Utente:Basilicofresco/Deposito

Ma quanto è bello farsi del male da soli modifica

inserito da 88.36.63.124 - (otrs?)

Finalmente Walter Veltroni ha dato ufficialità, con le sue dimissioni, alla nudità strutturale – dirigenziale del PD, di fronte all’opinione pubblica e ai suoi militanti. Quanto è accaduto lascia il partito nudo, anche e soprattutto, dinanzi a se stesso, lascia pericolante e sospeso ad un filo un progetto fondamentale e formidabile per il nostro paese. Uso con cognizione di causa il termine “finalmente” perché la decisione veltroniana di abbandonare la segreteria, mi sembra sia l’ultima strategia per affrontare di petto la oramai noiosa (per noi cittadini), inutile (per noi cittadini), frustrante (per noi cittadini) e secolare (per i padri fondatori del PD) questione delle correnti personali e per responsabilizzare – evidenziare chi in maniera irresponsabile ha logorato e sconfitto, non tanto Veltroni, quanto il PD. I prodromi di una implosione tutta interna al partito si erano già notati ben prima dell’umiliazione elettorale in Sardegna e della crisi morale in Abruzzo, semplicemente si potevano scorgere in una mai sopita e sempre protagonista logica del “facciamoci male da soli” o nell’ideologia degli egoismi particolari dimostrando, nei fatti, la perenne stonatura di un’orchestra che invece avrebbe dovuto suonare all’unisono. Tutto questo ha fagocitato, in maniera scientifica e sistematica, quanto di buono era stato compiuto, anche da Veltroni, per realizzare un partito finalmente moderno, riformista e maggioritario. Prima del risultato elettorale e politico di aprile 2008, il nostro partito aveva dato l’impressione di riuscire a sfondare quel muro di diffidenza - sconoscenza, che spesse volte impediva al messaggio del Centro Sinistra di raggiungere e convincere proficuamente l’elettorato, specialmente del Nord; il PD era riuscito ad entrare in contatto con realtà e sensibilità importanti, proprio grazie alla scelta spiazzante di presentarsi in veste nuova, comunicando un cambiamento profondo nella linea progettuale e politica. Dopo la sconfitta, è venuto meno il patto comune, la fusione a freddo è tornata alla ribalta, evidenziando tutti i limiti di un progetto, che voleva certamente essere lungimirante e rivoluzionario ma che disconosceva questo credo negli atti concreti, nelle (non) proposte, nelle strumentali prese di posizione e naturalmente nelle scelte delle personalità che ne dovevano rappresentare la natura (r)innovante. Questi difetti hanno pesato come macigni sul volo dell’imperioso ma goffo albatros democratico, difatti alle prime difficoltà, si è ripiegato su stesso, a causa delle numerose ferite (nascoste prima delle elezioni ma riaperte dalla negatività dell’andamento nazionale) che ne hanno decretato la picchiata nei consensi e nella credibilità dinanzi ai cittadini, poco interessati agli scontri privati dell’establishment e molto più alla realtà di tutti i giorni; fattore questo, spesso dimenticato dalle nomenklature democratiche, che ha dato vita ad una discordanza tra istanze - sentire cittadino e azioni di partito. Le accuse assolute che si avanzano al PD sono quelle di una carenza d’omogeneità, di un partito surrogato senza anima ed identità, di non riuscire a presentare proposte comprensibili ed unitarie, cosa per certi aspetti non vera; le idee ci sono ma non vengono interpretate - difese adeguatamente, dando piuttosto spazio alla parte minoritaria (ma metodicamente rumorosa) che si smarca o non si riconosce in esse. Tutto ciò porta alla perenne delegittimazione e allo svilimento dell’impegno e lavoro di quanti credono nel e al PD. La domanda che tutti si rivolgono è: che fare ora? Tutti o quasi riconoscono il paradosso in cui siamo ovvero dobbiamo fare il congresso ma non possiamo…per ragioni oggettive di tempi e di modi, per ragioni più opinabili derivanti dall’attuale clima interno che non permetterebbe una lucida disamina della crisi in atto, riducendo il tutto ad un muro contro muro deleterio, a possibili colpi di mano o a scelte irrazionali e non programmatiche. Un congresso sceglie non tanto e non solo un segretario. Un congresso ha significato e senso quando discute di un programma valoriale, di un disegno politico e di un progetto umano, cosa impossibile ora per mancanza di lucidità e ristrettezza temporale appunto. C’è chi pensa che la suddetta situazione sia un normale incidente di percorso dovuto alla giovane ed immatura età del soggetto politico, non paragonabile ad un 8 settembre politico ed infine molti pensano che essere troppo