Utente:Bluek/Pagine delle prove

Università degli studi di Roma “La Sapienza”

Facoltà di scienze delle comunicazioni.

Cattedra di Comunicazione Media dal Computer

Relatore: Prof. Arturo di Corinto

E-participation e comunità locali.

Piattaforme digitali per una democrazia partecipata.

di Stefano Fabri

- Premessa6

- Oggetto di Studio. 8

1 - E-democracy, E-government e “democrazia partecipativa”9

1.1 - Nuove classi emergenti e trasformazioni della “massa”.9

1.2 - Nuove esigenze politiche e di governance.11

1.3 - E-democracy, E-government, E-participation12

1.4 - La rete come luogo di ricostruzione dell’opinione pubblica.14

1.5 - Verticalizzazione e modelli di conoscenza.21

1.6 - Sfere di conoscenza nel processo decisionale.22

1.7 - Interdipendenze e gerarchie all’interno del processo decisionale.23

1.8 - Trasparenza ed oggettivazione dei processi24

2 - Mediazione degli interessi, teoria dei giochi e modelli di rappresentazione. 25

2.1 - Costruzione sociale dei modelli interpretativi29

3 - E-participation e comunicazione mediata al computer: verso una democrazia deliberativa.30

3.1 - Modelli, ipotesi e prospettive dei processi decisionali nell’era della società dell’informazione.30

3.2 - Democrazia rappresentativa e democrazia diretta32

3.3 - Gli strumenti ICT nella democrazia diretta.33

3.4 - Il WIKI34

3.5 - Il processo di revisione della GPL338

3.6 - Validazione degli strumenti di democrazia diretta. 43

3.7 - Principali limiti dell’estensione degli strumenti democratici diretti. 45

3.8 - Strumenti democratici diretti ed Enti locali48

3.9 - Un approccio timido all’ICT.49

4 - Democrazia partecipativa.51

4.1 - Il processo organizzativo bottom-up su base volontaria. 52

4.2 - Il modello bottom-up e partecipazione politica55

4.3 - Partecipazione, autonomia e gerarchia delle fonti.57

4.4 - E-participation multi livello e rappresentazioni territoriali.60

4.5 - Modelli di partecipazione.65

4.6 - Il bilancio partecipativo come strumento d'intervento nella spesa pubblica.68

5 - Verso una democrazia partecipata deliberativa 72

5.1 - La costruzione delle rappresentazioni.72

5.2 - La definizione delle policy74

5.3 - Le soggettività nel processo partecipativo.75

5.4 - Moderatori e facilitatori.78

5.5 - I tempi della deliberazione.79

6 - Piatteforme digitali per l’e-participation.84

6.1 - Il software nell’e-participation.85

6.2 - Il modello di sviluppo del FLOSS.89

6.3 - Riuso e modelli di sviluppo delle piattaforme90

6.4 - Identità e identificazione nell’e-participation 96

6.5 - Il voto elettronico101

6.6 - E-partecipatioin e digital divide105

6.7 - Piattaforme centralizzate e gestione dei dati.113

6.8 - Piattaforme digitali e dinamiche dell’interazione.116

- Bibliografia125

- Sitografia:126

Premessa

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Lo sviluppo delle reti di comunicazione sta portando a una profonda modifica delle relazioni sociali e degli artefatti cognitivi che le mediano.

La possibilità di interconnettere utenti, istituzioni, organizzazioni e contenuti (in una molteplice ricombinazione delle connessioni possibili) non solo offre innumerevoli potenzialità di contatto ma crea anche l’esigenza di una "razionalizzazione" dell’interazione stessa, una conseguente rivalutazione degli equilibri tra l’approccio cooperativo e quello competitivo ed una trasformazione potenziale delle dinamiche decisionali e di potere.

l’emergere del movimento FOSS (Free e Open Source Software) e di quello Creative Commons, con la diffusione di internet e lo sviluppo della rete, hanno affermato l’idea di un libero accesso al patrimonio culturale prodotto e di un suo arricchimento sociale attraverso modelli cooperativi ed aperti.

Lo stress generato dalla crescente specializzazione individuale di ruoli e competenze, resa necessaria dall’aumento della base di conoscenza e della complessità dei compiti, chiede di essere ridimensionato attraverso una gestione più condivisa dello spazio pubblico in comune.

La nascita di progetti di E-democracy ed E-government soddisfa in parte questa richiesta facendo intravedere una modifica strutturale dell’attuale rapporto di responsabilità e di delega fra cittadino e P.A. (Pubblica Amministrazione), ma lasciando ancora aperti numerosi interrogativi sul nuovo assetto delle strutture decisionali rispetto alle capacità di mediazione multi-stakeholder in una prospettiva di cooperazione.

Il dispiegamento di queste potenzialità insite nella rete non può prescindere, alla base, dalla possibilità di piena partecipazione dei singoli individui alla rete stessa. l’insieme delle barriere che impediscono un pieno accesso alla rete viene chiamato Digital Divide: un complesso multi fattoriale che spazia dall’alfabetizzazione informatica, agli ostacoli economici ed infrastrutturali nell’accesso alle risorse fisiche (rete e computer) fino alle modalità di fruizione dell’accesso.

Oggetto di Studio.

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Si partirà da una trattazione generale sulla democrazia elettronica, "democrazia partecipata", e l’e-government mettendo in evidenza i vantaggi e le problematiche dell’interazione mediata al computer in questi contesti evoluti.

Andranno presi in considerazione gli ostacoli sia di accesso e fruibilità della rete, come il digital divide, che di partecipazione condivisa alla scelte, ovvero il modello decisionale delegato-delegante.

Sarà analizzato l’attuale utilizzo della rete, le prospettive formative, lo sviluppo di soluzioni informatiche che permettano il confronto di opinioni, una decisione partecipata tra i cittadini e la Pubblica Amministrazione e la creazione di sinergie tra le varie istituzioni presenti sul territorio: una rete pensata come volano dello sviluppo economico, sociale e culturale.

Partendo dalle esigenze dei territori ed in base alle soluzioni proposte verranno evidenziati i vantaggi d'implementazione e riutilizzo di soluzioni FOSS, rispetto ad un approccio proprietario, nel software procurement, in una prospettiva di cooperazione: cioè quella di mettere liberamente in condivisione ciò che è comune, derivare solo lo specifico necessario. Collaborando liberamente sullo stesso codice software per soddisfare le esigenze delle diverse istituzioni e dei cittadini, si possono poi sviluppare separatamente solo le funzionalità specifiche o locali che riandranno poi inserite nel circuito software: un modello di sviluppo che, attraverso una continua trasformazione, rende il codice sia “materia prima” che prodotto.

E-democracy, E-government e “democrazia partecipativa”

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Nuove classi emergenti e trasformazioni della “massa”.

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Lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informatica e delle comunicazioni, l’automazione dei processi industriali e lo sviluppo di un’economia della conoscenza hanno accompagnato i profondi cambiamenti nella struttura sociale.

“L’essere tanti in uno, nella classe, che ha caratterizzato il Novecento e il conflitto tra appartenenze, termina nel fine secolo in una composizione sociale caratterizzata dall’essere uno in tanti. La fine della politica e delle ideologie basate sul rapporto massa-potere, ma è anche la trasformazione della categoria massa in moltitudine” (Bonomi 1996: 85 in Crisante 2004).

Questa ridefinizione del concetto di “massa” ha portato ad un cambiamento delle élite tradizionali. La continua specializzazione e diversificazione del sapere scientifico e tecnologico e, più in generale, la progressiva frammentazione delle conoscenze, ha in parte disgregato i vecchi interessi di classe del Novecento mettendo in crisi il concetto stesso di élite come “minoranza dominante”.

Il potere di pochi e (permanenti) individui in contrasto con la massa amorfa.

La democrazia rappresentativa produce infatti gruppi di potere ristretti la cui autorità viene in qualche modo limitata dal rapporto con l’elettorato.

La comunicazione globale in tempo reale ed i sistemi informativi hanno permesso ai knowledge workers di stabilire forti contatti ed interessi a livello transnazionale accompagnando la crisi stessa dello Stato nazione e della sua autorità. Se prendiamo in esame il rapporto di potere all’interno delle aziende vediamo che il ruolo del proprietario, inteso come possessore dei mezzi di produzione, risulta notevolmente ridimensionato. La complessità delle strutture produttive ha portato all’affermazione di una variegata classe di cosiddetti lavoratori della conoscenza, portatori di “sapere” specialistico sempre più rilevante all’interno dei processi decisionali.

Da un’analisi di Rifkin (1995) citata in Crisante (2004), negli Stati Uniti, la cosiddetta “classe della conoscenza” rappresenta il 20 per cento della popolazione attiva.

Essa percepisce un reddito superiore a quello raggiunto dai restanti quattro quinti.

Il reddito di questa nuova classe aumenta ad un ritmo stimato tra il 2 e 3 per cento annuo al netto dell’inflazione, nonostante il reddito della restante parte degli americani continui a diminuire. Risulta interessante pertanto individuare quale sia il rapporto tra queste nuove élite economiche e il potere politico-decisionale.

Secondo Lasch (1995), queste élite, non sono soltanto poco omogenee, ma non sembrano portatrici di una ideologia comune, anzi sono caratterizzate da un forte elemento di “auto-secessione” che si qualifica come:

“indipendenza dalle città industriali e dai servizi sociali istituzionali preferendo servizi privati.”

Oltre alla crisi dello Stato nazione, determinata dalla deresponsabilizzazione politica dei nuovi raggruppamenti emergenti e da interessi sovra-nazionali, si assiste ad una crisi della rappresentatività politica dei partiti tradizionali.

La spettacolarizzazione e l’attenzione a breve termine della politica, la necessità di proporsi attraverso mezzi di comunicazione di massa, e in particolare attraverso la televisione, ha portato secondo Kirchheimer (1966), ad un notevole rafforzamento dei vertici e delle leadership dei partiti con un relativo ridimensionamento del ruolo degli iscritti e degli attivisti ed una tendenza a reclutare i voti in tutti i settori della popolazione.

In questo contesto i media tradizionali contribuiscono notevolmente nella definizione dei temi a cui i pubblici debbono porre attenzione.

Nuove esigenze politiche e di governance.

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La crisi della rappresentanza politica dei partiti e la difficoltà di introdurre degli issue, dei temi politici e sociali da parte di un’opinione pubblica allargata ha determinato un progressivo disinteresse per la politica.

Da un’indagine della Commissione Europea del 1990 risultava che il 55 per cento della popolazione era poco o per niente interessato alla politica a fronte di un 34 per cento abbastanza interessato ed un 11 per cento molto interessato. l’Italia si attestava su un 29 per cento sommando i molto e abbastanza interessati.

In un’altra indagine dell’Istituto Cattaneo di Bologna e Eurisko (1994) in Italia solo il 3,7 per cento degli italiani partecipa alle attività di un partito e solo il 4,6 per cento dichiara di esserne inscritto.

In questa situazione si mobilitano e agiscono movimenti, associazioni, lobby e gruppi di pressione. La massa prima destrutturata si riorganizza dinamicamente e converge su obiettivi abbastanza delimitati, attraverso realtà associative che perseguono scopi diversificati. Questi gruppi esercitano pressione sul potere politico per orientarne le scelte normative e decisionali riguardo ai loro temi d'interesse.

D'altra parte politici e partiti cercano di confrontarsi con questi gruppi, per orientare la propria attività decisionale e deliberativa, anche se l’interesse verso l’opinione pubblica allargata e non strutturata risulta maggiore in prossimità del rinnovo della rappresentanza attraverso le elezioni.

Si evidenziano quindi diverse necessità:

  • Per il potere politico istituzionale di confrontarsi con nuovi gruppi di interesse e pressione al di fuori dei partiti politici.
  • Per le Amministrazioni di snellire le procedure burocratiche portando trasparenza e semplificazione nei processi di governance pubblica.
  • Per le “moltitudini”, non strutturate in gruppi d'interesse e pressione, di trovare una nuova forma di rappresentanza.

E-democracy, E-government, E-participation

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Le nuove tecnologie dell’informazione offrono l’opportunità di accogliere queste esigenze ed è attraverso l’intersezione di questi bisogni e l’avvento delle reti che prende forma un nuovo tipo di interazione tra il cittadino e la Pubblica Amministazione e si sviluppano i concetti di E-democracy, E-government ed E-participation.

Il significato di questi tre termini non è così ben distinto anche perché l’uso che ne viene fatto è portatore di diverse visioni ed obbiettivi nei confronti delle attuali forme di democrazia, rappresentanza e governo. I loro confini spesso si sovrappongo lasciando intravedere aspetti comuni in progetti trasversali.

Cerchiamo di trovarne una definizione:

  • Si può considerare l’E-government (governo elettronico) quel processo di informatizzazione e riorganizzazione dei procedimenti nella Pubblica Amministrazione attraverso l’uso di tecnologie ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) volti a ottimizzare il lavoro degli Enti pubblici e finalizzati a fornire servizi amministrativi ai cittadini e alle imprese per via telematica modalità più rapida, efficiente ed economica.
  • Anche l’ E-democracy (la democrazia elettronica), può essere considerata come l’utilizzo di tecnologie ICT per la partecipazione democratica alle scelte politico-amministrative, ma si tratta di un termine abbastanza vago ed usato per contesti e finalità diverse che ha portato alla distinzione dal concetto di E-participation (partecipazione elettronica), il quale sottolinea l’elemento partecipativo e deliberativo nei processi di interazione con le istituzioni.

Il problema fondamentale che si pone è quindi di un superamento tra le prospettive dispiegate da un certo “determinismo tecnologico”, e la mera riproduzione degli attuali rapporti e prassi di potere trasposti all’interno delle reti.

Se, secondo un approccio deterministico, si pensa che i nuovi mezzi di comunicazione, per la loro struttura decentrata ed orizzontale, possano automaticamente permettere il superamento delle gerarchie verticali e dei rapporti di forza, dall’altro lato si tende a limitare molto le prospettive di cambiamento apportate dai nuovi mezzi tecnici e si rimanda soprattutto alla necessità di un cambiamento sociale, spesso ipotizzando una progressiva riappropriazione delle attuali gerarchie di potere degli spazi in rete.

Per uscire da questa dicotomia si può incominciare a distinguere tra lo spazio del possibile, lo stato dinamico di equilibrio e le pressioni della trasformazione:

  • Lo spazio del possibile comprende tutte le configurazioni del divenire tenendo conto delle limitazioni tecniche del mezzo e dei cambiamenti sociali non realizzabili a breve e medio termine.
  • La stato di equilibrio riguarda invece la dinamica delle trasformazioni necessarie a mantenere le attuali configurazioni politiche ed i rapporti di potere sostanzialmente inalterati.
  • Le “pressioni della trasformazione” comprendono i movimenti delle avanguardie, che individuando i punti critici delle culture mainstream, iniziando percorsi alternativi e intaccando i sistemi consolidati, accelerandone in alcuni casi la crisi.

Esaminando lo spazio del possibile possiamo esplorare le dinamiche e i comportamenti espressi in rete da alcune minoranze che potremmo definire d'avanguardia.

Prendendo spunto da altri campi applicativi, non strettamente politico-amministrativi, come ad esempio il movimento Opensource e Free software nell’ambito dello sviluppo software e di quello Creative Commons per quel che riguarda la produzione e diffusione della cultura, possiamo identificare i punti di rottura con l’attuale situazione di equilibrio traendone spunto per un confronto con i sistemi politici.

Ciò che è interessante individuare in questa fase iniziale del lavoro è l’insieme delle condizioni che potrebbero portare ad un’inversione di rotta nella crisi politica e della sfera pubblica resa sempre meno permeabile ad una partecipazione dal basso.

La rete come luogo di ricostruzione dell’opinione pubblica.

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Già Habermas in “Storia e critica dell’opinione pubblica” intravede nei modelli dell’industria culturale e delle sue modalità di consumo, uno dei principali fattori di decadimento del discorso razionale nella sfera pubblica.

l’opinione pubblica, come ci ricorda Ida Dominijanni (Golem 2004), nelle riflessioni sul testo di Habermas, ha le sue origini nel dibattito letterario settecentesco dei salotti e dei caffè tra i borghesi colti e agiati.

Opinione pubblica come luogo di una potenziale dissoluzione del potere stesso e superamento sia del concetto liberale che di quello democratico, che vedevano nell’opinione pubblica rispettivamente una forma di limitazione al potere e l’origine di tutti i poteri.

Con il crescere, l’opinione pubblica diventa “l’unico metro di legittimità” del potere politico, che deve giustificarsi solo sul piano razionale portando avanti le idee migliori.

Questa ipotesi di spazio del razionale così strutturata, dove le idee e la diverse visioni del mondo si incontrano liberamente, ha dei limiti intrinsechi dati dalla contraddizione inscritta nella stessa origine borghese dell’opinione pubblica, che risulta di per sé elitaria, ponendo problemi di accesso sia di natura socio-economica che culturale: uno spazio pubblico che media interessi di un’élite orientata al mantenimento e all’accrescimento del potere acquisito.

Le barriere d'ingresso nello spazio pubblico rimangono una questione di fondamentale importanza anche con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa e la nascita dell’industria culturale.

l’accesso di un vasto numero di individui ad una produzione culturale di rapido consumo non ha incrementato gli apporti critici e dialogici all’interno della sfera pubblica. Qui si incontrano anche diversi aspetti della strutturazione del pubblico dibattito, come lo studio dei meccanismi sulla formazione dell’agenda setting, le dinamiche di produzione dei contenuti e la tipologia dei flussi nei canali mediali.

Rispetto all’agenda setting, che semplificando possiamo considerare l’insieme degli argomenti che dominano la discussione pubblica, sembra interessante identificare il ruolo dei nuovi media ed in particolare della rete, sia come agenti di interazione delle rappresentazioni prodotte dai media tradizionali che di costruzione di nuove realtà socialmente mediate.

Le diverse teorie sugli effetti dei mezzi di comunicazione di massa hanno spesso oscillato tra una concezione forte ed una debole, cercando di valorizzare o minimizzare la funzione di alcuni agenti di mediazione.

Secondo un certo aspetto si può considerare l’apporto dei media nel processo di rappresentazione sociale della realtà, ricollegandosi anche al concetto di McLuhan, dei media come estensione sensoriale dell’uomo.

Il processo cognitivo di formazione della rappresentazione del reale, essendo multifattoriale, ha sempre all’interno stati di elaborazione e mediazione tra credenze, valori, rappresentazioni sociali ed elementi provenienti dall’esperienza sensoriale. Nelle teorie che mitigano l’effetto dei media si tende ad evidenziare il ruolo di altri agenti sociali ed istituzionali come la famiglia, la scuola, il gruppo di appartenenza amicale, gli opinion leaders, nell’elaborazione dei messaggi veicolati dai mass media e la possibilità che questo processo generi dei feedback che a sua volta influenzino l’agenda setting.

Questo tipo di mediazione e rielaborazione dei messaggi è evidente ma ciò che qui interessa è il rapporto dei media come estensione sensoriale.

Per esaminarlo tentiamo di separare il monolite dell’opinione pubblica sezionandolo in più componenti. Prendendo un argomento di discussione possiamo posizionare la discriminante geografica (g-locale) sull’asse orizzontale, il livello d'interesse della cittadinanza in quello verticale e l’esposizione raggiunta nell’agenda dei media, suddivisi in base alla diffusione geografica, nella terza dimensione.

I vari livelli sono interdipendenti, in modo non simmetrico, con possibilità di influenzare e riposizionare gli argomenti a vicenda.

Potremmo in questo modo immaginare una mappa tridimensionale dell’opinione pubblica per argomento (Grafico N.1).

[[Image:|thumb|Grafico 1 ]]

Possiamo chiederci a questo punto in che modo la mediazione, la selezione e composizione del reale veicolata nei media entri in rapporto con l’esperienza personale.

Considerando i media come estensione sensoriale, per la percezione di un problema non riscontrabile attraverso l’esperienza diretta da parte del cittadino, si può intuire come la forza della rappresentazione mediata non trovi spesso l’occasione di essere contrastata da una possibile incongruenza rispetto all’esperienza reale del singolo.

Il livello critico e la diversificazione nell’argomentazione proposta dai mezzi di comunicazione di massa diventa allora fondamentale per poter costruire più rappresentazioni sociali della realtà all’interno delle quali interagire.

I media mainstream, come la televisione, anche per loro esigenze di audience, nel loro lavoro di selezione e ricomposizione della realtà rappresentata tendono a valorizzare gli elementi d'impatto sul pubblico e quelli che abbiano funzione d'intrattenimento. In base a questo orientamento spesso, nel costruire l’agenda setting svolgono una funzione di memoria selettiva e a breve termine sulle realtà rappresentate.

A livello locale, per l’opinione pubblica diventa più semplice avere una rappresentazione ed un’esperienza diretta delle problematiche sia sotto la prospettiva individuale che socialmente mediata, capacità che si disperde man mano che l’ambito di riferimento aumenta insieme alle dimensioni degli aggregati umani.

Avere un esperienza diretta, cioè sia individuale che sociale, di un problema che entra nella sfera di interesse pubblico a livello locale può implicare il coinvolgimento di meccanismi sia causali che risolutivi attraverso riferimenti esterni all’ambito locale.

Per fare un esempio prendiamo il problema della mobilità.

Un pendolare, che usufruisce ogni giorno del servizio di trasporto pubblico, può avvertire un disagio individuale rispetto alle sue esigenze di viaggio nell’inadeguatezza dele frequenze e degli orari del servizio offerto, nel comfort di viaggio e nei tempi di percorrenza. Questa percezione emerge in rapporto alle esigenze personali ma anche rispetto ad un’esplorazione e rappresentazione nel campo del possibile, come l’esistenza di soluzioni scientifiche, tecniche, politiche, amministrative e nell’ambito dell’azione personale che permettano la risoluzione del problema.

Sul piano dell’azione personale, esaminando lo spazio del possibile, l’individuo può trovarsi di fronte ad un varietà di scelte, ognuna delle quali comporta determinati “costi” economici, psicologici e sociali.

Per esempio potrebbe iniziare ad utilizzare un mezzo di trasporto privato, cercare un lavoro più vicino alla propria abitazione o viceversa. Ma nel momento in cui più persone prendono coscienza che al stanno vivendo lo stesso problema, ecco che esso incomincia ad assume una rilevanza sociale. Da qui può incominciare il percorso che inserisce la questione all’interno del dibattito di una sfera pubblica (autonoma) locale.

Nel procedere della discussione e dei contributi di altri pendolari si può arrivare a orientare un’azione di pressione sociale sui diversi livelli politico amministrativi (Comune,, Provincia, azienda dei trasporti locali) ritenuti responsabili di una gestione sbagliata o di un insufficiente stanziamento delle risorse dedicate al trasporto pubblico. Le Amministrazioni dal canto loro potrebbero giustificarsi evidenziando la mancanza di fondi da destinare al servizio a causa di una riduzione generale dei trasferimenti da parte dei livelli amministrativi e politici superiori. Nel momento in cui questa tematica approda sui media locali, anche in seguito a qualche azione intrapresa dalla cittadinanza, diventa difficile che una rappresentazione distorta del problema non si scontri con la consapevolezza socialmente maturata.

Per alcune persone non interessate all’argomento, come per chi non ha necessità di viaggiare per lavoro o studio, i media potrebbero risultare l’unica fonte di rappresentazione del problema, anche se in una comunità ristretta rimane difficile escludere la mediazione sociale del problema. Naturalmente le potenzialità di analisi, critica e competenza da una parte e la diffusione e qualità dei rapporti tra gli individui dall’altra, sono le caratteristiche salienti di una rete sociale orientata ad affrontare problemi emersi nella sfera pubblica.

