Verso il venticinquennio del football
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Avevo tredici anni quando debuttai come footballer all’ala destra della linea d’attacco del… “Garibaldi„: un piccolo club dalla maglia rossa naturalmente, che avevamo fondato noi ragazzi, nella mia nativa Nottingham, intitolandolo al nome del vostro leggendario eroe. Fu dunque sotto la camicia garibaldina che feci i miei primi exploits: vinsi il campionato cittadino riservato alle squadre “ Boys „.
A Nottingham, in quel tempo, esistevano più di trecento clubs, fra grandi e piccoli. Il “ Garibaldi „ disputava i suoi matches sul halfha [sic] crown ground: un immenso spiazzo che comprendeva una ventina di campi di football. Il Municipio li affittava di sabato in sabato, per mezza corona (circa tre lire) al club che si prenotava per primo. Il sabato dunque, sui grounds municipali, si disputavano venti matches contemporaneamente, ed era curiosissimo vedere ogni campo nettamente limitato dall’altro dalla linea del pubblico in giro che si divertiva assistendo alla gara della sua squadra favorita.
Giocai in seguito nel Notts Olympic e nel St. Andreus [sic], in seconda divisione, e sempre in qualità di dilettante.
Il mio primo “match„ in Italia.
Ma abbandonai presto la mia patria: non avevo ancora vent’anni quando venni in Italia, stabilendomi dapprima a Torino.
Era il settembre del 1891. Ero arrivato da poche settimane quando, una domenica, il mio carissimo amico e compatriota Savage, valentissimo giuocatore, mi invitò ad accompagnarlo in piazza d’armi, per partecipare ad un match. Il football era da pochissimi mesi praticato a Torino e a Genova. Quel giorno si disputava un match amichevole tra la squadra inglese e quella italiana del F.C. Torinese. Mi invitarono ad occupare un posto nella prima linea della squadra inglese. Mi rimboccai i calzoni (ricordo che erano nuovissimi, messi quella domenica per la prima volta, lontano le mille miglia dal pensare che essi avrebbero dovuto servirmi nel primo match che avrei giocato in Italia), deposi la giacca ed eccomi in gara.
Mi avvidi presto di due cose assai curiose: prima di tutto, che non c’era ombra dell’arbitro; in secondo luogo, che a mano a mano che la partita s’inoltrava, la squadra avversaria, l’italiana, andava sempre più ingrossandosi. Ogni tanto uno del pubblico, entusiasmato, entrava in giuoco, sicchè ci trovammo presto a lottare contro una squadra formata almeno da venti giuocatori. Ciò non ci impedì di vincere con 5 a 0.
Uno dei miei avversari, immaginandosi chissà cosa fosse il football, mi aveva preso particolarmente di mira. Il suo sistema di giuoco consisteva nel precipitarmisi addosso con tutto il suo peso e la velocità disponibile. Le prime volte, riuscii ad evitarlo, ma ad un certo punto mi fece uno sgambetto improvviso, che mi fece rotolare per dieci metri.
Fu in quel ruzzolone che mi strappai i calzoni nuovi. Mi alzai furibondo, e poichè non sapevo ancora una parola di italiano, pregai il Savage di informare il mio avversario di smettere quel contegno, non certo da footballer. Ma quegli continuò imperterrito nel suo sistema di urti e di sgambetti, finchè persi la pazienza. Aspettai che mi si scaraventasse contro un’altra volta e, con un colpo d’anca del quale solo i footballers inglesi sanno il segreto, gli feci fare un capitombolo degno di poema. Non si rialzò che dopo cinque minuti, tutto pesto, per abbandonare il match ed anche il football, definitivamente.
I primi “matches„ a Torino e a Milano.
Fu quella l’unica volta nella mia vita di footballer che feci del male ad un avversario, e me ne pento tuttora. Mi affezionai presto ai giuocatori italiani che non avevano ancora alcuna idea del football, e mi appassionai al compito di istruirli con l’esempio e coi consigli per vent’anni, a Torino e a Milano, e i più bei momenti della mia vita li ho certo passati sulle pelouses italiane, nelle gare, a fianco dei miei compagni. Mi avete chiesto qualche ricordo. È passato tanto tempo, da allora, che le figure e i fatti mi si annebbiano un poco nella memoria. Giocai forward per il F.C. Torinese e poi per l’Internazionale di Torino fino al 1898. Da Torino mi ero presto trasferito a Milano, e ogni domenica prendevo il treno per andare a giocare a Torino coi miei amici Savage, che fu poi il primo capitano della Juventus, Beaton, Dobby, Weber: giocatori valentissimi, il cui ricordo oggi è completamente perduto e che furono i pionieri del football in Italia. In quegli anni ormai lontani, gli unici matches erano giocati fra il F.C. Torinese (e poi l’Internazionale) e il Genoa Club, capitanato da Edoardo Pasteur, l’arbitro del recente match Italia-Svizzera, con in porta la gran barba del dottor Spensley.