pessimisti e drammatici in queste situazioni porti ad un autolesionismo inutile. Per questo poco fa l’assemblea costituente nazionale ha deciso per l’elezione di un nuovo segretario. Dal mio ingenuo punto di vista un congresso immediato è lo strumento imprescindibile per ripensare e ricostruire il PD. Se non ora quando? Forse a giugno quando la probabile sconfitta ci farà sprofondare nell’abisso? O forse ad ottobre quando tutte le correnti si saranno surrettiziamente placate - scannate o scomparse insieme al PD? I cittadini apprezzeranno la scelta di aspettare fino a giugno - ottobre per indire il congresso? Chi ci dice che a giugno non esisteranno, moltiplicate, le stesse tensioni odierne a prescindere dal risultato elettorale? Come potremmo essere credibili con un segretario a progetto, a contratto determinato, con un programma a brevissima scadenza? Fin troppo tempo è stato perduto per affrancare il PD dai correntismi personali, fin troppe energie sprecate per mediare, per trovare compromessi al ribasso, fin troppe risorse si sono spese per dividere scientemente le zone d’influenza tra i due ex schieramenti dimenticando clamorosamente lo scopo, gli ideali, gli obiettivi e i valori di questo partito. Non tutto è ancora perduto ma se nulla cambia i nostri militanti e cittadini (parlo dei neofiti e delle personalità che si sono avvicinate per la prima volta a questo partito e alla politica, che non hanno altra casa che il PD e che senza questo non avrebbero volontà di partecipare alla vita politica anche perché non saprebbero come riconoscersi nei DS o nella Margherita) non avranno più la paziente fiducia di aspettarci e aspettarsi da noi un progetto vincente. È stato commesso l’errore di inserire, nei punti nevralgici e di potere, personalità incapaci di andare oltre il proprio passato partitico, di allargare lo sguardo oltre l’interesse di parte, inficiando da subito quella che doveva essere la forza del PD. È ora di chiarire, senza indugiare oltre, chi sta con il PD e chi sta contro il PD. Basta associazioni partitiche camuffate da associazioni culturali, una sola appartenenza per un solo credo questo deve essere il PD. Spazio a chi riesce a mettere in secondo piano la provenienza partitica per favorire così l’emergere di linfa e nutrimenti nuovi. Largo agli illustri sconosciuti giovani e non, illustri nel senso di persone capaci ed efficienti, sconosciuti ai settarismi del passato mentre i soliti noti devono fare un passo indietro. Sono sicuro che riusciranno a dare un contributo vitale al partito in maniera diversa da ora, con entusiasmo, mettendosi al servizio della crescita e maturazione di altre figure. Un segretario pro tempore ci potrà traghettare solo verso il niente, sarebbe figura poco credibile non avendo il potere, né la legittimazione, né il riconoscimento dei militanti per governare il partito. Abbiamo bisogno di una linea politica e programmatica definitiva che una figura transitoria non ci può dare. Ci ridurremmo a sopravvivere stancamente fino a giugno mentre invece il PD ha bisogno per realizzarsi e completarsi di vivere tra la gente, sul territorio e nelle idee. Non voglio però incorrere nell’errore di rappresentare il PD già sconfitto in partenza, o di pensare al futuro in maniera negativa. Ma l’attuale crisi ci pone di fronte a due scelte fermarci abbandonando il tutto o proseguire diversamente. Io penso sia doveroso proseguire ripartendo dalla base e dalle forze locali, interrogandole, interrogandoci su chi siamo (e non da dove veniamo!!!), su dove (e con chi…?) vogliamo andare. Questi quesiti fondamentali rimarranno senza risposta se non ascoltiamo chi vive in mezzo ai cittadini, chi ne sente le richieste, le motivazioni ovvero i sindaci ed amministratori virtuosi, vanno resi protagonisti della nostra riscossa e rinascita. Nei momenti di incertezza si devono ricercare punti fermi da cui ripartire, parole chiave su cui basare la costruzione di un progetto e soprattutto persone – valori che ne diano ampia e degna rappresentanza. Io sono convinto che tutti questi elementi in parte siano insiti nel PD ed in parte vadano ricercati nel contatto continuo con le varie territorialità e con le personalità che ne sono l’essenza. Dobbiamo lavorare indefessamente per raggiungere questo primario obbiettivo. Se un ritorno al passato, DS e Margherita, avrà concretezza, io non mi sentirò più parte del progetto e lascerò con la convinzione che solo il PD è e sarà l’unico futuro possibile del Centro Sinistra.

Giampiero Piovesan, coordinatore Partito Democratico Meolo (VE). 21.02.2009