Ribaltando i ruoli, i sistemi di produzione editoriale potrebbero focalizzare l’attenzione su un problema specifico, inserendo un argomento in agenda, non percepito dai cittadini come un tema rilevante e non strutturato, quindi come elemento di consapevolezza della rete sociale.

Qui entrano in campo, oltre alle esigenze di intrattenimento che abbiamo accennato, anche i problemi dei rapporti che le élite politiche ed economiche stabiliscono con l’imprenditoria editoriale nelle modalità con le quali questi soggetti influenzano il processo di costruzione dell’agenda: nella scelta di argomenti, interpretazione dei fatti, allocazione dello spazio (di esposizione) e del tempo (longevità) degli argomenti veicolati attraverso i mezzi di comunicazione.

l’imposizione di un tema da parte dei media al di fuori della percezione sensoriale implica che le informazioni rappresentative del tema abbiano come principale fonte i media stessi.

Ènaturale che qualsiasi interpretazione veicolata debba fare i conti con pratiche sociali e culturali consolidate ma dal punto di vista della nascita di un processo critico nei confronti del messaggio spesso possono mancare gli elementi di valutazione e messa in discussione di norma presenti per le problematiche di percezione sociale diretta.

Con questo non vogliamo affermare che nelle piccole comunità sia semplice avere elementi valutativi delle problematiche emerse di interesse pubblico mentre per aggregati di dimensioni più grandi questo sia impossibile.

Riprendendo l’esempio del problema della mobilità a livello locale, le risorse umane presenti nella rete sociale della comunità potrebbero non arrivare a conoscere gli strumenti e le procedure di intervento nei meccanismi di determinazione e gestione della spesa di trasporto. Nel momento in cui queste competenze di accesso ai meccanismi di gestione della spesa siano evidenti soltanto agli amministratori pubblici ecco che la rete sociale, che discute intorno ad un argomento emerso nella sfera pubblica, non ha più elementi conoscitivi diretti per valutare il problema.

Verticalizzazione e modelli di conoscenza.

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La conoscenza di un sistema o di un problema e dei modelli che lo rappresentano è di fondamentale importanza nei processi di partecipazione ed in particolare in quelli con finalità deliberative.

La specializzazione che accompagna la complessità dei sistemi porta a una verticalizzazione delle culture individuali e alla costituzione di una ristretta sfera di conoscenza personale.

La differenziazione crea dei modelli rappresentativi di conoscenza e significazione diversi a seconda del livello di approfondimento, dell’esperienza personale e di quella sociale.

Il limite della conoscenza personale viene superato con l’interdipendenza delle conoscenze che si sviluppa attraverso un processo di fiducia sociale multifattoriale (coerenza logica del discorso, affidabilità della fonte, carisma, competenza, aspettative personali, sistema dei valori, etc).

Ogni conoscenza che viene esposta necessita di un’interfaccia che implicitamente contiene in se un’attività di traduzione e semplificazione. l’interfaccia rappresenta la “porta d'ingresso” per l’accesso alla conoscenza che permette un riadattamento dei modelli rappresentativi della tematica alle persone che vi accedono.

Tutto questo diventa di fondamentale importanza sia per la gestione dei processi politici e amministrativi, sia per la comprensione dei processi e delle tematiche attraverso una prospettiva più ampia.

Sfere di conoscenza nel processo decisionale.

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Le strutture burocratiche e amministrative, viste come ecosistema, rappresentano nel loro insieme una sfera di conoscenza dei processi politici, decisionali, e amministrativi. A questa dobbiamo affiancare la conoscenza costituita dagli studi consultivi e delle collaborazioni esterne di cui si avvalgono spesso le Amministrazioni pubbliche.

Un’altra sfera di conoscenza è composta dalla previsione degli effetti dell’atto deliberativo sulla realtà specifica su cui si interviene.

In questo sistema vari modelli di conoscenze si interfacciano tra di loro, esponendosi a vicenda attraverso una continua operazione di semplificazione e traduzione.

In un sistema così interdipendente diventa difficile operare una pura separazione tra l’atto politico della scelta e la formazione del modello che andrà a supportare la decisione.

In un progetto di e-participation, e in particolare in qualsiasi processo decisionale con una vasta e disomogenea base partecipativa, è importante identificare quindi le modalità di esposizione e traduzione dei processi amministrativi e dei modelli di conoscenza della tematica sulla quale deliberare.

Le rappresentanze politiche e la Pubblica Amministrazione, nel loro insieme, sono a conoscenza della struttura dei processi decisionali e dei rapporti di interdipendenza verticale e orizzontale. Le burocrazie e le rappresentanze politiche costituiscono quindi una doppia sfera di conoscenza e potere che nel modello attuale si trovano a doversi confrontare con i gruppi di interesse e di pressione più o meno riconosciuti a livello istituzionale (sindacati, associazioni degli industriali, associazioni dei consumatori, corporazioni etc.) nell’attività di governo.

Nel momento in cui si vuole estendere la partecipazione ad una vasta cittadinanza, non preparata per intervenire direttamente all’interno del processo decisionale, bisogna scegliere come esporre le strutture burocratiche e politiche.

Condividere un processo decisionale implica quindi l’esposizione delle strutture politiche e burocratiche attraverso un’operazione di trasparenza e traduzione dei modelli e delle strutture.

Interdipendenze e gerarchie all’interno del processo decisionale.

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All’interno di un processo decisionale, nel percorso che va dalla deliberazione all’attuazione è possibile individuare una serie di interdipendenze sia orizzontali che verticali. Le interdipendenze orizzontali sono relative alla divisione delle competenze. Una decisione spesso deve affrontare diversi iter anche tra più soggetti istituzionali prima di poter essere attuata.

Possiamo prendere come esempio un progetto di legge che nel suo iter parlamentare debba essere inviato a una commissione parlamentare oppure di una delibera comunale che deve approvare il progetto di restauro di un bene artistico e necessita del parere della Sovrintendenza dei beni culturali.

Naturalmente il rapporto di interdipendenza orizzontale può essere più o meno vincolante all’interno del processo deliberativo-attuativo.

Per quanto riguarda invece le interdipendenze verticali possiamo considerare quelle di tipo gerarchico all’interno del processo, ad esempio la necessità per un Ente locale dell’approvazione di un finanziamento regionale o nazionale per la realizzazione di un progetto di infrastruttura locale.

Trasparenza ed oggettivazione dei processi

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In che modo la trasparenza delle strutture politico amministrative, anche nelle loro reciproche interdipendenze, influisce sul processo decisionale?

La risposta potrebbe essere “Attraverso un processo di oggettivazione dei processi.”

l’esposizione dei percorsi che deve affrontare una deliberazione e la chiara distribuzione delle competenze amministrative rende la discrezionalità del processo stesso ridotta acquisendo caratteristiche oggettive. In questa trasformazione viene ridotto il potere della sfera della conoscenza dell’apparato politico amministrativo all’interno del percorso deliberativo stesso.

Per il cittadino che si trova a partecipare ad un processo politico con finalità deliberative, diventa necessario che venga esposto in maniera chiara l’ambito delle competenze e il percorso di interdipendenza che dovrà affrontare la deliberazione per essere attuata. La conoscenza del processo non dovrebbe quindi rappresentare una forma di gestione del potere ma, attraverso la trasparenza, diventare un percorso chiaro che la deliberazione deve affrontare.

La trasparenza dei passi e delle interdipendenze può costituire una moltiplicazione degli scenari di partecipazione nei processi decisionali in ogni fase della decisione si può strutturare un processo partecipativo.

Prendiamo ad esempio la necessità di migliorare il trasporto locale dei pendolari attraverso un progetto di ammodernamento della linea ferroviaria.

In questo caso sono presenti diversi tipi di interdipendenze a livello politico regionale e nazionale di allocazione delle risorse finanziare, nella realizzazione dei progetti, nella valutazione di impatto ambientale etc.

A prescindere dal modello di partecipazione proposto, rendere trasparenti e certe queste interdipendenze, anche da un punto di vista procedurale, può permettere l’interazione ad ogni livello, riducendo il potere discrezionale degli amministratori che potrebbero influenzare pesantemente l’andamento stesso del processo.

Un esempio di non chiarezza delle competenze e delle interdipendenze è il rimpallo di responsabilità tra le strutture politiche e amministrative, sia durante il processo, che nella sua fase generativa dell’iniziativa.

Nell’esempio precedente dei trasporti locali, l’iniziativa potrebbe fermarsi a livello regionale per mancanza di fondi, non venire approvata per incompetenze progettuali, essere bloccata per problemi di impatto ambientale dall’ente preposto alla valutazione.

Ognuna di queste interdipendenze non rappresenta strettamente un campo di valutazione tecnico-amministrativo, ma comprende in se un aspetto politico (di politica di bilancio, politica ambientale etc.).

Dischiudere lo spazio politico di ogni fase della partecipazione, significa, nel complesso, aumentare la partecipazione sull’intero processo decisionale.

Questo modello di partecipazione “continua” necessita della risoluzione di alcuni problemi di carattere organizzativo e decisionale a cui si cercherà di dare risposta nei capitoli successivi.

Mediazione degli interessi, teoria dei giochi e modelli di rappresentazione.

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All’interno dei processi decisionali, nei quali intervengono gruppi portatori di interessi, si configura la necessità di una mediazione delle diverse istanze proposte.

Il ruolo politico è quello di mediare tra i diversi interessi in gioco.

Questo tipo di configurazione può essere analizzata attraverso la “Teoria dei giochi”.

La “Teoria dei giochi”1 è una disciplina che si occupa di studiare le situazioni strategiche e di conflitto, definisce alcune tipologie di situazione strategiche e di conflitto ricercandone, attraverso l’utilizzo di modelli, soluzioni cooperative o competitive.

Ciò che differenzia la tipologia di “gioco” di tipo cooperativo o non cooperativo è appunto la configurazione degli interessi in campo.

In sistemi come quelli descritti, in cui la politica media i propri interessi con quelli dei diversi gruppi di pressione, la configurazione tendenziale è quella di un “gioco” non di tipo cooperativo, in cui ogni “giocatore” tende ad adottare una strategia individualistica. Una strategia che cerca di massimizzare i propri risultati, per poi arrivare, attraverso la valutazione delle forze in gioco, ad una soluzione mediata spesso in un processo caratterizzato da una competizione (pensiamo alle concertazioni tra parti sociali e rappresentanti delle aziende).

Nei processi decisionali a partecipazione allargata limitare l’interazione secondo schemi strategici di tipo competitivo risulta riduzionistico.

La percezione di un tema sul quale partecipare alla discussione e alla deliberazione avviene tramite modelli di rappresentazione delle realtà la cui dinamiche di formazione sono influenzate da altri fattori indicati nei paragrafi precedenti.

Più queste rappresentazioni riescono ad essere sistemiche e andare oltre la visione degli interessi strettamente individuali o del gruppo di appartenenza, più sarà possibile ricercare soluzioni del conflitto di tipo cooperativo o di una positiva competizione attraverso il reciproco riconoscimento degli obbiettivi comuni.

Per continuare un parallelo con la teoria dei giochi, essa distingue principalmente tra giochi a somma zero e giochi a somma diversa da zero.

I giochi a somma zero implicano la presenza di un premio che dovrà essere assegnato a una delle parti, o al massimo prevede una soluzione in pareggio. Vengono chiamati a somma zero perché la somma dei premi delle vincite e degli attori in gioco è pari a zero. Non sono previste quindi soluzioni in cui entrambi i giocatori possano vincere o perdere.

Nei giochi a somma diversa da zero invece è presente almeno una soluzione del conflitto in cui la somma dei premi delle vincite e delle perdite sia diversa da zero, permettendo quindi sia la vittoria che la sconfitta di entrambi i giocatori.

La configurazione del conflitto in termini di somma zero o somma diversa da zero, dipende molto dai modelli con cui si interagisce nella partecipazione finalizzata alla deliberazione.

Prendiamo l’esempio in cui si voglia discutere in Italia della riforma del TFR.

Tra i portatori di interesse da coinvolgere nella partecipazione, possiamo individuare i sindacati, le associazioni aziendali, e i rappresentanti di interessi finanziari e bancari.

Spesso non è possibile configurare un sistema in maniera così autonoma da altre forme di potere e interessi, specialmente in una fase di globalizzazione in cui i contatti nelle reti di interesse si stabiliscono oltre la sfera di influenza nazionale.

Per semplificare il modello supponiamo che gli interessi siano relativi alla sfera nazionale, e che gli attori in gioco siano quelli identificati precedentemente.

La destinazione del TFR potrebbe rappresentare il premio da ottenere.

Nella configurazione del gioco a somma zero, ogni portatore di interessi tenderà ad applicare una strategia che cerchi di assicurarsi la decisione sulla destinazione della maggior parte di TFR. Ogni risorsa tolta all’avversario verra assegnata a proprio vantaggio.

Non intravedere una soluzione di vantaggio per tutti i partecipanti o un rischio di perdita comune porterà a strategie di tipo individualistico cercando quindi di massimizzare il risultato ai danni dell’avversario.

Per andare oltre la logica della rivendicazione e compensazione e “configurare il gioco partecipativo” in una modalità che preveda risultati non a somma zero, diventano di fondamentale importanza le rappresentazioni che ogni parte ha del conflitto, i modelli di supporto decisionale, le valutazioni sugli effetti delle soluzioni a breve e lungo termine, e la stessa definizione delle regole in cui deve svolgersi il processo partecipativo.

Concentrarsi nella riformulazione degli interessi particolari, in una logica di funzionamento dell’intero sistema, potrebbe portare all’individuazione di obiettivi comuni che è alla base di una strategia di cooperazione.

Èproprio in questa fase del processo di creazione sociale delle rappresentazioni e dei modelli che deve nascere lo spazio dialettico orientato alla comprensione del sistema attraverso i contributi apportati dai diversi stakeholder.

Tornando al nostro esempio della riforma del TFR, la costruzione di un prototipo del problema, dovrebbe evidenziare, attraverso l’interazione dei “giocatori”, il complesso delle problematiche, sintetizzato in un modello che sia chiaro e il più possibile condiviso. Modello che dovrà esplicare: l’emergere del problema di un finanziamento alternativo al TFR a cui dovranno attingere le aziende, le diverse prospettive sulla destinazione finanziaria in cui dovrà essere impiegato il TFR dei lavoratori, gli interessi delle rappresentanze politiche e dell’elettorato di riferimento.

Costruire, attraverso l’interazione dei giocatori un modello comune delle problematiche, può portare a concentrare gli sforzi sull’individuazione di risultati di sistema, in cui le vincite di alcuni non siano compensate dalle perdita di altri, puntando su una strategia di cooperazione, che eviti una perdita comune, a vantaggio complessivo dell’ecosistema.

Questa approccio di analisi risulta particolarmente utile quando abbiamo a che fare con sistemi a partecipazione allargata.

Costruzione sociale dei modelli interpretativi

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Attraverso gli strumenti dell’ICT (Information and Communications Technologies), i progetti di e-participation puntano ad aumentare la partecipazione ai processi decisionali da parte dei cittadini.

Proprio nella prospettiva di un accesso vasto e disomogeneo a questi processi, risulta di fondamentale importanza il percorso di “costruzione sociale” del modello interpretativo come parte integrante e di supporto alla deliberazione.

l’ampliamento del numero dei soggetti che intervengono nel processo decisionale, può portare ad una moltiplicazione degli interessi in campo, rendendo il confronto non più sostenibile all’interno di una logica di rivendicazione e compensazione degli interessi.

Se si vogliono sostenere paradigmi deliberativi, all’interno dei progetti di e-participation, la moltitudine degli interessi e delle rappresentazioni delle tematiche, devono costituire una risorsa nel confronto dialettico per la produzione sociale del modello interpretativo con il quale affrontare le scelta di rilevanza pubblica.

Una prospettiva deliberativa implica anche una trasformazione del ruolo amministrativo e politico, così come concepito all’interno della democrazia rappresentativa.

Il politico non più custode dell’interesse generale nel contrasto degli interessi e delle rivendicazioni dei vari portatori di interesse, ma catalizzatore del processo di costruzione di un modello, solido nella consapevolezza degli interessi e degli obbiettivi comuni dei soggetti partecipanti.

E-participation e comunicazione mediata al computer: verso una democrazia deliberativa.

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Nella strutturazione di un processo decisionale partecipato, attraverso l’uso degli strumenti ICT, è necessaria l’identificazione del modello politico, considerando la peculiarità della comunicazione mediata al computer (CMC) attraverso la quale i soggetti dovranno interagire.

Modelli, ipotesi e prospettive dei processi decisionali nell’era della società dell’informazione.

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Le reti di telecomunicazioni, ed in particolare internet, hanno creato l’opportunità, per milioni di persone, di entrare in comunicazione diretta.

Le relazioni scaturite da questa interazione hanno dato vita a numerose comunità pratiche e gruppi di discussione on-line che si sono ritrovati a discutere e a produrre cultura e conoscenza intorno ad una vasta tipologia di argomenti.

Per dare una visione delle dimensione del fenomeno, tra gli esempi più importanti di carattere produttivo-collaborativo, possiamo certamente citare l’enciclopedia libera Wikipedia e l’ecosistema del software free ed opensource.

Analizzando le statistiche di Wikipedia2 vediamo che i contributori registrati (“Wikipediani”) della versione italiana sono 7.016 (nov. 2006) per arrivare ad una somma totale di tutti gli autori internazionali di 124.793 (nov. 2005). Tenendo presente che è possibile contribuire all’enciclopedia anche senza essere registrati, arriviamo ad una produzione totale di 222.000 articoli in lingua italiana (nov. 2006) per un totale di 2 milioni e 900 (nov. 2005) sommando gli articoli in tutte le lingue.

Per quanto riguarda il movimento FOSS, basandoci sui dati degli utenti registrati su SourceForge3, il più grande sito che fornisce infrastruttura per i software distribuiti con una licenza approvata OSI (Open Source Iniziative), contiamo poco meno di 1.500.000 sviluppatori per un totale di circa 140.000 progetti registrati (gen. 2007).

Nell’attività di co-produzione software e cultura è necessaria una attività di coordinamento, discussione, strutturazione di modelli decisionali e amministrativi e regole (più o meno formalizzate) che permettano la convivenza e il funzionamento dell’intero ecosistema.

La possibilità di creare una comunità “politica” che possa decidere sui temi di interesse pubblico, attraverso l’utilizzo della rete, deve tenere conto sia delle peculiarità del mezzo e degli strumenti con i quali l’interazione avviene, sia delle esperienze e dei problemi di ordine “politico-amministrativo” riscontrati nella gestione di vaste comunità online.

Democrazia rappresentativa e democrazia diretta

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Il principale regime governativo, affermatosi in occidente, può essere considerato la democrazia rappresentativa, pur nella diversità delle sue forme e declinazioni.

Essa si basa sul principio delle rappresentatività: la selezione, attraverso la votazione dei cittadini aventi diritto, di una sottoclasse di eletti che li rappresenti nel governo di un determinato territorio.

Èquesta sottoclasse, attraverso una serie di istituti, meccanismi e regole di voto, a stabilire gli altri ruoli istituzionali e politici che contribuiscono a comporre l’intero quadro dirigenziale politico e amministrativo.

Diversi ordinamenti di democrazia rappresentativa contemplano la presenza di istituti di democrazia diretta come il referendum (abrogativo, propositivo, consultivo e confermativo) e le proposte di legge ad iniziativa popolare.

Gli strumenti come il referendum propositivo ed abrogativo e l’iniziativa di legge popolare utilizzano un approccio bottom-up ovvero dal basso vero l’alto.

Tramite la raccolta di firme dei cittadini o attraverso un voto diretto è possibile proporre un provvedimento ai rappresentanti, abrogare o approvare una legge.

Il referendum consultivo e confermativo ha caratteristiche top-down dall’altro verso il basso poiché l’iniziativa è presa dai rappresentanti che, coinvolgendo i rappresentati attraverso un voto, chiedono il parere o la conferma di un provvedimento approvato dai rappresentanti.

Per l’esercizio degli istituti bottom up spesso vengono posti dei limiti di rilevanza sociale per ottenere validità, come la richiesta di un quorum di votanti o di un numero minimo di firme necessarie che sottoscrivano la proposta.

Vengono posti questi limiti per proteggere gli organismi rappresentativi da un sovraffollamento di proposte caratterizzate da particolarismi o interessi minoritari.

Considerando anche i costi e gli sforzi da sostenere per organizzare la raccolta delle firme o lo svolgimento delle votazioni, il numero di istanze gestibili attraverso gli strumenti democratici diretti è limitato.

Dal punto di vista pratico le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono costituire un’opportunità per risolvere il problema dei costi della democrazia diretta, ma anche migliorarne le procedure organizzative e logistiche.

Gli strumenti ICT nella democrazia diretta.

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Quali sono i vantaggi ed i limiti dell’utilizzo di questi strumenti per valorizzare gli istituti democratici diretti?

Orientiamoci a scopo esemplificativo sulla situazione italiana.

Nell’ordinamento italiano i principali istituti di democrazia diretta bottom up sono la legge di iniziativa popolare (art. 71 Cost.) e il referendum abrogativo (art. 75) regolati dalla costituzione a livello nazionale.

Inoltre è previsto che, a livello regionale, gli statuti regolino l’istituto referendario sulle leggi e i provvedimenti amministrativi della Regione (art. 123 c. 1 Cost.). In diversi statuti degli Enti locali (Provincie e Comuni) sono previsti a loro volta strumenti di democrazia diretta come ad esempio il referendum propositivo ed abrogativo di iniziativa popolare nella Provincia di Roma4.

Seguendo un approccio tradizionale, che non prevede l’utilizzo di strumenti ICT, il processo per validare un provvedimento bottom up è molto dispendioso.

Una volta redatta la proposta da un qualsiasi gruppo, associazione, partito, bisogna organizzare sul territorio la raccolta firme per affermare la rilevanza sociale dell’iniziativa. Questo implica un lavoro di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema oggetto della proposta, l’organizzazione di postazioni per la raccolta firme disseminati sul territorio mediante l’impiego di soggetti autenticatori previsti dalla legge.

l’altro limite principale è la possibilità di costruzione collettiva del testo oggetto della proposta, poiché rimane difficile pensare di adottare una metodologia semplice e rapida tramite modalità off line, specialmente quando il numero dei soggetti attivi da coinvolgere nell’iniziativa sia vasto e la tipologia disomogenea.

Bisogna aggiungere poi i cosiddetti problemi di compresenza geografica e di “sincronia” dell’azione. Con i metodi tradizionali è difficile contribuire alla discussione di un testo in maniera efficiente senza richiedere la compresenza geografica e una certa sincronia delle azioni collaborative. Anche dividendo il processo su base territoriale é difficile che i singoli gruppi locali possano discutere ed avanzare le proposte senza fisicamente riunirsi in un luogo fisico e discutere di persona delle modifiche per la costruzione di un consenso sul testo.

I vantaggi che possono offrire gli strumenti ICT sono quindi diversi. Proviamo a vederne alcuni.

In rete sono già presenti ed utilizzati strumenti, anche se per ora rudimentali, che permettono tecnicamente di strutturare e sviluppare dei testi in modalità cooperativa online, ad esempio il Wiki.

Il WIKI

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Il Wiki è uno strumento cooperativo per la produzione di ipertesti, ma può essere considerato anche come una piattaforma collaborativa per la costruzione di siti web. Una diffusa piattaforma software per farlo è Mediawiki utilizzata anche dal progetto di enciclopedia libera Wikipedia.

