Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne/Brieve essortatione a gli huomini
Questo testo è completo. |
◄ | Dedica del secondo trattato |
[32]
UNA BRIEVE
Essortatione a gli huomini, per
che si rivestino dell'antico
valore, né dalle
donne si lascino
superare.
TUTTE le volte che fra me stesso considero la grandezza dell’animo, & le virtuosissime operationi di infinite donne, sentomi nel petto entrar un gravissimo timore, che poi per tutte l’ossa scorrendo, mi è cagione di una intollerabilissima passione. Temo S. di non veder in brieve tempo & in nostro pregiuditio, tanta mutatione, quanta mai si vedette per alcun secolo, né perché io porti [32v] invidia alli ornamenti loro, quai amo & riverisco, perciò tanto temo: ma perché sormontando elle tuttavia a maggior altezza, io dubito che l’imperio longamente posseduto non ci sia tolto di mano, & dall’antico seggio scacciati non siamo con nostro gran scorno: né altro parmi (per quanto comprender posso) che elle bramino, che di signoreggiarci, sì come noi per esser già più valorosi signoreggiammo loro: Et chi di ciò nel vero non temerebbe? Chi non temerebbe dico considerando con occhio acuto, gli alti pensieri, gli accorti modi, & le saggie parole, che tutto ’l giorno hor con questa, & hor con quella dolcemente conversando gustar soglio? il che de pochissimi huomini mi aviene, [33] senza né senza un estremo cordoglio sì liberamente lo confesso. Piango adunque alle volte meritamente le calamità nostre, & giustamente temo, & a ragion mi doglio, veggendo a nostri giorni tanto rafreddato quell’invitto ardore, & quell’ottima voluntà c’hebber gli antichi nostri della virtù: Vego al presente non esserci d’altra cosa maggior cura, che di amassar danari, arrichir con mille frodi, & ingiuria de nostri vicini, & pochi hormai so più vedere che con gloriose opere immortal gloria procacciando vadano, anzi si stano i miseri nel fango delle dilitie, né più rimirano alla lor celeste origine: o sfortunata età, o infelice secolo, o troppo duri tempi, nei quali, sì miseramente [E] [33v] condotti siamo. Et qual maggior infelicità posso io più veder di quel che io vego? imperoché se me ne vado ai publichi Studi di Padova, o di Bologna, sì come consueto sono, non gli vego più le innumerabili squadre de Scolari, non più l’antico fervor dell’imparare: ma trovo che ivi si studia negligentissimamente, & con pensier di vender a minuto, ciò che poco in grosso hanno appreso. Tal maniera di studiar non tenne già mai nella miglior età il buon Democrito, poiché da immoderato impeto di saper guidato, de le paterne facultà per meglio studiare privar si volle, né ciò poco vi paia, conciosiacosa che sì ampie fussero le costui richezze, che già poté il Padre in un convito, ricevere il [34] Re de Persiani da inhumerabil essercito accompagnato; Tal maniera di studiar non tenne già l’acuto Carneade, poi che tanto volunteroso se ne mostrò, che di necessità era che Melissa sua fante, il cibo in bocca gli ponesse, quasi che egli si nudricasse di continue contemplationi: né meno, cotal maniera tenne il grande Isocrate, il qual di nonanta quattro anni scrisse tal volume, che poté far non picciola testimonianza di un animo ben giovinile & forte. Se parimenti alla militia me ne vado, odo sempre più lodar & istimar chi più ha le mani rapaci, chi più ha le voglie ingorde, chi maggior crudeltà dimostra nel ferir gli amici, arder le ville, infiammar le case, & dissipar le facultà di chi non [E ii] [34v] ne è punto colpevole della guerra. Odo sommamente lodar chi meglio sa tormentare il suo prigione, per trarne quantità de danari, & odo che alcuni nobilissimi da sciocchi reputati, non da chi ha notitia della vera nobiltà, fanno de prigioni solenne mercatantia, da Fantacini a vil pregio comprandoli, per che dalle lor più avare mani con maggior prezzo si riscuotino. Hor questi sì brutti costumi non furono già mai usati né dal continentissimo Scipione, né dal clementissimo Cesare, né dal audacissimo Marcello: Sfortunati noi, Felice veramente si pò dir chi nacque in quella santa, & virtuosa età, & mal