Una città al ventesimo secolo
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Una città al ventesimo secolo.
Sicuri d’incontrare l’aggradimento de’ cortesi Associati riproduciamo il seguente articolo dell’interessante giornale torinese l’Inventore, che il tradusse dalla Presse, come si raccoglie dal premessovi cenno.
— Stimiamo opportuno di presentare tradotto un brillante articolo pubblicato sulla Presse nel p. p. mese, ove si fa una rassegna delle principali mutazioni che debbono prodursi nell’industria e nella vita sociale del ventesimo secolo in grazia della piena attivazione di molti ritrovati moderni che trovansi tuttora in uno stato embrionale. —
»Le importanti scoperte, che rendono il diciannovesimo secolo uno dei più grandi nella storia, non avrebbero significato alcuno, se non dovessero condurre gli uomini ad uno stato sociale ben superiore a quello d’oggidì. La produzione industriale, coll'ajuto del vapore, è fondata sulla libertà di lavoro, è capace essa sola di realizzare un tal risultato. Per rendere il nostro pensiero più chiaro, compariamo le nuove grandi città della moderna civilizzazione, quali sono Nuova York, Filadelfia e una parte di Londra e di Parigi, a quelle misere città del medio evo, dalle infette stradicciuole e dai vicoli ove difficilmente penetrava e l’aria ed il giorno; ove il borghese, sotto la pressione dello spavento e del terrore, esercitava fra pericoli e vessazioni la penosa sua industria. Quale profondo cambiamento non ha realizzato per queste esistenze tutte un piccolo numero di miglioramenti fatti solo nell’ordine il più stretto, quali sono quelli del selciato, della pubblica illuminazione, di una polizia urbana bene organizzata e dei perfezionati mezzi di trasporto!
E non pertanto noi non siamo che all'alba di questa era novella, e ciò che in oggi esiste è ben poca cosa in paragone di ciò che deve realizzarsi ancora. Si è forse tratto tutto il partito possibile dal vapore? No: non si sono che sfiorate le principali sue applicazioni.
Ove sono i publici scaldatoi che dovrebbero esistere in tutte le nostre città, nell'inverno? Ove le lavanderie economiche? Ove le città operaie fornite di acqua ben distribuita e di gaz? Dove i forni, i macelli e le farmacie comunali; e tutti i grandi mezzi di produzione, pei quali avremmo tante nuove istituzioni attualmente appena abbozzate in alcune località, ma che sono inevitabili e prossime?
Supponiamo che tutto ciò sia realizzato; immaginiamo una città del ventesimo secolo, ben ordinata in tutte le sue parti; le strade ridotte siccome viali di giardino, non ingombre da una moltitudine di vetture diverse di forma, e trascinate ora lentamente, ora velocemente, mandando per l'aere un insopportabile fracasso; percorse invece da eleganti vaggoni, tirati da piccole locomotive; non fango, non polvere, non romorio. Tutto si agita e si muove come una vasta macchina, di cui tutte le ruote furono lubricate.
Un'architettura nuova subentra all'architettura bastarda, servile, e senza carattere dell'epoca nostra. Il vetro, il ferro, le fonderie sono esclusivamente impiegate in queste gigantesche ed ardite costruzioni, i di cui tetti riflettono splendidamente i raggi solari.
Il palazzo di Sydenham può solo darci una debolissima idea di quest'ordine architettonico. Ogni via è fiancheggiata da immensi palazzi; getti d'acqua si lanciano graziosamente nel seno dei deliziosi giardinetti o dei laghi artificiali che abbelliscono e variano la monotonia delle grandi piazze. Non v'è più notte; a breve distanza l'uno dall'altro i fanali elettrici ci innondano di una luce splendidissima al di cui paragone il gaz è tenebre. Questa luce elettrica è quasi gratuita, perchè creata coll'ajuto di motori idraulici, i quali attingono le loro forze ai fiumi che lambiscono quasi tutte le città. L'aria della città è divenuta salubre quanto quella dei campi; perocchè le dejezioni che ingeneravano tante malattie, trasportandosi per le infettate nostre contrade, sono raccolte in ben chiusi tubi, da dove apposite macchine le aspirano incessantemente per trasformarle in prezioso ingrasso.
Il movimento continuo succedette alla stagnazione attuale. Movimento delle acque pure e saluberrime che si innalzano a qualunque piano di casa; movimento sotterraneo che respinge incessantemente gli umori mefitici dai grandi centri di popolazione; movimento rotatorio dei fari elettrici. Alte botteghe isolate succedono dei vasti bazar; tutto proprio, tutto ordinato, tutto è grandioso. Di distanza in distanza sono posti degli apparati elettrici, coll'ajuto dei quali puossi comunicare coll'intiero mondo. Dal fondo dell'India o dell'Australia, si corrisponde direttamente a Parigi ed a Sydney, e si parla come se la distanza non fosse che di due passi.