Tra le caratteristiche fondamentali di un Wiki vi è la possibilità di creare, editare ed aggiornare una pagina ipertestuale da parte di una molteplicità di utenti senza necessità di sincronia, di identificazione e di compresenza geografica. In genere quasi tutti i Wiki permettono anche di mantenere una cronolgia delle modifiche dell’ipertesto prodotto, in modo da poter accedere sia all’evoluzione dei contribuiti e della pagina, sia al ripristino di versioni precedenti nel caso di atti di vandalismo o a seguito di aggiunta di testi non aderenti alla politica dei contenuti.

Molte delle caratteristiche del Wiki dipendono dalla singola implementazione software e dagli eventuali sviluppi anche in base alle esigenze dell’Amministrazione.

Per esempio, in uno spazio Wiki si può decidere che un’utente possa contribuire in maniera anonima o previa registrazione al sistema (fornendo dei dati di identificazione), oppure all’interno del sistema possono essere definiti vari ruoli per gli utenti registrati al fine di migliorare la gestione dello spazio. Può essere ammesso il blocco temporaneo del contenuto di una pagina, effettuato dagli amministratori, in caso di atti vandalici o a seguito di una serie di modifiche degenerate in flaming, sistemi di disabilitazione degli account utente etc.

Il Wiki può contenere appositi spazi di discussione per ogni testo prodotto, in modo da discutere gli aspetti e le sezioni controverse, spazi di votazione sulla qualità dei contenuti e semplici sitemi per gestire le votazione sulle azioni da degli utenti.

Gli sviluppi delle piattaforme rimangono aperti alle esigenze gestionali e di coordinamento che andranno affermandosi tramite le esperienze di collaborazione.

Proprio nella prospettiva di uno sviluppo simbiotico l’esempio di piattaforma mediawiki, a cui abbiamo accennato prima, è tipicamente un prodotto free software.

Sugli aspetti della produzione free software e open source avremmo modo di parlare più avanti, ma per il momento ci interessa sottolineare che, in una prospettiva di costruzione sociale della produzione dei contenuti e delle rappresentazioni, è fondamentale che ci sia di pari passo un approccio “costruttivista” sullo sviluppo delle piattaforme software: artefatti cognitivi condivisi attraverso i quali interagire.

Il Wiki offre anche altri vantaggi. Come abbiamo accennato non richiede la compresenza geografica ne sincronica degli autori. Questo è molto interessante poiché la prima caratteristica da la possibilità di collaborare su un testo per finalità comuni, senza che gli autori si debbano recare nello stesso luogo fisico.

Si possono creare quindi “comunità di pratiche”, orientate alla produzione di una proposta, che vanno oltre l’aggregazione per prossimità geografica ma si formino su basi motivazionali.

l’altra caratteristica e l’asincronia della partecipazione. Gli autori possono partecipare alle discussioni non solo in luoghi diversi, ma anche in momenti diversi.

Facciamo un esempio. Immaginiamo che un’associazione o un gruppo di cittadini apra un wiki con una bozza per una legge di iniziativa popolare che porti a definire la disponibilità della larga banda come servizio universale.

Questo, essendo un tema di interesse nazionale, consente di aggregare gli interessi dei diversi cittadini sul territorio che vivono in divario digitale, ma anche di altri che credono nella proposta a prescindere da un loro interesse personale diretto.

La comunità di pratica che si viene a formare, quindi, è svincolata dai limiti territoriali e anche dai costi del doversi incontrare fisicamente per collaborare. Lo spazio virtuale è “equidistante” e “a portata di mano” per tutti i membri.

l’asincronia dei contributi e più in generale dell’interazione permetterebbe a ciascun cittadino di dedicare del tempo allo sviluppo della proposta in base alle sue esigenze e a suoi ritmi di vita. Inoltre essendo presente uno archivio cronologico dei contributi e delle discussioni, ognuno può decidere di dedicare, a seconda dei periodi, un impegno e un approfondimento diverso, senza dover perdere l’evoluzione del processo nella sua generalità.

Si presuppone che queste due caratteristiche di flessibilità abbiano un certo impatto riguardo alle riduzione delle barriere che frenano l’investimento personale su un tema politico.

Possiamo dire che, per come sono strutturati ora, i wiki hanno dei buoni risultati per una produzione cooperativa della conoscenza.

Essendo il testo di un prodotto culturale dinamico di per sé, non ha una particolare necessita di stabilizzazione, ma anzi è considerato un fattore positivo il fatto che possa variare a seconda della dinamica sociale e delle interpretazioni prodotte.

Potrebbe quindi svolgere un ruolo importante nella costruzione del modello di conoscenza a supporto di una iniziativa di democrazia diretta, ma diventa difficile strutturare un testo legislativo all’interno di un wiki.

Questo limite è di natura tecnologica, poiché non sono state ancora sviluppate piatteforme che permettano di organizzare la produzione attraverso una prospettiva che includa, tra le altre funzionalità, un’evoluzione delle metodologie di produzione legislativa attualmente consolidate nelle istituzioni rappresentative.

Il wiki può essere comunque uno strumento valido nelle prime fasi di stesura della bozze, e costituire, più in generale, la piattaforma sulla quale organizzare la fase iniziale di brain storming, in cui il testo è molto instabile e soggetto a numerose modifiche.

Una volta che il flusso dei cambiamenti si sia attestato su livelli più contenuti diventa necessario mutuare, valutare, adattare ed estendere alcuni strumenti metodologici adottati nei normali processi legislativi.

Tra le funzioni necessarie ci dovrebbe essere la possibilità di generare uno spazio dialogico riguardo le singole parti del testo (paragrafi, frasi, parole, articoli).

Dovrebbe permettere la creazione di gruppi di lavoro per tipologia tematica, oppure commissioni che indaghino particolari problematiche e gli effetti delle proposte in conflitto. Un’altra esigenza è la possibilità di creare emendamenti, classificarli, discuterli e votarli. Le proposte di emendamento dovranno essere elaborate da sistemi sociali di convalida e classificazione.

Il processo di revisione della GPL3

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Un esempio embrionale di alcune di queste tecnologie lo possiamo trovare sul sito della Free Software Foundation (FSF) nella sezione relativa alla revisione della licenza GPL35.

La definizione del processo di revisione di questa licenza6 offre, ai nostri fini, anche diversi spunti che vanno oltre la piattaforma e, per certi versi, meriterebbe uno studio specifico sul come si sia svolta effettivamente la sua concreta applicazione.

Ècomunque un interessante esempio di cooperazione supportata dalle ICT.

Questo processo è nato dall’esigenza per la FSF di effettuare una pubblica revisione della licenza GPL che regolamenta la distribuzione della maggior parte del free software.

Abbiamo quindi a che fare con un’associazione senza scopo di lucro, ma in altri casi potrebbe trattarsi di un nucleo di cittadini che organizza un comitato promotore, una comunità virtuale, o qualsiasi altro tipo di associazione e organizzazione che si fa carico di svolgere quel lavoro di start-up necessario per far partire l’iniziativa: dall’organizzazione degli spazi in rete, la definizione del processo decisionale, l’assunzione delle funzioni di moderazione ed amministrazione del processo stesso. Il fatto che ci sia un’entità che faccia da start up all’iniziativa e che amministri il processo, non implica che vi sia un modello di partecipazione democratica limitato in partenza.

Nel caso di revisione di questa licenza è necessario che attraverso questo processo la nuova versione sia accolta dagli sviluppatori e dagli altri soggetti impegnati nella produzione e adozione di free software.

Quindi il processo è aperto perché necessita di raggiungere un certo grado di consenso.

Una licenza prodotta che incontri l’ostilità della maggior parte degli sviluppatori, non sarebbe adottata, e verrebbe svuotata di qualsiasi forma di “potere” o ruolo normativo reale.

Per fare un parallelo, in un processo per la costruzione di una legge di iniziativa popolare, o di un referendum, è necessario raggiungere una certa forma di consenso e garantirne la democraticità nella gestione dei processi decisionali poiché il consenso dovrà essere alla fine formalizzato attraverso l’apposizione delle firme necessarie per validare l’iniziativa.

Ritornando alla definizione di processo per la revisione della GPL3, incontriamo nel punto 1.4 l’affermazione degli intenti di una “consultazione della comunità”. l’intento dell’associazione è di avviare una discussione nella maniera più esaurente possibile con tutte le comunità e gli utenti impegnati nel processo di revisione attraverso un percorso di risoluzione dei problemi che implichi una valutazione approfondita di rischi e benefici.

Essendo un lavoro molto impegnativo, vasto e complesso, è prevista la formazione di “Comitati di Discussione”, che in realtà costituiscono una forma di democrazia non diretta, agendo in rappresentanza delle diverse tipologie di utenti e distributori.

Cercando di orientare i commenti e gli interventi secondo uno spirito costruttivo, ogni proposta di modifica e di risoluzione dei problemi richiede la necessaria descrizione dei rischi e benefici. La definizione specifica dei comitati di discussione avviene nel successivo punto 3.

Il tentativo che si cerca di fare, con la costituzione dei comitati di discussione,è di creare dei punti di concentrazione ed aggregazione dei temi e degli interessi. l’organizzazione del processo dialogico e democratico è demandata alla capacità dei comitati stessi di organizzarsi e di permettere l’inclusione di nuovi membri all’interno dei comitati. La fondazione promotrice (FSF) fornisce lo schema di lavoro di base dal quale partire.

I comitati svolgono anche un importante lavoro di razionalizzazione, catalogazione ed accorpamento dei commenti e dei problemi emersi.

Questo risulta molto utile in quanto diversi commenti e richieste di modifiche possono risultare simili tra loro oppure generare delle interdipendenze e dei conflitti.

In genere, i commenti, una volta identificati e catalogati, diventano a pieno titolo un tema a cui bisognerà trovare una soluzione.

Grande risalto è dato alla trasparenza dei processi di discussione, ad esempio é prevista la pubblicazione delle trascrizioni dei meeting internazionali faccia a faccia.

Dal punto di vista cronolgocio il processo è caratterizzato da alcune scadenze che portano alla pubblicazione di versioni ufficiali della bozza, accompagnate da una spiegazione 'razionalÈredatta dall’associazione riguardo le modifiche apportate al testo.

Tutti i temi che non hanno raggiunto una soluzione verranno rimandati alla fasi successive. Nell’ultima fase, per tutti i problemi a cui non si è riuscito a trovare una soluzione, verrà presa in ultima analisi una decisione da parte della fondazione promotrice dell’iniziativa, accompagnata da un commento esplicativo a supporto della soluzione. Naturalmente, anche nel prendere questa decisione il soggetto promotore dovrà tener conto degli sviluppi precedenti delle discussioni da parte della comunità.

Cercando di ottenere il consenso all’interno di un processo dialogico, anche quando non si giunge ad un accordo, diventa difficile che le decisioni possano essere prese in maniera totalmente arbitraria da parte del promotore, ma si cercherà di trovare un soluzione di bilanciamento rispetto a quanto emerso fino a quel momento.

Tutto il processo deve ricomporsi entro la data dell’ultima revisione, dopo la quale il testo viene promulgato.

Dal punto di vista degli strumenti informatici utilizzati, oltre al sistema di commento delle bozze del testo, viene utilizzato un wiki per la costruzione collaborativa della conoscenza a supporto del processo contenente diverse informazioni, il calendario di incontri e conferenze e una raccolta di domande ricorrenti (frequently asked question).

Inoltre è presente un sistema di tracciamento dei temi in modo da permettere ai proponenti di seguire gli sviluppi di una proposta inviata. I diversi comitati di discussione, a loro volta, possono usare strumenti di comunicazione mediata al computer sia sincroni che asincroni, come la mailing list, la chat o la videoconferenza, per poter organizzare il proprio lavoro. Il supporto legale alla produzione della licenza viene dato da esperti all’interno della associazione, ma naturalmente, a seconda del grado di esperienza, si possono avere anche contributi di tipo tecnico-legale apportati da altri esperti che partecipano al processo: pensiamo solo ai problemi di compatibilità del testo della licenza con la normativa degli ordinamenti nei diversi Paesi.

Quello che possiamo dire in conclusione è che sarebbe necessario uno studio specializzato sull’effettivo svolgimento di questo processo, dell’analisi dei meccanismi adottati sul campo nella risoluzione delle problematiche, delle metodiche con le quali si è raggiunto il consenso nelle varie occasioni, nello studio delle dinamiche di gruppo all’interno di questi spazi virtuali (fenomeni di in-group, out-group, conformismo, ruolo delle maggioranze e minoranze, nell’identificazione delle leadership carismatiche e di competenza), formazione di identità comuni e condivisione di universi simbolici, mediazioni di norme e definizione di ruoli. Tutti questi aspetti psicologico-sociali sono ancora poco studiati all’interno delle comunità pratiche, e più in particolare nelle comunità virtuali.

La piattaforma utilizzata dalla FSF, che implementa solo una ridotta funzionalità a supporto dei processi, ha quindi ancora molti margini di sviluppo, anche a livello ergonomico, per permettere la riduzione dei costi cognitivi nelle attività di interazione, di produzione e ricerca delle informazioni.

Per altri aspetti, sovraccaricando il sistema di strutture formalizzate, si rischierebbe di burocratizzare eccessivamente il processo codificandolo eccessivamente e togliendo ampi spazi alle potenzialità discrezionali del dialogo.

Ad esempio, un sistema di classificazione delle proposte, tramite ontologie e attività sociali di etichettatura o convalidazione sociale delle ontologie stesse, potrebbe ridurre lo sforzo cognitivo per reperire le informazione e navigare le varie proposte prima di votarle.

l’obiettivo è quello, in parte, di automatizzare e distribuire tra tutti i partecipanti parte del lavoro che viene ora centralizzato. Attualmente i volontari della FSF debbono controllare ogni modifica o commento apportato alle bozze, effettuare una valutazione di ogni commento, controllare se non sia già stato precedentemente classificato, eventualmente accorparlo o assegnargli lo status di nuova problematica.

Tutti i sistemi che puntano all’individuazione di schemi ontologici che permettano di creare inferenze semantiche per la classificazione e la navigazione dei contenuti si rivolgono sia al web che a tutti quei sistemi con una vasta produzione di informazioni non strutturate.

Le ricerche in questo campo spesso si riferiscono al così detto “web semantico”.

La possibilità di negoziare socialmente ontologie, è una delle prospettive più interessanti da studiare e sperimentare, in una ricerca ibrida di strumenti, sia inferenziali, di trattamento automatico del linguaggio, sia di costruzione e validazione sociale di questi schemi classificatori.

Validazione degli strumenti di democrazia diretta.

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Vediamo ora di trattare la fase di validazione per le iniziative di democrazia diretta sviluppate con il supporto di strumenti ICT.

Abbiamo visto che la conoscenza di base a supporto di una comunità di pratica può essere strutturata all’interno di un Wiki, mentre i canali di discussione possono essere gestiti attraverso forum, mailing list, chat, teleconferenze ed incontri faccia a faccia. In relazione alla metodologia di lavoro e all’insieme delle norme condivise dalla comunità pratica, andranno sviluppati e modificati gli strumenti che riducono il più possibile l’impegno cognitivo nella gestione dei flussi e della reperibilità delle informazioni, per permettere ai membri di concentrarsi sul processo di negoziazione delle rappresentazioni.

Riprendiamo quindi l’esempio dell’iniziativa per una legge popolare che introduca la banda larga nel servizio universale. Consideriamo ad esempio che un’associazione come Antidigitaldivide7 si assuma l’impegno dello sforzo di start-up dell’iniziativa e quindi predisponga la piattaforma dei servizi e degli spazi sul web, definisca una metodologia di lavoro e un insieme di regole condivise e democratiche per lo svolgimento dei lavori e si assuma, almeno inizialmente, il ruolo di moderare e amministrare il processo, oltre a fornire un supporto legale alla stesura del testo. Attraverso la strutturazione di commissioni di valutazione delle proposte, le varie fasi di revisione delle bozze, l’eventuale votazione degli emendamenti, si arriva, infine, alla redazione finale del testo strutturato in articoli.

A questo punto in Italia è necessario validare formalmente la proposta con la raccolta di 50.000 firme autenticate (art.71 Cost.) per presentarla in Parlamento.

Se la proposta fosse stata di ambito regionale, provinciale o cittadino, il numero di firme sarebbe cambiato in base ai singoli statuti delle istituzioni locali.

Abbiamo visto che organizzare a livello logistico sul territorio la raccolta di firme autenticate è alquanto dispendioso in termini di risorse.

La soluzione quindi, sarebbe quella di procedere alla raccolta attraverso l’apposizione della firma digitale direttamente online, unita eventualmente alla possibilità di raccolta ed autentica tradizionale, per permettere a chi non utilizza la rete di sottoscrivere l’iniziativa.

Purtroppo, almeno in Italia, questo procedimento non è possibile, anche se la firma digitale è già regolamentata a livello legislativo dove è equiparata alla firma autografa su carta. A parte il meccanismo un pò farraginoso per ottenere una firma digitale attraverso i soggetti certificatori, il vero problema è che non è previsto ne il deposito della proposta in Parlamento attraverso internet, ne l’apposizione della firma digitale per validare proposte di legge, referendum e liste elettorali per via telematica.

Andrebbe fatto uno sforzo preliminare, quindi, per procedere online alla realizzazione di un’altra proposta di legge di iniziativa popolare, che permetta di superare questi due problemi e procedere, per l’ultima volta, a una vasta raccolta tradizionale di firme autenticate sul territorio.

Principali limiti dell’estensione degli strumenti democratici diretti.

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Nonostante il supporto degli strumenti ICT possa, per molti aspetti, semplificare l’effettivo esercizio degli istituti di democrazia diretta già presenti nell’ordinamento, ci sono alcuni problemi di varia natura che ne limitano sia l’utilizzo che gli effetti.

Parleremo in particolare del caso italiano, ma l’analisi può essere adattata ai contesti normativi di altre Nazioni.

Se prendiamo per esempio la legge di iniziativa popolare, anche riuscendo a costruire un testo largamente condiviso tramite l’interazione mediata al computer e a raccogliere le firme digitali necessarie, non è legalmente garantita l’approvazione della proposta. Dovrà affrontare l’iter parlamentare con possibilità di arenarsi, essere respinta o magari pesantemente snaturata dagli emendamenti. l’iter della legge è comunque trasparente ed accessibile telematicamente attraverso i siti dei due rami del Parlamento.

Per poter evitare eventuali comportamenti elusivi dei rappresentanti politici si potrebbe evidenziare la loro responsabilità politica attraverso i dati estratti dai siti istituzionali.

Nello spazio web, dove si è organizzata la produzione della proposta legislativa, alcuni membri della comunità potrebbero inserire una serie di informazioni attraverso i sistemi di feed rss delle notizie, mailing list, annunci sul forum, calendari degli eventi etc. Verrebbero così evidenziati i voti in commissione, i firmatari ed i voti degli emendamenti, insieme ai voti definitivi dei singoli deputati e senatori sulla proposta.

La serie di informazioni generata alla fine dell’iter parlamentare, andrebbe riorganizzata ed aggregata (anche attraverso procedure automatizzate) in modo da supportare il cittadino durante le elezioni permettendogli di conoscere rapidamente le votazioni espresse sulle leggi di iniziativa popolare, sia per partito che per singolo candidato.

Attraverso la “tracciabilità” delle scelte politiche sarebbe possibile anche rafforzare gli strumenti democratici.

Portando avanti una proposta di legge di iniziativa popolare che modifichi le leggi che regolamentano gli istituti di democrazia diretta, sarebbe possibile, anche a livello legale, limitare il potere discrezionale delle rappresentanze politiche attraverso l’organizzazione di iniziative dal basso.

Basterebbe far arrivare questa prima iniziativa in Parlamento, monitorando e rendendo evidenti le responsabilità politiche, poiché, una volta approvata, si avrebbe una maggior forza normativa degli istituti democratici diretti.

Un discorso diverso deve essere fatto per gli strumenti come il referendum per il quale, una volta redatta la proposta, non deve essere discussa ed approvata in Parlamento ma deve essere votata dai cittadini.

Utilizzare in questo caso la firma digitale, la redazione e il coordinamento della proposta dei cittadini attraverso il supporto degli strumenti ICT apporterebbe vantaggi parziali senza ricorrere al voto elettronico.

Essendo necessario un notevole sforzo logistico ed economico per organizzare una votazione tradizionale, tutti i vantaggi dell’organizzazione asincrona andrebbero persi in questo passaggio.

Rimane difficile aspettarsi che l’adeguamento della legislazione sulla firma elettronica possa essere realizzato dalle stesse rappresentanze politiche.

Alcuni dei principali tentativi in Italia di portare la firma digitale all’interno degli istituti democratici diretti si sono arenati in Parlamento.

La sesta delle venticinque proposte di legge di iniziativa parlamentare promosse dai Radicali, presentate alla Corte di Cassazione nel 2001 diventato poi atto del Senato n. 16208 nel Luglio 2002 risulta ferma in Commissione Affari Costituzionali dal Marzo 2004.

Questa proposta di legge prevede l’introduzione della firma elettronica per i referendum, leggi di iniziativa popolare e sottoscrizione delle liste delle candidature. Nel primo articolo troviamo anche l’introduzione del voto elettronico sia per i referendum che per le elezioni europee, politiche ed amministrative.

La parte più interessante riguarda forse la completa informatizzazione della procedura per la presentazione sia delle liste che delle proposte sottoscritte fino alla deposizione presso l’istituzione competente, prevedendo la possibilità di integrazione delle firme cartacee con quelle digitali.

Un limite della proposta è il contenere al suo interno sia la firma digitale che il delicato tema del voto elettronico.

Mentre la firma digitale è attualmente regolamentata nell’ordinamento italiano ed ha valore giuridico, il voto elettronico pone del problemi tecnici che, sebbene superabili, non sono di semplici soluzione. Racchiudere in un unica legge delega entrambe le proposte ne rende sicuramente difficile l’approvazione.

Un’altra proposta di legge è l’atto della Camera n. 52289 dell’agosto 2004 di iniziativa parlamentare dell’On. Beatrice Magnolfi riguardante la “Disciplina della sottoscrizione dei referendum popolari anche a mezzo di firma digitale” ferma dal 2004, in attesa di discussione, alla Commissione Affari Costituzionali. Nonostante questa proposta, non includendo il voto elettronico, sia di semplice approvazione, risulta limitata nell’obiettivo di regolamentare l’istituto del referendum.

Come abbiamo visto prima, essendo un processo che richiede l’intervento dei cittadini in due fasi, richiederebbe anche in questo caso l’introduzione del voto elettronico. Informatizzando la fase di creazione e sottoscrizione della proposta si avrebbe comunque l’opportunità di utilizzare lo strumento come “arma di contenimento” nei confronti delle rappresentanze politiche poiché, una volta creata la proposta on-line e raccolte le necessarie firme digitali, l’unico modo per evitarne la votazione è di modificare la legislazione oggetto del quesito. Anche adottando quest'ultima soluzione il social network che ha prodotto e promosso l’iniziativa referendaria dovrebbe rendere chiare la responsabilità politiche, sia dei singoli rappresentanti che dei partiti, utilizzando gli stessi spazi in rete sui quali si è lavorato alla costruzione della proposta evitando in questo modo che qualsiasi iniziativa dei rappresentanti, volta ad eludere il voto referendario, possa rimanere con un vuoto di responsabilità politica.