aventurato chiunque nasce ne moderni tempi: Le virtuose opere delli nostri [35] antepassati, furono già cagione di farci alle donne superiori, & hora temo che la dapocaggine nostra non ci faccia divenir lor schiavi il che sarebbe troppo dura mutatione: non voglia Iddio, che io vega sì aspri mutamenti. deh come è mai possibile che tanto di noi stessi scordati ci siamo? come è possibile che nelle più bellicose nationi entrata sia tanta viltà d’animo, che più non ci paia vergogna il nascondersi, & gittar l’armi per ogni picciolo ribombo che s’oda, & porsi in fuga per ogni minimo calpestio. Questa non è già la militia che dalli antichi Romani ne fu mostrata, & se tal fusse stata, ella non gli haverebbe mai sì tostamente dato l’imperio del mondo, non havrebbono sì facilmente [E iii] [35v] aperti i Mari, spianati i monti, & riempito le valli. Se anche vado nelle corti de Principi, non trovo più un Augusto, magnanimo, cortese, & liberale. Non trovo più il Re Cirro, di somma memoria, di somma benignità, & di somma destrezza ornato: & dove ancho si vede a nostri tempi (per descender più al basso) un Roberto Re di Sicillia? oh come si torrà mai tanta pigritia, quanta gli è entrata nei cuori? Il spirito della schifevol lussuria, & della ingorda avaritia gli hanno posto sì aspro assedio, ch’io non ne spero mai liberatione alcuna: all’aumentar de’ stati, & insieme all’iscemar di gloria hanno li nostri Re volti tutti i studi loro: ho adunque giusta cagione di temere che le donne [36] (colpa delli imbastirditi costumi) non gli tolghino la Corona & il Scettro dalle mani: ma fammi potentissimo Iddio più presto accecar, che io vega mai, dove hora segono gli huomini decidendo le controversie de mortali, sederci le donne: benché meritamente forse li averrebbe, poi che li Principi moderni son fatti cacciatori, & vaghi più di starsi con le fiere che con gli huomini, & tanto amadori sono divenuti delle donne, che se stessi hanno in odio: ma questo e quello che più mi fa presago dei futuri mali, che io vego all’arbitrio delle donne incominciarsi a governar i reami, & reggersi le più ricche provintie: & perché del re Roberto ho fatto di sopra mentione, non sarà per aventura fuor di [E iiii] [36v] proposito; che di lui parli alquanto con diffuso sermone. Io desiderei grandimenti .S. miei ch’egli vivo fusse a così brutti tempi, perché in lui, come in un polito specchio si specchiassero molti Principi dell’età nostra per lo più avari, crudeli, & ignoranti. Non salì costui di humil fortuna a sì alta corona, ma si pò dir ch’egli fusse Re prima che alla luce uscito si vedesse, essendo nato non sol di padre Re, ma di Avolo & di Bisavolo, così paterno come ancho materno: variandosi poi la fortuna, sì come è suo costume di fare, circondato da infiniti pericoli convenegli sofferir durissima prigione: non si puote però mai né per insulti, né per minaccie, né per losenghe, disviar dal sentiero che ne conduce ad una [37] eterna gloria: i suoi ragionamenti non erano de falconi, né de sparavieri, non de buffoni, o d’altri giuocolatori, ma di cose utilissime & altissime: favoriva gli ingegni di quella età, remunerava largamente gli inventori delle cose nove, né si vergognò mai d’imparare, anchor che alla vecchiaia giunto si vedesse: fu dottissimo nelle sacre lettere, & grandissimo oratore, che più parole? egli parve un miracolo di quel secolo, & sì come con le sue rare virtù ornò il mondo, così crediamo hora indubitatamente ch’egli adorni & abellischi il cielo: se di questi principi si vedessero hoggi, non temerei che le donne occuppasser mai il real seggio: ma io non ne vego, io non ne trovo, là dove molte donne [37v] intendo ritrovarsi che con grandissima destrezza d’ingegno governano i stati alla lor cura commessi: non spogliando i vasalli, non divorando i Pupilli, non facendo ingiuria alle afflitte vedovelle, né offendendo in cosa alcuna i lor vicini: Chi considerasse la Maiestà, che molte donne serbano nel governar le lor giuridittioni, temerebbe con esso meco di quel che già buona pezza fa ho cominciato a temere, cioè che le donne