Il Genoa era assai forte e conseguiva spesso la vittoria. Ma nel 1899, alla fine di un banchetto dopo un match, mi provai ad intimorire l’amico Pasteur:
— È l’ultima volta che vincete! — annunciai. — Fonderò una squadra a Milano che... vi batterà! I “genoani„ mi presero in parola e si brindò alla fortuna del club milanese... che non era ancora nato!
Come si costituì il MILAN CLUB.
Per due anni avevo tentato invano di costituire un club a Milano. Ma nel 1899, in una sala dell’Hôtel du Nord, riuscii a convincere alcuni amici a fondare il Milan Club. Eleggemmo presidente Edwards, viceconsole di S. M. Britannica a Milano, e capitano della squadra Allison. Tra i fondatori ricordo Neville, Valerio, i fratelli Pirelli e Angeloni, Davis, Kurt Lies, Heyes.
E così, al Trotter di piazza Doria, debuttò il “Milan Football and Cricket Club„. Nei primi anni praticammo anche il cricket, che però non attecchì. Il football invece sollevò entusiasmo. Vi parrà strano sapere che nel primo match al Trotter, nel 1900, fra Milan e Genoa, sotto una pioggia torrenziale, assistevano già 500 appassionati.
La prima squadra ebbe in goal il nipote del nostro presidente Edwards. Vantavamo una straordinaria linea di halfbacks: Valerio, Neville e Kurt Lies erano alti più di due metri ciascuno. Io giuocavo forward, Allison, all’ala sinistra, era il grande marcatore di punti per la squadra, ma per una sua furberia particolare. Allora non si sapeva cosa fosse l’offside. E Allison, in perenne posizione di offside, aveva buon giuoco a marcare dei punti di irrisoria facilità, dei quali nove su dieci, oggi non sarebbero più ritenuti validi.
Una signorina pioniera del Calcio.
Fra gli appassionati del tempo, ricordo la famiglia Heyes: padre, madre e tre figli, una signorina e due giovanotti, che tutti quanti la domenica, calzavano le scarpe da football e si avviavano al Trotter.
Le scarpe a rotelle servivano alla signora Heyes per non scivolare mentre passeggiava intorno al campo fangoso, interessandosi del gioco del marito e dei figli: ma le scarpe da football servivano alla bella signorina Marta per giuocare, naturalmente solo nelle prove intorno ad un goal.
Miss Mather aveva un calcio fortissimo e un coraggio a tutta prova; infatti si lanciava contro il suo halfback con un animo da consumato footballer.
Fu anch’essa, dunque, fra i pionieri del football in Italia, e la gentile signorina a torto oggi è completamente dimenticata, anzi ignota a tutti.
Una vittoria con 20 a 0.
Il primo anno che si disputo la coppa Negrotto, a Casteggio, battemmo il F.C. Casteggio con 20 goals a zero: un record rimasto imbattuto. Davis era nostro portiere. Prevedendo la partita di poco impegno, Davis non s’era nemmeno svestito. Aveva trascinato una sedia fin sotto il suo goal. Fu seduto comodamente una gamba sopra l’altra, con la paglietta in testa e fumando un’infinità di sigarette, che Davis assistette alla nostra partita. Sul finire, ne aveva piene le tasche. Allora mi chiese:
— Permetti che giuochi un po’ anch’io? Ridendo, gli lasciai abbandonare la porta. Davis si mischiò alla linea dei forwards e segnò... il ventesimo goal.
Fu quella credo l’unica volta negli annali del football italiano che un portiere abbia segnato un goal.
Il “linesman„ con l’ombrello.
A Torino arbitravo un match fra Torino e Genoa.
Per la prima volta si usavano i linesman. Giudice di fallo per la squadra torinese era l’allegro dottor Canfari, l’attuale presidente dell’Aia.