Strumenti democratici diretti ed Enti locali

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Strumenti di democrazia diretta sono presenti anche all’interno dei vari statuti delle Regioni, Province e Comuni quindi il discorso fatto finora rimane valido a qualsiasi livello dell’apparato amministrativo.

Solo per fare un esempio nello Statuo della Provincia di Roma, nel capitolo III sono previste istanze, petizioni e proposte mentre nel IV capitolo troviamo i referendum propositivi e abrogativi di iniziativa popolare.

l’ostacolo principale, anche a livello locale, nell’utilizzo di questi istituti, rimane sempre il grosso sforzo logistico ed organizzativo che il gruppo promotore dell’iniziativa deve sostenere per formare quel social network di sviluppo della proposta e della ricerca delle adesioni all’iniziativa attraverso la raccolta firme.

l’utilizzo di strumenti ICT a supporto della rete sociale può rendere semplici i processi di costruzione delle iniziative e della raccolta delle adesioni anche in ambito locale dove le barriere geografiche risultano in stretto rapporto alle dimensioni territoriali dell’Amministrazione stessa ma la necessità di sincronizzazione richiesta nell’interazione faccia a faccia può rimanere una costante anche in centri di piccole e medie dimensioni.

Un approccio timido all’ICT.

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Nell’impossibilità legislativa attuale, per le iniziative di democrazia diretta di svolgere l’intero processo tramite l’utilizzo di strumenti dell’ICT, il web è stato usato come spazio informativo centralizzato dai comitati promotori.

In particolare si fa riferimento a due progetti di legge di iniziativa popolare come “l’acqua come bene comune”10 del forum italiano dei movimenti per l’acqua e la legge di iniziativa popolare “per una buona scuola”11.

Entrambe le iniziative sono state sviluppate attraverso il lavoro di organizzazione e redazione di diversi comitati e associazioni ma non hanno direttamente usufruito ne sono stati messi a disposizione strumenti on-line a supporto della rete sociale di interessi che si è creata intorno alle iniziative. Lo spazio web, quindi viene utilizzato come strumento rapido e centralizzato di comunicazione di notizie e di iniziative legate alle proposte senza prevedere al suo interno strumenti di discussione e collaborazione.

Diciamo quindi che gli spazi online, almeno quelli centralizzati, sono stati utilizzati in maniera molto limitata rappresentando di fatto la fonte ufficiale d'informazione per i due progetti. Solo per il progetto di legge sull’acqua è presente sul sito la possibilità di effettuare donazioni per l’organizzazione della raccolta firme attraverso gli strumenti di pagamento elettronico.

Comunque, entrambe le iniziative hanno raccolto, attraverso l’organizzazione sul territorio, più delle 50.000 firme necessarie per la presentazione in Parlamento.

Quella sulla scuola è diventato l’atto parlamentare N. 1600 del 4 Agosto 2006 fermo da ottobre nella commissione Cultura mentre l’iniziativa sull’acqua ha già raccolto oltre 100.000 firme cercando ancora di aumentare il numero delle adesioni con ulteriori iniziative su base territoriale.

Avendo a disposizione la possibilità di firmare digitalmente la sottoscrizione sarebbe stato molto più semplice per queste due iniziative portare avanti la raccolta delle stesse.

Bisogna anche dire però che gli strumenti a supporto dell’interazione online sono assenti in entrambi i progetti anche a causa di un modello che non ha previsto la costituzione di una rete sociale on-line all’interno del processo di costruzione delle proposte preferendo interagire attraverso i canali delle reti associative presenti nei territori. Non sono presenti quindi ne strumenti semplici di discussione on line come il forum, la chat o la maling list, ne strumenti avanzati come applicativi Wiki per la redazione collaborativa dei testi o piattaforme del cosiddetto Web 2.0 per la partecipazione online.

Democrazia partecipativa.

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Nel capitolo precedente abbiamo trattato il problema di come potenziare e rendere più effettivi gli istituti di democrazia diretta presenti nell’ordinamento.

Se dare la possibilità al cittadino di cooperare e validare i suoi interventi diretti può essere considerato un traguardo importante, la partecipazione attraverso gli strumenti ICT non può di certo esaurirsi soltanto attraverso questo tipo di iniziative. Inoltre dobbiamo ricordare che gli attuali strumenti democratici diretti sono soggetti a riserve riguardo alle tematiche sulle quali possono intervenire.

Questo limite, se da una parte intende prevenire derive populiste o la sovversione dell’ordine gerarchico delle fonti legislative, dall’altra limita fortemente il campo di azione per questo tipo di strumenti.

Solo a titolo di esempio possiamo rintracciare nello Statuto della Provincia di Roma che:

“Non sono ammesse proposte di deliberazione sullo Statuto, sul regolamento di organizzazione degli organi di governo, sul regolamento di organizzazione, sulle deliberazioni tributarie e di bilancio e sugli atti in esecuzione di norme del diritto europeo e di leggi dello Stato e della Regione.”

Per lo Stato valgono le normali riserve di legge, le riserve che tra l’altro non permettono di operare sul bilancio essendo l’iniziativa di competenze governativa.

Quello che risulta interessante sottolineare è il modello organizzativo bottom-up e di aggregazione su base volontaria attraverso gli strumenti del Computer Supported Cooperative Work (CSCW).

Il processo organizzativo bottom-up su base volontaria.

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Con questo termine intendiamo indicare i processi di costituzione di comunità di pratica, intorno ad un progetto, attraverso adesioni volontarie.

Questo processo è alla base di diversi progetti cooperativi presenti in rete che utilizzano strumenti CSCW per organizzare, discutere e coordinare il lavoro dei membri. Gran parte dei progetti nell’ecosistema open source, e anche Wikipedia hanno queste caratteristiche.

Il processo bottom-up, in particolare, vuol dire che la formazione del progetto ha origine dal basso verso l’alto.

l’iniziativa può nascere dalle esigenze e motivazioni di un singolo oppure di un gruppo che ottempera allo sforzo iniziale di avviamento dell’iniziativa effettuando, tra l’altro, la scelta degli strumenti di CSCW. Il gruppo iniziale o il singolo individuo ricoprono i ruoli amministrativi e di moderazione di questi strumenti.

La pubblicità del progetto, la trasparenza delle produzioni e dei canali comunicativi permettono di attrarre ulteriori membri interessati contribuendo a stabilire un flusso di crescita della comunità stessa.

Sebbene alcuni dei ruoli amministrativi e decisionali siano detenuti dai fondatori del progetto, le dinamiche di gestione dello stesso sono alquanto complesse.

Le caratteristiche di adesione volontaria a questi progetti non ne permettono, di per sé, una gestione coercitiva del ruolo delle leadership nei confronti dei membri.

Inoltre, in rete, le dinamiche del gruppo on-line rispetto a quello reale sono influenzate da diversi fattori come la percezione dell’identità che potrebbe influire sulle barriere di ingresso e sui costi sociali della fuoriuscita dal gruppo oltre che nella gestione dei conflitti.

All’adesione volontaria al progetto possiamo spesso incontrare caratteristiche di replicazione del capitale prodotto all’interno del gruppo.

Parlando di capitale prodotto intendiamo fare una distinzione rispetto al capitale “sociale”.

Il primo rappresenta l’insieme degli artefatti digitali prodotti all’interno di una comunità online: questo può essere il testo di un disegno di legge, degli articoli di un’enciclopedia, una documentazione, un prodotto software etc.

Il capitale “sociale” invece è costituito dall’insieme delle abilità dei singoli membri, dalle regole e ruoli che il gruppo ha stabilito e da tutta la rete di relazioni che si sono sviluppate nei membri nel corso del tempo.

La replicazione del capitale prodotto è presente in diversi progetti in rete che accettano di sottoporre gli artefatti prodotti socialmente ad alcune licenze che consentono questo tipo di pratiche.

Un esempio sono le licenze che regolano la distribuzione dei progetti FLOSS o le licenze Creative Commons per quanto riguarda la produzione di software e contenuti.

Gli artefatti digitali possono essere considerati di per se, a differenza dei prodotti materiali, una risorsa che non ha caratteristiche di scarsità. Ma definire non scarso un prodotto digitale può trarre in inganno perché può anche voler dire che il prodotto è soltanto abbondante come ad esempio la sabbia nel deserto o il legname in una foresta. In realtà la caratteristica peculiare del bene digitale è invece che sia possibile effettuarne una copia perfetta con costi praticamente trascurabili senza per questo distruggere o privare qualcuno dell’originale.

Quando queste repliche di duplicazione sono accettate all’interno della comunità evidentemente la gestione del conflitto cambia in parte la sua natura.

In un gruppo tradizionale la fuoriuscita dallo stesso oltre alla perdita del capitale “sociale”, porta sostanzialmente anche alla perdita di gran parte del capitale prodotto. Le tensioni che si creano nei confronti della leadership e la gestione stessa delle divergenze tengono conto di questi importanti costi di uscita lasciando spazio alla possibilità di una gestione più autoritaria del gruppo.

Nei casi in cui il capitale sia replicabile, invece, gli individui o eventuali gruppi scissionisti possono portare con loro una copia del capitale prodotto, dovendo comunque ricostruire l’infrastruttura sociale in una nuova comunità.

Il rischio quindi per le leadership è molto alto in caso di una gestione autoritaria e l’obiettivo di mantenere un livello minimo di consenso diventa prioritario per la sopravvivenza del gruppo.

La capacità di definire le deleghe, la permeabilità dei ruoli amministrativi in base all’impegno ed alle capacità, la trasparenza delle comunicazioni diventano fondamentali per la gestione di una comunità in espansione.

Riprendendo quanto accennato nella teoria dei giochi il rischio di frammentazione, in caso di scissioni successive per mancanza di consenso è molto alto perché potrebbe configurare il gioco con una somma negativa diversa da zero ovvero quello in cui nessuna della comunità divise riesca a raggiungere l’obiettivo.

Nell’esempio di una comunità online che si forma per collaborare intorno ad una proposta di legge popolare e decida di adottare una licenza di tipo "copyleft" per il testo prodotto, essa, oltre a permettere la replicazione del capitale sociale prodotto, ovvero il testo della legge ed eventuali informazioni strutturate a supporto, garantisce che le eventuali duplicazioni debbano rendere replicabili anche le eventuali modifiche. Immaginiamo che all’interno del gruppo di lavoro si creino alcune divergenze di cui non si è riuscita a trovare una ricomposizione. Alcuni membri potrebbero abbandonare il progetto, altri prendere il testo finora prodotto e portare avanti alternative cercando di trascinare con loro altri membri della comunità.

Il rischio di questa dispersione, alla fine, è che nessuno dei testi alternativi sviluppati nei diversi gruppi di scissione riesca a raccogliere il numero di firme digitali necessarie per dare forza all’iniziativa o semplicemente nessuno riesca a raggiungere il numero legale.

Èproprio qui che si configura l’aspetto cooperativo e volontario di queste comunità e l’adesione a regole di “replicazione” del capitale prodotto rendendolo un gioco a somma diversa da zero.

Quando i troppi particolarismi non riescono a ricomporsi il rischio di fallire l’obiettivo è comune a tutte le parti. La necessità quindi di mantenere una visone largamente condivisa e di costruire una identità rappresentativa delle varie posizioni si fa rilevante all’interno di questo tipo di gruppi.

Il modello bottom-up e partecipazione politica

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Il modello a cui abbiamo accennato prima è adattabile alla costruzione di iniziative di democrazia diretta promosse da cittadini e associazioni. Attraverso il supporto degli strumenti ICT si ha la possibilità di costruire agevolmente una comunità di riferimento che cooperi alla redazione dei testi, delle informazioni a supporto delle decisioni, e alla raccolta dei consensi, che andrà formalizzata poi attraverso l’apposizione delle firme.

Queste iniziative di democrazia diretta organizzate dal basso possono essere definite come push.

Per iniziative push intendiamo quel tipo di iniziative che previste dall’ordinamento, come ad esempio gli istituti democratici diretti, per entrare nel processo ordinario della democrazia rappresentativa vengono preparate attraverso la società civile e una volta raggiunte le condizioni, previste dalla legge, possono essere “spinte” all’interno del processo. Nel caso di fallimento delle iniziative di tipo push non si compromette quindi il normale funzionamento delle istituzioni rappresentative.

La mancata occasione di intervento diretto sarà soltanto per i promotori del progetto e degli aderenti alla comunità. Se gli artefatti prodotti verrano rilasciati sotto licenza “libera” potranno sempre essere riutilizzati come base in un tentativo successivo o all’interno di un’altra comunità pratica.

Il funzionamento della comunità bottom-up pone dei vincoli anche se solo ci limitiamo come obiettivo il potenziamento e l’uso effettivo degli istituti democratici diretti.

Nel caso in cui si formino comunità che lavorano a versioni contrapposte o incompatibili sulla stessa proposta, oppure raggiungano entrambe l’affermazione sociale necessaria con l’apposizione di firme, non potranno entrare a far parte entrambe dell’ordinamento giuridico. In questi casi o si attribuisce alle rappresentanze politiche il compito di trovare una sintesi delle differenti proposte oppure si rischia un annullamento delle stesse ampliando il problema della gerarchia delle fonti.

Per limitare questo impasse potrebbe essere richiesta una validazione sociale più ampia per questo tipo di interventi democratici diretti.

Per gli strumenti che non richiedono il voto, da parte dell’elettorato, l’introduzione della firma digitale e l’informatizzazione della procedura potrebbero andare di pari passo con l’ampliamento del numero delle firme richiesto senza sovraccaricare la procedura degli sforzi logistici e organizzativi che la firma cartacea autenticata richiederebbe.

Aumentando quindi il numero delle firme si dovrebbe per forza costituire una comunità di larghe intese che possa integrare le diverse visioni e culture sul tema oggetto di intervento.

Partecipazione, autonomia e gerarchia delle fonti.

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Abbiamo visto precedentemente che la soluzione politica di un problema può essere vincolata da una serie di interdipendenze sia verticali che orizzontali all’interno della procedura amministrativa. Quando parliamo di democrazia partecipata dobbiamo sempre tener conto del contesto di riferimento di questa partecipazione.

Ad esempio, se si crea una comunità locale che interagisce con il supporto gli strumenti ICT per definire le pratiche democratiche a livello comunale, quali interdipendenze dovrà affrontare con il sistema rappresentativo provinciale o regionale?

Nei rapporti tra le varie istituzioni possono essere sempre individuati spazi di autonomia di gestione del territorio e dei vincoli di interdipendenza. Questa ambivalenza la possiamo in parte assimilare alla differenziazione tra gli interessi locali e sovra locali, dove il concetto stesso di località varia a seconda del contesto (quartiere, Comune, Unione dei Comuni, Province, Regioni etc.).

Affiancare il concetto di autonomia, interdipendenza e località è invece di fondamentale importanza nel definire le pratiche di partecipazione democratica. Tra l’altro questi concetti possono trovare una certa corrispondenza con il problema della gerarchia delle fonti all’interno dell’ordinamento.

Ciò che cambia nel definire la località è l’universo di rappresentazione del problema. La singola problematica da risolvere all’interno del quartiere in realtà potrebbe essere semplicemente una singola declinazione di un problema che a livello generale e in forma più generalizzata, è riscontrabile in vaste zone del territorio. Quello che si ha localmente è la conoscenza del territorio e delle caratteristiche specifiche del problema.

La questione della località del problema non si pone nel momento in cui sia definito un universo autonomo di riferimento all’interno del quale possa essere trovata la soluzione.

Se, ad esempio, in un Comune si è definita l’esigenza della realizzazione di un parco, ed esso potrebbe essere realizzato attraverso gli introiti dell’addizionale comunale sull’ICI, il problema e la soluzione nascerebbero entrambi all’interno della sfera partecipativa comunale. Anche questo spazio autonomo è però stabilito dalle interdipendenze a livello nazionale. Ovvero, senza una legge che riservi al Comune di modificare l’ICI non esisterebbe nessun tipo di soluzione autonoma. Èproprio qui che rientra anche il problema del rapporto tra le fonti normative di ordine gerarchico, di competenza e cronologico.

l’ordine gerarchico stabilisce una differente forza tra le varie fonti legislative stabilendo che una sub-fonte non può entrare in contrasto con una fonte superiore. Ad esempio una legge ordinaria non può contrapporsi alla Costituzione o ad una direttiva europea.

La soluzione di competenza stabilisce invece degli spazi autonomi di riserva sui alcuni specifici temi. Un tema riservato alla competenza legislativa regionale non può essere regolamentato da una legge nazionale. l’ultimo, quello cronologico, definisce i rapporti di forza tra fonti paritarie in caso di confitto stabilendo la prevalenza della norma più recente.

Il problema della gerarchie e del conflitto tra le fonti, in realtà, è molto delicato ma è anche fuori dalla portata di questo lavoro poiché chiama in causa anche interpretazioni giuridiche complesse.

Quello che a noi interessa, in questo caso, è proprio l’ambito di definizione degli spazi di autonomia a livello istituzionale. La costituzione di comunità per l’esercizio democratico a livello locale potrebbe essere in grado di decidere soltanto nell’universo di riferimento autonomo. Ma una comunità locale ha anche esigenze in comune con una parte del territorio più vasto spesso non risolvibili all’interno della sfera autonoma.

Èimportante quindi che sia presente ai vari livelli locali un processo di democrazia partecipata emergente che sia “scalabile” attraverso i territori. Se una problematica locale non è risolvibile all’interno dell’autonomia della circoscrizione si crea di fatto un’interdipendenza a livello comunale dove deve esistere uno spazio democratico partecipato. Se non è risolvibile nello spazio autonomo comunale, bisogna risalire verso l’Unione dei comuni, Comunità montane, Province, Regioni etc. Se ad ogni livello che si risale non è presente un’ambito democratico partecipato il rischio è che si crei una dipendenza tra lo spazio partecipato e quello rappresentativo.

Quando parliamo quindi di e-participation a livello locale non possiamo non considerare all’interno delle proposte progettuali la definizione delle area autonome e di interdipendenza che potrebbero fortemente limitare le potenzialità di un progetto partecipativo.

In particolare il problema che si pone è relativo alla contrapposizione tra particolarismi locali e l’interesse generale.

Se gli spazi democratici partecipativi vengono strutturati solo sul più basso livello locale la sfera autonoma decisionale sarà fortemente ridotta limitando quindi lo stesso spazio decisionale entro il quale interagire. Tutti i temi emersi, non direttamente risolvibili in ambito locale, apriranno delle richieste a livello amministrativo superiore, dove le democrazie rappresentative dovrebbero portare avanti l’interesse generale mediando tra le richieste del territorio.

La presenza di strutture democratiche partecipative multilivello permette invece di ampliare lo spazio partecipativo senza relegare le democrazia partecipativa in un ambito particolaristico in contrapposizione con le rappresentanze democratiche tutrici dell’interesse generale.

E-participation multilivello e rappresentazioni territoriali.

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Nella parte iniziale di questo lavoro abbiamo visto come si possa formare una o più rappresentazioni socialmente costruite delle realtà.

Le rappresentazioni e i modelli cognitivi del territorio diventano importanti in una prospettiva di e-participation multilivello.

Sia in ambito strettamente locale che nei livelli superiori si possono venire a creare esigenze diverse spesso in contrasto tra di loro a causa di diversità culturali o per le diverse proiezioni di soluzione.

Il ruolo dei rappresentanti non deve essere utilizzato per garantire l’interesse generale ma per configurare un gioco a somma diversa da zero all’interno degli spazi di interazione della comunità.

Abbiamo visto che per gli strumenti democratici diretti potrebbe essere raggiunto attraverso una richieste di validazione sociale più ampia accompagnata all’intera informatizzazione della procedura d'esercizio degli istituti.

Tutto questo, insieme alla definizione di policy che stabiliscano l’annullamento di proposte multiple sullo stesso tema,cioè di proposte che abbiano ricevuto una validazione sociale di pari importanza.

Oppure insieme a una variazione di quegli accorgimenti tecnici utilizzati ad esempio nella protezione della Costituzione la cui modifica richiede maggioranze qualificate o procedure rinforzate come il doppio passaggio alle Camere.

Riservare la possibilità d'intervento dei cittadini attraverso iniziative push e solo attraverso la costruzione di proposte largamente condivise impone la configurazione del gioco a somma diversa da zero.

Se non si riesce a trovare un accordo ricomponendo le esigenze di un certo numero di cittadini non si riesce a intervenire all’interno del sistema politico. Questo offre l’occasione di non frammentare le proposte in mille varianti ma cercare, attraverso la cooperazione e la conoscenza dell’altro, quali siano i vantaggi ed i punti critici di ogni soluzione alternativa in una percorso di perfezionamento costruttivo e condiviso.

La rappresentazione quindi deve passare da una visione con obiettivi di rivendicazione ad un riconoscimento complessivo delle esigenze in gioco.

Quest'affermazione può semplicemente sembrare una variante dell’approccio Multi-stakeholder nel quale debbono essere mediati gli interessi delle vari componenti.

Il concetto su cui è utile focalizzarsi allora non è semplicemente quello della mediazione tra le parti ma piuttosto quello della costruzione sociale della realtà. l’importanza, attraverso il riconoscimento “dell’altro”, di mettere in gioco ed espandere la propria visione dell’intero sistema può portare ad un più ricca e condivisa forma di rappresentazione della realtà perseguendo l’obiettivo di non mantenere una semplice posizione di rivendicazione dei proprio interessi ma cooperando verso un risultato che sia vantaggioso per l’intero sistema.

Nel momento in cui si prospetta un’ingegnerizzazione dei processi politici di tipo deliberativo, che includa l’e-participation come passaggio obbligatorio, il fallimento della costruzione di una proposta condivisa non può bloccare il processo politico amministrativo.

Per porre i processi deliberativi, che includano la partecipazione diretta dei cittadini, in un assetto di gioco a somma diversa da zero bisogna che vengano posti dei limiti temporali entro i quali le soluzioni condivise debbano essere costruite.

I ruoli delle rappresentanze politiche in questo tipo processo possono essere diversi.

Svolgere un ruolo di facilitazione nell’interazione tra i cittadini costruendo il supporto di conoscenza delle procedure amministrative;

attuare le politiche emerse all’interno del contesto di partecipazione che abbiano raggiunto una soluzione condivisa;

decidere con pieni poteri nel caso in cui non si sia arrivata a definire una soluzione all’interno delle comunità.

l’obiettivo quindi per i partecipanti è quello di riuscire a costruire una rappresentazione del territorio più ampia e completa possibile al fine di poter agire direttamente attraverso la deliberazione. Le soluzioni a somma diversa da zero sono la vittoria delle parti in gioco nel caso in cui si riesca a deliberare una decisione condivisa, di perdita nel caso in cui la proposta non riuscisse a raccogliere l’approvazione necessaria delle parti lasciando ai rappresentanti libertà di agire in piena autonomia.

Questa configurazione dovrebbe realizzarsi in ogni spazio partecipato che si costituisce ai vari livelli amministrativi.

Ad esempio, una volta sviluppata una soluzione condivisa in ambito di circoscrizione,e che sia attuabile con le risorse della circoscrizione stessa, viene approvata ed attuata dagli amministratori. Nel caso fosse necessario coinvolgere l’amministrazione superiore a quel punto la proposta passerebbe nell’ambito di interesse comunale.

Nello spazio di democrazia partecipata comunale i cittadini dovranno modificare le proprie rappresentazioni dovendo espandere la propria visione per riconoscere e comporre le altre esigenze emerse nel resto del territorio.

