animali sono coperti?

Lo spavento ci rende mutoli, eccoli che si accostano da una parte il coccodrillo, dall’altra il serpente; il resto del branco marino è sparito. Sto per far fuoco, ma Hans mi trattiene con un gesto.

I due mostri passano a cinquanta tese dalla zattera, si precipitano l’uno sull’altro e il furore impedisce loro di vederci. S’impegna una lotta a cento tese da noi; vediamo distintamente i due mostri alle prese. Ma parmi che ora gli altri animali vengono a prender parte alla lotta; il porco-marino, la balena, la lucertola, la tartaruga.

Io li intravedo ad ogni istante, li mostro all’Islandese, ma costui tentenna negativamente il capo.

«Tva, dice egli.

— Come! due? egli pretende che sono due animali...

— Ed ha ragione! esclama mio zio, il quale non ha lasciato un istante il cannocchiale.

— Questo poi!

— Sì, il primo di questi mostri ha il muso d’un porco-marino, la testa d’una lucertola, i denti d’un coccodrillo, ed ecco ciò che ci ha ingannati. È il più spaventevole dei rettili antidiluviani, l’ictiosauro.

— E l’altro?

— L’altro è un serpente nascosto entro il guscio d’una tartaruga, il terribile nemico del primo, il plesiosauro.»

Hans ha detto il vero, due mostri soltanto turbano in tal guisa la superficie del mare, e mi stanno innanzi due rettili degli oceani primitivi. Vedo l’occhio sanguigno dell’ictiosauro, grosso come la testa d’un uomo. La natura lo ha dotato d’un apparecchio ottico estremamente potente, capace di resistere alle pressioni degli strati d’acqua della profondità in cui abita. Fu giustamente detto la balena dei Sauriani poichè ne ha la rapidità e il volume. Questo che noi vediamo non misura meno di cento piedi ed io posso giudicare della sua grandezza quando drizza sopra i flutti le pinne verticali della coda. La sua mascella è enorme e secondo i naturalisti non ha meno di centottantadue denti.

Il plesiosauro, serpente dal tronco cilindrico, dalla coda corta, ha le zampe disposte in forma di remi. Il suo corpo è interamente rivestito d’un guscio e il suo collo [p. 145 modifica]flessibile come quello del cigno, si rizza a trenta piedi fuor dei flutti.

Questi animali si assalgono con furia indescrivibile; sollevano montagne liquide che rifluiscono fino alla zattera; venti volte corriamo pericolo di essere capovolti.

Udiamo fischi d’una prodigiosa intensità; le due teste sono allacciate nè io posso distinguerle l’una dall’altra; convien tutto temere dalla rabbia del vincitore. Un’ora passa, ne passan due, e la lotta continua sempre accanita. I combattenti di quando in quando si accostano alla zattera e se ne allontanano. Noi ce ne stiamo immobili pronti a far fuoco.

D’improvviso l’ictiosauro e il plesiosauro spariscono scavando un vero maëlstrom nei flutti. Passano molti minuti; il combattimento sta egli per terminare nella profondità del mare? D’un tratto una testa enorme si slancia al di fuori, la testa del plesiosauro; il mostro è ferito mortalmente; io non vedo più il suo immane guscio. Solo l’immenso collo si rizza, si piega, si risolleva a si ricurva, sferza i flutti come uno scudiscio gigantesco e si contorce come un verme tagliato in due. L’acqua sprizza a distanza considerevole e ne accieca. Ma ben presto l’agonia del rettile tocca la fine, i suoi movimenti diminuiscono, le sue contorsioni si acquetano, ed il lungo tronco del serpente si stende come massa inerte sopra i flutti appianati.

Quanto all’ictiosauro, ha egli riguadagnato la sua caverna sottomarina o sta per riapparire alla superficie del mare?



Note

  1. Mari del periodo secondario, che hanno formato i terreni di cui si compongono le montagne del Giura.