tosto non occupino i primi luoghi guadagnati da noi huomini, quando eravamo d’altro valore che al presente non siamo. L’è pur gran cosa che tutti gli huomini di qualunque miglior natione, habbino sì bruttamente tralignato, Erano altre fiate i Tedeschi per [38] poter virtuosamente operare, tanto nemici del vino, che fra loro era publico divieto che non ve se ne portasse, & hora per bere, soffrirebbono ogni disagio: ponevano già spavento ai più feroci cuori, & hora par che non sieno più d’essi. Furono i Francesi formidabili, & duramente per altro tempo ne travagliarno, hora par che morto gli sia il cuor nel petto. Lego etiandio presso dei migliori Istorici, di maggior continentia, di più lealtà & vigor, esser stati li Spagnuoli, di quel che al presente sono, & credette già il beatissimo Gregorio, che gli Inglesi fussero Agnoli dal ciel empireo discesi, hora sono scortesissimi, inhospitali, & ingordi. Che dirò della natione Italiana? oimè che il [38v] sdegno sì forte m’indebolisce, che non mi lascia dir quel ch’io vorrei: Doppio cordoglio sento pertanto nel cuore, & che gli huomini manchino di quella rara perfettione che altre fiate hebbero, & che le donne delle predette nationi, caminino tuttavia di virtù in virtù. L’è maravigliosa cosa la castità & sobrietà delle donne Tedesche, avanza ogni credenza la sofficientia & humanità delle Francese, divina è la creanza & fede delle Spagnuole, hospitalissime & di sincerità piene conosco le Inglese, & perfettissime tengonsi dai più giuditiosi le donne Italiane. Ma debbo io contentarmi in questa mia querela d’haver solo commemorato alcuni pochi ordini d’huomini, & non trapassar più oltre? [39] Non trovo io similmente che i Monaci si lasciano avanzar dalle Monache in tutte le cose alla Religione appartenenti? & dove trovaremo noi chi ci rappresenti hoggidì pur in una minima parte il devotissimo Benedetto di Norsia albergo di virtù & singolar nemico dei vitii? chi ci mostrerà un altro Florentio, la cui santa simplicità & assidue preghiere tanto lo fecero a Iddio familiare? chi sarà colui che ne faccia vedere pur uno che cerchi di rasimigliarsi al contemplativo Bernardo di Chiara valle, d’animo tanto elevato, & della santa solitudine sì spetial amico? la qual solitudine a nostri tempi fuggono i Monaci più che la peste, anchora che da quella il nome ne traghino: ravedetive [39v] adunque o Reverendi Padri di sì gran fallo, né vogliate perseguir le turbulentissime Città, & abbandonar la già eletta solitudine: dove si vive una vita pacifica, & alla celeste molto simile, dove l’huomo tace, & siede, & sedendo in alto si lieva, dove le virtù vi si nudricono, & i vitii vi si stirpano: benché dir non si possa mai che il savio solitario sia, seco havendo sempre nella memoria tutti i buoni & che al presente sono, & che già furono, & quel ch’egli col corpo non pò, l’abraccia col pensiero, con il qual liberamente scorre dove più li piace. Et se i Religiosi mi paiono scaduti da quella lor antica perfettione, non mi par già che scadute sieno le Religiose dai primi essempii, che si [40] proposero da imitare. Non veggio io Monastero alcuno di Femine, dove molte non sieno che mi rappresentino hor Eustochio, hor Marcella, & hor Blesilla: ne conosco io infinite con le quai parlando, dico fra me stesso, tal esser dovea la gloriosa Melania, così modesta & santa crederò fusse la devotisima Asella, o la Romana Paula: & queste sono di quelle cose che mi fanno in servigio degli homini religiosi grandimenti dubitar. Manca tuttavia il valor de’ frati, & aumentasi quel delle Suore. Deh non consentite mai o lucidissime stelle che sì maligni doventino i vostri infussi, che sforzati sieno gli huomini di obedir alle donne: non consentir magno Iddio che mai tal cosa [40v] acaggia, distrugasi più tosto avanti il tempo, questa sì nobil machina che tu fondaste, & guastinsi gli ordini del cielo, pur che non ci facci per alcun tempo vedere sì mostruosa trasformatione. Io ne triemo sol a pensarvi, & sentomi turbar il sangue nelle vene, tutte le volte che sì ria sospitione nel animo mi entra: inspira