A questo livello è possibile che vengano identificate reciprocamente alcune esigenze in comune. I cittadini possono lavorare in cooperazione per integrare le proposte e migliorarle.

Seguendo questa prassi è possibile risalire i diversi livelli amministrativi rimettendo in gioco ad ogni passaggio la rappresentazione del territorio nell’incontro con le altre esigenze di zone geograficamente distanti e lontane dalla percezione del proprio spazio vitale. l’espansione del territorio di riferimento permette di ampliare così la sfera di autonomia deliberativa.

Questo tipo di processo può essere percorso dal basso verso l’alto ma l’iniziativa può partire direttamente da un livello superiore.

Se ad esempio alcuni cittadini hanno la percezione che una problematica sia presente su tutto il territorio comunale, provinciale o regionale posso provare a discutere la proposta, a svilupparla e cercare di raccogliere i consensi direttamente al livello amministrativo identificato.

Il problema delle gerarchie delle fonti si ripresenterebbe comunque alche a livello deliberativo; in questo caso andranno definite delle policy chiare all’interno del sistema che permettano la gestione dei casi di duplicazioni, accorpamenti, dipendenze ed incompatibilità tra i provvedimenti.

Nella definizione degli ambiti territoriali è importante strutturare in maniera chiara le competenze e di conseguenza le interdipendenze e gli spazi d'autonomia dei vari livelli amministrativi partecipati. Da una parte, valorizzando la conoscenza specifica del territorio negli ambiti locali, dall’altra privilegiando la definizione degli aspetti generali per i livelli superiori.

Il flusso di costruzione delle rappresentazione sociali della realtà territoriale è bidirezionale partendo dal basso verso l’alto nel cercare di ottenere consensi e visioni condivise ma anche dall’alto verso il basso nel modo in cui le visioni generali debbono coniugarsi con le esigenze locali.

l’affermazione della bidirezionalità dei flussi, le interdipendenze e le regole che definiscono gli spazi di autonomia possono portare ad una superamento della contrapposizione locale (particolarista) e centrale (a tutela dell’interesse generale).

In questo caso la configurazione del gioco a somma diversa da zero a livello locale è stabilita dalla necessità di affermare e comporre le proprie esigenze per poter accedere alle risorse disponibili nei livelli amministrativi superiori mentre per i livelli superiori è definire degli spazi autonomi rispetto alla località cercando di raggiungere il consenso su principi generali comuni.

Il fallimento dei processi deliberativi in uno dei due flussi risulta in una perdita secca per tutti i cittadini che interagiscono nei vari ambiti partecipativi lasciando piena autonomia decisionale alle rappresentanze politiche.

Modelli di partecipazione.

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Quando si parla di partecipazione politica e dei progetti di partecipazione supportata dagli strumenti ICT l’obiettivo che ci si pone può essere diverso anche se spesso viene usato il termine comune di e-participation.

Una prima forma di partecipazione ricercata in alcuni progetti è di tipo conoscitivo-consultivo. Questo modello nasce dall’esigenza dei rappresentanti politici di accedere, attraverso l’interazione con i cittadini, alla conoscenza delle esigenze del territorio amministrato con l’obiettivo di portare avanti politiche più efficaci ed accettate.

Per quanto riguarda l’e-participation questi obiettivi possono essere raggiunti attraverso diversi strumenti a seconda del livello di indagine che si vuole raggiungere e dello spazio comunicativo che si vuole instaurare.

Si va quindi dalla semplice richiesta di commenti da inviare via e-mail agli amministratori, all’apertura di forum moderati sul sito internet dell’istituzione, alla somministrazione di sondaggi on-line fino ad arrivare alla costruzione di piattaforme digitali a valore sociale aggiunto in un approccio usato nei diversi progetti del web 2.0.

I modelli comunicativi cambiano molto a seconda degli strumenti di supporto che vengono forniti ai cittadini.

Nell’email e nel sondaggio on-line si avrà uno strumento di comunicazione diretta tra amministrazione e cittadino escludendo quindi forme di interazione tra pari”.

Nell’utilizzo dei forum, anche quando la moderazione degli spazi digitali e la definizione dell’agenda viene gestita dalle istituzioni, si ha l’opportunità, per i partecipanti, di interagire nelle discussioni innescando potenziali dinamiche evolutive degli argomenti. l’eventuale riconoscimento e costruzione di visioni condivise tra i cittadini permette di rafforzare il valore delle posizioni espresse nei confronti dell’amministrazione.

Anche se la struttura degli spazi comunicativi può costituire un fattore di diversa pressione per le politiche risolutive delle delle problematiche emerse, ciò che caratterizza l’approccio conoscitivo-consultivo è la mancata attribuzione di un potere deliberativo ai cittadini partecipanti.

I canali di comunicazione, aperti tra amministrazione e amministrati, non vanno quindi a vincolare il potere deliberativo delle rappresentanze ma, nel migliore dei casi, possono attribuire una responsabilità agli eletti nel mettere in atto le politiche emerse da questo processo.

Il non definire un vicolo preciso tra deliberazione dei rappresentati e le tematiche sviluppate all’interno degli spazi comunicativi può determinare il fallimento di queste iniziative.

Una diffusa sfiducia verso il potere politico, nelle intenzioni sottostanti l’apertura di spazi partecipativi e una scarsa aspettativa di vedere valorizzate le istanze dei cittadini può motivare la rinuncia degli stessi a sostenere il costo cognitivo e l’impegno temporale richiesti nell’interazione con la pubblica amministrazione.

Definire, a priori, una policy per l’interazione in questi spazi renderebbe almeno chiaro ai cittadini i risultati ottenibili dal processo.

Nei progetti più ambiziosi, quello che si cerca di definire è il modo in cui i processi di partecipazione arrivano a ottenere dei risultati concreti creando di fatto un insieme di vincoli nell’azione discrezionale degli amministratori.

Un rafforzamento di queste policy, che attribuisca agli eletti il vincolo di attuazione delle decisioni prodotte in questi spazi, contribuisce a caratterizzare una tipologia di processo partecipativo di tipo deliberativo.

In questo modello, le policy attribuiscono ai risultati dell’interazione tra i cittadini il potere di deliberare le decisioni prodotte.

Garantendo, alla fine del processo, un effettiva applicazione delle decisioni e delle politiche stabilite, si renderebbe possibile un ridimensionamento del potere detenuto dalle rappresentanze, fornendo motivazioni più consistenti ai cittadini che intravederebbero l’opportunità di esercitare una concreta forma di potere “diretto”.

La differenziazione dei processi deliberativi da quelli consultivi passa anche attraverso un cambio di paradigma: da una “rappresentazione dei rappresentati” ad una “rappresentazione tra i cittadini”.

Il passaggio è semplice ma fondamentale perché si passa da uno scopo conoscitivo, portato avanti dalle istituzioni verso gli amministrati, al riconoscimento tra i cittadini delle esigenze reciproche, che convivono nello spazio territoriale di riferimento.

Ciò che abbiamo affermato nei capitoli precedenti è proprio questo:

“la costruzione sociale delle realtà territoriali attraverso l’interazione cooperativa dei cittadini, con il supporto degli strumenti ICT e orientata alla produzione di atti deliberativi.”

Questo è il modello che si vuole sostenere, cercando di individuarne le problematiche e proponendo alcune soluzioni che ne permettano la realizzazione.

Prima di occuparci della specificità degli strumenti e degli spazi ICT per la partecipazione politico amministrativa riprenderemo alcuni dei concetti accennati precedentemente per introdurli all’interno della prospettiva deliberativa.

Inoltre verra fatto una breve excursus sul bilancio partecipato come strumento utile al superamento dei limiti che escludono l’utilizzo degli istituti democratici diretti nella determinazione e allocazione delle risorse pubbliche.

Il bilancio partecipativo come strumento d'intervento nella spesa pubblica.

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Abbiamo visto precedentemente che per gli istituti democratici diretti sia escluso un potere d'intervento sulle questioni di tributarie e in generale di bilancio.

Proprio il bilancio è lo strumento tecnico-politico al centro delle Amministrazioni locali.

Nel Bilancio Partecipativo (BP) viene riformato il processo che porta alla determinazione delle voci e degli importi di bilancio, inserendo al suo interno la dimensione partecipativa.

La partecipazione, a seconda dei progetti di BP, può avere obiettivi conoscitivo-consultivi oppure deliberativi.

Per i progetti con finalità consultiva vale quanto abbiamo detto prima, ovvero essendo la deliberazione riservata agli amministratori si potrà avere al massimo una responsabilità politica sull’attuazione delle politiche emerse dal processo. I cittadini saranno meno interessati a mediare le esigenze, a costruire insieme le rappresentazioni e ad attrarre il consenso necessario per poterle deliberare.

All’interno di un progetto di BP di tipo deliberativo invece è presente una chiara opportunità per i partecipanti di esercitare un potere decisionale sulla determinazione delle entrate e di indirizzo della spesa pubblica. Sempre richiamando la necessita di configurare, anche questo tipo di interazione, un “gioco” a somma diversa da zero bisognerà porsi l’obiettivo di raggiungere una visone ampiamente condivisa tra i partecipanti attraverso maggioranze qualificate.

In termini di bilancio significa che una volta definita l’entità delle risorse delle entrate e in corrispondenza della capacità di spesa pubblica, il sistema deve raggiungere una delle soluzioni di equilibrio.

Il possibile raggiungimento di uno degli equilibri passa attraverso le fasi che abbiamo già accennato: la costruzione sociale della realtà territoriale che avviene attraverso la discussione dei cittadini, l’aggregazione, l’adattamento e lo sviluppo delle proposte affini e la mediazione delle risorse del sistema da assegnare alle singole proposte sviluppate. Questo, in particolare all’interno di un Bilancio significa riuscire a trovare una allocazione delle risorse che rientri nei limiti del sistema di spesa.

Proprio questo approccio si differenzia dalla logica di rivendicazione in cui i partecipanti cercano di allocare il maggior numero di risorse per soddisfare le proprie esigenze a discapito degli altri partecipanti. La logica di rivendicazione è proprio quella che configura un gioco a somma zero: tutta l’assegnazione delle risorse che riesco a togliere all’avversario mi viene attributa.

Il riconoscimento reciproco delle esigenze tra i cittadini e la loro costruzione di una rappresentazione del territorio condivisa permette di raggiungere una maggiore consapevolezza delle risorse da prelevare sul territorio e di come utilizzarle per soddisfarne le esigenze. Trovare una soluzione nell’allocazione delle risorse alle varie proposte vorrà dire di aver trovato la posizione di equilibrio che permette di deliberare, il non raggiungerlo comporterà per la comunità partecipante un mancata occasione di decidere gli assetti di bilancio lasciando “pieni poteri” alle rappresentanze politiche.

Anche il bilancio partecipativo rientra nel modello di partecipazione multilivello che abbiamo illustrato in precedenza. Partendo dall’assunto che l’economia degli Enti Locali non è di tipo autarchico ogni livello locale dell’amministrazione avrà delle dipendenze finanziarie con i livelli geograficamente superiori. Questi trasferimenti di risorse tra i vari livelli dell’amministrazione avviene attraverso diversi i flussi sia sul piano nazione che sul piano europeo ed internazionale.

No è nell’interesse di questo studio passare in rassegna le modalità di finanziamento e trasferimento fondi, ciò che ci interessa stabilire è che il prelievo a la gestione delle risorse sul territorio viene gestita a vari livelli amministrativi.

Ogni trasferimento di risorse, non strettamente vincolate, dal bilancio dell’ente superiore a quello inferiore crea uno spazio di autonomia decisionale. Diverse problematiche e progetti emersi all’interno del processo partecipativo nella comunità locale probabilmente non riusciranno ad essere risolti con le risorse finanziare gestibili in quel livello.

Si viene a creare a questo punto una “dipendenza” per la proposta nei confronti delle risorse finanziare presenti nel bilancio amministrativo del territorio più vasto. Per non riproporre una logica di rivendicazione e appropriazione delle risorse tra le proposte emerse su base locale e necessario che sia presente una spazio strutturato di partecipazione nella determinazione dei bilanci degli Enti Locali di ogni grado.

Una chiara policy delle competenze di spesa che implichi di conseguenza la determinazione degli spazi autonomi locali deve andare di pari passo con la definizione delle competenze deliberative di ogni livello amministrativo. Essendo il BP al centro della raccolta delle risorse sul territorio e della spesa pubblica è di fondamentale importanza definire chiaramente le attribuzioni e competenze per ogni strato amministrativo.

Specialmente quando ci si propone di farlo attraverso un processo partecipato deliberativo perché mentre nelle modello tradizionale le cariche politiche ai vari livelli amministrativi sono per la maggior parte assegnata a soggetti diversificati, negli spazi partecipativi arrivano ad interagire le stesse persone che condividono il territorio sovrapponendo i livelli di di partecipazione. Ènecessario quindi che abbiano ben presente cosa può essere localmente e ciò che invece deve essere discutere in uno spazio partecipativo territorialmente più vasto. La mobilità delle istanze tra i vari livelli amministrativi necessita quindi di una mobilità dei cittadini nei diversi spazi partecipativi.

Verso una democrazia partecipata deliberativa

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Abbiamo cercato di chiarire precedentemente cosa differenzia i progetti partecipativi di tipo consultivo da quelli di tipo deliberativo.

Ma quali sono gli strumenti e i modelli necessari per realizzarla?

Cercheremo in questa prima parte di affrontare la questione, basandoci sui concetti espressi finora ed in un secondo momento vedere come i problemi e le soluzioni introdotte si coniugano all’interno delle piattaforme digitali.

La costruzione delle rappresentazioni.

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Una delle necessita principali per un processo decisionale che richiede la partecipazione di un vasto numero di persone di composizione eterogenea è di produrre quella che abbiamo chiamato “costruzione sociale delle realtà territoriali”.

Per poter raggiungere questo obiettivo è necessario che vi sia un “luogo” comune attraverso il quale, partendo dalle rappresentazioni del se come identità parziale, si possa arrivare a formulare una meta-rappresentazione del territorio di riferimento attraverso l’interazione trai i cittadini.

Intraprendere questo percorso deve portare ad un riduzione della frammentazione delle realtà emergenti senza per questo implicare un annullamento delle reali differenze presenti nel territorio. La necessita e quindi quella di identificare, reciprocamente riconoscere le problematiche per poi lavorare alla fusione delle istanze ai fini di deliberarle.

Il lavoro di identificazione e catalogazione può essere effettuato sia da persone che abbiano un ruolo tecnico esterno rispetto alla comunità partecipativa sia svolto attraverso l’interazione sociale.

Nel caso venga affidato ad una persona questo può essere svolto da un rappresentante politico, da un professionista con ruolo di facilitatore oppure essere determinato attraverso una votazione della comunità partecipata stessa che arriva a determinare chi debba ricoprire ognil determinato ruolo.

La capacità sociale della comunità di svolgere questo compito di classificazione ed identificazione può essere svolta in maniera concreta attraverso l’utilizzo delle piattaforme digitali.

Dopo la classificazione e l’accorpamento delle istanze deve essere portato avanti il lavoro che permette di sviluppare le proposte deliberative. Èimportante in questa fase che le diverse soluzioni non vengano portate avanti in modalità oppositiva. Evitare questo significa trattare la varianti e le diverse visioni, che si separano dal nucleo condiviso, non in completo contrasto le une con le altre ma come percorsi alternativi alla risoluzione dello stesso problema. Gli spazi dialogici che si aprono all’interno di ogni proposta devono proprio servire a stabilire i pro e i contro di ogni alternativa facendo riferimento ad eventuali raffronti con le esperienze passate ma anche raffinando le previsioni sugli effetti previsti dalle scelte che si stanno delineando. Attraverso questo metodo si dovrebbe arrivare ad ampliare il nucleo condiviso della proposta fino a portarla in uno stato in cui ne sia possibile la deliberazione.

Questo processo deve essere totalmente trasparente all’interno della comunità con discussioni e modifiche portate avanti pubblicamente e rese disponibili in qualsiasi momento attraverso un archivio cronologico.

l’altro aspetto delle rappresentazioni e costituito dalla conoscenza tecnica sia degli argomenti che dei processi politico amministrativi che servono poi per attuare le proposte deliberate. l’accesso alla legislazione deve essere disponibile in maniera rapida per tutti dando la possibilità ai membri della comunità, che abbiano le competenze, di tradurre la complessità del linguaggio giuridico e riproporlo in forme utili al supporto della deliberazione.

Infine si deve arrivare ad una chiara percezione dei passaggi e delle procedure amministrative che determinano l’attuazione delle politiche: per ogni prostata deliberata deve essere chiaro, in ogni momento, lo stato di avanzamento.

La definizione delle policy

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All’interno di un processo partecipativo-deliberativo le policy stabiliscono l’inseme di minimo si regole necessarie all’interazione tra i cittadini.

Come abbiamo visto precedentemente queste devono inoltre stabilire le opportunità offerte dal processo per i partecipanti.

Le policy, definendo le modalità di interazione e la struttura organizzativa all’interno degli spazi partecipativi, devono, fin dall’inizio essere oggetto di discussione ed accettazione tra membri. Non possono quindi essere determinate univocamente dalle amministrazioni poiché si rischia di relegare le dinamiche partecipative all’interno di assetti ed obiettivi precostituiti.

La diversificazione delle regole deve tenere conto delle specificità dei singoli territori ma dovrebbe arrivare, anche attraverso la sperimentazione, ad un nucleo di pratiche comuni considerate valide per tutti.

Ad esempio le regole dell’interazione a livello del singolo comune non solo dovrebbero avere un nucleo condiviso con quelle degli altri Comuni ma anche con le Province e le Regioni. Le stesse varianti che si applicano a livello Provinciale poi dovrebbero costituire il nucleo più ampio in comune tra tutte le amministrazione Provinciali.

Prevedere una certa autonomia territoriale non deve portare ogni volta a stabilire, partendo da zero, le regole più adatte gestione dello spazio partecipativo.

Il processo di definizione cooperativa delle policy deve portare ad una dinamica che stabilisca le best practices condivise lasciando uno spazio autonomo di derivazione per le singole realtà.

Le soggettività nel processo partecipativo.

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Nei capitoli precedenti abbiamo sempre fatto riferimento il singolo individuo che interagisce insieme agli altri nello spazio partecipato. Non si è mai parlato del ruolo altre soggettività possono svolgere all’interno di questi processi.

La società civile non è composta soltanto da singoli cittadini, ma anche da un variegato numero di Istituzioni ed associazioni.

Le associazioni ed i gruppi di interesse hanno cercato di stabilire un rapporto con le istituzioni politico-rappresentative per poterne influenzare le scelte. Queste soggettività riescono quindi ad intervenire a livello politico più dei singoli che spesso riescono ad esprimersi politicamente soltanto al momento delle elezioni dei rappresentanti

Quando un processo partecipativo è aperto a tutti i cittadini che ruolo possono svolgere le associazioni presenti nella società civile?

La questione delle soggettività va affrontata tenendo presente l’effettiva capacità dei singoli individui di interagire all’interno degli spazi partecipativi.

Nella vita di tutti i giorni la complessità della conoscenza viene gestita attraverso un processo continuo di traduzione ed dall’instaurazione di rapporti di fiducia che si vanno a stabilizzare all’interno delle reti sociali. Ad esempio se ho bisogno di riparare la macchina e non mi intendo di meccanica avrò bisogno di rivolgermi ad un meccanico. Èprobabile che vada nell’officina in cui mi servo da anni: ormai ho stabilito un rapporto di fiducia sulla qualità del lavoro ed i prezzi applicati. Se mi sono trasferito in una nuova città cerco di informarmi dalla rete sociale delle mie conoscenze di un meccanico del quale possa fidarmi per effettuare la riparazione. Posso anche ricordarmi che al bar si “parlava” molto bene del meccanico che si trovava soltanto a pochi isolati da casa. In ogni caso essendo la risoluzione del problema in oggetto al di fuori della mia portata di conoscenze debbo instaurare un rapporto, anche se minimale, con un’altra persona.

E questo non vale soltanto per problemi di piccola entità ma anche per questioni rilevanti come esempio per i problemi di salute.

Quello che ci interessa quindi osservare è che i rapporti di fiducia permettono di oltrepassare le specificità delle sfere di conoscenza dei singoli.

All’interno degli ambienti partecipativi può crearsi quindi un rapporto di fiducia dei singoli cittadini verso altre soggettività.

Sia l’impegno temporale che cognitivo può essere molto elevato all’interno della gestione della sfera pubblica, considerando anche la molteplicità dei temi presenti in agenda diventa difficile immaginare che ogni individuo trovi le risorse o semplicemente sia interessato ad occuparsi di tutti gli aspetti della vita pubblica.

Cioè che va garantito quindi non è tanto l’effettiva partecipazione di ogni cittadino ad ogni questione di interesse pubblico ma piuttosto la possibilità concreta di partecipare rendendo gli spazi dell’interazione pubblici ed accessibili.

Il rapporto tra spazio e soggettività non può essere quindi prestabilito ma ognuno dovrà trovare di questione in questione il grado di approfondimento e di contributo alla partecipazione che vuole esercitare.

Sarà nell’interesse del singolo partecipante, per le questioni che vanno oltre le proprie competenze o i propri interessi, individuarne un altro cittadino, un’associazione od un qualsiasi gruppo con il quale egli ha stabilito un rapporto di fiducia, attribuendogli una delega.

Il mantenimento della delega è quindi in stretta correlazione al rapporto di fiducia che si instaura. Per mantenere questo livello di “osmosi” democratica deve essere possibile in ogni momento per il cittadino, il ritiro automatico dell’attribuzione della delega attraverso un suo intervento diretto nel processo partecipativo anche se effettuato in ultima istanza al momento del voto. Anche il delegato deve avere l’opportunità di rinunciare alla delega.

Si verrebbe anche in questo caso a configurare un “gioco” a somma diversa da zero. Il delegato sviluppando soluzioni inadeguate o portando avanti posizioni che favoriscano i propri interessi va a dissolvere il rapporto di fiducia con il delegante perdendo il parte del potere di mediazione all’interno del processo partecipativo. Il delegante d'altro canto pretendendo che il delegato ottenga soltanto dei limitati interessi di mandato compromettere il rapporto di fiducia insito nella delega dovendosi occupare, a quel punto, in prima persona di questioni che sono al di fuori della sua competenza o che comunque richiedono un impegno cognitivo e temporale molto elevato, senza nessuna garanzia, tra l’altro, che le sue posizioni individuali riescano a convogliare il consenso necessario all’interno della comunità.

In un processo asimmetrico dove le conoscenze personali si differenziano, sia dal punto di vista tematico che dal livello di approfondimento è importante non racchiudere gli spazi partecipativi all’interno di sfere di riserva degli individui che si proclamano maggiormente competenti sul tema.

Il valore di questa competenza deve essere sempre stabilito socialmente attraverso una continua opera di traduzione che permetta di far avvicinare i cittadini meno competenti alle loro posizioni guadagnando così anche eventuali deleghe.

La soggettività che vogliamo proporre, all’interno di un processo partecipativo deliberativo, ha le caratteristiche di dinamicità che rendono possibile la formazione, il mantenimento e la revoca dei rapporto di fiducia sia tra i cittadini e tra cittadini e realtà associative di ogni ordine e grado.

Le associazioni ed i gruppi possono intervenire quindi all’interno del processo deliberativo il cittadino attribuisca a loro una delega sulla singola proposta o su un tematica. l’atto formale viene espletato attraverso l’attribuzione della delega stessa al singolo individuo o a più individui che interagiranno in rappresentanza revocabile delle associazioni.