Ad un tratto comincia a piovere. Che fa Canfari? Abbandona la linea e ritorna di lì a poco con tanto di ombrello. E agitando sulla testa l’ombrello, egli pretendeva indicarmi quando la palla usciva dalla linea.
Interruppi il giuoco e mi avviai alla volta del linesman.
— Chiuda per favore quell’ombrello!
— O bella! Perche mi dovrei bagnare?
— Non mi bagno io forse? Sappia che il linesman deve soffrire l’intemperia come la soffre l’arbitro! Con molta poca convinzione e borbottando, l’attuale presidente degli arbitri accondiscese a separarsi dal suo ombrello.
L’arbitro che non sapeva di football.
A Firenze, il Milan sostenne una volta un incontro con l’Andrea Doria. Arbitro era un pugliese che evidentemente non sapeva cosa fosse il football.
Volete sapere come fece cominciare la partita? Comparve col pallone in mano, diede un gran fischio e poi un calcio alla palla. Protestai, naturalmente, affermando che il primo calcio lo dovevano dare i giocatori e non l’arbitro.
E quegli: ma lei cosa c’entra? Sono o non sono io l’arbitro? Si giuochi dunque come voglio io, e lei taccia, se non vuole essere espulso dal campo!
Un regalo di nozze.
Nel 1905 presi moglie. La sera delle nozze (era un sabato) mi arriva a casa un telegramma nel quale mi si invitava a far parte della squadra rappresentativa italiana che a Genova doveva giocare coi “Grasshoppers„ di Zurigo.
Mia moglie, naturalmente, non voleva lasciarmi partire. Ma io le ricordai che, prima di fidanzarmi, l’avevo avvertita che se non mi permetteva di giuocare non mi sarei sposato. In quel match, presi sul naso un tremendo calcio: dalla ferita il sangue mi uscì per varie ore. Inzuppai parecchi fazzoletti. Ritornai da mia moglie col viso irriconoscibile. Lei tutta in orgasmo, mi domandava:
— Herbert, cosa t’è successo? Stai male?
Le risposi: — Sto benissimo! Se tu sapessi come mi sento leggera la testa!
Il cantante footballer.
Un bel tipo di giocatore, a quei tempi, era Knoote, un olandese venuto a Milano per studiare il canto, e che ora è artista presso il Metropolitan di New York. Knoote, buon footballer, aveva mille riguardi per la sua gola, e giuocava solo quando il terreno era asciutto e splendeva il sole. Non c’era verso di farlo giuocare quando il terreno era umido, perchè aveva una paura maledetta di buscarsi un raffreddore. Capirete che avere un giuocatore così delicato in squadra era... come non averlo. Non si poteva mai contare su di lui. Il venerdì, quando si formava la squadra, Knoote, prima di impegnarsi per il match della domenica, consultava il barometro sotto la Galleria.
Una volta, durante una gara, scoppiò un acquazzone improvviso, in una giornata fino allora serenissima.
Alle prime goccie rimanemmo in dieci. Knoote... non c’era più! Era scappato a ricoverarsi nello spogliatoio, e non ritornò... che quando ritornò il sole!
La carriera di un “boy„.
Sono stato capitano del Milan per più di dieci anni. Ho giocato sempre. Solo una domenica, ammalato, non fui coi miei rosso e neri, e fu la volta che l’Unione Sportiva Milanese strappò la Palla Dapples al Milan.
Ho giuocato fino all’età di 43 anni. Due anni fa, presi parte al mio ultimo match, con la squadra dei veterani. Ora non giuoco più, ma spesso la nostalgia della pelouse sembra convincermi... che potrei giuocare ancora!
Quanti anni sono passati! A volte, assistendo ad un match “degli altri”, chiudo gli occhi e rivedo, come in un sogno, i vecchi tempi quando il pallone rotolava le prime volte sulle pelouses italiane...
Ricordo che, in allenamento, prima del match, quando mi inviavano il pallone e io lo accomodavo per tirarlo in goal, un monello (un boy del Milan) arrivava improvviso e… tirava lui la palla che avevo accomodata per me. Io, ridendo, mi vendicavo dello scherzo con una leggera pedata nel posteriore di quel monello. Chi avrebbe pensato, allora, che quel ragazzo che prendevo scherzosamente a calci nel sedere, sarebbe diventato... il “figlio di Dio”?...