più tosto potentissimo Iddio nel cuor degli huomini a innamorarsi talmente della virtù che insino l’ignudo nome & insino l’ombra di quella, sia da loro, come cosa amabilissima desiderata: inspiragli ad agiuttar l’ingegno che tu lor deste & sollevarlo con le alte meditationi, & io per quanto sapperò essorterolli sempre a scacciar dai petti loro, quelle mollezze & quelle [41] dilicature che fatte gli hanno divenir meno che huomini: gli essorterò a travagliar i corpi & indurar gli animi, mostrandogli che il travaglio si è la vera materia della virtù, & sconfortando alcuni troppo nel vero tenerelli di piangere per ogni minimo accidente che gli avenga, quelle sole essendo honorate lagrime, che nelle altrui calamità si spargono, & non per i privati incommodi. Io essorterò .S. & di presente essorto qualunque amico di libertà a conculcar di perfetto cuore le delettationi carnali, lasciar da canto tante vane attilature, tanti profumi, & odoriffere misture, ricordative fratelli che li maggiori nostri non vinsero gli Assirii, Arabi, & Sabei, perché essi poi con i lor pretiosi odori [F] [41v] vincesser noi: se presi siete dalle male usanze, lasciatele, poi che niuna cosa imaginar si pò peggiore, che il delettarsi delle cattive consuetudini, a tal che li Cretensi non hebber mai la più crudel biastemmia che di pregar che i suoi nemici di qualche mala usanza si delettassero: svolgete (vi prego) gli animi vostri dalle cose basse alle celesti, & pazza cosa reputate di por i vostri diletti in cose fugacissime: non vi prendi più cura di tinger barbe, di ricamar vesti, di profumar stivalli, o di parer sopra gli altri belli, conciosia cosa che Spurina (il giovane Toscano) più chiaro & illustre divenuto sia per la procacciata brutezza, anzi che per la nativa sua beltà: amisi la sapientia per la [42] quale indubitatamente schivaremo sì grave scorno, come sarebbe d’esser vinti dalle donne: cerchisi la sapientia con quella semplicità che si conviene, non havendo ella cosa alcuna più odiosa della troppo acutezza: finsero per tanto gli antichi che la ragna fusse da Minerva odiata, per esser l’opra di quella troppo sottile, & le tele sue troppo fragili & di niuno frutto. Io prego & riprego quanto so & posso chiunque si diletta dei studi, che abbandonate le sottigliezze de Sophisti (che altro non sono che tele di Ragna) rivolghino i lor pensieri ad abracciar la virtù, la qual, né Donne, né altri nemici nostri rubbar ci potranno, né per incendio, né per naufragio si perderà, chi la possedera [F ii] [42v] non sarà mai povero. Movaci l’essempio di Aristippo, & rimanghino nei cuori nostri scolpite le parole ch’egli disse a suoi compagni, usciti che furono dal naufragio, & essendo stati, per amor della virtù sì humanamente da Rodiotti raccolti. Andate (disse) & fate che i figliuoli vostri acquistino di quelle ricchezze che l’ira del mare non possa mai togliere: la virtù non sa che cosa sia né morte, né vechiezza, & nelle cose pericolose & fosche più sempre risplende: egli è vero che l’è molto simile all’avaritia, sempre è sitibunda, sempre arde di nova cupidigia, & quanto più fa delli acquisti, tanto più gli par d’esser povera: ella non cessa mai di desiderar più oltre, né ha misura alcuna nei suoi [43] desiderii, né gli par d’haver mai tanti meriti che gli bastino. Ha costei per suo fondamento l’humiltà conoscendo, come ben astuta, non potersi ritrovar alcun splendore che dalla superbia oscurato non sia: & acciò che meglio la si conoschi, & conosciuta da voi si abracci, vi scoprirò alcune altre sue conditioni. Ella non suol esser punto vantatrice, ella non contempla & non rimira se stessa invaghita di alcuna sua bellezza, non giudica di sé, non si confida molto, né si usurpa cosa alcuna temerariamente: Ella conosce che questo tempo, è tempo di militia, & non di triumpho: & perciò la non si vede mai negligente, ma sempre operar & esser in atto. Non gli par mai di esser buona essendo [F iii] [43v] propria conditione de buoni, di dispiacer & sprezzar lor stessi. La costei guida & scorta ci fece già padroni delle Donne, il che conoscendo