Moderatori e facilitatori.

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Per permettere che l’interazione e lo sviluppo del dialogo all’interno di processi partecipativi vasti ed eterogenei è richiesta la presenza di ruoli di moderazione che aiutino a mantenere fruibili questi. La discussione deve essere il più possibile auto regolamentata ma le policy devo comunque definire un chiaro e delimitato potere ai moderatori. Comportamenti aggressivi anche portati avanti da pochi partecipanti tendono a far degenerare il livello della discussione deliberativa tenendo in ostaggio il flusso della discussione stessa.

Nei casi in cui l’autogestione degli spazi venga meno il moderatore deve intervenire attraverso gli strumenti affidati dalle policy accettate e stabiliti a seconda dalla natura degli spazi partecipativi.

Anche il facilitatore dovrà ricoprire un ruolo importante all’interno del processo deliberativo.

A differenza del moderatore il suo ruolo è quello di essere il “conduttore” d'orchestra dei gruppi cooperanti, ovvero di gestire e generare la sincronia tra gli individui sia all’interno delle singole proposte che, in generale, nell’intera comunità partecipativa.

La figura del facilitatore è legata alle policy, dovendo principalmente gestire l’inizio e la fine delle varie fasi in cui è strutturata la partecipazione, costituire il punto di riferimento per la gestione dei contenziosi nati sulle procedure e l’interepretazioni del regolamento e svolgere tutti qui compiti di supporto alla comunità che ne facilitino l’interazione.

La scelta dei moderatori e dei facilitatori all’interno di un contesto partecipativo non può essere effettuata dall’amministrazione ma deve essere stabilita dalla comunità partecipante stessa attraverso l’espressione di maggioranze qualificate.

Inoltre, per evitare che alcuni individui acquisiscano un potere eccessivo attraverso l’esercizio di queste funzioni, può essere prevista sia la rotazione degli incarichi che dalla possibilità per i partecipanti di richiedere un annullamento del provvedimento presi attraverso i meccanismi di voto.

I tempi della deliberazione.

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Abbiamo parlato, nel corso del teso, di comunità partecipanti che cooperano all’interno del processo, della loro necessita di costruire realtà territoriali condivise, dell’identificazione reciproca delle esigenze, dello sviluppo delle soluzioni ai problemi.

Ma di quali tempi ha bisogno questo tipo di deliberazione?

Per trattare questo aspetto possiamo principalmente distinguere tra i processi a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato.

In quelli a tempo determinato, ogni fase in cui è strutturate la partecipazione, ha delle scadenze entro le quali deve essere raggiunto il grado di consenso necessario per passare ai livelli successivi. Ad esempio potrà esserci una scadenza per la fase esplorativa tra i partecipanti, una per quella della presentazione delle proposte, un’altra per l’accorpamento e la costruzione della conoscenza a supporto della decisione.

Nei processi a tempo indeterminato non si pone dei limiti di tempo ma ciò su cui si punta è il raggiungimento dell’obiettivo.

La costruzione di visioni condivise e la strutturazione di un certo grado di consenso non possono essere garantite.

Stabilire un tempo indeterminato per i processi deliberativi potrebbe portare quindi ad una mancata risoluzione dei contrasti e ad un prolungamento delle discussioni senza che si riesca a produrre una decisione finale.

Il mancato raggiungimento di una decisione, nel corso del tempo, genererebbe una progressiva perdita d'interesse nei confronti del processo deliberativo poiché a fronte dell’impegno cognitivo dei partecipanti non si intravederebbe la prospettiva di esercitare un potere decisionale finale.

Anche quando vengono definite delle fasi a tempo determinato il raggiungimento di posizioni condivise non è garantito.

La scelta a priori di una scadenza non può tenere conto dei diversi fattori presenti nel sistema in cui i partecipanti si trovano ad interagire. Il grado di convergenza iniziale tra i membri, il livello di omogeneità della conoscenza, la diversa intensità delle posizioni e degli interessi intorno ad un tema sono tutti fattori di difficile valutazione ai fini di prevedere i tempi necessari di sviluppo del consenso. Inoltre lo svolgimento stesso della discussione può portare a situazioni di stallo, polarizzazioni, formazione di loiche di gruppo, affermazioni di leadership di competenza o autoritarie che rendono davvero difficile stabilire, anche durante il processo lo stato di avanzamento dei lavori.

Quando parliamo dei tempi della deliberazione un’altra questione che si pone è quella relativa alla gestione di problemi che necessitano una soluzione urgente o comunque in tempi rapidi.

Per risolve questo tipo di problematiche si potrebbe arrivare all’introduzione di sistemi temporali misti.

Da un lato il definire tempi certi può portare ad una consapevolezza dei partecipanti della necessità di doversi coordinare ed organizzare i confronti e la costruzione delle proposte entro orizzonti definiti. Questa consapevolezza potrebbe aumentare se è la comunità stessa a decidere sulle singole tematiche la necessità di definire tempi certi per la deliberazione oppure se può essere portata avanti senza limite temporale.

Tra l’altro una definizione dei tempi, che non tenga conto dello stato di sviluppo del processo, sarebbe di per sé controproducente trattando allo stesso modo proposte che hanno raggiunto un grado di consenso più avanzato ad altre sulle quali c'è ancora una completa discordanza tra le posizioni dei partecipanti. Anche nel caso di definizione di tempi certi entro i quali raggiungere una decisione è necessario prevedere la possibilità di poter procrastinare i termini attraverso il raggiungimento di maggioranze qualificate incrementali.

Il sistema a maggioranze qualificate incrementali il tempo verrebbe allocato dinamicamente a partire della definizione di alcune scadenze.

Prendiamo ad esempio un processo partecipato diviso in fasi in cui la prima stabilisce come obiettivo la necessita di costruire, cooperando, l’informazione necessaria a supporto della decisione e rappresentazione del problema. Tempo allocato dalla comunità partecipante per questa fase un mese. l’obiettivo per passare alla fase successiva è che alla scadenza il 70% dei partecipanti sia soddisfatto dell’informazione prodotta. Quindi a distanza di un mese se il consenso espresso è superiore al 70% si può passare alla fase successiva. Se si raggiunge una percentuale più bassa invece vorrà dire che il consenso raggiunto sulla completezza dell’informazione è molto basso è quindi le visioni dei partecipanti sono talmente divese da portare all’interruzione del processo decisionale su quella singola proposta. La differenza del sistema a maggioranze qualificate incrementali invece pone l’accento sulla differenza dello stato di avanzamento del consenso ad ogni scadenza di fase. Invece di definire soltanto le situazioni al di sopra e al di sotto dello 70% nella valutazione dei risultati di fase si potrebbero identificare dei risultati intermedi entro i quali sia possibe procrastinare le scadenze. Ad esempio se dopo un mese il consenso raggiunto è al di sotto del 39% il processo deliberativo sul tema viene chiuso, se è tra il 40% e il 59% viene data la possibilità di una proroga di due mesi, mentre dal 60% al 69% si può ottenere una proroga di un mese. Nelle successive scadenze se si ottengono di nuovo le stesse percentuali il processo viene chiuso, se invece si riesce a passare alla fascia di consensi superiore si può ottenere un’ulteriore proroga o addirittura il raggiungimento dell’obiettivo di fase. Nel nostro esempio quindi, nel caso alla scadenza del primo mese si raggiunga un consenso tra il 40% e il 59% e si abbia quindi il rinvio della scadenza, dopo due mesi se il consenso è ancora fermo in questa fascia il processo si chiude altrimenti si ottiene un’ulteriore rinvio di un mese se si raggiunge almeno il 60% fino ad ottenere il passaggio di fase in presenza di un consenso del 70%.

La presenza quindi di scadenze dinamiche da un lato permetterebbe di stabilire l’acquisizione di una coscienza dei tempi entro i quali cercare di costruire il consenso intorno agli obiettivi di fase, dall’altra la necessità di ottenere ulteriore tempo sarebbe legata alla necessita di costruire una visione del problema sempre più condivisa e che tenda quindi a ridimensionare le visioni particolaristiche e a premiare i processi più cooperativi.

Siamo coscienti del fatto che stabilire scadenze scadenze rigide e introdurre un voto di maggioranza semplice al termine di ogni fase permettere di raggiungere decisioni in tempi più rapidi. Ma il fallimento del processo partecipativo stesso sarebbe proprio quello di rinunciare a costruire una visione comune attraverso il riconoscimento reciproco delle posizioni dei partecipanti ovvero della rappresentazione della realtà di sistema. Se all’interno del processo si viene a formare una maggioranza semplice intorno ad una certa soluzione o proposta in membri che si identificano in quella maggioranza sarebbero tentati di abbandonare il processo di costruzione cooperativa e attendere la scadenza dei termini definiti pur di poter esercitare il proprio potere al momento del voto.

Riteniamo quindi che la gestione dei tempi sia un’operazione delicata che determina fortemente la struttura stessa del processo partecipativo. Se da un lato la certezza delle scadenze può essere un fattore di responsabilizzazione e di sincronizzazione per il lavoro cooperativo dei partecipanti dall’altro, come abbiamo proposto, deve potersi adattare alle dinamiche di svolgimento del processo stesso premiando l’avanzamento delle proposte in cui aumenta il livello di condivisione tra i partecipanti.

Piatteforme digitali per l’e-participation.

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Abbiamo già visto in precedenza, per gli istituti democratici diretti, alcuni strumenti ICT che ne possono supportare e potenziarne l’esercizio. Del resto strumenti come il Wiki e gli altri strumenti di comunicazione on-line consentono ogni l’organizzazione ed il lavoro di divere comunità virtuali dislocate geograficamente.

Dovendo però ampliare l’orizzonte di riferimento degli strumenti digitali dobbiamo porci alcuni interrogativi ai quali proveremo a trovare qualche risposta.

Sarà necessario identificare le differenze che intercorrono nell’utilizzo e lo sviluppo degli strumenti digitali per iniziative di tipo push come gli istituti democratici diretti e le piattaforme digitali in un processo deliberativo.

Partendo da queste differenze andrà individuato un modello di sviluppo software che permetta un dispiegamento ed un sviluppo cooperativo-adattivo di queste tecnologie.

Inoltre andranno proposte idee per un superamento di alcuni dei problemi più complessi all’interno dell’interazione digitale dei processi politico amministrativi come il voto elettronico e l’identità online.

Infine verranno evidenziati alcuni problemi specifici della comunicazione mediata al computer riguardanti lo sviluppo dialogico all’interno di questi spazi.

l’utilizzo degli artefatti digitali all’interno dei processi politici oltre a fornire nuove opportunità pone in essere alcuni problemi già riscontrati nell’interazione off-line che, subendo le dovute trasformazioni posso essere trovati anche online.

Cercheremo comunque di fornire, come modello di base, una proposta adattiva che permetta di adeguare lo sviluppo delle tecnologie ai modelli che emergano come efficaci.

Il software nell’e-participation.

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Nei progetti di e-participation le tecnologie sono in stretta correlazione con i modelli di partecipazione e con la definizione stessa delle norme e dei ruoli che li strutturano.

Le piattaforme software all’interno delle quali si svolgono i processi partecipativi determinano quindi il tipo di interazione, gli spazi decisionali e le zone di autonomia.

La progettazione degli strumenti deve quindi stabilire una certa corrispondenza con i modello di partecipazione che si vuole realizzare.

Una prima distinzione quindi potrebbe essere fatta tra gli strumenti utilizzati nelle iniziative gestite dagli utenti e quelli progettati dalle amministrazioni.

Riprendendo per esempio le iniziative di tipo push come gli istituti democratici diretti presenti nell’ordinamento, essendo attivate dalla società civile, saranno i promotori stessi a scegliere gli strumenti software da adottare all’interno del processo partecipativo.

Abbiamo visto, per questo tipo di iniziative, il possibile utilizzo di strumenti come il wiki e software di comunicazione online come i forum e le mailinglist. Questi prodotti, di cui sono disponibili diverse implementazioni, presentano al loro interno diverse funzionalità e diversi ruoli amministrativi.

La sfera potenziale degli strumenti software è dunque determinata dall’insieme di funzionalità sviluppate all’interno di questi prodotti.

Coloro che scelgono i software da utilizzare nel processo ne portano all’interno le potenzialità effettuando una scelta iniziale delle caratteristiche da attivare, delle politiche e dei ruoli amministrativi.

A seconda della flessibilità dello strumento i promotori dell’iniziativa vedranno ampliate le loro possibilità di scelta sulla strutturazione degli spazi digitali.

Prendendo per esempio uno spazio di comunicazione interattivo come il forum, il software scelto per l’implementazione potrà permettere la registrazione degli utenti, la definizione dei ruoli di amministrazione e moderazione, l’apertura e chiusura di thread e topic, l’interdizione temporanea o permanente di un utente.

Abbiamo quindi un insieme di funzionalità, più o meno attivabili, che vengono assegnate agli “attori” digitali.

Le regole ed i comportamenti che le interpretano costituiscono l’attualizzazione dei ruoli all’interno dei processi.

La struttura degli spazi partecipativi è quindi definita dalle funzionalità sviluppate e attivate nel software e dall’assegnazione dei ruoli e delle regole che ne determinano l’attuazione.

La differenza nelle iniziative di tipo push rispetto ad un processo partecipativo inserito direttamente all’interno del processo politico è che gli spazi digitali occupati sono o comunque possono essere esterni all’amministrazione. Quindi la struttura del processo non è così determinante per gli equilibri democratici.

Facciamo l’esempio di un’associazione che si fa promotrice di una legge di iniziativa popolare.

I membri possono scegliere direttamente gli strumenti software necessari, installarli sul sito web dell’associazione e definire le policy e i ruoli amministrativi. l’interesse per la proposta, il modello di amministrazione degli spazi, e la capacità di gestire i contributi dei partecipanti può determinare o meno, alla fine del processo, il raggiungimento delle firme necessarie alla presentazione. Quello che si mette e rischio, in caso di una mancata valorizzazione della comunità partecipante è la possibilità d'intervento all’interno dei processi politico amministrativi.

Se il numero delle firme da raccogliere è numericamente rilevante sarà interesse dell’associazione stessa di gestire al meglio gli strumenti e gli spazi digitali per cercare di costruire il consenso necessario intorno alla proposta.

Quando il spazio partecipativo-deliberativo è inserito direttamente all’interno del processo amministrativo decisionale la prospettiva cambia notevolmente.

Se il software e le policy vengono progettate direttamente dalla pubblica amministrazione è lei che viene determinare la natura degli spazi partecipativi.

Il processo decisionale non rappresenta più una possibilità esterna di intervento per la società civile che si organizza intorno ad un progetto ma diventa lo spazio effettivo entro il quale vengono prese le decisioni.

Essendo la politica rappresentativa a detenere, e a dover cedere del potere decisionale all’interno dei progetti di e-participation è evidente che si possa innescare un conflitto di interessi al momento della definizione degli spazi decisionali.

Proprio la progettazione del software potrebbe essere una delle fasi rilevanti nelle quali limitare le effettive potenzialità di interazione e decisione dei i cittadini rendendo il processo partecipativo un semplice strumento finalizzato ad una falsa propaganda partecipativa.

Il paradigma che va cambiato appunto è quello per cui il software e le policy vengono progettati e stabiliti all’interno delle amministrazioni pubbliche e realizzati dalle società appaltatrici e gli spazi partecipativi vengono aperti ai cittadini nel momento in cui ne sono già state definite le regole, funzionalità e limiti.

Ènecessario che le policy vengano stabilite e il software venga progettato insieme ai cittadini come fase di avviamento dell’e-participation.

La definizione regole, dei ruoli e delle funzionalità deve essere condivisa per poter favorire, in una fase successiva, l’interazione consapevole e responabile all’interno di questi spazi.

Il modello di sviluppo del FLOSS.

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Il software free e open source (FLOSS) costituisce una filosofia di sviluppo in cui il codice sorgente viene reso disponibile per l’utilizzo, lo studio, la modifica, e la redistribuzione senza discriminazioni.

I programmi FLOSS vengono distribuiti attraverso l’utilizzo di licenze aderenti a questi principi.

Le licenze sono diverse ma una delle differenze principali è quella che le contraddistingue tra "copyleft" da quelle non "copyleft".

Nelle prime viene stabilito che, al momento della distribuzione del software, le eventuali modifiche apportate debbano essere redistribuite insieme al codice sorgente, mentre in quelle non "copyleft" questo obbligo non è presente.

Uno degli altri aspetti interessanti è il modello di sviluppo adottato spesso in questi tipo di progetti software rispetto a quello proprietario.

Il cambio di paradigma è evidente in modo particolare nel saggio di Eric Raymond La cattedrale ed il bazaar.

La modalità di progettazione della “Cattedrale” adottate nello sviluppo del software proprietario erano caratterizzate da un approccio centralizzato in cui la realizzazione è nelle mani di un ristretto gruppo di geni che lavorano in completo isolamento alla sua realizzazione. Al suo opposto Il metodo bazar che emerso all’interno dello sviluppo del progetto open source del kernel Linux costituirà poi il modello di riferimento per la maggior parte dei progetti FLOSS.

Proprio del progetto Linux e di questo nuovo modello di sviluppo emergente scrive:

“Rimasi non poco sorpreso dallo stile di sviluppo proprio di Linus Torvalds – diffondere le release presto e spesso, delegare ad altri tutto il possibile, essere aperti fino alla promiscuità. Nessuna cattedrale da costruire in silenzio e reverenza. Piuttosto, la comunità Linux assomigliava a un grande e confusionario bazaar, pullulante di progetti e approcci tra loro diversi”

Un processo aperto ai contributi, con una distribuzione delle responsabilità ed in continuo divenire.

Come vedremo sia questo modello di sviluppo che le licenze che regolano la distribuzione del software FLOSS possono svolgere un ruolo importante all’interno della progettazione delle piattaforme per l’e-participation.

Riuso e modelli di sviluppo delle piattaforme.

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Abbiamo già affermato che la definizione delle policy e lo sviluppo del software deve essere effettuata insieme ai cittadini come fase preliminare di qualsiasi progetto di partecipazione digitale.

Cercheremo di proporre un sviluppo orientato a mantenere il giusto equilibrio tra esigenze comuni e specificità dei territori.

Quando si parla di località a livello amministrativo spesso si tende a contrapporla alla centralità delle istituzioni nazionali.

Finanziare progetti locali significa dare spazio ad esigenze specifiche attraverso il trasferimento di fondi alle amministrazioni locali che hanno una conoscenza maggiore del territorio.

Uno degli approcci possibili allo sviluppo dell’e-participation è quello di finanziare a pioggia i progetti proposti in ambito locale cercando di promuovere la riduzione della spesa pubblica attraverso il riuso di soluzioni già sviluppate all’interno della pubblica amministrazione individuando le best pratices per ogni tipologia progettuale.

Questo modello, largamente usato in Italia, ha diversi limiti.

Il problema principale è proprio il concetto di comunità locale che viene portato avanti.

Sviluppare ogni progetto all’interno della singola comunità locale o al massimo di un insieme limitato di più comunità locali porta inevitabilmente alla frammentazione delle proposte ed ad una dispersione delle energie, anche se le esigenze non sono poi così diverse sul territorio. Inoltre lo sviluppo di soluzioni autonome, senza una definizione di standard comuni, porta all’incomunicabilità tra le varie piattaforme digitali

Per invertire questa tendenza come primo passo dovrebbe essere creato uno spazio centralizzato aperto ai cittadini ed alle pubbliche amministrazioni nel quale andrebbero identificate le policy e gli strumenti comuni sul territorio nazionale. Ad esempio gli strumenti di comunicazione, quelli di votazione e i sistemi di identificazione dei partecipanti sono esigenze comuni ad ogni progetto di e-participation.

Il vantaggio primario sarebbe quello di poter discutere di alcune strutture e policy fondamentali attraverso processi ad ampia partecipazione senza che ogni singola comunità locale debba occuparsi degli stessi problemi cercando di fatto di “reinventare la ruota”.

Ciò che va evitato quindi è che problemi generali debbano essere affrontanti in maniera distinta e autonoma da ogni amministrazione locale.

Il secondo obiettivo è quello di individuare le esigenze comuni locali a seconda della tipologia del progetto partecipativo.

Occupandoci ad esempio del bilancio partecipato molte delle policy e degli strumenti software saranno in comune per regioni, provincie e comuni.

Seguendo questo percorso le amministrazioni, insieme ai cittadini, decideranno quali funzionalità specifiche implementare attraverso uno sviluppo modulare.

Il vantaggio di questo approccio e appunto quello di cercare di partire dalle esigenze comuni coordinando l’elaborazione dei modelli e il relativo sviluppo software. La progettazione effettuata insieme ai cittadini inoltre offre l’opportunità di disegnare sistemi ed interfacce orientate all’utente sia per consentire un maggiore facilità di utilizzo sia per determinare le priorità delle funzionalità da implementare.

Proporre uno sviluppo di software per l’e-participation secondo la filosofia e le prassi dell’open source facilita il raggiungimento di questi obiettivi dando la possibilità alla società civile di ricoprire un ruolo attivo anche all’interno dello sviluppo delle piattaforme.

La trasparenza e pubblicità del codice sorgente offre l’opportunità di valutare la qualità dei sistemi software sviluppati, l’identificazione degli errori e la realizzazione delle modifiche necessarie per adattarli alle esigenze locali.

Quando abbiamo parlato della partecipazione multilivello abbiamo ipotizzato la possibilità, per le istanze emerse sul territorio, di attraversare il vari livelli partecipativi dell’amministrazione pubblica fino ad arrivare nello spazio di autonomia adeguato alla deliberazione.

La cooperazione sul codice deve quindi portare a stabilire degli standard di interpolabilità tra i vari spazi partecipativi che permettano alle proposte di attraversare le diverse piattaforme digitali mantenendo nel corso del tempo tutto l’insieme dei dati che costituisce il “capitale sociale” prodotto dall’interazione tra i partecipanti.

Abbiamo anche detto che il codice insieme alla policy definisce la struttura degli spazi partecipativi.

Entrambi devono essere quindi oggetto di uno sviluppo partecipato. Le discussione delle policy, all’interno della partecipazione supportata dagli strumenti digitali, influenza lo sviluppo del software.

l’implementazione delle funzionalità nei programmi non deve quindi costituire un limite strutturale per gli spazi partecipativi.

Se ad esempio si arriva a definire l’esigenza di stabilire alcuni ruoli di moderazione all’interno degli spazi digitali sarà necessario sviluppare queste funzionalità all’interno della piattaforma. I partecipanti debbono avere quindi la possibilità di studiare il codice sorgente degli spazi in cui interagiscono contribuendo alle modifiche e allo sviluppo delle funzionalità richiesta.

Questo a livello tecnico deve essere reso possibile attraverso gli strumenti tecnologici che gestiscono il codice sorgente.

I programmi, conosciuti sotto il nome di revision control permettono la gestione del codice sorgente attraverso l’archiviazione cronologica delle modifiche e degli autori che le hanno effettuate.

Questi strumenti sono stati adottati con successo in quasi tutti i progetti open source nei quali sviluppatori di diverse nazionalità riescono a collaborare a distanza.

Di particolare interesse è il software di revision control distribuito GIT, usato nello sviluppo di un progetto vasto come il kernel Linux, che permette di mantenere ad ogni sviluppatore l’intera cronologia dei cambiamenti e una autenticazione crittografica dell’archivio. Si ha la possibilità quindi di avere più copie distribuite dell’intero archivio dei cambiamenti senza permettere di alterare le modifiche già pubblicate.