Ogni ramo d'arte acquistò meravigliosi mezzi di popolarità e di espressione. Il teatro si è trasformato; egli non è più fatto pei privilegiati della fortuna, ma per la folla. L'arte dell'avvenire tolse a prestito all'arte antica questi vasti anfiteatri, ove un popolo intiero siede comodamente; mezzi possenti di riscaldamento, di ventilazione, e giudiziose disposizioni di acustica, assicurano a ciascuno spettatore posti comodissimi. Nè l'arte, nè l'inspirazione poetica perdettero a questa materiale trasformazione. No; anzi esse vi guadagnarono immensamente: il dramma, la commedia, l'opera sono entrati in una via novella, via esclusivamente umanitaria e popolare.
Essi montarono sul vero loro piedestallo, perchè parlano ad una folla immensa; essi decompongono, e ricompongono insieme con incredibile ardimento le umane passioni; come l'ingegnere e l'architetto ricompongono e domano la materia. Nel nuovo stato di cose per essere applaudito, è mestieri il frugare fin nelle viscere di un popolo; studiarne i bisogni, le tendenze, le aspirazioni del presente e dell'avvenire. L'anima del poeta si è allargata come il circolo del suo uditorio.
Le biblioteche, i musei, le collezioni d'ogni sorta non sono più rette da quei regolamenti che furono fino ad oggi in vigore. Che cosa furono fino ad oggi le nostre biblioteche, se non ironiche raccolte, senza mezzi di ricerca, senza facilità? Vi si gela d'inverno; vi si soffoca d'estate. Quasi sempre chiuse, appena vi siete entrato, venite invitato ad uscirne. Sono zelanti osservatrici di tutte le feste del Calendario, delle vacanze di Pasqua, di quelle vendemmiali. Ed invero non è forse giusto che i signori bibliotecarj abbiano il tempo di attendere al raccolto dei loro bozzoli, ed alla rediviva vinificazione?
Chi prende a considerare le città del medio evo, è colpito dalla individualità, dalla varietà, dalla moltiplicità delle forme.
Comignoli eleganti, svelte e graziose scale, finestre originali, nelle quali il circolo, l'ellissi, o il sesto-acuto si maritano con nuovissima foggia. Nelle città moderne l'individualità sarà eliminata. L'occhio rimarrà attonito davanti all'imponenza delle grandi linee, all'associazione delle forze, ai miracoli dell'industria del secolo, che hanno una poesia loro propria.
Ogni secolo non ha forse la sua missione, la sua fede?
L'umanità non contiene forse la divina idea del movimento e del progresso? È il centro di questo movimento che cambia situazione in virtù di leggi incomprensibili all'umano intelletto.
Di secolo in secolo l'idea manifestasi in diverso modo. Ora essa suscita la conquista universale del mondo con Roma o Carlomagno; ora si trasforma in entusiasmo religioso, mercè le cattedrali o le crociate del medio evo. Qual diritto milita in nostro favore per crederci o assolutamente superiori, o assolutamente inferiori agli uomini dei secoli passati, od agli uomini dei secoli venturi? L'umanità gira con moto perpetuo sopra sè stessa, ma produce frutti diversi. Se l'umanità attende di preferenza ad opere materiali, queste saranno tanto più belle quanto maggiore sarà il lavoro manuale: ma l'assenza del concetto morale ne renderà meno originale il carattere. Se all'incontro l'umana mente lavora sopra principj astratti ed ispirazioni del cuore, i miglioramenti della materia saranno trascurati. Dominati da questa legge, i destini dell'uomo ondeggiano senza mai fermarsi fra la materia e l'intelletto; bizzarro complesso d'ispirazioni e di idee eterogenee; contraddizione perpetua.
Conchiudiamo col dire che non siamo nel novero di coloro che disperano perchè presentemente trovansi a fronte di un'epoca di transizione assolutamente materialista, dove qualunque culto viene offuscato dal culto dell'oro. Diremo a questi Aristarchi: abbiate pazienza, il passato non è ancora dimenticato, l'avvenire non è ancora maturo. Aspettate che le nuove piantagioni abbiano messo germogli dal seno di una terra di lumi e di libertà. Vedrete allora il mondo materiale rivestito di nuove sembianze. Noi non dubitiamo di ciò; ma la nostra persuasione non giunge fino al punto di asserire che l'uomo arrivato in quell'èra sia per essere migliore e più contento.»