esse, & veggendo che gli huomini a poco a poco l’abandonano, l’hanno incominciata a vezeggiare, & pregarla a volersi star con esso loro, promettendogli migliori trattamenti di quelli che gli habbiamo fatto noi: gli persuadeno che essendo anch’essa femina gli sia maggior honore il starsi con le femine, che co gli huomini, promettendo che mai non l’abandonaranno, né mai dal lor commertio la discacciaranno. Se udiste .S. miei le inzuccherate paroline che gli dicono, conoscereste quanto sia l’ardore di volerci tirannegiare: ma io vi so dir per [44] cosa certa, che se noi svegliar ci vorremo, & scacciar da noi questa tanta pigritia, che ella se ne starà più volentieri con esso noi, essendoci più avezza, ravediamoci pur tosto del nostro errore, & richiamiamola, ch’ella se ne verrà volentieri, non potendo mai star le femine troppo longamente insieme, attendiamo pur a scacciar i suoi nemici, che ella incontanente ritornerà ad habitar con noi, confermeracci l’imperio già tanti anni goduto, & stabiliracci le nostre ragioni: ma quai sono gli nemici suoi? sono le voluptà, le quali, fanno come far sogliono gli asassini, ci abracciano per suffocarne, & imitano il pesce Polipo, che abracciar suole quei che egli disia di sommergere. Incomincino [F iiii] [44v] hormai i Principi a imparar di sottoporsi anch’essi alla giustitia, & quella riconoscer per superiore: lascino hormai la lussuria, la quale, oltre infiniti mali, ella fa di più, che l’età giovinile con frezzolosi passi alla vecchiaia aggiunghi, ingrossando i spiriti, & ritardandoli dalle più belle meditationi. Incomincino i soldati ad esser più virili, & non isbigotirsi per ogni picciola umbra, lascino le biastemme & i spergiuri, non riponendo più la lor segurtà nelle Rocche & alte mura, ma nelle robuste braccia & arditi cuori: sono le Fortezze ricetti de poltroni, sono ridotti de gaglioffi, né mai ritrovo né Annibale, né Scipio, né Marcello, né Epaminunda nelle rocche inchiusi, ma sì ben ad [45] ispugnarle & a distrugerle: oh quanti errori nascono per non saper lettere, quanto meglio farebbono adunque se in luogo delle Carte di Primiera, sossopra voltassero le carte delli Istorici: leggesi che tutti gli antichi Capitani fusser dotti, eccetto un Mario di Arpino, il quale quantunque indotto fusse, pur le amò & hebbe in riverentia. Sono io più che certo, che leggendo noi alcuna volta i fatti de grandi huomini, sentiremo maggior diletto, che di giuocar, dove chi perde, si afflige, & chi vince ne vien tuttavia più allettato: deh non ci lasciamo ingannar da sì vano piacere, ma ramentianci che un picciolo guadagno è spesse volte arra & pegno di un grandissimo danno: ciò che si [45v] vince, è spesso da questo & da quel rapito, & quel che si perde, non ci è mai per alcun tempo restituito. Incomincino anchora hormai i frati a spogliarsi, non degli habiti, ma delle fratesche passioni, & delle diaboliche invidie, altrimenti facendo come parte del viril sesso, havranno anch’essi da dolersi forsi più gravemente, di quel ch’ei si credono: Ma che accade separar una parte dall’altra. Io parlo a tutti gli huomini, & dico che se non gli si provede, & con prestezza, muterassi stato, & cambierassi conditione, & quando crederemo di esser padroni, all’hora conosceremo esser divenuti servi, quando crederemo di comandar, converacci obedire. Io so quel che dico Magnifici Signori, [46] né per altro sono frequente nelle lor conversationi, che per ispionar l’animo & risaper i consigli. Non è pur hora che nata mi è nell’animo una tal sospitione, & parmi veramente di haver gran cagione di sospettare: non avertite voi al scambiamento de costumi? & che dove prima portavano le camise scollate, hor per la maggior parte le portano da huomo, & non semplicemente da huomo, ma da soldato: solevano prima calzarsi solamente insino alle ginocchia & hora usano le calze chiuse, fingendo di farlo chi per sgravarsi della pelliccia, chi per politezza, & chi per honestà: solevano portarle chiome sopra gli homeri ricadenti hor sparse hor intrecciate, hora se gli [46c] hanno incominciato a raccorciar