I ruoli amministrativi su questi strumenti consentono di effettuare commit sulla versione ufficiale del codice sorgente oltre che a stabilirne le varianti e le versioni che convivono nel sistema. Il commit in particolare è l’applicazione delle modifiche al codice sorgente nell’archivio.

Èimportante non solo rilasciare i codice attraverso l’uso di licenze libere ma è importante rendere pubblico il codice sorgente dei progetti di e-participation fin dalle fasi iniziali, attraverso l’utilizzo di questi strumenti, in modo da permettere agli sviluppatori nella società civile di seguire ad ogni passo l’evolvere del codice, studiarlo, testare e sviluppare in locale modifiche e nuove funzionalità, contribuendo attraverso la sottomissione di patch all’avanzamento del progetto.

Si potrebbe arrivare quindi a stabilire un sistema misto in cui enti pubblici, aziende appaltatrici e società civile contribuiscono, attraverso strumenti comuni, allo sviluppo delle piattaforme digitali.

Per quanto riguarda la scelta della licenza con la quale distribuire il software bisogna considerare che molto spesso i programmi per l’e-participation sono sviluppati come applicazioni web centralizzate.

La particolarità di questo tipo di applicazioni è che, basandosi su un modello client-server, nelle macchine dei partecipanti gireranno soltanto le interfacce di input e di output.

Per fare un esempio su di uso quotidiano possiamo prendere il caso di Google.

Il software che gestisce ogni giorno le ricerche di milioni di utenti gira su computer di proprietà dell’azienda.

Il codice che gira sulla macchina degli utenti è costituito dall’interfaccia della pagina web che permette l’immissione del termine da ricercare e dalla pagine dei risultati.

Essendo i progetti di e-participation centralizzati rispetto all’utente quando si parla di utilizzare licenze open source bisogna tenere conto di questa specificità.

La maggior parte delle licenze floss infatti regolamenta la distribuzione.

Se, ad esempio, decido di applicare una licenza "copyleft" ad un prodotto software, nel momento in cui distribuisco il programma ad un utente o su internet sono obbligato a fornire anche il codice sorgente con le eventuali modifiche apportate.

Ma se il programma non viene propriamente distribuito ma semplicemente ne viene reso pubblico l’utilizzo attraverso dei server connessi ad internet il discorso cambia.

Questo vuol dire che nel momento in cui la piattaforma per l’e-participation, anche se rilasciata sotto licenza "copyleft", gira sui server della pubblica amministrazione, essa può apportare le modifiche al codice sorgente del programma senza essere obbligata a rilasciarle.

Potrebbe capitare ad esempio che a livello provinciale un’amministrazione abbia commissionato lo sviluppo di una funzionalità per la gestione dei limiti economici di settore all’interno del software "copyleft" del bilancio partecipato utilizzato a livello provinciale, regionale e comunale.

l’ente commissionante potrà così fornire ai cittadini questo nuovo servizio senza però essere costretta a rilasciare il codice sorgente di questa nuova modifica. Il rischio è che le singole funzionalità implementate sul territorio non siano disponibili direttamente al riuso in altre amministrazioni e ne venga di fatto privato l’accesso alla società civile.

Questo tipo di problematiche può essere evitato attraverso l’adozione della licenza Affero GPL (AGPL) o l’applicazione di una clausola simile presente nella bozza della GPL3. Sotto queste licenze sarebbe regolato anche il rilascio delle modifiche del codice sorgente quando l’uso del programma avviene attraverso l’interazione in rete. Riprendendo l’esempio precedente, nel caso il software fosse regolato da una queste licenze, l’amministrazione provinciale sarebbe costretta a rendere pubblico il codice sorgente del modulo commissionato anche se il codice in questione gira su server di proprietà dell’amministrazione stessa.

Attraverso l’utilizzo di queste licenze è possibile attuare alcune strategie di sviluppo per le funzionalità richieste all’interno degli spazi partecipativi.

La scelta di licenze che garantiscano lo studio, la circolazione e il riuso delle piattaforme e un modello di sviluppo software aperto ai contributi permettono di creare i presupposti necessari a raggiungere la cooperazione tra le amministrazioni e i soggetti partecipanti. Un modello di sviluppo condiviso favorisce anche per i cittadini l’acquisizione di una coscienza delle normative, dei ruoli, delle opportunità negli spazi partecipativi che hanno contribuito a definire.

Identità e identificazione nell’e-participation

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Il problema dell’identità nei processi partecipativi non è soltanto relativo alla specificità degli ambienti digitali.

Nei processi politici tradizioni possiamo ritrovare l’uso dell’anonimato in diversi ambiti.

Nelle votazioni per l’elezione dei rappresentanti è necessaria la segretezza del voto ma anche nel parlamento sono previste procedure di voto che garantiscano l’anonimato.

l’anonimato viene giustificato dalla necessita di esprimere una volontà politica senza subire pressioni o condizionamenti esterni. Nel caso dell’elezione dei rappresentanti, ciò che si cerca di evitare è che, attraverso l’identificazione dei votanti, si instaurino pratiche clientelari o nei casi più gravi gli elettori siano bersaglio di ricatti e minacce. Nel parlamento il voto segreto può essere usato sia per dare libertà di scelta ai rappresentanti rispetto al controllo esercitato dai partiti sia come tecnica di elusione delle responsabilità politiche dei singoli nei confronti dei cittadini.

Identità e anonimato hanno quindi una rapporto stretto con i sistemi di controllo sociale. l’identità non riguarda soltanto l’identificazione fisica ma coinvolge tutto un insieme di aspetti e relazioni che rappresentano il contesto in cui l’individuo agisce.

La presenza in rete ad esempio può assumere diverse forme.

Ci si può presentare in rete attraverso l’utilizzo di un nickname ovvero uno pseudonimo totalmente scollegato da qualsiasi riferimento ai dati o caratteristiche personali.

La scelta del nick può essere fatta quando ci registriamo ad un forum o decidiamo di entrare in un chat. La nostra identità sarà legata a questo nome d'invenzione e determinata dalle azioni e dai rapporti costruiti. La scelta di cambiare nick può rappresentare quindi l’occasione di abbandono della identità acquisita in rete.

La scelta di un nome di fantasia può anche essere collegata ai proprio dati anagrafici. Quando effettuiamo la scelta del nome utente per un servizio online in genere forniamo i nostri dati anagrafici ed in alcuni casi ci viene richiesto di fornire informazioni riguardo alle nostre abitudini ed interessi.

Inoltre si può agire online usando direttamente i propri dati anagrafici.

Quando l’identità è costruita attraverso l’utilizzo di un nome di fantasia siamo identificabili principalmente attraverso esso. Agire attraverso l’identità correlata al nick non vuol dire essere completamente nell’anonimato.

Potremmo aver costruito una reputazione e una serie di relazioni in rete che hanno comportato un impegno cognitivo ed emozionale e la scelta di cambiare alias potrebbe comportare la perdita dell’identità costruita in rete.

Ci può essere quindi una certa continuità nell’utilizzo di questi pseudonimi e il mantenimento di un’identità ad essi associata.

Del resto agire direttamente attraverso l’uso dei propri dati anagrafici in rete non sempre comporta un grado di inibizione maggiore.

Anche se i dati anagrafici, come il nome ed il cognome, sono invariabili e determinano un’associazione dell’attore digitale ad una persona fisica ben precisa il contesto dell’interazione gioca un ruolo fondamentale.

Pensiamo ad esempio ad un processo partecipativo online di un comune di 1000 abitanti. Le azioni svolte in questo contesto, attraverso l’utilizzo di dati anagrafici reali, avranno conseguenze dirette sulla mia rete relazionale offline.

Ma potremmo dire la stessa cosa in un comune di 100.000 abitanti?

Evidentemente la sovrapposizione delle relazioni online ed offline può avere un certo effetto sulle azioni intraprese all’interno della rete.

La differenza principale comunque è che l’identità in rete costruita attraverso l’uso dei dati anagrafici difficilmente potrà essere annullata a differenza di quella ottenuta attraverso l’utilizzo di un nick che può essere sempre cambiato rinunciando all’identità associata.

In particolare nei contesti della comunicazione mediata dal computer l’identità, identificazione e controllo sociale giocano un ruolo importante negli atteggiamenti attuati in rete e nelle dinamiche d'interazione all’interno dei gruppi.

Nei processi partecipativi deliberativi supportati dagli strumenti ICT l’identificazione è necessaria per evitare la corrispondenza di identità multiple all’interno del sistema.

In alcuni servizi erogati online dall’amministrazione pubblica come ad esempio per il servizio INPS e la denuncia dei redditi online il sistema di identificazione avviene tramite un sistema misto di registrazione al sito e fornitura dei dati anagrafici insieme all’utilizzo di un pincode che viene ricevuto in parte attraverso il sistema di postale.

l’utilizzo della firma digitale è comunque una valida alternativa all’identificazione.

La firma digitale si basa su un principio crittografico a chiavi asimmetriche di cui una è privata e l’altra è pubblica.

La chiave privata deve essere mantenuta segreta e serve per decodificare i dati codificati attraverso la chiave pubblica. Inoltre attraverso la chiave privata è possibile apporre la “firma” ad un documento o più in generale a qualsiasi tipo di dati.

Associando in un registro pubblico l’identità delle persone alle rispettive chiavi pubbliche si ha la certezza della corrispondenza.

Questo metodo di identificazione, per poter essere utilizzato all’interno degli spazi partecipativi richiede una completa diffusione delle chiavi crittografiche sul territorio.

Questo probabilmente potrà avvenire attraverso la sostituzione della carta d'identità tradizionale con quella elettronica.

La carta d'identità elettronica, avendo all’interno sia i dati anagrafici che le chiavi crittografiche, permette già l’identificazione dell’individuo per quanto riguarda l’erogazione dei servizi della pubblica amministrazione.

l’erogazione dei servizi però pone problemi diversi rispetto alla partecipazione ai processi politico decisionali.

Il soggetto partecipante identificandosi a livello anagrafico all’interno delle piattaforme digitali per la partecipazione sarebbe soggetto ad un potenziale controllo effettuato dall’amministrazione sulle posizioni politiche, sulle idea espresse ed in generale su tutta l’attività partecipativa svolta dal cittadino.

Si pone naturalmente un delicato problema di privacy all’interno di questi spazi di difficile soluzione.

Tecnicamente il problema dell’anonimato anagrafico e dell’identificazione univoca, è presente anche nel voto elettronico, ed è in parte risolvibile.

Superato questo problema sarebbe necessario valutare glicritto effettivi rischi di partecipare ad un processo politico decisionale attraverso l’identificazione anagrafica dei cittadini.

Si può decidere che sia necessaria un’interazione permanentemente in questi spazi attraverso uno pseudonimo oppure considerare sufficiente la realizzazione di un sistema anonimo di votazione.

Il voto elettronico

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In precedenza abbiamo affermato che all’interno degli spazi partecipativi digitali si possa realizzare la costruzione cooperativa di rappresentazioni territoriali largamente condivise. Per quanto riguarda il voto abbiamo parlato principalmente del raggiungimento di maggioranze qualificate e nel caso di un procedimento a fasi di maggioranze qualificate incrementali.

Riteniamo quindi che all’interno dei processi partecipativo deliberativi il voto non debba essere una forma di espressione della maggioranza ma piuttosto uno strumento formale attraverso il quale confermare il consenso raggiunto al termine del processo partecipativo.

Il voto elettronico si è posto anche come necessità per l’informatizzazione di alcuni istituti democratici diretti come il referendum.

In linea di massima possiamo distinguere tra il voto elettronico attraverso internet i-voting e quello esercitato attraverso l’utilizzo di macchine da voto installate presso l’amministrazione pubblica in sostituzione dei tradizionali seggi elettorali.

Le prime elezioni su vasta scala attraverso internet si sono svolte in Estonia, nel febbraio 2007, in cui il 3.4% dei voti è stato espresso digitalmente12.

Il sistema delle voting machine invece e più diffuso ed utilizzato già da diversi stati come Brasile, Venezuela e Stati Uniti.

Nel testo Applied cryptography di Bruce Schneier vediamo elencati alcuni dei requisiti dei sistemi di voto elettronici:

  1. Solo i votanti autorizzati possono votare.
  2. Nessuno puo' votare piu' di una volta
  3. Nessuno puo' determinate la votazione di un’altra persona
  4. Nessuno puo' duplicare il voto di qualcuno
  5. Nessuno puo' modificare il voto di qualcuno senza essere scoperto
  6. Ogni votante deve poter verificare che il proprio voto è stato contato.
  7. Tutti possono sapere chi ha votato e chi no.
  8. Non si puo' avere una ricevuta del voto

Le soluzioni sviluppate e gli algoritmi adottati sono diversi.

Una buona rassegna è contenuta nel documento Security Aspects of Electronic Elections di Enrico Tosi, Marco Di Felice, Mauro Brazzo oltre che nel testo di Scheiner.

Senza addentrarci in questioni crittografiche le soluzioni proposte cercano di assegnare a diverse autorità indipendenti i vari compiti necessari per lo svolgimento delle votazioni2 ovvero:

• La registrazione, in cui un organo competente si assume il compito di compilare la lista dei cittadini ammessi a votare.

• La validazione, in cui si controllano le credenziali di un aspirante votante verificando che sia registrato come tale e che non abbia già esercitato il suo voto.

• La raccolta, in cui si raccolgono i voti emessi.

• Lo ’scrutinio', in cui si procede al conteggio dei voti precedentemente raccolti.

Ogni sistema di voto su larga scala, anche di tipo tradizionale, richiede comunque di stabilire un sistema di fiducia.

Nelle elezioni tradizionali sono molti gli elementi non verificabili direttamente da parte dei cittadini ma il numero dei soggetti indipendenti coinvolti e abbastanza alto da renderne altamente improbabile un coordinamento ai fini di realizzare una frode elettorale.

Gli strumenti crittografici ci sono già è sono adeguati ma non potranno risolvere di per se il problema della fiducia verso i soggetti preposti alle operazioni elettorali.

Andrebbe quindi, per quanto possibile, evitato ogni tentativo di centralizzazione dei sistemi di voto cercando di mantenere una pluralità territoriale.

Come abbiamo accennato prima, i problemi da risolvere nel voto elettronico sono gli stessi da superare per la separazione tra identità anagrafica ed identità di rete all’interno delle piattaforme partecipative. Come l’espressione del voto non deve essere ricollega all’identità dei cittadini allo stesso modo la scelta di una alias per interagire in rete non deve essere associata a nessun individuo specifico.

Tra le soluzioni crittografiche disponibili sono di particolare interesse il Web of trust e la blind signature.

Il Web of trust è una rete di fiducia utilizzata dai sistemi crittografici a chiave asimmetrica come OpenPGP.

Questo metodo si differenzia dai sistemi tradizionali, che basano la loro fiducia sulla presenza di autorità centrali, poiché punta ad ottenere gli stessi risultati attraverso le reti sociali.

Quando parliamo di fiducia nei sistemi crittografici a chiave asimmetrica intendiamo indicare le metodologie utilizzate per stabilire la corrispondenza tra chiave pubbliche e identità degli individui.

Nei sistemi crittografici tradizionali tutto è basato sull’affidabilità delle autorità certificartici centrali che devono garantire la corrispondenza tra identità e chiave pubblica.

Il comune che emette la carta d'identità elettronica e gestisce il servizio di anagrafe potrebbe essere considerato un’autorità certificante.

Nel web of trust i certificati che associano ogni persona alla chiave pubblica possono essere firmati tra gli utenti secondo i rapporti che intercorrono nella vita reale ricreando a livello digitale il circuito di fiducia delle relazioni.

Con questa tecnica è possibile creare identificazioni validade socialmente sostituendo il ruolo dell’autorità certificante centrale.

Semplificando il sistema consiste nell’apporre la firma digitale sui certificati delle persone di cui personalmente si riconosce l’identità. In un sistema misto in cui sia presente sia un’autorità certificante che un sistema a rete di fiducia, la firma “sociale” dei certificati può servire a conferma della validità dei dati forniti dall’autorità centrale. Se ad esempio, controllando nei database dell’autorità, verifico che una certa firma e associata ad una persona X, la disponibilità di un certificato firmato da altre persone della mia rete di conoscenza rafforza la credibilità nella corrispondenza tra identità e chiave crittografica.

Il blind signature consiste invece in una tecnica che permette di firmare un documento senza rilevarne il contenuto. l’applicazione di questa tecnica è di particolare utilità quando si deve comunque certificare un qualsiasi contenuto proteggendo contemporaneamente l’identità di chi lo ha prodotto.

Pensiamo ad esempio l’azione dell’autorità che deve certificare la validità del voto del cittadino senza dover conoscere il voto espresso e senza avere la possibilità di risalire all’identità dell’elettore al momento dello scrutinio.

Con questa tecnica è possibile creare e validare ai cittadini chiavi sicure ed anonime per l’accesso ai sistemi digitali.

Non essendoci una diretta corrispondenza tra questi chiavi anonime e l’identità personale di chi le usa, in caso di decadenza dei diritti di voto o partecipazione, deve essere previsto l’annullamento della chiave.

Questo può essere realizzato attraverso un meccanismo di scadenza della firma “cieca”. Questo obbligherebbe i cittadini a richiedere un periodico rinnovo della firma blind all’autorità che in quell’occasione provvederebbe a verificare le credenziali dei richiedenti.

Le tecnologie, i protocolli crittografici e le metodologie che perseguono il raggiungimento di una fiducia sociale e distribuita del sistema possono permettere dei livelli di affidabilità elevata.

E-partecipatioin e digital divide

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Il digital divide è l’insieme degli ostacoli economici, culturali ed infrastrutturali che differenziano l’accesso alle tecnologie dell’ICT.

Occupandoci delle piattaforme per l’e-participation non si può escludere il problema dell’accessibilità agli spazi digitali.

La rete internet ed il personal computer sono gli strumenti che offrono le maggiori potenzialità per la realizzazione degli spazi di partecipazione digitali. La realizzazione di dispositivi mobili sempre più evoluti è la diffusione delle reti senza fili contribuiranno sempre di più a modificare le modalità di accesso e d'interazione degli strumenti digitali.

Ha quindi notevole importanza i dati di accesso dei cittadini alla rete.

In italia, secondo i dati delle ricerche riportate su Gandalf.it13, accede ad internet 40% della popolazione. Questa percentuale arriva ad attestarsi al 22% se si considerano soltanto le persone che usano abitualmente ogni giorno la rete.

l’accesso è ancora critico soprattutto per le fasce di età oltre i 54 anni dove la percentuale degli internauti rispetto alla popolazione è molto bassa.

Anche se il trend dell’utenza internet in generale è in crescita rimane difficile pensare di poter avviare all’uso del computer e della rete le persone più anziane.

Politiche pubbliche sulla formazione all’uso del computer e della rete dovrebbe essere inserite all’interno dei programmi scolastici pubblici. Dal momento in cui si pone l’obiettivo di aprire degli spazi partecipativi digitali l’alfabetizzazione informatica deve rientrare tra gli obiettivi formati della scuola dell’obbligo.

l’obiettivo formativo deve raggiungere anche le fasce di popolazione che fanno difficoltà ad entrare in contatto con queste tecnologie.

Inoltre lo sviluppo di interfacce progettate attraverso l’interazione utente può portare ad una riduzione delle barriere di usabilità delle piattaforme per la partecipazione.

I programmi didattici dovrebbe formare all’utilizzo di software FLOSS.

Uno dei vantaggi di questa strategia è quello di ridurre i costi economici di accesso alle tecnologie.

La maggior parte del software FLOSS si riesce ad ottenere a costi praticamente trascurabili evitando gli oneri di acquisto del software specialmente per i cittadini delle fasce sociali disagiate.

Il software open source inoltre è molto flessibile in termini di richieste hardware è può permette il riciclare l’hardware ormai considerato obsoleto per il software proprietario.

Considerando le basse richieste in termini di prestazioni che le piattaforme digitali sul web richiedono dal lato utente e i ritmi di ricambio dell’hardware potrebbero essere forniti alle fasce sociali disagiate gli strumenti digitali di accesso ai processi partecipativi. Inoltre l’utilizzo del software open source sulle macchine dei cittadini permette agli esperti della comunità il controllo del codice sorgente e dell’eventuale presenza di codice malevolo.

Senza l’accesso al codice sorgente, come nel caso dei sitemi proprietari, il controllo della macchina viene affidato totalmente alla fiducia del produttore del software.

Naturalmente, anche attraverso la formazione e l’acquisizione delle prassi di sicurezza nell’uso della rete e degli strumenti informatici rimane difficile ipotizzare che la maggior parte delle persone riesca in grado a controllare il codice dei programmi open source che gira sulla propria macchina.

La sicurezza è in generale garantita dal controllo della rete sociale.

Essendo il codice sorgente pubblico e facilmente reperibile qualsiasi programmatore può studiare e controllare la sicurezza del codice e rendere evidente la presenza di falle o codice malevolo.

Un altro problema è rappresentato invece i costi e le infrastrutture di accesso alla rete.

l’amministrazione pubblica non può portare avanti progetti di e-participation senza prevedere l’introduzione nel servizio universale dell’accesso alla rete.

Senza la garanzia della presenza capillare sul territorio delle infrastrutture di rete non è possibile garantire l’accesso ai cittadini agli spazi partecipativi digitali. Deve essere inoltre garantita la gratuità della accesso attraverso la realizzazione di postazioni che permettano l’accesso alla rete di pubblica amministrazione stabilendo anche un sistema di contributi per garantire la connettività alle fasce sociali economicamente più deboli.

l’impegno pubblico per il superamento del digital divide giustifica in parte la realizzazione di progetti di e-participation, del resto lo stato promuove l’alfabetizzazione e l’educazione civica attraverso la scuola dell’obbligo. Offrendo questa possibilità lo stato si sente autorizzato ad utilizzare la scrittura nella definizione delle norme e nell’amministrazione della cosa pubblica.

Ponendosi però l’obiettivo della realizzazione di progetti di e-participation in tempi brevi non si può rimanere indifferenti ai dati sulla diffusione della rete. In Italia oltre metà della popolazione maggiorenne sarebbe esclusa dai processi partecipativi implementati su internet.

Quando si parla degli esclusi delle rete bisogna anche fare un altro ragionamento.

Tra i dati Istat del censimento 2001 abbiamo una tabella che indica le scolarizzazione per fasce di età.

Ipotizzamo, per un attimo, che sia necessario aver compiuto 18 anni per partecipare ai processi deliberativi. La tabella istat aggrega però i dati dello scaglione da 15 a 19 anni che corrisponde al periodo in cui si frequentano le scuole superiori.

Partendo direttamente dai 20 anni abbiamo che oltre 15 milioni e 200 mila persone non hanno conseguito la licenza media di cui, approssimando, 770 mila analfabeti e 2 milioni e 600 mila alfabeti senza alcun titoli di studio. l’aggregato rappresenta circa il 33% della popolazione italiana dai 20 anni in su.

Abbiamo poi un 29% che hanno raggiunto il diploma di scuola media inferiore.

Se proviamo ad incrociare questi dati con quelli presenti su Gandalf.it, possiamo vedere dal grafico n.2 che la penetrazione nell’uso della rete è bassissimo per quanto riguarda l’istruzione elementare e basso per i livelli di istruzione media inferiore.

[Grafico 2: Utenti internet per livello scolastico - Tratto da Gandalf.it]

La maggior parte degli utenti che non sono presenti in rete si troverà concentrata nella fascia d'istruzione elementare.