sin’alle orecchie simulando di farlo per sanità. Io vi dico Signori, che lo fanno per esser più ispedite & al portar dell’elmo, et al cavalcare, & che pensate voglian dir quei grossi Cartoni che nelle vesti portano? l’è uno avezzarsi a portar il Corsaletto: che Augurio è il portar delle Berette con le piumme? che augurio di haver sempre l’Ariosto nelle mani & quella parte più sovente legere che d’arme tratta? solevano a Napoli andar nelle Carrette, & hora vanno sopra i Ginetti: che Augurio è ancho di haver in Lombardia in luogo di Carrette, introdotto i Cocchi, li quali, hanno molto più del militare: Non hanno incominciato cavalcando portar anchora i [47] stivaletti, & della Caccia delettarsi sopra modo? molte hanno deposte i lisci, né più si curano di piacerci: Certo, certo, se non se gli provede, siamo spacciati: oh perché non posso io haver le mani ne capegli a tutti gli huomini, per risvegliarli da sì profondo sonno: Tristi noi & infelicissimi sopra tutti gli huomini che mai furono se entriamo in servitù, non speriamo mai più di uscirne: oh che duro imperio ci converrà sofferire, elle si ricorderanno delle aspre battiture che date le habbiamo, & dei tormenti che per gelosia gli habbiamo fatto sentire: elle si ricorderanno delle pene per i nostri peregrini amori molte volte sofferte: Tristo chi mai le impegnò le vesti, o le giuocò le Anella, [47v] non ci fu mai imperio più duro da tollerare: Taccia pur chi si querela dell’aspra servitù che presso de Macomettani si sente, taccia chi si duole dell’imperio de’ villani, taccia chi mai si tormentò di quei tempi servili, furono certamente rose & viuole, rispetto alle cose che noi vedremmo se non se gli fa riparo: elle si ridono delle nostre inettie: ne guari e, che essendo in Conceso, luogo del Bresciano molto ameno che una gentilissima signora, ornamento dell’ordine vedovile, mi disse, non haver mai, per altro tempo desiderato di ripigliar marito salvo c’hora, poscia che si lasciano governar dalle donne, & lo diceva con un viso altiero & pieno di tirannia, deh come credete che [48] trattaranno quelli che, prohibito gli haveranno di andar per lor diporto alle danze, alle giostre, & altre feste? Oh che dure mazzate daranno a chi rinchiuse le havrà tenute mostrando di lor gelosia. Ma volete voi udir un’altra congiettura dell’affettato imperio? ch’elle non sono più sì arrendevoli alle preghiere delli amanti, come esser solevano, né hanno più quella dolcezza di sangue, anzi hora mi par che sdegnino gli huomini & gli habbino a schifo, là dove prima con affettuose parole & dolcissimi gesti gli invitavano ai lor cari abracciamenti. Noi veggiamo pur nella Città nostra, più di tre paia di belle vedove, le quali, par si prendino giuoco di tener in Croce gli miseri amanti, & di fargli [48v] doventar martiri per esse: chi lor parla di marito (quantunque ben qualificato sia) gli doventa capital nimico: ma forse che alcun di voi fra se stesso si confida, che alcuna amata donna haver debba di lui pietà, io gli ricordo che longamente non s’inganni, perché non ci vorranno all’hora conoscere, scordaranci di noi, useranno dell’opra nostra, o all’aratro, o a qualche altro più sordido servigio: ma io odo alcuni che qui mi dicono, che io vaneggio & erro, a pensar che elle mai divenghino di tanto cuore che ciò intraprendino, & io dico lor che non vaneggio punto, ma che essi frenetticano a pensar l’opposito di quanto affermo: & che maraviglia sarebbe, essendo come [49] già scrisse già scrisse il Maggio (quel gran segretario della natura) di miglior complessione, più obedienti alla ragione, meno soggette alli appetiti, più disposte all’imparar le discipline, più giuste, & più forti nel tollerar i sinistri accidenti che ne acaggiono? Io non so veramente perché ne dubitino se pur leggono alle volte le istorie & antiche & moderne: è forsi cosa nuova che le donne sappino quando vogliono vestirsi piastra & maglia? crederemo noi che si sbigottissero per veder che altrui fusse tratto sangue? non furono le donne consapevoli di quella spiatata conspiratione fatta in Sicilia contra de Francesi, & potero con pacientissimi occhi veder dilagare tutta l’isola di viril sangue? non gli è per [G] [49v] aventura venuto mai a gli orecchi la gloriosa fama di Harpalice, di Camilla, di Amalasiunta, & di Pantesilea Reina di tante bellicose donne? non hanno forsi letto ne le istorie Provenzali di Bradamante, di Marphisa, di Antea, & altre tante. ma forse mi diranno che queste sono folle & sogni: vegniamo per tanto pian piano a cose men remote dalla cognition nostra: son favola le cose oprate sì valorosamente da Valasca regina de’ Boemi? sono favola le facende della memorabil Pulcella contra le squadre Inglese? è favola che nella guerra pisana una femina uccidesse in un giorno molti Fiorentini? diremo esser sogno ciò che si racconta di Maria da Pozzuolo? diremo sogno quel [50] che si narra di Madamma da Forlì? non habbiamo veduto nella guerra che ultimatamente hebbero i Sanesi con il Papa & Fiorentini che una sola Femina legò tre huomini prigioni, & in triumpho gli condusse. Io non so perché ci paia cosa tanto incredibile, veggiamo pur ogni giorno & in ogni luogo donne con l’arme in mano far cose da mover invidia a Marte, oltre che io ne conosco che agevolmente corrono per le Poste, & alli dì passati essendo in Augusta con il virtuosissimo .S. Gioan Iacomo Fucchero mi fu raccontato di una Fanciulla Tedesca, assai bella di presenza, ma ardita sopra ogni fede, la quale, andando per sue bisogne da Tilinga luogo al presente del genenroso Truxes in [G ii] [50v] Augusta, & seco havendo un giovanetto, perché la notte (forse a caso) gli toccò una coscia, levossi piena di sdegno, & tante busse gli dette, quante dar gli ne puoté: molte altre ne so, le quali hanno pelato la barba, & rotte le braccia ai lor mariti: in Francia n’ho conosciute che di casa, con mille rimprocchi & altre tante sferzate gli hanno scacciati: egli è vero che generalmente lor manca la fortezza de corpi, benché né questa gli mancherà longamente, havendo preso il camino dell’essercitarsi i corpi & incominciando a vestirsi più ispeditamente, che altre fiate non facevano: viddi gli anni passati in Roma alcune donne vestite alla Turchescha & con incredibil leggiadria cavalcare, facendo i [51] lor cavalli girar a guisa de Torni: io sospirai all’hora di profundo cuore, & fra me dissi tacitamente, siamo spacciati, non ci è più redention nei fatti nostri. Volete voi anche udir dell’altre congietture, che più non pensino di volerci star sogette? Con giuramento affermato mi hanno moltissimi mariti che quando venir vogliono con le lor consorti a quelle congiuntioni, pel mezo delle quali noi nasciamo, che elle non vogliono giacere più come già solevano, quasi che quella cosueta giaccitura ci mostri lor esser troppo superiori: a tal adunque siamo già condotti che & nei letti & nelle strade ci conviene dargli il più honorato luogo. Più evidente segno vi propongo anchora per farvi [G iii] [51v] conoscere che al tutto ne vogliono gittar di scanno: pensano che noi gli habbiamo tenuto il giuogo al collo pel mezo delle lettere, hora hanno anch’esse incominciato a studiare & darsi alle lettere così greche, come latine, & tanto sacre quanto prophane: odo che nella Corte della Serenissima reina di Navara vi è una Achademia di dotte damigelle, le quali paiono tante giovanette Sibille: & io so di certo che nella Corte di Madama di Ferrara vi si nudrisce una scuola di tal sorte che mi fa per l’amor che io porto al sesso mio, tutto impallidire & tremolare, il medesimo si fa a Napoli nelle case della .S. Contessa di Aliffe gloria & honor del sangue Piccolomini, fassi il medesimo a [52] Fossambrone per una perpetua essortatione della divina Madamma d’Urbino, il medesimo si fa a Siena, a Lucca, a Vinegia, a Firenze, & a Milano, & Iddio voglia che il medesimo non si faccia in questa nostra Città di Brescia, che certo grandimenti ne temo, poi che le vego fatte da non so che tempo in qua, più bramose dell’imparare di quel che già fussero, le vego dar risposte più acute che non solevano, & quel che mi dà maggior sospetto che segretamente non investighino le più