Ciò che andrebbe indagato quindi, quando ci si pone il problema della scarsa penetrazione di internet per l’introduzione di piattaforme digitali, è di quale sia il livello di partecipazione politica tradizionale raggiunto dalle fasce meno istruite della popolazione.

Lo stato del resto, anche stabilendo per legge la frequentazione della scuola dell’obbligo, non pone in alcun rapporto l’esercizio dei diritti politici al livello di scolarizzazione raggiunto.

All’interno di una democrazia deliberativa bisogna indagare se, l’introduzione degli spazi partecipativi in rete, costituisca un limite oggettivo rispetto alle potenzialità deliberative della popolazione analfabeta o comunque con livelli di istruzione elementare, tenendo conto che, almeno nel 2001, il problema dell’istruzione era più evidente a partire dalla fascia dei 50-54 anni.

Occorrerebbe individuare gli strumenti che permettano anche a chi è digital diviso di partecipare ai processi deliberativi nell’e-participation.

Comunque, nella peggiore delle ipotesi, quando l’accessibilità al mezzo non è così elitaria, il sistema delle deleghe permette di raggiungere un livello di partecipazione più elevato rispetto al sistema politico rappresentativo, anche per chi non ha la possibilità di interagire direttamente per mezzo degli strumenti digitali.

Tra l’altro, la complessità delle burocrazie costituisce già oggi, per il cittadino, un ostacolo ben più insormontabile di un’eventuale alfabetizzazione informatica di base.

Bisogna inoltre considerare altri due fattori:

  • il digital divide non è un fenomeno omogeneo
  • Il gap di prossimità tecnologica

La TV digitale terrestre, internet, il computer, il cellulare non hanno lo stesso livello di penetrazione nella popolazione.

Inoltre la distanza cognitiva nelle interfacce degli strumenti influisce sui livelli di adozione delle tecnologie.

Quando si sceglie di affrontare il problema del digital divide, per trovare una soluzione ai limiti di accesso agli spazi partecipativi, bisogna valutare entrambi questi aspetti.

Implementare il servizio su una tecnologia diffusa permette di garantire l’accesso ad vasta fascia della popolazione. Ma la diffusione della tecnologia non basta da sola poiché l’introduzione delle piattaforme digitali deve fare i conti con il gap cognitivo che introduce rispetto alle tecnologie di informazione e comunicazione già utilizzate dai cittadini.

Prendiamo ad esempio le potenzialità della telefonia digitale mobile.

La rete GSM sul territorio italiano è diffusa capillarmente come la disponibilità dei dispositivi presso la popolazione. Potremmo quindi definire marginale il problema dell’accesso a questo mezzo di comunicazione.

Utilizzare la rete mobile, per effettuare delle chiamate, pone in essere un gap cognitivo minimo per gli utilizzatori rispetto alla capacità acquisite attraverso l’utilizzo dell’apparto tecnologico tradizionale.

Man a mano che si sviluppa la tecnologia e si implementano servizi si incomincia a determinare una differenza nell’utilizzo dei sistemi. Ad esempio funzioni come gli sms, mms, video, accesso alla rete tramite una connessione dati, implicano, oltre ad un evoluzione dell’hardware anche un’adattamento cognitivo e uno sforzo formativo da parte dell’utente.

l’evoluzione di uno strumento ICT avviene attraverso tre linee:

  • il potenziamento o trasformazione della rete
  • la diffusione del mezzo in correlazione al gap cognitivo introdotto dalle interfacce
  • il soddisfacimento dei bisogni che la tecnologia apporta
  • i costi di accesso (alle reti, alla formazione, ai dispositivi)

Qualsiasi strumento ICT venga scelto, per implementare i servizi di e-participation, deve tener conto di tutti questi aspetti.

Prendiamo ad esempio la tv digitale terrestre. Il Digital Video Broadcasting Terrestrial (DVB-T) è una tecnologia di trasmissione video digitale che insieme allo standard DVB-MHP, il quale definisce l’interfaccia software tra applicazioni e gli apparati (set-top box), permette di implementare una piattaforma interattiva digitale.

Partendo dal dato di diffusione dell’apparato televisivo nelle case, potremmo puntare alla realizzazione di una piattaforma di e-participation regionale attraverso il digitale terrestre, in modo da poter raggiungere coloro i quali non riescono ad utilizzare il computer ed internet.

Andrà valutata quindi:

  • la necessita di implementare una trasmissione digitale (transponder, ripetitori, liberazione delle frequenze)
  • politiche di diffusione del set-top box e previsioni di penetrazione della tecnologia
  • la tipologia di necessità partecipative che la piattaforma riuscirà a soddisfare e gli sforzi cognitivi richiesti all’utente (limiti del software e dell’interazione, gap cognitivo rispetto al televideo o l’operazione di cambio dei canali)
  • i costi di accesso al set-top box, agli apparati televisivi e all’eventuale formazione sulla piattaforma di e-participation.

l’introduzione di una nuova tecnologia o evoluzione della stessa, richiederà quindi uno sforzo economico di sistema ed uno economico-cognitivo per l’utente. Questi costi devono essere controbilanciati dalle effettive opportunità partecipative che la piattaforma offre.

Ciò che andrebbe evitato è di porsi l’obiettivo di implementare una piattaforma comune per ogni strumento ICT.

Non considerando la specificità delle stesse si rischierebbe di limitare le capacità partecipative su un minimo comune denominatore determinato dalla tecnologia più limitata.

La necessità è quella di fornire strumenti per la partecipazione,diversi per tecnolgia impiegata. Questo richiede un importante sforzo nella definizione di standard comuni multipiattaforma, che permettano alle informazioni di circolare in maniera trasparente da un mezzo all’altro in una sorta di “distribuzione pervasiva” e personalizzabile da parte del cittadino.

A prescindere dalle tecnologie vi è anche un tipo di approccio che porta ad aggirare il problema del digital divide attraverso l’implementazione di un sistema misto che permetta la partecipazione on-line e off-line.

La progettazione di processi misti comporta non pochi problemi di sincronia tra chi interagisce online, coloro che interagiscono online e off-line e i digital divisi che partecipano solamente agli eventi dal vivo.

Anche se di più semplice realizzazione a livello di locale, questo tipo di organizzazione deve affrontare grossi problemi di scalabilità, riguardo alla prossimità territoriale, man mano che si risalgono i livelli territoriali-amministrativi della sfera partecipata.

Anche considerando di utilizzare internet, come bus di collegamento tra le diverse comunità locali che interagiscono offline, diventerebbe difficile arrivare a riprodurre quel fitto processo di costruzione cooperativa delle rappresentazioni territoriali che abbiamo proposto in questo lavoro.

Inoltre bisognerebbe valutare, sperimentalmente, un’eventuale formazione di dinamiche in-group e out-group tra le comunità partecipative online e quelle offline, un effetto che contribuirebbe a complicare ulteriormente il processo partecipativo.

Se da un lato la scelta delle tecnologie, la cura dell’usabilità e dell’accessibilità deve consentire la partecipazione alla più ampia fascia di popolazione, è anche importante diversificare gli strumenti, attraverso una strategia adattiva, che permetta ai cittadini di esercitare il proprio diritto a partecipare in modalità diversa a seconda delle proprie esigenze e del grado di interesse sulle tematiche oggetto di deliberazione.

Piattaforme centralizzate e gestione dei dati.

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Quando parliamo di piattaforme per la deliberazione spesso ci riferiamo, come accennato in precedenza, a soluzioni di tipo client-server.

In questo tipo di architettura le applicazioni girano su uno o più server che erogano il servizio ai client.

Un esempio può essere quello di un forum online che viene ospitato sui server di un’associazione o di una società che offre il servizio di hosting a cui gli utenti accedono attraverso i propri computer e la rete utilizzando un browser internet.

Nell’ambito dell’e-participation questo si traduce nell’implementazione delle soluzioni software sui server gestiti dalle pubbliche amministrazioni ai quali i cittadini accedono per realizzare l’attività partecipativa.

Tutta l’informazione e la comunicazione vengono quindi immagazzinate e gestite in maniera centralizzata dall’amministrazione pubblica che dovrebbe essere garante dell’integrità e veridicità dei dati.

Anche nel caso vengano utilizzate o sviluppate soluzioni software open source per la partecipazione, ci si deve comunque fidare che i tecnici dell’amministrazione non alterino il software che gira sui server e non modifichino i dati.

Ci sono diverse soluzioni che possono risolvere questo problema a seconda del livello di fiducia che si vuole assegnare al gestore pubblico delle piattaforme.

Una soluzione abbastanza semplice è quella di rendere pubblici, a scadenze prefissate, tutti gli archivi dati del sistema, firmati digitalmente con la chiave privata dell’amministrazione pubblica. Ogni cittadino potrebbe così mantenere sul proprio computer una copia dei dati e verificarne nel corso del tempo la congruenza delle informazioni rispetto ai dati presenti sul sistema online.

Naturalmente questo metodo offre poche garanzie, poiché i dati potrebbero essere manomessi al momento stesso dell’immissione o comunque prima di effettuare la copia da pubblicare. l’unica fonte di autorità sui dati resterebbe comunque l’amministrazione pubblica che gestisce l’infrastruttura, rendendo difficile la contestazione dei contenuti.

Il vantaggio di avere regolari copie firmate digitalmente può evitare però la presenza di copie contraffatte diversificate, inviate separatamente a ogni cittadino.

Attraverso l’applicazione di funzioni hash il message digest generato sull’archivio, una volta firmato attraverso la chiave privata, ne garantisce l’univocità della copia. Gli utenti, verificando sul proprio computer l’attendibilità del file e della firma, possono scambiare il digest all’interno della propria rete di fiducia web of trust garantendosi a vicenda che la copia ricevuta sia univoca.

Questo sistema però permette ancora di censurare e manomettere i contenuti prima che venga effettuata la copia pubblica periodica, senza che vi sia la possibilità per i cittadini di contestarne i contenuti.

Per superare questo ostacolo, ogni partecipante potrebbe apporre la firma digitale ad ogni messaggio veicolato attraverso il sistema, che dovrebbe essere poi inviato presso più amministrazioni o enti fiduciari. A quel punto anche prima della copia e pubblicazione degli archivi, non sarebbe possibile immettere messaggi falsificati, poiché ogni nuovo messaggio immesso deve essere firmato attraverso la chiave privata di un cittadino.

Tra l’altro tutti i digest delle copie firmate dalle amministrazione e dagli enti fiduciari devono corrispondere.

Un eventuale censura dovrebbe quindi prevedere l’accordo di tutte i soggetti detentori dei dati.

Sebbene questa soluzione sia abbastanza sicura, l’obiettivo ulteriore che ci si può porre è quello di distribuire totalmente la piattaforma di e-participation.

Attraverso una architettura peer-to-peer, crittografata e basata sulla doppia certificazione dell’autorità e della rete di fiducia, sarebbe possibile far girare il software sui singoli computer dei cittadini mantenendo i dati in maniera distribuita. l’evoluzione della ricerca, specialmente riguardo alla sicurezza, sulle tecnologie di Distributed Hash Table14 o dei cosiddetti Contenet Delivery Network15, insieme al web of trust potrebbe eliminare la necessita di demandare, a una o più amministrazioni centralizzate, la gestione del software ed dei dati.

Un sistema di sicurezza che riesca a combinare la innata tendenza umana a stabilire e mantenere rapporti di fiducia, e l’utilizzo degli strumenti crittografici, ci sembra fondamentale per stabilire l’affidabilità delle piattaforme digitali per la partecipazione.

Piattaforme digitali e dinamiche dell’interazione.

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Quando si progettano gli strumenti per l’e-participation, anche attraverso una processo condiviso tra cittadino e pubblica amministrazione, bisogna cercare di raggiungere un certo grado di conoscenza del tipo di interazione che si andrà a stabilire all’interno di questi spazi.

Tenendo conto della specificità del mezzo utilizzato, è necessario identificare e studiare le dinamiche che si creano all’interno della comunità.

In particolare bisognerà arrivare a stabilire le policy e le funzionalità del software che rendano “praticabile” il processo deliberativo.

Considerando quindi la specificità dell’interazione mediata da diverse tecnologie ICT ed in particolare i computer, bisogna riconoscere che la maggior parte della comunicazione si svolge attraverso il testo.

Questo tipo di interazione “testuale” può subire variazioni a seconda delle caratteristiche dello strumento utilizzato per comunicare.

Ad esempio nelle mailing list e nei forum possiamo riscontrare principalmente uno sviluppo del discorso multitematico e asincrono mentre nella chat in tempo reale abbiamo un tipo di interazione sincrona.

Una caratteristica della comunicazione testuale mediata dalle tecnologie è la mancanza di indicatori non verbali.

In uno studio di Elaine W. J. Ng e Benjamin H. Detenber, pubblicato sul Journal of Computer-Medieted Communication, viene studiata l’influenza della sincronia e della livello di civiltà nelle discussione politica on line e dell’influenza di questi fattori sui partecipanti e sulle propensioni alla partecipazione.

Attingendo alle diverse teorie della comunicazione mediata al computer e a diversi studi, si può ipotizzare che la discussione in condizioni asincrone è percepita dai soggetti partecipanti come più ricca di valore informativo. La seconda ipotesi è che, quando la discussione si fa incivile, il valore informativo della stessa viene ridimensionato.

Inoltre, per studiare gli effetti sul processo di persuasione, ipotizzano che, in una discussione in condizioni asincrone e con una bassa frequenza tra i messaggi, i partecipanti vengano percepiti come maggiormente dominanti. l’affermazione del fattore di dominanza rispetto all’equità tra i partecipanti dovrebbe essere anche riscontrato nelle condizioni in cui la discussione si sviluppi in maniera incivile.

Le ultime quattro ipotesi formulate riguardano la credibilità e la propensione alla partecipazione dei soggetti.

In particolare quando la discussione è incivile la credibilità di coloro che veicolano il messaggio diminuisce mentre l’asincronia della discussione dovrebbe favorire le percezioni di credibilità tra i partecipanti.

Infine il livello di civiltà e la sincronia della discussione dovrebbero favorire la propensione alla partecipazione.

Arrivando a modificare sperimentalmente i fattori di sincronia ed i livelli di civiltà della discussione, i ricercatori hanno cercato di verificare la fondatezza di tali assunti.

Le ipotesi sugli effetti dell’asincronia sulla qualità dell’informazione percepita dai partecipanti non sono stati confermati. Risulta invece che, una conduzione della discussione sincronica, dia risultati più soddisfacenti sulla percezione della qualità informativa veicolata. Bisognerà quindi in futuro analizzare come le diverse dinamiche dei feedback nella comunicazione asincronica e sincronica influiscano su questo fattore.

Dai dati sperimentali risulta inoltre che in condizioni sincroniche la discussione viene percepita come maggiormente persuasiva.

Per quanto riguarda la percezione della dominanza non è stato riscontrato nessun effetto rispetto alla sincronia della discussione. Risulta comunque che in condizioni di inciviltà sia percepita maggiore dominanza tra i partecipanti.

La credibilità delle fonti risulta maggiore quando i livello della discussione è civile, non risultando però particolarmente influenzata dai fattori di sincronia.

Nello studio poi vengono fatte alcune interessanti osservazioni sui risultati di questa ricerca.

Sul fattore sincronico viene ipotizzato che, la percezione del livello informativo della comunicazione viene influenzata dalle aspettative del mezzo comunicativo e dal diverso livello di interazione tra i membri. La maggiore valutazione informativa può essere quindi collegata alla percezione del coinvolgimento all’interno della discussione. Inoltre le aspettative sui livelli di qualità informativa raggiungibili attraverso la chat, piuttosto che con il forum e le mailinglist, può in qualche modo influenzare il grado di soddisfazione dei partecipanti.

Viene notato inoltre che, anche se la sincronia e la civiltà della discussione non influisce particolarmente sulla propensione alla partecipazione, andrebbe analizzato, con ulteriori studi, come questi fattori siano correlati al livello di interesse dei partecipanti riguardo all’argomento oggetto di discussione.

Anche le percezioni del livello di civiltà in cui è condotta la discussione, varia soggettivamente o in base alle aspettative sul contesto.

In particolare fanno notare, riprendendo uno studio di Papacharissi, la differenza tra cortesia e civiltà. La mancanza di cortesia in contesti di partecipazione politica, dove la presenza di diversi punti di vista è considerata normale, può rafforzare la robustezza del processo partecipativo. Al contrario la mancanza di civiltà con la quale è condotta la discussione può influenzare le capacità di deliberazione online su tematiche politiche.

Nonostante i limiti degli studi condotti e della mancanza di una strutturazione solida dei modelli teorici per la comunicazione mediata al computer, l’approccio di ricerca deve seguire diverse linee. Innanzitutto deve individuare come alcune dinamiche studiate nei processi deliberativi offline si ripropongono all’interno dell’interazione mediate le tecnologie per l’e-participation.

Inoltre andrebbe verificato se, gli studi effettuati sulle dinamiche delle altre comunità online, applicati in un contesto politico mediato digitalmente, producano gli stessi risultati empirici.

Questo permetterebbe sia di migliorare il processo di costruzione delle policy che la progettazione delle funzionalità software. In particolare bisognerebbe sperimentare quali siano gli effetti sul processo nella definizione e nell’esercizio dei ruoli amministrativi all’interno della comunità partecipate, e di come i fenomeni e le dinamiche già studiate dalla psicologia sociale prendano forma all’interno dei contesti d'interazione politica on line.

Sarà necessario in particolare studiare le dinamiche negli spazi partecipativi dei livelli locali più bassi, dove l’interazione online sulle piattaforme di partecipazione si mescola con i rapporti offline presenti all’interno della comunità.

La conoscenza delle dinamiche nell’interazione politica, mediata dall’ICT, deve fornire la base di conoscenza per la progettazione delle piattaforme per l’e-participation. Andranno poi affrontati sul campo, attraverso uno sviluppo condiviso delle policy e degli strumenti software, i necessari adattamenti che permettano al processo deliberativo di svilupparsi nella sue piene potenzialità.

Si dovrebbe arrivare quindi alla formazione di un modello deliberativo e dei relativi strumenti a supporto che si perfezionino all’interno del processo partecipativo stesso.

Conclusioni

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L’uso degli strumenti ITC a supporto dei processi partecipativi può costituire un opportunità per il superamento della crisi delle rappresentanze politiche.

Fornendo la possibilità, ai cittadini, di interagire all’interno dei processi senza che sia necessaria la compresenza nello stesso spazio fisico, rende possibile l’aggregazione di comunità che oltrepassino i limiti territoriali.

Se per gli istituti democratici diretti si può prospettare la formazione di comunità tematiche che perseguono l’intervento su un tema specifico, sul versante deliberativo abbiamo proposto uno schema di partecipazione multilivello che segue la suddivisione del territorio in Enti Locali.

Ciò che è difficile prevedere è un’eventuale variazione della dimensione della sfera pubblica e lo stato di equilibrio raggiunto nella definizione degli spazi di autonomia territoriale.

Proprio nel momento in cui l’agenda pubblica viene a formarsi attraverso il processo bottom up, nel quale avviene il riconoscimento reciproco tra le istanze dei cittadini, potrebbe prodursi un cambiamento dei temi d'interesse pubblico, come un aumento degli stessi.

Nonostante le difficoltà che ogni processo di negoziazione comporta, la possibilità di poter decidere e deliberare su un’agenda pubblica costruita dai cittadini stessi, potrebbe cambiare il rapporto tra sfera pubblica e privata e tra contesto locale ed extra locale.

l’opportunità quindi di ottenere risultati di sistema difficilmente raggiungibili nell’ambito privato, potrebbe in qualche modo espandere il raggio di competenza della deliberazione.

Le politiche pubbliche, una volta definite dal basso attraverso i livelli stratificati delle comunità locali partecipate, non sarebbero più percepite come un’ingerenza dello stato nella vita privata dei cittadini, essendo loro stessi a coordinarsi per il raggiungimento delle finalità collettive.

Anche gli equilibri tra i gli spazi autonomi territoriali sarebbero rimessi in discussione. Le rappresentazioni, che emergono dal confronto tra i cittadini, cambiano la percezione dei territori, oltrepassando la logica di rivendicazione degli interessi locali su quelli extra locali.

Essendo i cittadini partecipanti, contemporaneamente membri degli spazi deliberativi nei diversi livelli amministrativi, dovrebbero raggiungere contemporaneamente una visione della particolarità dei problemi e degli aspetti generali separando gli spazi di autonomia decisionale, evitando una sovrapposizione delle competenze tra gli enti territoriali.

l’e-participation, specialmente quando ci si pone l’obiettivo di porla a supporto di un processo deliberativo, richiede un complesso approccio multidisciplinare tra le scienze politiche, aspetti giurisprudenziali, la comunicazione tecnologicamente mediata di natura sociologica e psicologico sociale.

Una costruzione cooperativa multidisciplinare di modelli teorici della partecipazione, dovrebbe costituire il primo passo per poter individuare, insieme ai cittadini, le policy e gli strumenti software che riescano a realizzare degli spazi partecipativi tecnologicamente mediati.

La sperimentazione sul campo dovrebbe poi portare ad un perfezionamento dei modelli interpretativi, permettendo di apportare in corsa le modifiche alle policy ed alle piattaforme che consentano di mantenere l’efficacia e la ricchezza del processo di deliberazione.

La specializzazione delle competenze e lo sforzo cognitivo di dover costruire visoni complesse e condivise potrebbe costituire uno dei limiti dell’e-participation.

Il fattore tempo quindi diventa di fondamentale importanza.

Dovrebbe essere garantita la possibilità di riservare del tempo per la partecipazione ai processi partecipativi ed un indennizzo economico per i delegati.

Nella processi di professionalizzazione delle rappresentanze politiche, l’amministrazione della cosa pubblica diventa in parte una specializzazione delle competenze sociali. Ciò permette ai rappresentanti di vivere della loro attività politica e di dedicare, potenzialmente, tutto il tempo riservato all’attività lavorativa ai processi politico decisionali.

Nell’e-participation, dove il processo partecipativo è diffuso su un numero di soggettività vasto, non è possibile riproporre queste dinamiche. La partecipazione dovrebbe essere garantita permettendo ai cittadini di dedicare del tempo ai processi di costruzione della conoscenza ed alla formazione delle decisioni.

Diventa difficile pretendere l’impegno dei cittadini in una democrazia continua che richieda un costante impegno cognitivo e di formazione inserendola all’interno degli attuali modelli lavorativi.

Del resto andrebbe indagato di quanto la specializzazione della conoscenze renda ancora competenti i rappresentanti politici sugli interessi generali.

Sebbene la progettazione delle piattaforme e delle policy sia un aspetto caratterizzante degli spazi partecipativi, ipotizziamo che i nodi irrisolti non siano ne di ordine tecnico ne normativo.

In definitiva per il futuro ci troviamo davanti a due prospettive differenti.

Una riduzione del ruolo dello stato e delle politiche pubbliche a fronte di una composizione privata del dibattito oppure un’espansione dello spazio pubblico attraverso la realizzazione di una sfera partecipativa supportata dalle tecnologie.

Una terza via si delinea comunque all’orizzonte.

Una maggiore istituzionalizzazione dei processi di lobby e di pressione politica da parte della associazioni, i gruppi di interesse sulle rappresentanze politiche, uno sviluppo delle capacità di associazione della società civile per perseguire fini condivisi, potrebbero in qualche modo rappresentare un’alternativa all’incapacità o alla mancata volontà della politica di fornire gli strumenti e le normative necessarie alla realizzazione di una piena e diffusa concretizzazione dei processi deliberativi supportati dalle tecnologie digitali.

Bibliografia

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