antiche istorie, si è l’haver veduto questi giorni passati una polita vedovella sostener pugna senza alcun soccorso contra i più dotti giurisconsulti della Città & fargli rimaner sì amutiti, che parevano [G iiii] [52v] havesser impegnato la lingua al giudeo. Un’altra cosa vi voglio ancho scoprire, acciò crediate che non mi sogno. Nacque già (non è però molto tempo) in questi nostri contorni una Femina di sangue illustre, la quale, havendo generato più maschi & una sol femina, de maschi sempre tenne poca cura, perché valenti fussero, ma sol attese alla femina, & veramente che sì valente è divenuta che ne dà sbigottimento al suo marito. Ma ditemi vi prego, perché non credete che ciò che io spirato dalla non errante intelligentia, vi predico, avenir ci possa? non han le femine nei passati tempi occupato l’imperio sopra delli Assirii? non occuparno le femine l’apostolica sedia? & erano in quei [53] tempi forse di men valor che al presente non sono, & gli huomini di molto maggior pregio: Temiamo adunque & insieme facciamo buona provisione, facciamo de buoni ripari, & sopra ogni cosa leviangli i libri dalle mani, teniamole occupate intorno all’ago, alla conocchia, & all’arcolaio, benché miglior riparo sarebbe che ritornassimo noi nella smarrita strada dell’honore, & con generoso sdegno sprezzassimo le tante morbidezze, facessimo come far sogliono i peregrini dal sonno o dalla amenità de’ luoghi disviati & ritardati, radoppiassemo i passi, caminassimo più velocemente, avanti che il sole delle grandezze nostre afatto afatto tramonti, affrettianci pur, perché il [53v] male è assai più vicino di quel ch’altri si crede, noi habbiamo dormito, & esse hanno vegliato, siamo stati troppo malaccorti, dandogli il modo di divenirci superiori, non habbiamo atteso ad altro che a poltroneggiare, & per un picciolo, anzi momentano diletto pieno di sporcitia, habbiamo poco meno che lasciatoci por il basto a dosso senza pur avedersi mai de così eterni danni come ne soprastanno. Io vi scongiuro Signori per quell’antico valore che ce le fece non solamente consorti, ma serve & ischiave: Io vi scongiuro Signori per quella libertà per la quale, tanti hanno abracciato la morte infilzandosi spontaneamente nelle ben acute lancie: Io vi scongiuro Signori per quella [54] gran dolcezza ch’altri sente nella superiorità che risvegliar vi vogliate da sì longo sonno, & proveder con ogni studio & diligentia che questi imperiosi animali non ci habbino da signoreggiare, altrimenti vi so dir che viveremo una vita che havrà assai più sembianza di morte che di vita. Io ve l’ho voluto dir & ridire, & molto più cose addutto vi havrei se non mi confidassi nel giuditio vostro, io per la mia parte adoperato & l’unghia & il dente perché non m’habbino da commandar, & se pur (che Iddio mai non vogli) occuperanno l’imperio, prima che di obedire chi già serve ne furono, anderò più tosto dove né Alessandro, né Cambise potero mai arrivare, non temerò (come essi già [54v] temettero) né il diffetto delle vettovaglie, né la rubicunda zona dell’acceso polo, pur che io viva in libertà, né mai me gli convenga obedire, io soffrirò mille stratii, non dico ciò per odio, ma per non poter patientemente tollerar una così strana mutatione. Provedete voi altri, per la parte vostra, che io per me non mi troverò mai stanco di mantener (se fie bisogno) con spargere il proprio sangue la gloria & l’honor degli huomini: Dica il dotto Maggio quel che egli vuole, persuaso (forsi) dalle losenghe della meritamente amata consorte, che se le cose si scambiano vi so dir che gli converrà far la penitentia di haverla molte fiate lasciata rafreddar nel letto, per favellar con i suoi [55] discepoli hor delle cose materiali, & hor delle sostantie separate: molte altre cose vi havrei da dire, ma temo che l’ira con dolor mista non mi trapporti, & facciami trapassar il segno della viril modestia: qui adunque farò della mia amorevole essortatione il Fine, di nuovo ripregandovi a far sofficiente riparo a tanto danno. Ho detto.
Stampato in Brescia per maestro
Damiano de Turlini,
Nel Anno.
1545.